Commentario abbreviato:

Tito 1

1 Questa epistola contiene soprattutto indicazioni a Tito sugli anziani della Chiesa e sul modo in cui deve impartire l'istruzione; l'ultima parte gli dice di esortare all'obbedienza ai magistrati, di imporre le buone opere, di evitare le domande sciocche e di rifuggire dalle eresie. Le istruzioni date dall'apostolo sono tutte semplici e chiare. La religione cristiana non è stata creata per rispondere a visioni mondane o egoistiche, ma è la sapienza di Dio e la potenza di Dio.

Capitolo 1

L'apostolo saluta Tito Tito 1:1-4

Le qualifiche di un pastore fedele Tito 1:5-9

L'indole e le pratiche malvagie dei falsi insegnanti Tito 1:10-16

Versetti 1-4

Tutti sono servi di Dio e non schiavi del peccato e di Satana. Tutta la verità del Vangelo è secondo la pietà, insegna il timore di Dio. L'intento del Vangelo è quello di suscitare la speranza e la fede; di staccare la mente e il cuore dal mondo e di elevarli al cielo e alle cose di lassù. Quanto è eccellente il Vangelo, che è stato oggetto della promessa divina così presto, e quali ringraziamenti sono dovuti per i nostri privilegi! La fede viene dall'udito e l'udito dalla parola di Dio; e chi è nominato e chiamato deve predicare la parola. La grazia è il favore gratuito di Dio e l'accettazione presso di Lui. La misericordia è il frutto di tale favore, con il perdono dei peccati e la liberazione da tutte le miserie, sia qui che nell'aldilà. La pace è l'effetto e il frutto della misericordia. Pace con Dio attraverso Cristo, che è la nostra pace, e con le creature e con noi stessi. La grazia è la fonte di tutte le benedizioni. Da essa scaturiscono la misericordia, la pace e ogni bene.

5 Versetti 5-9

Il carattere e la qualifica dei pastori, qui chiamati anziani e vescovi, concordano con quanto scritto dall'apostolo a Timoteo. Essendo vescovi e sovrintendenti del gregge, per essere un esempio per loro, e amministratori di Dio per prendersi cura degli affari della sua casa, c'è una grande ragione per cui devono essere irreprensibili. Viene mostrato chiaramente ciò che non devono essere, così come ciò che devono essere, in quanto servitori di Cristo e abili ministri della lettera e della pratica del Vangelo. E qui sono descritti lo spirito e la pratica che devono avere per essere esempi di buone opere.

10 Versetti 10-16

Vengono descritti i falsi maestri. I ministri fedeli devono opporsi tempestivamente a questi, affinché la loro follia sia resa manifesta e non vadano oltre. Avevano un fine meschino in ciò che facevano; servivano un interesse mondano con la scusa della religione, perché l'amore per il denaro è la radice di tutti i mali. A questi bisogna resistere e farli vergognare con la sana dottrina delle Scritture. Le azioni vergognose, che sono il rimprovero dei pagani, dovrebbero essere lontane dai cristiani; la falsità e la menzogna, l'invidia e la crudeltà, le pratiche brutali e sensuali, l'ozio e l'accidia sono peccati condannati anche dalla luce della natura. Ma la mitezza cristiana è tanto lontana dal passare vigliaccamente sopra il peccato e l'errore, quanto dall'ira e dall'impazienza. Anche se ci possono essere differenze nazionali di carattere, il cuore dell'uomo in ogni epoca e luogo è ingannevole e disperatamente malvagio. Ma i rimproveri più severi devono mirare al bene del rimproverato; e la solidità nella fede è quanto mai auspicabile e necessaria. Per coloro che sono contaminati e increduli, nulla è puro; abusano e trasformano le cose lecite e buone in peccato. Molti professano di conoscere Dio, ma nella loro vita lo negano e lo rifiutano. Si veda la condizione miserabile degli ipocriti, che hanno una forma di pietà, ma non ne hanno la forza; tuttavia non siamo così pronti a rivolgere questa accusa agli altri, quanto attenti a non applicarla a noi stessi.

Commentario del Nuovo Testamento:

Tito 1

1 

IL SALUTO

L'autore dello scritto, il destinatario di esso, i voti che il primo invia al secondo sono i tre elementi che costituiscono il preambolo epistolare presso gli antichi.

L'autore, Paolo, designa se stesso in due modi qual servo di Dio e quale apostolo di Gesù Cristo soffermandosi più a lungo del solito Tito 1:1-3 a caratterizzare il proprio apostolato

Paolo servo di Dio.

Servi di Dio sono tutti i cristiani: "Come liberi, scrive loro S. Pietro, ma come servi di Dio" 1Pietro 2:16. Tuttavia lo sono in senso speciale quelli, che sono chiamati ad un servizio particolare, più diretto, più completo e continuo. I profeti sono quindi chiamati servi di Dio, come lo sono gli apostoli ed i ministri tutti della Parola Atti 16:17; Giacomo 1:1. I due sensi, generale e particolare, si incontrano in Apocalisse 1:1. "Rivelazione... per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire in breve... significata... al suo servo Giovanni..." Paolo suole designarsi altrove qual servo di G. C., mentre qui dopo essersi chiamato, con termine più generico, servo di Dio, indica poi che l'apostolato è il servizio cui è chiamato:

ed apostolo di Gesù Cristo

che gli è apparito e lo ha costituito suo ambasciatore presso le genti. Del proprio apostolato Paolo definisce anzitutto il fine cui è diretto, poi la speranza su cui poggia.

per la fede degli eletti di Dio e la esatta conoscenza della verità ch'è connessa colla pietà;

La preposizione che rendiamo per ( κατα) riveste una quantità di sensi nel Nuovo Testamento e non è meraviglia se nella spiegazione di questa frase gli interpreti mostrano qualche diversità. Diodati con molti altri tradusse: "secondo la fede..." L'idea sarebbe che la norma secondo la quale ha da esplicarsi l'apostolato di Paolo è la fede vera, ch'è quella degli eletti di Dio. Con ciò si verrebbe a dare alla "fede" il senso obiettivo di verità creduta che s'incontra di rado, se pur s'incontra, negli scritti di Paolo. Poi, l'apostolato è fatto per crear la fede colla predicazione, e la sua norma è la rivelazione ricevuta da Cristo Galati 1. Inoltre questo senso di katà mal si confà colla seconda parte della frase, ove la "conoscenza della verità" dovrebbe significare quella posseduta dall'apostolo. Altri spiega: apostolo... in, commissione con... relativamente alla fede... Ci pare preferibile di dare qui alla prep. il suo senso di direzione, di destinazione, di fine. (Cfr. Atti 2:10; 27:12; 8:26; Filippesi 3:14.) Paolo è inviato di Gesù Cristo in vista della fede, cioè non per annunziar la fede (vers. Osterwald), ma per produrre e sviluppare la fede nel cuore degli eletti di Dio e per dar loro la conoscenza della verità. È quella la direttiva, lo scopo essenziale della sua missione. Ai Romani Paolo dice d'aver "ricevuto la grazia e l'apostolato per produrre ubbidienza di fede fra tutte le genti" Tito 1:5; 16:26. La fede infatti viene dall'udire la parola di Dio che deve essere quindi predicata Romani 10. Soltanto, "la fede non è di tutti" e fra coloro che odono la Buona Novella molti restano increduli od accettano l'Evangelo con fede passeggera, superficiale, che non scende fino al cuore per rinnovarlo a vita santa. In Atti 13:48 Luca dice degli evangelizzati di Antiochia di Pisidia: "Credettero quanti fra loro erano ordinati a vita eterna". Quelli che Iddio ha innanzi conosciuti ed eletti sono coloro che credono di vera fede, perchè ricevono la parola recata dai seminatori evangelici in un cuore onesto e ben disposto. A crear la fede è necessaria una qualche conoscenza, almeno elementare, della verità evangelica. "Come crederanno in colui di cui non hanno udito parlare?" A questa conoscenza iniziale deve succedere la piena conoscenza ( επιγνωσις) della verità, che avviene in modo graduale, a misura che cresce l'esperienza della vita nuova e che gli organi della conoscenza spirituale diventano più esercitati Ebrei 5:11-14. Cfr. 2Timoteo 3:6. L'apostolo dopo aver dato il latte ai bambini dovea dare anche il cibo sodo ai credenti più progrediti, la sapienza riservata agli uomini compiuti 1Corinzi 2-3. Scrivendo agli Efesini di cui conosce la fede e la carità, egli prega Iddio di dar loro "lo spirito di sapienza e di rivelazione nella piena conoscenza di lui, e gli occhi del cuore illuminati per conoscere qual'è la speranza cui sono chiamati, la ricchezza della gloria... la grandezza della potenza... ecc." Efesini 1:15 e seg. Il suo insegnamento mira a farli partecipi della intelligenza spirituale a lui concessa, aspettando il tempo in cui conosceranno come sono stati da Dio conosciuti 1Corinzi 13:8-13. La verità di cui Paolo deve comunicare la conoscenza è quella ch'è secondo pietà, che corre parallela ad essa, ch'è connessa ed unita ad essa, che non è mai disgiunta dal timore e dall'amor di Dio tradotti in pratica ubbidienza alla sua volontà. C'è una verità scientifica relativa al mondo fisico, la quale non ha che fare colla pietà, talchè si può essere un grande matematico o un grande chimico od un filosofo, senza esser pio. I dottori combattuti da Paolo si occupavano di questioni religiose pur rimanendo estranei alla pietà. La verità che Paolo è mandato a proclamare è verità santificante che trae a pentimento, a fede, a vita nuova ed a sua volta non può essere compresa ed assimilata se non dalle anime pie.

2 nella speranza della vita eterna che l'Iddio che non mente ha promesso fin dai tempi più remoti.

Con che ha da connettersi questa frase? Con la fede e la conoscenza della verità mentovate prima, rispondono alcuni. Fede e verità poggiano, sono fondate sulla speranza della vita eterna, e si traduce allora: fondate sopra la speranza... (Reuss, Revel). Tuttavia Paolo non suole amalgamare a quel modo fede e speranza, Ci pare preferibile considerare la frase come coordinata alla precedente e connetterla con le parole: "apostolo di Gesù Cristo". L'apostolato di Paolo ha per fine di crear fede e conoscenza della verità, ed ha per sostegno, per base, per ragione ultima, la speranza della vita eterna (Cf. 2Timoteo 1:1). Senza la speranza della vita non esisterebbe l'apostolato cristiano. È questa speranza certa che lo sostiene nei suoi travagli "In vista di questo, infatti, noi fatichiamo e lottiamo, perchè abbiamo sperato nel Dio vivente..." 1Timoteo 4:10. "...Non veniam meno dell'animo e se anche si disfà il nostro uomo esterno, l'interno si rinnova di giorno in giorno... Non guardiamo alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono... e che sono eterne" 2Corinzi 4:16 e segg. La speranza che lo sostiene e lo rallegra, Paolo brama di comunicarla a coloro che sono senza Dio e senza speranza nel mondo; ed è la più grande poichè è quella della vita eterna, la quale comincia quaggiù, dal momento in cui l'anima entra in comunione col Cristo ch'è la nostra vita e la "nostra speranza", ma non sarà perfetta che allorquando gli saremo fatti simili. "Siamo salvati in isperanza". La speranza della vita eterna è inoltre la più certa poichè è garantita da Dio stesso. Dio vuole che tutti gli uomini abbiano vita eterna; è questo il disegno eterno della sua misericordia, ed egli ne ha preparata l'effettuazione colla promessa che risale ai primi albori della storia umana e che si è fatta vie più chiara e precisa nel corso dei secoli, finchè è stata compiuta colla venuta del Salvatore, Via, Verità e Vita. D'allora in poi Dio ha fatto annunziar dovunque la Buona Novella della salvazione mediante la fede nel Cristo. A porre viemeglio in risalto la certezza della speranza, l'apostolo dice che la vita eterna che n'è l'oggetto è stata promessa dal Dio che non mente, ch'è verace e fedele, ed è stata promessa non da ieri ma avanti i tempi eterni, espressione che non può significare: prima dell'eternità, che sarebbe un concetto strano, bensì fin dai tempi più remoti della storia, fin dall'epoca patriarcale colle rivelazioni ad Abramo, anzi fin dall'Eden stesso col protevangelo Genesi 3:15. L'antichità della promessa indica ch'essa è parte essenziale del piano di Dio rispetto all'umanità, ed è di questo piano la prima manifestazione nella storia. Custodita da Israele ed arricchita dai profeti, la promessa messianica è una delle caratteristiche della religione israelitica che non ha riscontro nelle religioni pagane e che ne attesta l'origine divina.

3 Si aspetterebbe qui che l'apostolo seguitasse, dicendo: "vita eterna che Dio, dopo averla promessa, ha poi manifestato a suo tempo...". Invece prosegue così:

ed ha poi manifestato a suo tempo la sua parola colla predicazione che mi è stata affidata per ordine di Dio salvator nostro.

La vita eterna promessa è stata assicurata mediante l'opera di Cristo: ma non è stata ancora manifestata in tutta la sua pienezza gloriosa. Essa è tuttora "nascosta con Cristo in Dio Colossesi 3:3. Ma è stata però "prodotta in luce, per mezzo del Vangelo" 2Timoteo 1:10 annunziata ed offerta agli uomini nella predicazione di Cristo e degli apostoli e ciò nell'epoca giudicata da Dio opportuna. Contenuto della predicazione è la parola di Dio, che rivela quel tanto che la mente può concepire e la lingua umana può far conoscere della vita eterna. Non si tratta qui della Parola o del Verbo in senso personale. La predicazione della parola è stata affidata a Paolo; non a lui solo però, nè a lui in modo più completo; ma è stata affidata specialmente a lui nel campo pagano, perchè provvidenzialmente preparato ad una tale missione. Nella preparazione dell'istrumento non meno che nella sua straordinaria chiamata, Paolo riconosce la manifestazione della volontà di Dio salvatore Galati 1:1, "il quale vuole che tutti gli uomini siano, salvati e giungano alla conoscenza della verità" 1Timoteo 2:4.

Se l'apostolo stabilisce così esplicitamente la propria autorità come inviato di Cristo, non è già perchè Tito ne dubitasse, ma perchè la lettera a lui diretta, pur essendo individuale, non era però di natura privata e doveva esser comunicata ai gruppi cristiani di Creta onde riconoscessero in Tito il delegato di Paolo.

4 a Tito mio figlio genuino secondo la fede che ci è comune.

Sopra Tito, vedi l'Introduzione. Il fatto che Paolo lo chiama suo figlio nella fede al pari di Timoteo e di tanti altri, prova ch'egli era stato l'istrumento della di lui conversione dal paganesimo. Il dirlo genuino e il parlar della fede come comune ad entrambi mostra quale fiducia Paolo avesse nella perfetta sincerità della fede di Tito.

Grazia e pace da Dio padre e da Cristo Gesù nostro Salvatore.

Tale il testo emendato del saluto apostolico. Il testo ordinario aggiunge misericordia che occorre nelle due epistole a Timoteo e chiama inoltre Signore Gesù Cristo mentre i manoscritti più antichi portano semplicemente: Salvator nostro. Al par di Dio Padre Tito 1:3, Cristo è chiamato Salvatore. Mentre Dio è l'iniziatore, Cristo è il mediatore e l'esecutore della salvazione col suo sacrificio e colla sua intercessione. Per mezzo di lui sono assicurate all'anima credente la grazia che perdona, che benefica, che sopporta, e la pace che inonda l'anima di calma, di serenità e di allegrezza.

AMMAESTRAMENTI

1. Anche i preamboli delle lettere di Paolo sono pieni ai teologia e di pietà. Dio ci è qui presentato come il padrone cui Paolo serve. È un privilegio il servire Colui al quale gli angeli ed i patriarchi ed i profeti e gli apostoli ed i migliori fra gli uomini hanno servito e servono. Egli è l'Iddio dai disegni eterni, eseguiti poi con saviezza infinita nel corso del tempo ch'egli governa. Egli ha formato ab eterno il piano della salvazione, ha conosciuto i suoi eletti, ha fatto la promessa della vita fin dall'Eden e l'ha ripetuta al popolo eletto; nel tempo prescelto ha mandato Gesù, il Cristo, qual Salvatore ed ha fatto annunziar la salvazione al mondo. La parola del Vangelo è, non un'opinione umana, ma l'espressione dell'eterno disegno di Dio e come tale va ricevuta e creduta. Dio è il Fedele ed il Verace che non può mentire. L'anima può con sicurezza di fede abbandonarsi alle di lui promesse. Dio è il nostro Salvatore perchè ha amato il mondo ed ha dato l'unigenito suo per salvarlo. Cristo è altresì il nostro Salvatore perchè ha eseguito il disegno di Dio ed è il solo mediatore fra gli uomini e Dio. Dio è il Padre, il Padre dell'Unigenito ch'è partecipe della natura divina, il Padre per creazione di tutti gli uomini, il Padre per adottazione dei credenti ch'egli ricolma di grazia e di pace nell'amor suo. Qual benedizione essere i figli suoi ed il poterlo chiamare: Abba Padre!

2. Osserva Oosterzee: L'origine dell'apostolato di Paolo è divina: è inviato di Cristo, gli è affidata la parola di Dio per ordine di Dio salvatore; lo scopo di esso è di condurre gli eletti alla fede e per mezzo della fede alla piena conoscenza della verità e per mezzo della verità ad una pietà reale, sincera, cordiale; sostegno di esso e sua bella prospettiva è la speranza della vita eterna; il suo centro è la proclamazione della salvazione preannunziata fin dai tempi più remoti per opera di Dio e procurata più tardi in Cristo". Finchè l'apostolo cristiano nel senso suo più esteso parlerà agli uomini di speranza di vita eterna fondata sull'opera di Cristo e sulle promesse del Dio fedele, finchè parlerà loro di verità, di pietà, esso troverà sempre un'eco nell'anima umana e susciterà la fede salutare nei cuori che anelano ad una vita perfetta.

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PARTE PRIMA

ISTRUZIONI RELATIVE AI PRESBITERI DA STABILIRE IN OGNI CHIESA.

Tito 1:5-16.

Terminato il saluto, Paolo entra subito in materia, col dare a Tito le istruzioni relative ai presbiteri che si dovevano stabilire nelle varie chiese di Creta, soffermandosi specialmente ad indicare le ragioni per cui i presbiteri devono essere saldi nella verità e capaci d'insegnarla. Ci sono qua e là degli oppositori che vanno seminando favole e raccomandando pratiche d'origine meramente umana, mentre poi sono alieni dalla vera pietà. A costoro bisogna opporre il sano insegnamento evangelico. Abbiamo quindi due brevi sezioni.

Sez. A. Tito 1:5-9. Le istruzioni relative ai presbiteri.

Sez. B. Tito 1:10-16. I contraddittori da ridurre al silenzio.

Sezione A. Tito 1:5-9. LE ISTRUZIONI RELATIVE AI PRESBITERI DA STABILIRE.

Per questo ti ho lasciato in Creta, acciocchè tu metta in ordine le cose che restano [da regolare].

Sopra Creta vedi l'Introduzione. È questo l'unico cenno che possediamo di un soggiorno di Paolo nella grand'isola mediterranea; soggiorno che ha da collocarsi all'infuori del quadro storico del libro dei Fatti, cioè dopo, la cattività romana con cui si chiude. Quanto abbia durato quella visita non sappiamo; ma non si era prolungata abbastanza da permettere all'apostolo di sistemare tutto quello che avrebbe voluto per il buon andamento delle chiese colà fondate da evangelisti a noi ignoti. Per cui, era stato costretto di separarsi dal suo compagno Tito, dandogli l'incarico di restare in Creta per mettere ogni cosa in buon assetto, creando quello che mancava, completando quello ch'era incompiuto, correggendo dove c'era qualcosa da raddrizzare. Dall'epistola vediamo che c'era da dare un insegnamento morale più completo e più pratico e da completare l'organizzazione ecclesiastica nelle congregazioni.

e che tu stabilisca degli anziani in ciascuna città come te l'ho prescritto.

È stato notato nel commento sopra 1Timoteo 3 che i due ufficii del presbiterato e del diaconato sono i soli che risultino stabiliti nelle chiese locali al tempo degli apostoli. Del diaconato l'Epistola a Tito non fa parola, probabilmente perchè non n'era sentita ancora la necessità in Creta. È stato del pari notato, nel passo parallelo, che nel Nuovo Testamento i termini presbitero od anziano, vescovo o sovrintendente, pastore Efesini 4:11, conduttore Ebrei 13:7, preposto 1Tessalonicesi 5:12, servono a designare la stessa persona e lo sesso ufficio considerato sotto aspetti diversi (Vedi 1Timoteo 3:1). 1Timoteo 3:5 confrontato con 1Timoteo 3:7 di quel capitolo mostra nel modo più evidente che la stessa persona era chiamata ora presbitero ed ora vescovo. È dunque fuor di luogo il parlare qui, come fece il Martini, della "elezione di buoni vescovi e sacerdoti".

Il termine presbitero era stato tolto dagli usi civili e religiosi dei Giudei. Fin dai tempi mosaici si parla ripetutamente degli anziani d'Israele che erano gli uomini i quali per età, per esperienza e per condizione sociale, godevano di maggior considerazione E com'era la più antica, così fu ancora la più durevole delle istituzioni israelitiche. La ritroviamo nell'epoca dei Giudici e dei Re, l'esilio non la distrugge Geremia 29:1; Ezechiele 8:1; 14:1,29, e la vediamo ricomparire dopo la restaurazione Esdra 5:9; 6:14; 10:14, nell'epoca dei Maccabei (1Macc 12:6,35; 13:36 ecc.) e nel Nuovo Testamento ove il Sinedrio è composto in parte di anziani del popolo. Le sinagoghe erano governate da un collegio di anziani presieduto dà un capo-sinagoga. Era quindi naturale che le prime chiese cristiane formatesi in seno al giudaismo, togliessero a modello l'organizzazione della sinagoga che, per semplicità ed efficacia, ben si confaceva al carattere spirituale delle società di credenti. Da Gerusalemme l'istituzione passò nell'Asia Minore, in Macedonia Filippesi 1:1, dovunque erano disseminati dei gruppi di cristiani Giacomo 5:14; 1Pietro 5:1. Ma in seno alle chiese etniche il presbitero fu chiamato anche episcopos (sovrintendente, ispettore) per indicare, anzichè la dignità, la natura dell'ufficio ch'egli dovea disimpegnare. Ma con ragione afferma il Schaff che ormai fra gli studiosi è incontestato che nell'età apostolica vescovo e presbitero designano lo stesso ufficio e tutt'al più resta da fissare il tempo in cui il titolo di vescovo cominciò ad essere esclusivamente riservato al presidente del collegio degli anziani, il che non avvenne che sulla fine del primo o al principio del secondo secolo. Ad ogni modo, l'episcopato diocesano, che potrà essere o non essere una istituzione utile, resta estraneo al Nuovo Testamento e non può pretendere ad una sanzione apostolica. L'incarico temporaneo e transitorio dato da Paolo a taluni suoi collaboratori come Timoteo e Tito non equivale alla creazione d'un ufficio permanente. Si è creduto da alcuni che in ciascuna città ove esisteva una chiesa, un solo presbitero-sovrintendente dovesse venir stabilito; ma l'analogia con le altre chiese apostoliche: Gerusalemme, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe, Efeso Atti 20:23, Filippi ecc. che hanno ciascuna parecchi anziani, non lascia dubbio che anche in Creta, il numero degli anziani preposti a ciascuna chiesa dovesse essere proporzionato al numero dei membri di essa. Si ricava da questo accenno a varie città che le chiese dovevano essere parecchie nell'isola. Nulla è detto qui circa il modo in cui Tito dovea procedere alla scelta dei presbiteri. In Gerusalemme, la chiesa aveva scelto essa stessa sette fratelli per il diaconato Atti 6:3 e così pare sia stato fatto nelle chiese di Licaonia. Certo si è che dell'opinione di ciascuna chiesa locale Tito non potrà fare astrazione poichè dovrà ricercare presso ai fratelli chi possegga i requisiti dell'ufficio. D'altronde Paolo si riferisce qui ad istruzioni orali date di già a Tito. In esse l'apostolo aveva potuto prescrivere anche il modo di stabilire degli anziani.

6 quando uno sia incensurabile.

La parola adoperata 1Timoteo 3:2 per indicare questo requisito generale significa propriamente "che non si può sorprendere" a fare il male, mentre quella che adopera qui ( ανεγκλητος) vale: non soggetto ad essere accusato giustamente, quindi inattaccabile, non incolpabile. La forma greca: se uno è... non implica il dubbio che si potessero trovare in tutte le chiese uomini siffatti; ma vuol dire che qualora uno non sia incensurabile, non è atto alle funzioni del presbitero.

marito d'una sola moglie.

non che debba necessariamente aver moglie, ma se, com'era il caso ordinario e normale, egli è ammogliato, deve essere monogamo. Al pari della sua vita individuale, è necessario che sia incensurabile la sua vita di famiglia. Vedi per più ampie spiegazioni 1Timoteo 3:2.

abbia dei figlioli fedeli che non siano accusati di dissolutezza, nè insubordinati.

Nel passo parallelo della 1Timoteo dice: "Che governi bene la propria famiglia, tenendo i figli nella sottomissione unita ad ogni onoratezza". Fedeli implica che devono essere credenti e non nemici della fede, e che devono menar vita confacente alla loro professione di cristianesimo. La prescrizione va ristretta ai figli che vivono ancora nella casa paterna e sono sotto l'influenza dei genitori. Essi non devono esser accusati dalla voce pubblica creata da chi conosce la loro vita, di dissolutezza nè di insubordinazione verso i loro genitori. I cretesi avevano fama di libertinaggio, perciò chi era chiamato a sorvegliare gli altri ed a riprendere i disordinati doveva nella propria famiglia non dare scandalo.

7 Poichè bisogna che il sovrintendente sia, in qualità di economo di Dio, incensurabile,

nella sua vita individuale e di famiglia. L'economo era un servo costituito dal padrone sopra gli altri servi e sopra i beni affidati alla di lui amministrazione. Di questa dovea render conto al suo signore. Il presbitero è parimente stabilito da Dio per esercitare un'amorevole sorveglianza sopra i suoi fratelli che sono famiglia di Dio 1Timoteo 3:15, e ciò in vista del loro bene spirituale; li deve nutrire della verità, proteggere contro gli errori, consigliare, confortare; guidare, eccitare all'opera, e riprendere quando ve ne sia bisogno. Cfr. Luca 12:42; 1Corinzi 4:1-2; 1Pietro 4:10. È quindi necessità morale ch'egli sia irreprensibile per poter compiere un tale ufficio.

non arrogante.

Il greco αυθαδης vale, stando all'etimologia, uno che si compiace di sè a tal segno che non vede di bello e di buono che se stesso, le sue idee, i suoi propositi ed i suoi atti, mentre non fa caso degli altri, delle loro opinioni, dei loro diritti e dei loro atti. È quindi "di suo senno" come traduce il Diodati, pieno di sè, "superbo" (Vulgata), caparbio perchè vuol fare a modo suo in tutto e per tutto, senza riguardo al parere od ai consigli altrui, arrogante perchè noti guarda che ai proprii diritti e manca di modestia e di rispetto verso gli altri. L'uso greco tende ad assegnare alla parola il suo senso più grave e nel Nuovo Testamento è associata, in 2Pietro 2:10, cogli "audaci" che "sparlano delle dignità" e qui coll'iracondo. Cfr. nella LXX Genesi 49:7 ov'è applicata all'ira violenta" di Simeone e di Levi.

non iracondo.

"Gli iracondi, scrisse Aristotele, vanno in collera subito, contro chi non dovrebbero, per cose che non ne valgono la pena; si adirano oltre il dovuto e si calmano presto". Per chi è chiamato a trattar con gli altri, l'arroganza e l'iracondia sono difetti gravi che allontanano la gente e impediscono di esercitar sugli animi una buona influenza. Nella 1Timoteo Paolo prescrive che il sovrintendente sia invece "arrendevole, alieno dalle contese".

non dedito al vino, non percotitore, non amante di turpe lucro

Mentre per i due primi di questi difetti la parola è la stessa che 1Timoteo 3:3 (Vedi ibid.), per il terzo è usato un termine, più grave. Là proibiva l'amor del danaro in genere, qui l'amor del turpe lucro, cioè del guadagno non onesto, riprovato dalla coscienza cristiana., poichè ottenuto con cattivi mezzi. In 1Timoteo 3:11 parlerà di persone "che insegnano ciò che non si deve per amor di un turpe guadagno". Cfr. 1Pietro 5:2.

8 ma ospitale.

(Vedi 1 Timoteo)

amante dei buoni,

disposto ad apprezzare la bontà dovunque si trovi, a goder della società dei buoni, ad incoraggiarli, a schierarsi dalla loro parte anche se non siano ancor cristiani. Si può egualmente tradurre amante del bene in tutto ed in tutti.

assennato,

equilibrato e pieno di buon senso (Vedi 1Timoteo 3:2; 2:9; Tito 2:6),

giusto,

cioè portato a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la legge di Dio.

santo,

religiosamente consacrato a Dio, quindi pio, umile, fiducioso, ubbidiente. Le due idee di giustizia e di santità si trovano unite in Efesini 4:24; 1Tessalonicesi 2:10. In altri passi sono associate, come nel nostro, tre parole che abbracciano i doveri relativi al prossimo, a Dio ed a se stesso. Così Ebrei 7:26. Cristo, il sacerdote perfetto, è detto "santo, innocente, immacolato" è, Tito 2:12, la grazia ci educa a vivere: "temperatamente, giustamente e piamente''. E qui il sovrintendente dev'essere giusto, santo e

continente

ossia temperante, capace di dominare se stesso, di affrenare i propri impulsi e le proprie passioni non solo sensuali ma di qualsiasi genere.

9 fermamente attaccato alla fedel parola ch'è secondo la dottrina [ricevuta].

Ai requisiti morali di vario genere, Paolo ne aggiunge uno relativo alla dottrina. Il sovrintendente deve essere fermamente attaccato alla verità evangelica. Il verbo αντεχομαι è adoperato in Matteo 6:24 ove si parla dell'impossibilità per un uomo di servire due padroni perchè o si atterrà all'uno e sprezzerà l'altro, o viceversa. In 1Tessalonicesi 5:14 significa sostenere chi è debole. Sempre contiene l'idea di tenere saldamente, quindi, in senso traslato, vale aderire, ritenere con piena convinzione e con tenace perseveranza. Altri vi ha veduto espresso il dovere per il presbitero di darsi all'insegnamento, di occuparsi di esso; ma oltrechè tale non è il senso della parola, il richieder questo da ogni presbitero non si confà con 1Timoteo 3:1-7 nè con 1Timoteo 5:17-18. Paolo richiede che il sovrintendente conosca la verità, vi aderisca di cuore e sia capace d'inculcarla colle sue esortazioni ed anche di difenderla quando ne abbia l'occasione ('atto ad insegnare' dice nella 1Timoteo 3:2); ma non domanda da tutti gli anziani che si consacrino all'insegnamento. La fedel parola, conforme alla dottrina è la parola evangelica, degna di intiera fede, certa. Cfr. 1Timoteo 1:15; 3:1; 4:9; 2Timoteo 2:11; Tito 3:8. La norma di essa è la dottrina apostolica trasmessa ai Cretesi da chi li aveva evangelizzati 2Pietro 1:12; Galati 1:8. Il sorgere o l'infiltrarsi nella chiesa di dottrine contrarie al Vangelo apostolico, contribuì a dare a "la dottrina" sulla base della quale erano dovunque sorte le chiese, un senso assoluto, quasi tecnico, che non richiedeva altra spiegazione. L'attaccamento del presbitero alla verità era necessario per metterlo in grado di adempiere al duplice dovere di esortare i credenti impartendo loro un sano insegnamento, per la loro edificazione, - e di confutare gli errori, le favole dei contraddittori che non mancavano in Creta. Per far questo era necessario che il sovrintendente si fosse assimilata per la fede, unita allo studio, alla riflessione e ad una certa esperienza, la verità, onde avere "i sensi esercitati per distinguere tanto il bene che il male" Ebrei 5:14.

affinchè sia capace di esortare [confermando] nella dottrina ch'è sana, e di convincere i contradittori.

La preposizione εν (in, con) usata qui da Paolo è intesa dagli uni in senso strumentale: esortare mediante il sano insegnamento che impartiranno ai fedeli. Altri lo collega più strettamente col verbo e spiega questo "esortare nella sana dottrina", come un esortare che mira a confermare, a radicare vieppiù nella verità santificante coloro che hanno creduto. Quest'ultima interpretazione ci sembra preferibile. I contradittori all'insegnamento apostolico sono caratterizzati nei versetti seguenti. Si tratta di convincerli (ελεγχειν ) cioè di mostrare loro in che cosa sono in colpa od in errore; si tratta quindi di riprenderli poichè errano moralmente (cfr. Tito 1:13) e di confutarli poichè errano intellettualmente e bisogna ridurli al silenzio Tito 1:11 con argomenti convincenti.

AMMAESTRAMENTI

1. È cosa lunga e non lieve il portare una chiesa fino a quello stato normale in cui ella può bastare alla propria edificazione ed all'opera della difesa e della propagazione dell'Evangelo.

Chiunque sia stato il fondatore delle prime comunità cristiane di Creta, certo si è che l'opera di Paolo e dei suoi collaboratori contribuì grandemente al loro sviluppo. Tuttavia quando Paolo salpa dall'isola, restano ancora molte cose da mettere in buon ordine. È ufficio di chi sovrintende ad una chiesa, e di chi (comitato, sinodo, o individuo) sovrintende a molte chiese, il rendersi conto delle cose che sono manchevoli onde portarvi rimedio. Paolo segue nel procacciare il progresso delle chiese un sistema di decentramento, di divisione del lavoro, ch'è agli antipodi del sistema di accentramento seguito nei secoli posteriori e che ha condotto a poco a poco la chiesa cattolica ad abdicare completamente nelle mani di un solo che può tiranneggiarla a sua posta. Paolo si vale, per continuar l'opera, di collaboratori itineranti senza residenza fissa, come Tito, e per mezzo di questi, o personalmente, spinge le chiese a scegliersi per conduttori i membri più pii e meglio dotati onde sia per tal guisa messa in attività la maggior somma di doni e di energie. Ai presbiteri o sovrintendenti, in un coi diaconi, restano così affidate in modo permanente le comunità cristiane. È infatti volontà di Dio che le chiese siano bene ordinate, bene condotte, provvedute di un ministero permanente e sufficiente ai bisogni. Finchè restano senza organizzazione e senza ministerio sono in uno stato anormale e pericoloso.

2. Nel tracciare in poche parole piene di sapienza il quadro dei requisiti del presbiterato, è da notare che Paolo pone in prima linea quelli che riguardano il carattere morale del candidato, poi quelli che riguardano la dottrina. A che servirebbero infatti l'ortodossia e la capacità dell'insegnare se non fossero illustrate e confermate dalla vita di chi insegna? Non ad altro che a scandalizzare le anime e ad allontanarle dalla verità. L'Evangelo non ha due morali una per il così detto clero e l'altra per i laici; perciò le virtù richieste dai sovrintendenti sono quelle stesse cui deve tendere ogni cristiano: vita personale irreprensibile, vita di famiglia esemplare, vita sociale benefica, giusta, pia. Nel ministro cotali virtù devono spiccare vie maggiormente poichè, chiamato com'egli è ad insegnare la verità dottrinale e morale agli altri, egli non potrà farlo in buona coscienza nè esortare onestamente gli altri se non quando egli stesso sia vigilante nel praticare quel che predica. Egli è chiamato a sovrintendere ai fratelli, a riprendere i traviati, a incuorare i timidi; ma non lo potrà se la sua vita non è d'esempio alla greggia. Egli è l'economo di Dio nella di lui casa, dev'essere perciò irreprensibile. Nulla darà maggior autorità morale al presbitero di una vita sinceramente cristiana, mentre nulla sarà più funesto all'efficacia del suo ministerio che i difetti del carattere o violento, o autoritario, o intemperante, o sensuale, od avaro, che la condotta censurabile o della moglie o dei figli, che la mancanza di buon senso, o di generosità, o di giustizia, o di pietà.

3. Quanto alla dottrina, la norma cui deve attenersi il presbitero è l'insegnamento di Cristo e degli apostoli. La Chiesa cristiana è fondata e cresce sopra quella base; chi la sovverte non può esser ricevuto dalla chiesa quale ministro. La chiesa non è un campo aperto a tutte le dottrine religiose e filosofiche, è la società dei credenti nel Signor e Salvatore Gesù Cristo. Chi professa un evangelo diverso da quello di Cristo e dei suoi apostoli non dev'essere perseguitato, ma neppure dev'essere incaric ato di insegnare i piccoli ed i grandi in seno alla chiesa.

4. L'insegnamento del ministro è di regola positivo, egli espone la verità in modo da istruire, esorta all'accettazione ed alla pratica di essa con tutti quei motivi che il Vangelo e l'esperienza gli forniscono. Ma quando la verità è insidiata od assalita, egli dev'essere capace di difenderla e di mostrar l'errore dei contraddittori. I Giudei del tempo di Neemia tenevano la cazzuola con una mano, ma coll'altra la spada: e similmente il ministro deve avere una coltura sufficiente, ed una sufficiente dimestichezza colla verità evangelica da poter maneggiare, quando occorra, le armi della controversia contro chi perverte o travisa l'Evangelo, e le armi dell'apologetica contro chi ne scalza i fondamenti. Così fece Cristo combattendo Farisei e Sadducei; e così fecero gli apostoli lottando contro gli errori dei loro tempi. "Colui, dice Crisostomo, che non sa combattere i nemici... e abbattere i loro ragionamenti stia lontano dalla cattedra dell'insegnante".

10 Sezione B. Tito 1:10-16. I CONTRADITTORI DA RIDURRE AL SILENZIO. I DIFETTI NAZIONALI DA RIPRENDERE.

Non senza ragione Paolo esige che il sovrintendente sia in grado di resistere ai contradittori: v'è abbondanza di costoro nelle chiese di Creta.

Poichè vi sono molti ribelli, cianciatori e seduttori di meriti, soprattutto fra i circoncisi.

Il testo ordinario porta: "Ve ne sono infatti molti e ribelli, cianciatori e..." Questo e manca nei codd. più antichi (alef AC) e va cancellato. I contradittori sono caratterizzati con tre parole: sono ribelli per inclinazione, per disposizione d'animo, non alla Chiesa come dice caratteristicamente Mgr. Martini. ma alla verità salutare e santificante del Vangelo, perchè essa è luce che sfolgora ogni peccato, è "verità secondo pietà" ed essi ne accettano solo la parte che a lor conviene. Quindi, pur professandosi cristiani, sono sempre a fare obiezioni, a contestare, a suscitar discussioni e dispute. Sono infatti nel loro modo di essere e di agire dei grandi cianciatori, ( ματαιολογοι=che dicono cose vane), che spendono un monte di parole per dir cose senza importanza, prive di contenuto sostanziale, religioso o morale. Intanto negli effetti che il loro cianciare produce sui cristiani semplici e ancor malfermi, si rivelano nocivi perchè sono seduttori di menti, che danno all'errore un'apparenza di verità e a cose da nulla un'alta importanza. Costoro si trovano soprattutto fra quei della circoncisione cioè fra i convertiti provenienti dal giudaismo. Più oltre Tito 1:14 si parla di "favole giudaiche", Cfr. 1Timoteo 1:6. E che siano cristiani di professione lo prova il fatto che possono introdursi liberamente nelle famiglie cristiane Tito 1:11, che professano di conoscere Dio Tito 1:16, e di aver la fede Tito 1:13. La loro maggior istruzione religiosa, la loro coltura rabbinica, dava ai giudeo-cristiani una influenza più grande in seno alle chiese, ma li esponeva alla tentazione delle dispute su cose secondarie.

ai quali bisogna turare la bocca

non già con mezzi violenti, indegni della verità, ma con argomenti adatti, con regioni così evidenti e così potenti ch'essi siano ridotti al silenzio non avendo più che replicare. Così vediamo che Farisei e Sadducei furono più d'una volta ridotti al silenzio da Gesù Matteo 22:22,34,46.

11 i quali mettono sossopra intere famiglie insegnando, per un vile guadagno, quel che non si deve [insegnare].

L'attività perniciosa dei cianciatori religiosi è descritta con tre tocchi: s'introducono nelle famiglie cristiane che stanno progredendo in pace nella conoscenza e nella pietà, e vi portano lo scompiglio col loro insegnamento non sano; sovvertono la fede degli uni, insinuano scrupoli in altri per cose indifferenti, forse, come i falsi dottori mentovati 2Timoteo 3:6, captivano specialmente le donne; in breve metton sossopra intere famiglie (lett. case). Ora Gesù ha bensì predetto Luca 12:51 che, in un senso, non era venuto a recar pace sulla terra, anzi divisione, poichè l'Evangelo determinerebbe negli animi tale una crisi morale che le famiglie ne andrebbero divise dolorosamente, in molti casi. Ma qui si tratta di uno scompiglio prodotto non dalla questione suprema dell'accettare o del respingere la salvezza, ma da questioni che distolgono le anime dalla sola cosa necessaria. Insegnano quel che non si deve. Di che si tratta? Semplicemente di cose che non è necessario nè utile insegnare? Nel passo parallelo 1Timoteo 5:13 l'espressione accenna a cose moralmente sconvenienti e nocive. Probabilmente si tratta d'insegnamenti segreti e indecenti connessi con pratiche ascetiche raccomandate da questi seduttori. Ultimo tocco al ritratto che di loro fa Paolo è questo: Non vanno seminando il loro insegnamento per convinzione di propagandisti, nè per fanatismo che cerchi l'altrui bene, ma semplicemente per interesse. Si facevano essi pagare dalle famiglie o dalle chiese? Non sappiamo; ma il cinismo col quale si procurano un guadagno con mezzi disonesti ricorda la sentenza di Polibio, essere cioè "i Cretesi i soli uomini presso ai quali nessun guadagno è stimato turpe".

12 Dalla descrizione dei contradittori cui bisogna turar la bocca e impedire di far del male, Paolo è tratto a ricordare il carattere nazionale dei Cretesi, fin troppo favorevole allo sviluppo di tipi come quelli delineati. Si serve perciò di un verso del poeta cretese Epimenide vissuto intorno al 600 a. C. e venerato nell'isola ed in Grecia, non solo conte poeta, ma come filosofo e come profeta, perchè si era occupato di mantica. Infatti il verso citato, secondo Girolamo, si trovava appunto in un'opera intitolata: Degli oracoli. Venendo da un uomo cosiffatto la severa caratteristica morale dei Cretesi non si poteva attribuire nè ad ignoranza, nè ad odio, nè ad incapacità intellettuale o morale.

Uno dei loro, loro proprio profeta, ha detto: "I Cretesi [son] sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri".

Uno di loro, s'intende non dei soli seduttori ora descritti, ma dei cretesi in genere, alla cui nazionalità appartenevano tutti i membri delle chiese. Chiamando Epidemie il loro proprio profeta Paolo non lo vuole equiparare ai profeti del popolo di Dio, ma si riferisce all'origine cretese del poeta (era nato a Knossos) ed al giudicio che di lui facevano i suoi stessi connazionali. I cretesi erano tanto conosciuti per la loro mancanza di veracità e di sincerità, che la parola cretizzare equivaleva, secondo Esichio, al mentire ed ingannare. Va da sè che si tratta di una caratteristica generale che comporta eccezioni individuali. Male bestie accenna al carattere violento, selvaggio, indomabile e in pari tempo crudele, traditore, dato alle rapine. Ventri pigri sono gente data ad un tempo alla gola e all'ozio ch'è il padre dei vizi, gente che vuol viver bene e lavorare il meno che sia possibile.

13 Questa testimonianza è verace.

L'osservazione personale fatta dall'apostolo durante la sua permanenza nell'isola, le informazioni venutegli da altri conoscitori dei Cretesi, aggiunte a quelle dei tanti autori greci chè avevano scritto cose analoghe, permettono a Paolo di confermare la veracità della testimonianza d'Epimenide; e siccome i difetti nazionali sono radicati profondamente perchè trasmessi per eredità da lunga serie di generazioni, non combattuti dall'educazione, tollerati od anche glorificati dalla opinione pubblica, e debolmente condannati dalla coscienza resa insensibile su certi punti, Paolo ingiunge a Tito, e indirettamente anche ai presbiteri, di adoperare i mezzi più energici per guarire di quei difetti i convertiti cretesi.

Riprendili perciò severamente acciocchè siano sani nella fede.

Una reprensione blanda, generica, fatta coi guanti, non servirebbe a nulla. La coscienza ha bisogno d'essere illuminata e scossa con denunzie precise, che chiamino le cose per il loro nome, con riprensioni che entrino nel vivo del male (il greco dice lett. recisamente, cioè in snodo tagliente) come il ferro del chirurgo, che ne mostrino tutta la laidezza e la colpa. Così potranno i cristiani cretesi diventar sempre più sani nella fede, eliminare dalla loro fede tutto ciò che non è verità salutare e dalla loro vita di credenti tutto ciò che non è in armonia colla vita nuova creata dalla fede. "Se alcuno è in Cristo egli è nuova creatura; le cose vecchie son passate; ecco tutto è diventato nuovo".

14 non dando retta a favole giudaiche.

Vedi 1Timoteo 1:4,6. Si tratta di leggende senza fondamento storico e senza contenuto religioso e morale. Abbondarono nel giudaismo della decadenza ed il Talmud ne contiene parecchie. Ci tenevano soprattutto i giudeo-cristiani. Paolo vuole che i credenti non diano retta a questi miti rabbinici poichè non sono giovevoli nè alla fede nè alla vita cristiana, anzi distraggono le anime dalle cose essenziali. Il dar retta o prestare ascolto, nota Ellicott, segna la transizione tra il semplice udire e il credere.

nè a precetti d'uomini che si allontanano dalla verità.

Cos'erano questi precetti? Da Tito 1:15 come dai passi paralleli delle altre epistole paoline si arguisce che trattavasi di precetti o prescrizioni di natura esterna, rituale, concernenti cibi e bevande e cose simili. Cotali precetti di tendenza ascetica trovavano presso i Giudei facile accoglienza perchè si riconnettevano alla legge levitica e presso i pagani erano accolti come reazione contro le gozzoviglie ed i disordini della vita passata. Certe astinenze possono essere consigliabili a date persone in situazioni particolari; ma il trasformarle in obblighi di coscienza, e l'attribuir loro valore di superiore santità è un deviare dalla verità. Cfr. 1Timoteo 4:3-4; Colossesi 2:16-22; Romani 14:1-23. Paolo li condanna come semplici precetti d'uomini, destituiti perciò d'ogni autorità divina, ed inoltre come procedenti da persone che non amano e non seguono la verità, ma le voltano le spalle e se ne allontanano per andar dietro alle loro speculazioni. L'apostolo vuol egli parlar di Giudei o di pagani rimasti tali? Dal contesto sembra ch'egli abbia in vista i cristiani ribelli e cianciatori descritti in Tito 1:10-11.

15 Tutte le cose sono pure per i puri, ma per i contaminati ed increduli nulla è puro, anzi sono contaminate e la mente e la coscienza loro.

Quelli che in Creta si danno attorno per propagare i loro precetti di astinenza da questa o quella cosa esterna da loro considerata come impura, e quelli che danno retta a siffatti insegnamenti, mostrano di non aver compreso un principio cristiano di somma importanza e cioè che tutte le cose esterne sono pure per l'uso di quelli che sono internamente puri, mentre tutte le cose esterne quando vengono a contatto di un uomo internamente impuro diventano impure per il di lui uso. In termini più brevi, la purità o l'impurità non sta nelle cose esterne bensì nel cuore e nelle disposizioni della creatura morale che ne usa. È l'insegnamento che Gesù dava ai Giudei quando i Farisei trovavano strano ch'egli non osservasse la tradizione degli antichi circa le abluzioni e l'impurità dei cibi: "Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, lo possa contaminare, ma quel che vien fuori dall'uomo è quel che contamina l'uomo" Marco 7:1-23. È appena necessario notare che il contesto limita il senso della espressione tutte le cose alle cose esterne come cibi, bevande ecc. Non si tratta degli atti morali dell'uomo e pieno ancora dei sentimenti. In quel campo la legge di Dio determina ciò ch'è puro e ciò ch'è impuro. Ma quanto alle cose esterne alle quali i seduttori cretesi applicavano i precetti del "non pigliare, non assaggiare, non toccare" Colossesi 2:21. Paolo proclama che "ogni cosa creata da Dio è buona e niuna è da rigettare purchè presa con rendimento di grazie, poichè essa è santificata mediante la parola e la preghiera d'intercessione" 1Timoteo 4:4. I puri sono coloro che dopo aver riconosciute le loro colpe e la loro naturale corruzione e sozzura sono stati per la fede nel Cristo liberati dal peso della colpa che gravava sulla lor coscienza, e ciò mediante il perdono di Dio reso possibile dal sacrificio di Cristo Ebrei 9:14. Sono stati lavati e nettati dall'acqua della grazia Giovanni 13:10-11; Atti 22:16; sono stati anche purificati nel loro cuore coll'opera rinnovatrice dello Spirito che li unisce a Cristo Atti 15:9, talchè fatti figli di Dio crescono nell'amore che parte "da un cuor puro, da una buona coscienza e da fede non finta" 1Timoteo 1:5. Per essi che ricevono ogni bene esterno come dono del loro Padre e ne vogliono fare un uso pio, moderato e giudizioso, ogni cosa è pura. Per quelli invece che non sono stati internamente purificati nella coscienza e nel cuore, mediante fede sincera, per quelli che restano contaminati e increduli non serve a nulla il distinguere scrupolosamente cibi e bevande, poichè agli occhi di Dio che riguarda al cuore, finchè il loro interno non è purificato, tutta la loro vita resta impura e la contaminazione interna rende impuro l'uso delle cose che sono in sè stesse pure ed innocue. Finchè non sono stati "giustificati della grazia di Cristo" "rigenerati e rinnovati dallo Spirito Santo" Tito 3:6-7, la loro mente ch'è l'organo della retta conoscenza delle cose, del retto giudicio di esse, la lor coscienza ch'è l'organo per distinguere rettamente il bene ed il male in tutte le cose, restano contaminate, incapaci quindi di vera conoscenza e di retto giudicio morale. Perciò mentre metteranno una grande importanza nel non mangiare di un cibo, e se ne faranno un carico di coscienza, tralascieranno le cose più essenziali della vita religiosa e morale. Es. i Farisei che colano il moscerino e trangugiano il cammello.

16 Fanno professione di conoscere Iddio ma lo rinnegano colle opere, essendo abominevoli e disubbidienti ed inetti a qualunque buona opera.

Dinanzi al quadro tracciato in questo versetto ci sono interpreti che dicono: Qui si tratta di pagani e di Giudei ma non di cristiani, quindi neppure dei ribelli descritti dianzi a Tito 1:10; e si fa valere l'epiteto di increduli dato loro nel ver. precedente. Però è difficile supporre che si tratti qui di persone diverse dai contradittori cretesi, ed è precisamente perchè si professano cristiani che sono pericolosi per le chiese; se fossero pagani o Giudei esse diffiderebbero di loro. Poi come spiegare che dei pagani "facciano professione di conoscere Dio?" Ciò non potrebbe dirsi che dei Giudei. La descrizione si attaglia bene a dei cristiani di nome che professano bensì di conoscere il vero Dio rivelato da Cristo, ma fanno consistere la religione in questioni intellettuali o in pratiche esterne; e non essendo nati di nuovo, agiscono come se Dio non ci fosse o non fosse quel ch'egli è; quindi nei fatti, praticamente, lo rinnegano. "Ogni volta che siamo vinti dal vizio e dal peccato, noi rinneghiamo Dio" (Girolamo). Sono abbominevoli, s'intende oggetto di ripulsione morale, di riprovazione per Dio che conosce il loro interno e dinanzi al quale è spesso 'abominazione' quel che gli uomini ammirano ed esaltano Luca 16:15. La riprovazione divina è cagionata dal fatto che sono disubbidienti, ribelli alla volontà di Dio, alla legge morale e inetti a qualunque buona opera. Il greco dice riprovati ossia ritenuti non idonei in seguito alla prova subita. Per estensione, inetti, moralmente incapaci di compiere una qualsiasi opera buona. L'albero non essendo stato fatto buono, è impossibile che dia dei frutti buoni. Non è quindi da dottori cosiffatti che i cristiani di Creta potranno imparare a conoscere la verità e il modo di servire piamente il Signore.

AMMAESTRAMENTI

1. Erano molti in Creta i cianciatori cui bisognava chiuder la bocca, non colla violenza ma con buone ragioni. Sono molti anche oggi in seno alla cristianità coloro che sono ribelli alla verità del Vangelo, coloro che con insegnamenti d'ogni sorta turbano lo sviluppo della conoscenza e della pietà nei cuori, coloro il cui movente principale è un movente egoista e basso. Per quanto doloroso sia il veder guastata una bella opera, svanita una radiosa speranza, non dobbiamo sgomentarci come se ci avvenisse cosa insolita quando vediamo Satana edificare una cappella - anche per mano di sedicenti cristiani - accanto ad ogni chiesa di Dio.

2. Per delineare il carattere cretese, in quanto esso aveva, di specialmente riprovevole, Paolo si serve di un poeta cretese di grande autorità. Due altre volte sappiamo che l'apostolo addusse qualche citazione di poeti pagani. In Atene ricorda che Cleante ed Arato avevano affermato essere l'uomo di razza divina; ai Corinti ricorda un detto diventato proverbiale ma tolto probabilmente da Menandro 1Corinzi 15:33. Questi passi bastano a provare che Paolo aveva letto il meglio della letteratura classica dei Greci, e ne aveva saputo ricavare qualche perla di verità morale e perfino religiosa; ad ogni modo ne avea ritratta una conoscenza più profonda del carattere greco. Non deve quindi stimarsi inutile la coltura classica dei ministri del Vangelo e neppure fuori luogo l'uso occasionale nel loro insegnamento di citazioni di autori anche non cristiani, qualora ciò serva, non a far pompa di coltura superiore, ma ad illustrare ed a confermare qualche lato della verità. La conoscenza della letteratura di un popolo, nelle sue produzioni principali, è lo specchio più fedele della sua mentalità, delle sue attitudini e qualità speciali, come pure dei suoi difetti nazionali. Tutto sta di studiarla col discernimento morale dell'apostolo.

3. I difetti nazionali (come d'altronde il peccato umano in genere) possono assumere forme non solo diverse ma perfino opposte in apparenza. I Cretesi uniscono alla bugia ed all'astuzia, la violenza e la crudeltà, ed alla crudeltà la pigrizia e la sensualità. Troppo facile ahimè! sarebbe il mostrare come i nostri peccati nazionali si assomiglino a quelli dei Cretesi. Abbiamo il triste primato dei reati di sangue e la vendetta; omicida è in certe regioni più vicine a Creta elevata quasi al grado di una virtù morale. La bugia e la frode il nostro popolo le beve come l'acqua, per cui manca la fiducia nella rettitudine altrui, e quanto al "dolce far niente", al disonore gettato sull'onesto lavoro manuale, quanto alla sete di piaceri sensuali, ai disordini che ne risultano nelle famiglie, sono cose penetrate così addentro nei costumi ch'esse sono divenute come cancrena nelle carni del popolo. Dovrà perciò l'Evangelo abbassare la santità e la purezza del suo ideale? Al contrario avremmo bisogno, per scuotere le coscienze, di centinaia di Giovanni Battista che coll'autorità della santità, chiamassero a ravvedimento i loro connazionali mettendo senza timore il dito sulle loro piaghe. Solo colla severa riprensione dell'amore potranno risorgere le anime al senso del peccato; e sola la grazia di Dio in Cristo può fare di uomini corrotti come i Cretesi delle nuove creature amanti della verità, della giustizia, della bontà, della purezza, del lavoro onesto.

4. Parlando di coloro che impongono regole ascetiche relative a cibi, bevande ecc. come cose necessarie od utili religiosamente, di coloro che con autorità meramente umana, condannano come illecite delle cose per sè indifferenti, che turbano le coscienze con dei doveri immaginari, il Reuss osserva ch'essi spostano il centro di gravità dell'Evangelo, dando alle pratiche esterne, un valore ch'esse non possono avere. L'essenziale è che il cuore sia puro; dov'è questa condizione fondamentale non può derivare alcuna contaminazione da pratiche esterne e convenzionali. A cotali pratiche sono attaccati soprattutto quelli che non hanno la vera purezza. Per contro è certo che la interna contaminazione dell'intelletto e della coscienza, l'errore morale, teoretico o pratico, esercita, una influenza corruttrice sull'intera vita. La virtù d'un uomo dal cuor puro non sarà offuscata da una certa libertà nelle cose indifferenti; ma, chi ha il cuore corrotto è esposto a peccare anche nei godimenti leciti. Il conoscere Dio teoricamente è senza importanza se la pratica è la negazione della teoria. La corruzione morale può accoppiarsi a una professione religiosa ed alle pratiche esterne. C'è assai più ateismo pratico che non teoretico.

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