Perché Gesù non volle aiutare la donna e la chiamò un cane?

Matteo 15:26

Questo è un detto duro da parte di Gesù, nel senso che sembra insensibile e non quello che ci aspetteremmo da lui verso una donna con chiari problemi e bisogno di aiuto. La chiave per capire quello che Gesù disse è una comprensione del ministero di Gesù: era venuto per i Giudei, e solo dopo la sua morte il messaggio sarebbe portato dai suoi apostoli a tutte le nazioni.

Quando Gesù spiegò la sua missione, disse di essere stato mandato solo alle pecore perdute della casa d'Israele (Mt 15:24; 10:5-6). Con qualche piccola eccezione (questa donna, l'indemoniato della Decapoli Mc 5:1-20, il centurione a Capernaum Mt 8:5-13) aiutò solo i Giudei. Ma sapeva che alla fine il Vangelo era per tutti (Mt 10:13; 28:19). Inoltre, teologicamente il Vangelo era prima di tutto per i Giudei, a cui erano rivolte le promesse e gli oracoli di Dio. Così Gesù disse alla donna, che non era una giudea, che non era giusto dare quello che era promesso al popolo di Dio (cioè i figli) a quelli che in quel momento storico erano fuori del popolo (i cagnolini). È vero che il termine "cane" sia stato ancora più peggiorativo di quando è adesso, ma possibilmente Gesù si riferì qui ai cagnolini domestici, siccome erano sotto la tavola e il diminuito "cagnolini" è usato. Ma in ogni caso erano sempre cani. La donna accettò questa risposta di Gesù, accettò di essere chiamata "cagnolino", di non meritare di sedersi alla tavola del Messia non essendo una Giudea, e questo atteggiamento è chiamato "fede" da Gesù (Mt 15:28). Cioè, la donna credeva che Gesù fosse veramente mandato per i Giudei e che il quel momento i Gentili fossero fuori del popolo di Dio, ma che anche i Gentili avrebbero ricevuto un beneficio da Gesù. Inoltre, credeva che Gesù fosse il Figlio di Davide, e si avvicinò a lui con umiltà chiedendo solo misericordia (Mt 15:24). Questo era sufficiente per Gesù, e guarì sua figlia.