Commentario abbreviato:

Colossesi 3

1 Capitolo 3

I Colossesi esortati ad avere una mentalità celeste Col 3:1-4

mortificare tutti gli affetti corrotti Col 3:5-11

vivere nell'amore reciproco, nella tolleranza e nel perdono Col 3:12-17

e di praticare i doveri di mogli e mariti, di figli, genitori e servi Col 3:18-25

Versetti 1-4

Poiché i cristiani sono liberati dalla legge cerimoniale, devono camminare più strettamente con Dio nell'obbedienza al Vangelo. Poiché il cielo e la terra sono contrari l'uno all'altra, non possono essere seguiti insieme; e l'affetto per l'uno indebolisce e abbassa l'affetto per l'altro. Coloro che sono nati di nuovo sono morti al peccato, perché il suo dominio è stato spezzato, il suo potere gradualmente sottomesso dall'operazione della grazia, e alla fine sarà estinto dalla perfezione della gloria. Essere morti, dunque, significa che coloro che hanno lo Spirito Santo, mortificando in loro le concupiscenze della carne, sono in grado di disprezzare le cose terrene e di desiderare quelle celesti. Cristo è, al momento, uno che non abbiamo visto; ma la nostra consolazione è che la nostra vita è al sicuro con lui. I ruscelli di quest'acqua viva scorrono nell'anima grazie agli influssi dello Spirito Santo, attraverso la fede. Cristo vive nel credente per mezzo del suo Spirito e il credente vive per lui in tutto ciò che fa. Alla seconda venuta di Cristo, ci sarà un raduno generale di tutti i redenti; e coloro la cui vita è ora nascosta con Cristo, appariranno allora con Lui nella sua gloria. Ci aspettiamo una tale felicità, e non dovremmo forse porre i nostri affetti su quel mondo, e vivere al di sopra di questo?

5 Versetti 5-11

È nostro dovere mortificare le nostre membra che tendono alle cose del mondo. Mortificarle, ucciderle, sopprimerle, come erbacce o parassiti che si diffondono e distruggono tutto intorno a loro. Bisogna opporsi continuamente a tutte le opere di corruzione e non fare nulla per le indulgenze carnali. Bisogna evitare le occasioni di peccato: le concupiscenze della carne e l'amore per il mondo; la cupidigia, che è idolatria; l'amore per il bene presente e per i piaceri esteriori. È necessario mortificare i peccati, perché se non li uccidiamo, saranno loro a uccidere noi. Il Vangelo cambia le forze superiori e inferiori dell'anima e sostiene il dominio della retta ragione e della coscienza sull'appetito e sulle passioni. Ora non c'è differenza di paese, né di condizioni e circostanze di vita. È dovere di ognuno essere santo, perché Cristo è il Tutto del cristiano, il suo unico Signore e Salvatore, e tutta la sua speranza e felicità.

12 Versetti 12-17

Non solo non dobbiamo fare del male a nessuno, ma dobbiamo fare del bene a tutti. Coloro che sono gli eletti di Dio, santi e amati, devono essere umili e compassionevoli verso tutti. Mentre in questo mondo, dove c'è tanta corruzione nei nostri cuori, a volte sorgeranno dei litigi. Ma è nostro dovere perdonarci a vicenda, imitando il perdono con cui siamo stati salvati. Lasciate che la pace di Dio regni nei vostri cuori; essa è opera sua in tutti coloro che sono suoi. Il ringraziamento a Dio contribuisce a renderci graditi a tutti gli uomini. Il Vangelo è la parola di Cristo. Molti hanno la parola, ma essa abita poco in loro, non ha potere su di loro. L'anima prospera quando siamo pieni di Scritture e della grazia di Cristo. Ma quando cantiamo i salmi, dobbiamo essere influenzati da ciò che cantiamo. Qualunque sia il nostro lavoro, facciamo ogni cosa nel nome del Signore Gesù e in una fiduciosa dipendenza da lui. Chi fa tutto nel nome di Cristo, non mancherà mai di ringraziare Dio, persino il Padre.

18 Versetti 18-25

Le epistole più impegnate a mostrare la gloria della grazia divina e a magnificare il Signore Gesù sono le più particolari nell'insistere sui doveri della vita cristiana. Non dobbiamo mai separare i privilegi e i doveri del Vangelo. La sottomissione è un dovere delle mogli. Ma è una sottomissione non a un signore severo o a un tiranno severo, ma al proprio marito, che è impegnato in un dovere affettuoso. I mariti devono amare le loro mogli con affetto tenero e fedele. I figli doverosi sono quelli che hanno maggiori probabilità di prosperare. I genitori devono essere teneri e i figli obbedienti. I servi devono fare il loro dovere e obbedire ai comandi dei loro padroni, in tutto ciò che è compatibile con il dovere verso Dio, il loro Padrone celeste. Devono essere giusti e diligenti, senza progetti egoistici, né ipocrisie e dissimulazioni. Coloro che temono Dio, saranno giusti e fedeli quando sono sotto l'occhio del loro padrone, perché sanno di essere sotto l'occhio di Dio. E faranno tutto con diligenza, non con pigrizia e indolenza; con allegria, non scontenti della provvidenza di Dio che li ha messi in quella relazione. E per incoraggiare i servi, fate loro sapere che, servendo i loro padroni secondo il comando di Cristo, essi servono Cristo, ed egli darà loro alla fine una gloriosa ricompensa. Ma, d'altra parte, chi fa del male, riceverà per il male che ha fatto. Dio punirà l'ingiusto, così come premierà il servo fedele; e lo stesso se i padroni fanno torto ai loro servi. Il giusto Giudice della terra tratterà con giustizia tra padrone e servo. Entrambi saranno sullo stesso piano davanti al suo tribunale. Quanto sarebbe felice il mondo se la vera religione prevalesse ovunque, influenzando ogni stato di cose e ogni rapporto di vita! Ma la professione di quelle persone che non rispettano i doveri e danno motivo di lamentarsi a coloro con cui sono in contatto, inganna se stesse e getta discredito sul Vangelo.

Commentario del Nuovo Testamento:

Colossesi 3

1 

QUARTA PARTE

PARTE ESORTATIVA

Colossesi 3:1-4:6

La quarta parte della lettera consta di nove sezioni, che intitoliamo così:

1. PASSATO, PRESENTE, FUTURO: Colossesi 3:1-4

2. GUERRA AL VECCHIO IO: Colossesi 3:5-8

3. IL NUOVO IO: Colossesi 3:9-11

4. LE VIRTÙ DEI. NUOVO IO: Colossesi 3:12-14

5. LA PACE DI CRISTO: Colossesi 3:15

6. IL CANTO SACRO NELLA CHIESA PRIMITIVA: Colossesi 3:16

7. IL NOME DEL SIGNOR GESÙ: Colossesi 3:17

8. LA FAMIGLIA CRISTIANA: Colossesi 3:18-4:1

9. PREGHIERA, CONDOTTA, CONVERSAZIONE: Colossesi 4:2-6

1. Passato, presente futuro: Colossesi 3:1-4.

Se dunque foste riuscitati con Cristo, cercate le cose di sopra dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Abbiate l'animo alle cose di sopra, non a quelle che sono sulla terra; poichè già morite, e la vostra vita è stata ed è nascosta, con Cristo in Dio. quando Cristo, la vita vostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria.

L'apostolo vola col pensiero al passato e ci mostra la genesi della vita cristiana. Cotesta genesi egli riassume in due parole: morte e risurrezione.

«Morte» a che cosa? L'apostolo l'ha già detto; «alle cose elementari del mondo» Colossesi 3:8,20: ma qui il suo pensiero è più vasto; ei non si limita all'ambito dottrinale, ma scende nei più intimi penetrali della vita morale dei colossesi e dice: Se veramente siete cristiani, voi dovete aver cominciato col morire al peccato, a tutto ciò che è ribellione alla volontà di Dio, a tutto ciò che tende a mantenere questa letale disarmonia fra il cuore del Padre ed il cuore dei figli. È «risurrezione» a quel che Paolo, con una parola tolta ad imprestito dall'Antico T., chiamerebbe «giustizia.» Romani 6:13,16 e simili; a tutto quello, insomma, che è in armonia col pensiero e con l'affetto di Dio. E come avviene questa trasformazione morale?

Con Cristo, risponde l'apostolo.

Morti con Cristo Colossesi 2:20, risuscitati con Cristo Colossesi 3:1. La causa di cotesta morte e di cotesta risurrezione non è nelle nostre opere, non è nelle nostre preghiere, non è nella nostra fede; è in Cristo; in quel Cristo al quale noi ci uniamo per fede viva, intima, personale. Cristo è il vivente innesto; noi siamo i tronchi sterili; lo Spirito compie la misteriosa unione, e noi diventiamo una stessa cosa con Cristo; e, secondo la sublime immagine dell'apostolo, con Cristo saliamo sulla croce per lasciarvi inchiodata la nostra vecchia natura, con lui scendiamo nei misteri del sepolcro di Giuseppe d'Arimatea, e con lui risorgiamo ad una vita nuova e gloriosa Cfr. Romani 6:1-11. Tale il passato; ed eccoci al presente.

La vostra vita è stata ed è nascosta con Cristo in Dio.

«Voi già moriste» nel greco, aoristo; quindi, azione passata al peccato e «foste risuscitati con Cristo» aoristo, quindi azione passata; e la vostra vita è una vita che è stata ed è nascosta con Cristo in Dio perfetto, quindi azione passata ma che nei suoi effetti perdura tuttavia. La vostra vita è una vita con Cristo; vale a dire, una vita di comunione con lui, di unione intima con lui per mezzo di una fede viva e personale Giovanni 15:1-8. Ed essendo una vita con Cristo, ella diventa, per mezzo di Cristo, una vita in Dio Giovanni 14:23. La vita del cristiano, se è veramente una vita d'intima comunione con Cristo, è una vita che ha l'Eterno per suo tempio, che trova nell'Eterno il suo riposo perfetto, che trasforma in un fatto il sospiro del Salmista che non bramava più che una cosa «contemplare la bellezza del suo Dio» Salmi 27:4. E perchè l'apostolo dic'egli «nascosta con Cristo in Dio?» Perchè, prima di tutto, cotesta vita è nascosta agli occhi del mondo. Che cos'è infatti, per il mondo, la vita spirituale? Un mistero: un profondo mistero 1Corinzi 2:14; Giovanni 14:17. Nascosta poi anche, perchè neppure agli occhi stessi dei cristiani ell'appare tale qual'è. E chi può capire, definire, analizzare, questo fluido misterioso che parte da Dio e ci trasporta, per Cristo in Dio? Giovanni 3:8. I frutti soltanto ci dicono ch'ella esiste. La pace interna, la gioia dell'anima redenta, la santa attività d'un'esistenza che si consacra interamente alla causa di Cristo, sono i frutti che dimostrano l'esistenza della vita; ma quello che codesta vita sia realmente niuno può dire, come niuno può dire che cosa sia la vita fisica.

Cercate le cose di sopra, dove Cristo è seduto alla destra di Dio.

È l'esortazione che si riferisce alla vita esterna, alla condotta Filippesi 3:14; Giovanni 6:27; Matteo 6:20-21.

2 Abbiate l'animo alle cose di sopra.

È l'esortazione che si riferisce alla vita interna, al pensiero. Condotta e pensiero sono cose intimamente unite. Se pensate al vizio, vivrete nel vizio; ma se avete l'animo alle cose di sopra, vivrete una vita di cielo.

Non a quelle che son sulla terra.

Il che non vuol già dire che abbiate a trascurare le cose della vita presente; tutt'altro; quello ch'io vi dico, si è: Non rendete il vostro pensiero ed il vostro affetto schiavi delle cose terrestri Filippesi 3:19, delle cose che periscono con l'uso Colossesi 2:22; fuggite quel mondo che consiste in concupiscenza della carne, in concupiscenza degli occhi ed in superbia della vita 1Giovanni 2:16; non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna, perchè la sollecitudine ansiosa è la negazione della fede Filippesi 4:6; Matteo 6:25 e seg.; pensate pure a tutte le cose che sono vere, oneste, giuste, pure, amabili, di buona fama. virtuose; lodevoli Filippesi 4:8; ma prendendo sempre da alto le vostre ispirazioni ed in alto sempre mirando, fate in modo che il Signor della gloria possa vedere in voi esaudita la parola della sua preghiera sacerdotale: «Io non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li guardi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo...» Giovanni 17:15-16. L'apostolo, parlando del presente, ha pronunciato una parola che lo trasporta nel futuro: Cristo è seduto alla destra di Dio Colossesi 3:1. Ed è questa parola che, per associazione d'idee, lo trasforma in pieno futuro: Quando Cristo la vita vostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria Colossesi 3:4.

Che vuol egli dire l'apostolo con questo suo: Seduto alla destra di Dio?

È un modo di esprimersi, tolto ad imprestito dall'Antico T., e significa «l'atto del re che prende possesso del suo trono e l'atto del giudice che si siede per giudicare». Le nostre divisioni del potere in legislativo, giudiziario ed esecutivo erano del tutto ignote alle monarchie assolute dell'antichità. I re ebrei si seggono sui loro troni alle porte delle loro città, e «fanno ragione e giustizia» al loro popolo 2Samuele 8:15; 15:2; 1Re 3:9; Isaia 32:1. Dio, nell'Antico T., è Re e Giudice ad un tempo; e nelle lingue semitiche, i verbi che significano giudicare, hanno generalmente anche l'altro senso di regnare; appunto perchè, in antico, i due supremi uffici erano concentrati in una unica persona. E Cristo non è egli il Re? Giovanni 18:37; 1Corinzi 15:25. Non è egli il Giudice dei vivi e dei morti? Atti 10:42; 2Timoteo 4:1; 1Pietro 4:5. Non è egli il supremo dator della vita? Colossesi 3:4; Giovanni 11:25,26; Giovanni 1:4; Filippesi 1:21. Notinsi i passi Giovanni 5:22,26-27; Matteo 25:31-46, che dimostrano come anche Cristo sia Re e Giudice ad un tempo, nel modo istesso che Dio nell'Antico T.. E si osservi bene; l'apostolo non dice: «Cristo sarà seduto, o sederà alla destra di Dio», ma dice: È seduto. Cfr. Atti 2:33; 5:31; 7:55; Romani 8:34; Efesini 1:20; Ebrei 1:3; 8:1; 10:12; 12:2; 1Pietro 3:22; il che vuol dire che Cristo ha già preso possesso del suo trono e tiene già la presidenza del tribunale divino. Or, quand'è avvenuto tutto questo? È avvenuto nel giorno nell'Ascensione Marco 16:19; Atti 2:33; 7:55; Ebrei 1:3; 10:12; Filippesi 2:9-11; Efesini 1:20-23. La nuvola è il carro di Jahveh; e fu cotesto il carro trionfale che portò Cristo dalla terra al cielo Atti 1:9. Le solenni parole della inaugurazione del suo regno furon quelle ch'egli pronunciò, separandosi dai suoi discepoli: «Ogni potestà m'è data in cielo ed in terra...» Matteo 28:18. Ed aggiungendo: «Ecco, io sono con voi tutti I giorni» Matteo 28:20, egli prometteva ai credenti che l'assenza sua sarebbe stata tale soltanto per gli occhi della carne, non per gli occhi dello spirito e della fede. I discepoli capirono il loro Maestro, e chiamarono l'«economia» che cominciava col glorioso giorno dell'Ascensione, la Presenza del Signore ( ἡ παρουσια του Κυριου) Matteo 24:3,27,37,39; 1Corinzi 15:23; 1Tessalonicesi 2:19; 3:13; 4:15; 5:23; 2Tessalonicesi 2:1,8; Giacomo 5:7-8; 2Pietro 1:16; 3:4,12; 1Giovanni 2:28: ed è in questa «economia» della sua presenza, che Cristo manifesta il potere espansivo e trasformatore del suo regno, la giustizia dei suoi giudici e la virtù santificante di quella vita che procede da lui.

4 Ora, egli «è seduto alla destra di Dio»; invisibile agli occhi della carne, ma, visibile agli occhi della fede e del cuore. Verrà però anche per voi, il momento solenne del passaggio dalla visione spirituale alla visione immediata della realtà delle cose. In quel momento, che il mondo chiama «morte» ma che morte non è, Cristo, la vita vostra, v'apparirà dinanzi agli occhi in tutta la maestà della sua gloria; ed anche voi sarete di quella stessa gloria circonfusi; e in un batter d'occhio 1Corinzi 15:51 sarete glorificati come lui Filippesi 3:21, risplenderete come il sole Matteo 13:43 e sarete sempre con lui 1Tessalonicesi 4:17.

Riflessioni

1. Volgiamoci al nostro passato e domandiamoci: V'è egli, in cotesto passato, un momento del quale possiamo dire: Eccolo là il momento nel quale, per la grazia di Dio, morii al peccato e rinacqui ad una vita nuova? E se non possiamo accennare ad alcun momento speciale, possiam noi dire, però, con la tranquilla e serena coscienza del cieco nato: Il quando ed il come non lo so, «ma una cosa so; ch'ero cieco e che adesso ci veggo?» Giovanni 8:25. A quelli che non possono affatto rispondere a coteste domande, a quelli che sono ancora incerti sulla risposta da dare, a quelli che non hanno ancora il sentimento della necessità morale di cotesta morte e più cotesta risurrezione, l'apostolo addita una persona e pronuncia un nome: Cristo! Il morire al peccato ed il risorgere a vita nuova non son cose possibili che per mezzo d'una fede intima, sincera, personale in colui che è morto a cagione dei nostri peccati, che è risuscitato a cagione della nostra giustificazione Romani 4:25, e che siede alla destra del Padre come supremo donator della vita Colossesi 3:1.

2. A quelli che hanno già gustato le agonie di cotesta morte e le gioie di cotesta risurrezione l'apostolo dice: «La vostra vita è adesso una vita con Cristo in Dio» Colossesi 3:3. È quindi tale, che non può risultare dalla fredda adesione della mente ad una formula dogmatica o alla lettera morta d'una «confessione di fede»; ell'ha per condizione assoluta della propria esistenza, una comunione intima, spirituale, col Cristo che vive. È la nota mistica di Paolo che vibra ancora una volta nella lettera. Vita «con Cristo» non solo, ma «vita per Cristo in Dio». E se Dio è il nostro punto d'arrivo, la nostra città di rifugio, il nostro santuario, di che temeremo?

3. Il mondo non ci capirà; ci chiamerà fanatici, illusi, allucinati: e tutto ciò, perchè la gioia d'un'anima che dopo anni d'incertezze, di dubbi, di lotte, ha trovato finalmente la via, che per mezzo della verità conduce alla vita Giovanni 14:6, gli è nascosta, gli è un assoluto mistero Colossesi 3:3. E che capiva il mondo di quella vita alla quale Gesù alludeva dicendo: «Io ed il Padre siamo una stessa cosa»? Giovanni 10:30; 7:5; Marco 3:21; 8:28; Matteo 16:14; Giovanni 7:12; Luca 11:15. E Paolo, chi lo capiva? Atti 14:12; 26:24; 1Corinzi 4:13. Non importa, esclama l'apostolo: «Sursum corda!» «In alto i cuori!» «Cercate le cose di sopra, dove Cristo è seduto alla destra di Dio; abbiate l'animo alle cose di sopra, non a quelle che sono sulla terra!» E per queste «cose di sopra», egli non intende soltanto quelle che si riferiscono direttamente alla religione, ma intende tutte quante le manifestazioni d'una vita che s'ispiri in quel Dio che è il Bello ed il Vero assoluto.

4. Egli è presente: fu la parola d'ordine dei primi cristiani; ed è la parola che conviene fai rivivere nel cuore della Chiesa di Cristo, se vogliamo, in mezzo alla tenebrìa che ci avvolge, imparare a discernere la mano potente di colui che, nel momento opportuno, «viene» ( ὁ ερχομενος Apocalisse 1:7; Matteo 26:64; Apocalisse 22:12); che ad ogni piè sospinto, manifesta la sua presenza ( φανερωσις 1Giovanni 1:2; 2:28; 3:5 e simili); che appare dall'alto ( επιφανεια 2Tessalonicesi 2:8; 1Timoteo 6:14; 2Timoteo 1:10; 4:1,8; Tito 2:13), e che un giorno, allo squarciarsi di quel velo della carne che ci divide da lui, si paleserà dinanzi agli occhi nostri in tutto il fulgore della sua maestà divina ( αποκαλυψις 2Tessalonicesi 1:7; 1Pietro 1:7; 4:13). E fin da ora, se ci fosse dato come fu dato al servo di Eliseo 2Re 6:17 d'aver «gli occhi aperti» per spingere lo sguardo al di là del tenue velo della carne; vedremmo il Re che siede sul trono, che vivifica i morti nei falli e nei peccati, che giudica d'un giudicio disciplinare la sua Chiesa ed il mondo, e che giudica, d'un giudicio retributivo, uno dopo l'altro, tutti coloro che per la porta della morte passano dal tempo nell'«al di là». In quell'«al di là», quelli per i quali Cristo è stato «vita», vedranno il Salvatore loro per visione immediata, e saranno circonfusi di quella stessa gloria ch'egli ha ricevuto dal Padre Colossesi 3:1,4.

5 2. Guerra al vecchio io: Colossesi 3:5-8.

Fatte dunque morire le membra che son sulla terra: impudicizia, impurità, lussuria, malvagio desiderio e la cupidigia che è idolatria. È a cagione di queste cose che viene l'ira di Dio, alle quali un tempo voi pure foste dediti, quando vivevate in esse; ma ora, anche voi, gittate via tutto questo: ira, sdegno, malignità, maldicenza, sconcio parlare che potrebbe sfuggirvi di bocca.

Il dunque connette questo brano col precedente. Per l'apostolo esiste un nesso intimo fra i precetti morali che studiamo qui, e le sorgenti di forza e di vita spirituale che il brano passato ci ha rivelate.

Le vostre membra che son sulla terra.

È un'immagine. Paolo ama di render concreto per via di personificazione quello che di per se stesso è astratto Colossesi 1:18; 3:9. Qui, dovendosi occupare del «male», ossia di tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio, egli comincia con l'addirittura personificare codesto male. E non è personificazione nuova. Vedi Colossesi 2:11; 3:9. Il «corpo della carne» e l'«uomo vecchio» di codesti passi, hanno qui membra poderose. Sono le membra che l'apostolo chiamerà, nella lettera ai romani, «gli atti del corpo» Romani 8:13: e in quella ai galati, «le passioni e le concupiscenze della carne» Galati 5:25.

Le membra che son sulla terra.

Personificando il male nelle sue varie manifestazioni, è chiaro che ci aggiriamo in un ordine di cose basse e terrene.

La cupidigia che è idolatria.

Cfr. Efesini 4:19; 5:5. Se prendiamo infatti a considerare uno ad uno gli innumerevoli oggetti della cupidigia, danaro, gloria, libidine ecc., ci accorgiamo subito ch'essi usurpano tutti, nel cuore umano, il posto dovuto a Dio e creano sempre un'ignobile forma d'idolatria.

Come s'accorda egli questo fate morire, uccidete di Colossesi 3:5 e il gittate via tutto questo di Colossesi 3:8 col «voi già moriste e la vostra vita è stata ed è nascosta con Cristo in Dio» di Colossesi 3:3? Se i colossesi sono morti al peccato, che bisogno hanno essi di morire ancora? Ecco come s'accorda: «Voi già moriste, e la vita vostra è nascosta con Cristo in Dio»; è l'ideale del cristiano, secondo Paolo; come, secondo Giovanni, l'ideale del Cristiano è nella formula sublime: «Chiunque dimora in lui non pecca» 1Giovanni 3:6. È dopo aver presentato l'ideale, l'apostolo, secondo il suo metodo, scende nel campo della realtà ed esclama: «Fate dunque morire, gittate via tutto quello che appartiene all'uomo vecchio, e slanciatevi alla conquista del nuovo ideale!».

6 Il motivo della esortazione apostolica è questo: È a cagione di queste come che viene l'ira di Dio.

Molti codici, e autorevoli, aggiungono l'inciso sui figliuoli ribelli; ma sembra si tratti di un trasponimento d'Efesini 5:6. Quando si parla d'ira di Dio Giovanni 3:36; Romani 1:18; 4:15; 9:22; Ebrei 3:11; 4:3; Apocalisse 14:10; 16:19; 19:15, bisogna naturalmente fare astrazione dal risentimento personale e da tutto ciò che dà alle manifestazioni dello sdegno umano il carattere di vendetta. Dio è il Bene assoluto: e l'ira, in Dio, è la santa disapprovazione del male e la ferma risoluzione di distruggerlo. Due errori si debbono evitare, trattando dell'ira di Dio. L'uno è quello di coloro i quali dicono che Dio punisce il male e non il malfattore. No; quando il malfattore cede, nella lotta, e s'identifica volontariamente col male che dovrebbe combattere, diventa egli stesso l'oggetto dell'ira di Dio. L'altro è quello di coloro i quali riducono l'ira di Dio ad un fatto escatologico; ad un fatto, cioè, che non si riferisce al presente, ma soltanto al futuro. L'apostolo, però, dice il contrario: L'ira di Dio viene.

Chi si ribella ai voleri di Dio non può sfuggire le conseguenze di quel principio che governa il mondo fisico non meno del mondo morale e che s'applica al presente non meno che al futuro: «Quel che si semina, quello ancora si miete» Galati 6:7. «Sappiate, che il vostro peccato vi ritroverà» Numeri 32:23.

7 Anche un altro motivo ha l'esortazione apostolica; il ricordo della vita passata. «Colossesi. anche voi foste dediti a queste cose»

letter. camminaste in queste cose; ma ora non vorreste voi che a cotesto passato fosse tolta per sempre ogni possibilità di risurrezione? Fate dunque morire, gittate via da voi tutto quello che in voi rimane ancora di cotesto passato; sia chiuso come in un sepolcro eterno; ed alzate le vele, per correr le acque migliori di quella vita nuova «che lascia dietro a se mar si crudele».

8 Per Colossesi 3:8 cfr. Efesini 3:21.

Riflessioni

1. Il quadro che l'apostolo ci traccia qui del vecchio io, è tetro. E quante volte, leggendo delle parole come queste: «Impudicizia, impurità, lussuria, malvagio desiderio...» esclamiamo: «Sicuro, l'apostolo scriveva a delle chiese che viveano in mezzo a quell'ambiente frigio che la tabe di codesti vizi avea inquinato fino nel midollo, e...» «E noi, di grazia, in che razza d'ambiente viviamo noi? E a chi basterebbe l'animo di sostenere che la sfacciata corruzione frigia fosse molto peggiore di questa corruzione moderna che mascherata spesso da virtù passa per le nostre vie, penetra nelle case del povero e invade i saloni clorati del ricco?

2. Quando leggiamo di coteste parole e voliam subito col pensiero alla corruzione antica, noi non dimentichiamo soltanto che il nostro ambiente ha pure i suoi guai; ma dimentichiamo ancora che Paolo scriveva a gente che in Frigia s'era convertita a Cristo. Or lungi da noi il pensiero ch'egli la sospettasse capace d'alcuno di qui terribili peccati che «è cosa disonesta soltanto nominare» Efesini 5:12; ma due cose ei sapeva. EGLI sapeva che noi viviamo in quella, «economia» dello Spirito nella quale, se gli uomini non giudicano che gli atti esterni, Iddio giudica gli impulsi interni e i sentimenti più reconditi Matteo 5:21-30; 6:5-6,16-18, e sapeva che il cuor umano è un terreno pur troppo fecondo d'inclinazioni e di affetti che, come direbbe il Salmista, «attaccano l'anima alla polvere» Salmi 119:25. Qual meraviglia quindi se Paolo esclama: Soffocate cotesti impulsi, cotesti sentimenti, coteste inclinazioni e cotesti affetti?

3. E l'esortazione dell'apostolo sembra la cosa più naturale del mondo. E nondimeno, come diventa difficile allorchè dall'altezza del precetto teorico noi scendiamo giù nel campo della pratica! Non già ch'ella sia cosa difficile in sè; siamo noi che la rendiamo tale. Nella lotta contro il nostro «uomo vecchio», noi dimentichiamo quasi sempre che con lui non bisogna venire a patti. Spesso, noi trattiamo l'«uomo vecchio» coi medesimi riguardi che abbiamo per gli amici. Quanto diverso è il consiglio, o, per dir meglio, l'ordine dell'apostolo: «Uccidetelo», «buttatelo via»! Colossesi 3:5,8. Il vecchio io è uno di quegli amici ipocriti e traditori, coi quali non c'è che una via da seguire: romperla bruscamente e farla subito finita Matteo 5:29-30.

9 3. Il nuovo io: Colossesi 3:9-11.

Non mentite gli uni agli altri poichè avete spogliato il vecchio uomo coi suoi atti ed avete vestito il nuovo che va rinnovandosi secondo l'immagine del suo creatore, a fin di giungere ad una piena conoscenza. qui non v'è più greco e giudeo, circoncisione ed incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è ogni cosa ed in tutti.

Per l'esortazione:

Non mentite gli uni agli altri

cfr. anche Efesini 4:25. La sincerità è il fondamento di ogni buona relazione sociale; la menzogna, in tutte le sue forme, porta il disordine in coteste relazioni e vi neutralizza ogni effetto che lo «Spirito della verità» Giovanni 14:17 potrebbe e vorrebbe produrvi. Il motivo della esortazione è Poichè avete spogliato il vecchio uomo coi suoi atti ed avete vestito il nuovo cfr. Efesini 4:25. Non mentite, insomma, perchè avete rinunziato a tutto quello che è del vecchio uomo ed avete accettato in fede colui che chiama se stesso «la Verità» Giovanni 14:6.

10 Il nuovo,

cioè, Cristo, che avete accettato per fede e che vi adorna di virtù che sono l'antitesi di quei vizi dei quali già eravate schiavi.

«Ed avete vestito il nuovo» cfr. Romani 13:14; Galati 3:27. «Vestir l'uomo nuovo» è immagine ardita; ma chi studia Paolo deve abituarsi a cotesti ardimenti. L'apostolo non è uomo da fermarsi ad una difficoltà di forma; e piuttosto che storpiare il suo concetto per amor d'un'immagine, storpierà l'immagine ma salverà l'integrità del concetto. Non bastava all'apostolo di rappresentare il passaggio dalla vita vecchia alla nuova con l'immagine d'un cambiamento d'abito; per lui, il diventar cristiano è più che un buttar via una vecchia giubba per infilarne una nuova; è addirittura lo sfacelo d'un vecchio organismo morale e la creazione d'un organismo nuovo; e se, per esprimere questo concetto che gli sta tanto a cuore perchè per lui sta lì il nocciolo del cristianesimo, se, dico, non troverà un'immagine che lo soddisfi, che importa?... ne creerà una lui; ed a costo di parere strano, dirà, pur di farsi capire, «buttate via l'uomo vecchio e vestitevi del nuovo!» «Del nuovo che va rinnovandosi».

L'uomo nuovo, quindi, non è per sè un qualcosa di completo, nè un qualcosa che si trovi nella condizione di perfetto sviluppo quand'uno se ne veste, ma è un qualcosa che si evolve, un qualcosa che si riceve in germe, e che sotto l'azione feconda dello Spirito è capace di uno sviluppo sano e progressivo cfr. Tito 3:5; 2Corinzi 4:16.

Il fine di cotesto rinnovamento è: giungere ad una piena conoscenza (greco: ad una epígnosi). L'apostolo non specifica, ma noi sappiamo che cosa egli intenda per questa «epignosi» o «piena, esatta, profonda conoscenza»; egli intende non la conoscenza di cose trascendentali, oscure, senz'alcun effetto sulla vita morale, ma la conoscenza intima, sperimentale, di quel fecondo mistero di Dio Colossesi 1:26; 2:2 che è «Cristo in noi, la speranza della gloria» Colossesi 1:27. La norma di cotesto rinnovamento è: secondo l'immagine del creatore. L'apostolo allude senza dubbio a Genesi 1:26-27. Iddio fece l'uomo alla propria immagine, è detto quivi; e cotesta «immagine», evidentemente, non era nel corpo, giacchè Dio è spirito, ma era in quel soffio divino che rendea l'uomo capace di vivere della vita del pensiero e del cuore. E l'uomo non l'ha egli forse perduta?... No; ella si trova più o meno corrosa, più o meno nascosta sotto gli ossidi del vizio, talvolta allo stato della irriconoscibile effigie di quelle monete che si disseppelliscono fra i ruderi delle passate civiltà, ma anche nell'essere più abbietto vive quell'immortal soffio di Dio pel quale egli può, se vuole, rivolare dall'abisso del vizio nei luoghi celesti col Padre. Cotesta immagine ha preso forma e corpo, ci ha insegnato l'apostolo; e Cristo è «l'immagine dell'invisibile Iddio» Colossesi 1:15. Cristo, quindi, è il prototipo dell'uomo nuovo; il cristiano che gradualmente si trasforma in codesta immagine, è l'uomo bene avviato verso la propria mèta; e l'umanità che in fede salutiamo accostarsi progressivamente a Cristo, sarà l'umanità secondo l'ideale di Dio 2Corinzi 3:18; 5:17. Trasportato in quest'ordine di pensieri, l'apostolo conclude con delle parole Colossesi 3:11 che sono addirittura un inno; l'inno della grande unità della nuova creazione.

11 Qui non v'è più greco e giudeo, circoncisione ed incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è ogni cosa ed in tutti.

Quel qui accenna alla nuova condizione di cose in Cristo, in contrasto con la vecchia condizione di cose senza Cristo. Senza Cristo, divisioni settarie; in Cristo, unità, uguaglianza, fratellanza. Senza Cristo, disarmonie di razza (greco e giudeo), di cerimonie (circoncisione ed incirconcisione), d'incivilimento (barbaro, scita), di condizioni sociali (schiavo, libero). In Cristo, invece, «tutti sono uno in lui» Galati 3:28; Cristo è ogni cosa ed in tutti.

Cristo, cioè, nella collettività e nell'individuo, è l'«alfa e l'omega» Apocalisse 1:8,17; 22:13; il principio, il mezzo, il fine Colossesi 1:16; il gran centro in cui tutte le vecchie antitesi e le vecchie disarmonie s'incontrano, perdono il loro significato e si trovano come unite in un tutto armonico nei comuni elementi dell'amore, della luce e della gloria di lui. Per il dettaglio aggiungo che barbaro era colui che non parlava il greco. Strabone dà cotesto termine per termine onomatopetico. Ad imitare i suoni inintelligibili emessi da chi parlava in lingua da loro non capita, i greci avrebbero detto: bar, bar; d'onde la parola bárbaros. Il barbaro, scita, poi, non è un'antitesi, ma è un «crescendo». Gli sciti, fra i barbari erano stimati essere i più barbari di tutti; «barbaris barbariores». E finalmente, alla enumerazione dell'apostolo non dobbiamo dimenticare d'aggiungere il «maschio e femmina» di Galati 3:28.

Riflessioni

1. «Non mentite gli uni agli altri»! Colossesi 3:9. L'esortazione apostolica suona stranamente agli orecchi di chi consideri bene ch'ella, così nuda e cruda, è rivolta a dei cristiani. E non c'è da idealizzare; se l'apostolo dice ai colossesi «Non mentite», non è ch'egli si voglia fabbricare un castello in aria per darsi il gusto poi di prenderlo d'assalto, ma è che veramente, nella chiesa di Colosse, c'erano dei bugiardi. Certo, ch'è una, cosa anormale; ma di coteste anormalità, quante se ne dànno anche oggi nella Chiesa di Cristo! Volesse pur Iddio che l'aura pura della verità e della sincerità santificasse costantemente la Chiesa: ma, purtroppo sovente, la maldicenza, la calunnia, ipocrisia e tutte le forme in cui s'esplica la menzogna, rompono, come tanti sibili di serpi, l'armonia che dovrebbe regnare nella società dei credenti.

2. «Vestire il nuovo... che va del continuo rinnovandosi», dice l'apostolo Colossesi 3:10; ed è l'immagine scultoria della vita spirituale nel suo sviluppo progressivo. La vita spirituale ha anch'ella, come la vita fisica, il momento della nascita Efesini 2:5. Iddio fa passare la nostra vita spirituale dal non essere all'essere nel momento in cui l'anima, per via d'una fede viva e personale, s'unisce a quel Cristo che è la Vita. Come esseri spirituali, noi siam quindi «fattura di Dio» e «nuove creazioni in Cristo» Efesini 2:10; siamo, cioè, non nati «di sangue, nè di volontà di carne, nè di volontà d'uomo, ma siamo nati da Dio» Giovanni 1:13. Venuta, così alla luce, la vita spirituale entra nell'infanzia 1Corinzi 3:1-2. Il latte col quale il bambino è nutrito e per cui «cresce nella grazia» 2Pietro 3:18 ed entra nella sua adolescenza, è «il latte spirituale e puro» della parola di Dio 1Pietro 2:2. Poi, la vita nuova esce dall'adolescenza; e «seguitando verità in carità, cresce in ogni cosa in Cristo» Efesini 4:15; comincia, cioè, a nutrirsi del «cibo sodo» ed entra ivi quella maturità, che è propria dei «compiuti»; di coloro, vale a dire, che «per l'abitudine, hanno i sensi esercitati a discernere il bene ed il male» Ebrei 5:14; e per via d'una lenta e sicura evoluzione, muove così verso quell'ideale, che è «la statura perfetta di Cristo» Efesini 4:13. L'immagine del Creatore, ossia la perfezione del Padre Matteo 5:48, o Cristo che impersona codesta perfezione, è l'ideale della vita spirituale. E man mano che la vita spirituale si evolve mirando all'ideale, l'orizzonte che ha dinanzi, si fa sempre più chiaro e più luminoso. Ella passa di conoscenza in conoscenza, dice l'apostolo: di luce in luce; perchè, come la luce fu il primo elemento della creazione fisica, così la luce è il primo, il costante ed il finale elemento d'ogni nuova creazione dello Spirito. l'evoluzione della vita spirituale non ha il periodo discendente della vecchiaia; non ha tramonto, non ha l'incertezza dei colori che precede l'arrivo della notte triste e silenziosa; se l'avesse, non potrebbe più rispondere al bisogno intimo della nostra natura, che è bisogno non d'incertezza e di tenebre, ma di luce piena, perenne ed eterna.

3. Cristo è il centro del mondo morale da cui parte quella luce che fa sparire non già le distinzioni sociali, ma il male che rende le distinzioni sociali insopportabili e dure Colossesi 3:11. Il tempo in cui non ci saranno più nè distinzioni di razza, nè varietà di forme religiose, nè differenze di cultura, nè di condizioni sociali, è una fantasia di sognatori; e chi per dar forma e corpo al sogno dell'equilibrio universale non rifugge dalla violenza e stima il suo fine abbastanza nobile da giustificare ogni infamia di mezzi, commette un delitto di lesa umanità; e dopo aver lasciato nella storia un nome segnato col marchio dei fratricidi, riceve da Dio dei fratricidi l'equa retribuzione. Il futuro non sarà, all'esterno, gran che diverso dal presente. Vivranno le nazionalità con le loro caratteristiche speciali: si vedrà sempre lo spirito religioso estrinsecarsi in una grande varietà di forme; non sparirà la vasta scala che è nell'ambito della cultura individuale; e la società sarà pur sempre composta di ricchi e di poveri, di dotti e d'ignoranti, di padroni e di servi. Cotesta immensa varietà è il risultato di quella differenza di doni che è una legge di creazione, e di quella libertà individuale che Dio ha data e che Dio rispetta perchè non vuole delle macchine animate, ma vuole degli esseri liberi ed intelligenti. Finchè dunque la differenza dei doni e la libertà di esercitarli nella misura che più talenta a ciascuno esisteranno, le linee generali della fisionomia del mondo rimarranno pur sempre presso a poco le stesse. Lo spirito del mondo è quel che cangerà, quando il «Cristo ogni cosa ed in tutti» dell'apostolo passerà dallo stato di formula astratta a quello di fatto compiuto. Sarà cotesta, allora, la forza nuova che rinvigorirà le energie del mondo decrepito e stanco. Allora avremo pace ad onta delle differenze nazionali; allora avremo la vera unità dello Spirito in mezzo ad una sana e legittima varietà di forme; allora la cultura progredirà non più nemica ma sorella della fede; allora il ricco sarà più liberale perchè meno egoista; ed il povero diverrà meno frequente perchè più sorretto e più amato; allora il padrone sarà meno tiranno nell'esercizio del proprio diritto perchè più compreso dal sentimento del proprio dovere; ed il servo, diventato più coscienzioso nell'adempimento dei propri doveri, arriverà ad un più ampio e più equo godimento dei propri diritti. Felici coloro che potranno salutare questo bel sole di giustizia già innanzi nel suo corso trionfale! Noi, è vero, non lo possiamo salutare che mentre spunta appena appena all'orizzonte; ma niuno dubiti, niuno mormori, niuno si scoraggi: «Molti profeti, molti re e molti giusti hanno desiderato di veder le cose che noi vediamo, e non le hanno vedute!...» Matteo 13:17; Luca 10:24.

12 4. Le virtù del nuovo io: Colossesi 3:12-14.

Vestitevi dunque come eletti di Dio, santi ed amati, d'affettuosa compassione, di benignità, d'umiltà, di dolcezza, di tolleranza, sopportandovi a vicenda, ed a vicenda perdonandovi, se uno ha di che dolersi d'un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi; e sopra tutto vestitevi di quella carità, che è il vincolo, della perfezione.

Lo eletti di Dio, santi ed amati è inteso a ricondurre i lettori alla bell'alba della loro redenzione morale. Lo eletti si riferisce al momento in cui i colossesi hanno risposto alla voce di Dio che li chiamava al ravvedimento ed alla fede, con quel «sì» onesto e sincero che ha deciso del loro presente e del loro avvenire. Il santi, alla via che Dio ha loro indicata quando ha detto: Da ora innanzi «siate santi perchè io son santo» 1Pietro 1:16; «state, cioè, separati dal male e consacratevi interamente al bene». Lo santi, alle nuove relazioni che passano fra il cristiano ed il suo Dio. Non più nubi che intercettino la comunione fra padre e figlio; non più scrosciar di folgori d'un giudice che offeso minacci; è Dio che al credente sorride dun sereno sorriso che parla d'un amore ineffabile ed eterno.

Vestitevi d'affettuosa compassione;

letteralmente

vestitevi di viscere di compassione.

La frase «vestitevi di viscere...», strana per noi, è naturalissima nelle lingue antiche, ed accenna a qualche dolce od a qualche impetuosa commozione delle viscere che si provi per una persona che s'ami teneramente o che s'odi a morte. Per i poeti greci le viscere sono la sede delle veementi perturbazioni dell'ira e dell'amore; per gli ebrei sono la sede degli affetti più teneri; specialmente della carità, della benevolenza e della misericordia. Il Nuovo T. usa cotesto modo nel senso ebraico Luca 1:18; 2Corinzi 6:12; 7:15; Filippesi 1:8; 2:1; Filemone 7,12,20; 1Giovanni 3:17: ed anche noi, oggi, a, significare affetto, sentimento d'amore, di compassione, diciamo «viscere di padre», «di madre», «di umanità», «di misericordia». «Non aver viscere» equivale all'assenza assoluta d'ogni sentimento delicato. «Viscere mie!...» è, nelle nature più espansive, la espressione popolare d'un affetto profondo; e l'«amico sviscerato» è l'amico più intimo, l'amico del cuore. Delle cinque virtù qui nominate, la compassione Romani 12:1; 2Corinzi 1:3; Filippesi 2:1; Ebrei 10:28 è la più generica; è quel moto dell'anima che ci rende sensibili ai mali altrui. Le quattro che seguono, potrebbero considerarsi come la esplicazione della prima. La benignità Romani 2:4; 2Corinzi 6:6; Galati 5:22; Tito 3:4 è l'opposto della severità Romani 11:22 e si esercita nel sovvenire i bisogni esterni del prossimo. L'umiltà Colossesi 2:18,23; Atti 20:19; Efesini 4:2 Filippesi 2:3; 1Pietro 5:5, che secondo l'apostolo non consiste in una dimostrazione apparenta ma in una virtù reale dell'animo, è di colui che sa davvero «pregiare altrui più di se stesso» Filippesi 2:3. La dolcezza 1Corinzi 4:21; 2Corinzi 10:1; Galati 5:23; 6:1; Efesni 4:2; 2Timoteo 2:25; Tito 3:2; Giacomo 1:21; 3:13; 1Pietro 3:15 è la mansuetudine di cui Cristo ha in se stesso lasciato al mondo l'ideale. La tolleranza Romani 2:4; 9:22; 2Corinzi 6:6; Galati 5:22; Efesini 4:2; 1Timoteo 1:16; 2Timoteo 4:2; 1Pietro 3:20; 2Pietro 3:15. E per il senso generico che questa μακροθυμια ha di costanza, perseveranza, vedi Colossesi 1:11; 2Timoteo 3:10; Ebrei 6:12; Giacomo 5:10; è il queto rattenersi di fronte al male che ci è fatto, nella speranza d'un ravvedimento e d'un conseguente ritorno a migliori sentimenti per parte di chi l'ha prodotto.

13 Sopportandovi a vicenda.

È l'eroico, o meglio, il profondamente cristiano non reagire di fronte alle afflizioni che ci son cagionate dal fratello Cfr. 2Tessalonicesi 1:4. Ma non basta. Soffrire senza reagire è già qualcosa; ma un qualcosa di troppo passivo per il cristianesimo, eminentemente attivo in tutte le sue manifestazioni. Quindi è che nel soffrire cristiano deve entrare anche un altro fatto; un fatto positivo: il mirare al ravvedimento del fuorviato fratello che ci affligge. E per questo secondo senso che completa il primo, vedi Romani 2:4.

Ed a vicenda perdonandovi.

Il sopportarsi, sebbene essenzialmente passivo, conteneva già un elemento attivo; ed è cotesto elemento, che domina ora sovrano nel concetto di «perdono», e giunge al suo più ampio e più completo sviluppo nell'idea che segue:

Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi.

Il Signore qui è Cristo. È il solo passo dove il Cristo sia presentato come colui che perdona direttamente. Nel passo parallelo, Efesini 4:32, è «Dio che perdona in Cristo». Vedi Luca 7:36; 23:34; Colossesi 2:13.

14 E sopra tutto vestitevi di quella carità che è il legame della perfezione. La carità di cui qui parla l'apostolo, è la carità fraterna; e quell'amore di cui Gesù parlava ai suoi discepoli in Giovanni 13:34-35. Cotest'amore è un vincolo; il vincolo della perfezione.

La parola vincolo ( συνδεσμος) allude a quella fascia con cui l'orientale al mezzo della persona si cinge attorno la veste ampia e svolazzante. Qui, dunque, l'amor fraterno sarebbe la virtù che unisce tutte le altre in un fascio armonico e compatto per condurre l'individuo alla perfezione; a quella perfezione di cui l'apostolo ci ha già parlato in Colossesi 1:28. I pitagorici chiamavano l'amicizia il legame di tutte le virtù»; Paolo è più profondo e più pratico ad un tempo; ei sale più in alto, più vicino a Dio; sale dall'amicizia all'amor fraterno, ed accenna a cotesto sentimento come al migliore dei mezzi per giungere alla perfezione.

Riflessioni

1. L'apostolo, rivolgendosi a quelli che per esperienza personale sono giunti a conoscere il senso profondo delle tre parole «eletti, santi ed amati», esclama: sopportatevi a vicenda! Colossesi 3:13. Quanta filosofia in tutte le parole del 'apostolo! La, famiglia è la società in miniatura. E che diventa ella questa famiglia se la legge di mutuo sopportamento non v'è osservata? Diventa un pandemonio. Niuno a questo mondo è assolutamente perfetto; tutti abbiamo i nostri difetti che variano, purtroppo senza scemare, col variar delle persone. Ora, finchè due individui chiamati a vivere assieme non avranno imparato a sopportarsi a vicenda, va da sè che saranno in litigio continuo. La ragione ultima di tante ruine e di tanti sfaceli morali sta nel fatto che non sappiamo sopportare i difetti del prossimo; e non li sappiamo sopportare perchè non sappiamo o non vogliamo riconoscere i nostri: Matteo 7:3; Giovanni 8:7. Sopportatevi a vicenda, dice l'apostolo; è la prima cosa che vi domando; la più elementare, perchè non consiste tanto nell'esercizio attivo di qualche virtù, quanto nel passivo tenersi entro la linea che confina con le varie manifestazioni dell'ira e della vendetta.

2. Perdonatevi a vicenda! Colossesi 3:13 è la parola d'ordine del cristiano. L'osservanza della legge del mutuo sopportamento reca pace alla società; ma l'osservanza della legge del perdono le reca morale progresso e vitalità rigogliosa. Una famiglia turbata da discordie intestine, può chiamare a giudice e pacificatore l'amico, il parente; ma l'esperienza dimostra a che cosa approdi il giudizio dell'amico o del parente. Due cristiani che litighino e chiamino la loro autorità ecclesiastica ad arbitra del caso, io non dirò che facciano male; ma sostengo che quando l'autorità ecclesiastica avrà dato il suo parere, le cose, fra i due, non saranno gran che mutate. Il tribunale, che con una sentenza appiana una contesa sorta fra due cittadini, ha senza dubbio la sua utilità; ma non mi si dica che la riconciliazione che ne consegue, sia una riconciliazione vera e profonda. Il perdono, non quello delle labbra soltanto ma quello delle labbra e del cuore, è l'unico fatto che valga a dissipare le nubi che pur troppo sovente appariscono e si affollano fra individuo e individuo. Che cos'è che non possa il perdono? L'individuo che avete saputo ribelle al consiglio dell'amico o del parente; che avete udito accusare d'ingiusta l'autorità ecclesiastica che gli ha dato torto; che avete visto fremere dinanzi al tribunale, non l'avete voi veduto con gli occhi pieni di lacrime stender la mano a colui che l'avea perdonato?

3. Visitiamo in ispirito il Calvario. Gesù è crocifisso in mezzo a due malfattori che uniscono i loro rimproveri alle irrisioni ed alle beffe che i sacerdoti e gli scribi e gli anziani ed i passanti non tremano di lanciare in viso al Giusto che spira Matteo 27:39-44 - Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno! esclama il moribondo Luca 23:34. E quel grido divino che va dalla croce al cielo, non resterà senza un'eco sulla terra: Signore, ricordati di me, quando sarai venuto nel tuo regno! Luca 23:42 dirà, supplicando, l'agonizzante ladrone. E l'amore, che trionfa una volta ancora; è un'altra, riabilitazione morale, che la storia registrerà qual'effetto della parola del perdono. Come il Signore vi ha perdonati, anche voi dunque perdonatevi a vicenda. Aprite l'anima a quell'amore di Cristo che è fiamma dell'Eterno; e sia questa fiamma l'energia che unisce in un fascio tutte le virtù dell'io rinnovato, per spingerle alla conquista di quell'ideale che Dio fa muovere sugli orizzonti della nostra vita morale, e che si chiama la perfezione.

15 5. La pace chi Cristo: Colossesi 3:15.

E la pace di Cristo, alla quale pur foste chiamati per formare un corpo solo, segga arbitra nei vostri cuori; e siate riconoscenti.

I codici Sinaitico, Alessandrino, Vaticano e la maggior parte delle versioni leggono: «la pace di Cristo»; il Textus Receptus ha invece «la pace di Dio». La pace di Cristo è la pace di Dio Filippesi 4:7; vale a dire la pace che Dio dà al peccatore che s'è rifugiato all'ombra della croce, e che riguardando al Cristo risorto esclama come Toma: «Signor mio, Iddio mio!» Giovanni 20:28; Romani 5:1: Della pace di Cristo l'apostolo sta ora per dirci l'ufficio, lo scopo ed il sentimento che deve ispirare. L'ufficio, dico: La pace di Cristo segga arbitra nei vostri cuori La parola originale βραβευω che traduciamo segga arbitra significa propriamente «ordinare i pubblici certami», «esser giudice in codesti certami»; quindi, i sensi più generici di «decidere, determinare, reggere, governare». Il giudice a cui accenna il verbo greco, è quindi il giudice delle giostre, dei giuochi pubblici; colui che definisce il risultato della corsa o della lotta e che assegna al vincitore il premio promesso. Coteste immagini tolte dagli usi e dai costumi di quell'ambiente in cui viveano le chiese alle quali Paolo scriveva, abbondano nelle lettere del nostro apostolo. E si capisce; nulla potea rendere tanto scultoria l'idea di Paolo dinanzi agli occhi dei lettori, quanto il presentarla mediante l'immagine di cose con le quali essi fossero più che familiari. Non avea Gesù fatto lo stesso, ammaestrando i giudei? La pace di Cristo, a mente dell'apostolo, e quindi più che un sentimento; è una persona; è il giudice che deve seder arbitro nel cuore del credente. Paolo non si contenta di dire: «Segga arbitra in mezzo a voi...» o «nella chiesa...» o «nella famiglia...» ma mira all'individuo; e nell'individuo mira a quel cuore da cui procedono le fonti della vita Proverbi 4:23. E qual'è lo scopo di cotesta pace?

«E la pace di Cristo, alla quale pur foste chiamati per formare un corpo solo,

segga arbitra nei vostri cuori». Iddio chiama dunque i peccatori ad una pace che ha per iscopo la formazione d'un corpo. Di qual corpo l'apostolo intenda parlare, noi già sappiamo; si tratta della Chiesa che è «il corpo di Cristo» Colossesi 1:18; Efesini 1:22. Scopo primo, chiamiamolo; perchè lo scopo ultimo dell'opera di Dio non è la formazione d'una Chiesa, ma è lo stabilimento d'un Regno. «Corpo solo», dice Paolo; non già per rimpicciolire l'idea del «corpo», ma per affermare una volta ancora e più energicamente che mai, la profonda unità spirituale della Chiesa di Cristo. E qual'è il sentimento che il dono della pace di Cristo deve ispirarci? L'apostolo risponde: E siate riconoscenti. Questo pensiero, che sembra così staccato, senz'alcuna relazione nè con ciò che lo precede, nè con ciò che lo segue, è invece, a mente di Paolo, intimamente connesso con tutto il contenuto del passo, ed è anzi del passo medesimo la conclusione, il corollario. Siate riconoscenti, a chi? e per che cosa? A Dio che ci ha chiamati, e per un triplice fatto:

1°) Perchè avendoci chiamati alla pace di Cristo, ci ha tratti dal sepolcro della nostra miseria morale.

2°) Perchè ci ha dato una pace che, sedendo arbitra nel nostro cuore, può stabilirvi quell'armonia che è il sospiro d'ogni creatura.

3°) Perchè ci ha concesso l'onore di far parte di quel corpo mistico in cui Dio ha preso e prende il suo continuo compiacimento.

Riflessioni

1. «La pace di Cristo segga arbitra nei vostri cuori». Poteva l'apostolo scegliere un'immagine più vivida e meglio appropriata? E che cos'è questo cuor umano se non una lizza in cui gli affetti, i pensieri, i sentimenti, le passioni, del continuo s'incontrano, si urtano e si cozzano? E d'onde, se non appunto da codesto fatto, la mancanza d'equilibrio nella vita morale degli individui, l'agitazione continua che trasforma la, società in un mare in tempesta, e il grido angoscioso che udiamo spesso dominare il sinistro rumor della bufera: «Pace, pace, pace?» Pace! È la segreta aspirazione del cuor umano; ma anche in questa, come in tutte le altre aspirazioni di cotesto cuore, c'è una gradazione. C'è l'aspirazione alla pace della tomba; ed è l'aspirazione dell'apatia; di quella gelida apatia che fa gli uomini moralmente vili, inutili a se stessi ed al prossimo perchè li dissuade dal prender parte al nobile e santo combattimento del pensiero e della vita. C'è l'aspirazione alla «pace del mondo», come la chiama Gesù; ed è l'aspirazione a quella specie di tranquillità nella quale l'animo umano sembra quetarsi, sia quand'egli «confusamente un bene apprende», o sia quando, senza apprendere alcun bene neppur confusamente, si limita a giocar di vela di fronte ai venti minacciosi della vita. E cotesta tranquillità non è che un sogno. I momenti di calma di cui sembra godere un animo in coteste condizioni, non sono che i momenti della calma intermittente delle forze vulcaniche; della calma, cioè, che serve soltanto a raccogliere le segrete energie per un più spaventevole conflitto.

2. «Siate riconoscenti!» È la parola che abbiamo già trovata tre volte nel corso della lettera Colossesi 1:3,12; 2:7, e che troveremo altre due volte prima che la lettera si chiuda. In questa parola «riconoscenza» stanno tutta quanta l'etica cristiana ed il vero motivo d'ogni umana attività. «L'ubbidire val meglio che ogni sagrificio» 1Samuele 15:22, diceva il profeta; e intendeva non l'ubbidire a parole, che è degli ipocriti; non l'ubbidire per paura, che è degli schiavi; non l'ubbidire per interesse, che è dei mercenari, ma l'ubbidire per riconoscenza, che è dei figliuoli; di quelli, cioè, che la grandezza delle cose compiute da Dio spinge a consacrarsi per amore a lui, che li amò tanto e per il primo 1Giovanni 4:19. È il sentimento che come un fremito d'amore passa per le fibre delle due grandi «economie» dell'Antico e del Nuovo Patto.

16 6. Il canto sacro nella Chiesa primitiva: Colossesi 3:16.

La parola di Cristo dimori in voi abbondantemente in ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi a vicenda per via, di Salmi d'inni, di cantici spirituali, cantando a Dio nel vostro cuore per impuro della grazia.

L'apostolo ci trasporta nel bel mezzo della Chiesa primitiva. Siamo ai tempi dell'embrione della Chiesa cristiana. L'embrione, a traverso i secoli, si evolverà sotto l'azione fecondatrice dello Spirito. Intanto, l'embrione è sano; le aure che lo baciano sono pure, e l'ambiente in cui vive echeggia di cantici che salgono a Dio portando sulle candide ali della fede la riconoscenza dei salvati. Ed è appunto di questi cantici che l'apostolo vuol parlarci a questo punto della sua lettera.

La parola di Cristo.

È la sorgente del canto cristiano primitivo.

La parola di Cristo

1Tessalonicesi 1:8; 4:15; 2Tessalonicesi 3:1 è per Paolo l'insieme di tutti gli ammaestramenti di Gesù, di tutti i fatti relativi alla vita di lui e di tutte le promesse che da lui pronunciate, dànno pace al cuore del credente. Quando l'apostolo vuol risalire alle origini della parola di Cristo, la chiama «la parola di Dio» Colossesi 3:25; 1Corinzi 14:36; 2Corinzi 2:17; 4:2; quando ne vuol accennare il contenuto, dice «la parola della verità» Efesini 1:13; e se vuol ricordare l'effetto ch'ella è destinata a produrre, la definisce «la parola della vita» Filippesi 2:15. E questa parola in cui Cristo vive come rivelatore del Padre, come Verità assoluta ed eterna e come inesauribile sorgente di energie spirituali, si mostra agli occhi di Paolo come la roccia dalla quale il canto cristiano, in tutta la sua immensa varietà, deve scaturire.

Dimori in voi.

Non si tratta d'un qualcosa d'intermittente, che a nulla varrebbe; si tratta d'una sorgente continua che non corra mai pericolo d'essiccarsi. Su voi; dimori nella vostra chiesa; o, meglio ancora, dimori nell'animo vostro. La sorgente dev'essere non soltanto continua, ma segreta, nascosta; dev'essere non come quelle che s'incontrano qua e là ai fianchi delle strade maestre, ma come quelle che sono nel cuore e nei segreti meandri della valle.

Abbondamente.

La conoscenza della parola di Cristo, per esser fonte benefica di cantici che salgano all'Eterno come tanti profumi soavi, è necessario che nella Chiesa sia non superficiale nè frammentaria, ma profonda e completa in ogni sapienza.

E l'idea della sorgente che sgorga ricca dalla roccia e si sparte in cento ruscelli, i quali, scorrendo in diverse direzioni, concorrono al bene di tuta quanta la circostante vegetazione. La parola di Cristo che dimora abbondantemente nel fedele, risponde ai bisogni dello spirito e del cuore di lui; ed il canto che di cotesta parola è la manifestazione che l'apostolo ha qui specialmente in vista, nasce dalle vibrazioni delle corde più intime del sentimento religioso, tien desti gli affetti naturali ed a vviva nell'anima ogni nobile aspirazione.

Istruendovi ed ammonendovi a vicenda.

E lo scopo del canto sacro; scopo che consiste nella mutua edificazione. Questa edificazione deve risultare da due elementi, che sono fra gli essenziali del canto sacro. La istruzione, che ha di mira la mente; vale a dire, la sempre più chiara e sempre più completa intelligenza delle cose profonde di Dio 1Corinzi 2:10; e l'ammonizione, che ha di mira l'educazione del cuore, lo sviluppo progressivo della vita morale. Il canto sacro della Chiesa primitiva, dice l'apostolo agli efesini, era un «parlarsi a vicenda» Efesini 5:19; il che è quanto dire, la libera, gioiosa, fraterna espansione di cuori, pieni della parola di Cristo. Le assemblee, le agapi, il santuario della famiglia, i ritrovi fraterni risonavano d'armonie ineffabili; e non deve maravigliare che cotesti inni, sgorganti da una fonte così perenne e così viva, potessero, come dice Paolo, recar luce alle finenti incerte e conforto ai cuori titubanti.

Per via di salmi, di inni, di cantici spirituali.

Sono le varie forme del canto sacro nella Chiesa primitiva cfr. Efesini 5:19. I salmi erano i Salmi dell'Antico T. cfr. Luca 20:42; 24:44; Atti 1:20; 13:33. Scolpiti nel cuore dei cristiani convertiti dal giudaismo, cotesti Salmi continuavano ad essere, nelle adunanze, nelle agapi, in mezzo ai quotidiani lavori «le donne al telaio ed i bifolchi nel campo cantavano salmi», dice San Girolamo, l'espressione del sentimento religioso dei primi credenti. Intanto; i pagani udivano le armonie solenni dell'antico popolo di Dio; e contortati dall'aura celeste che veniva loro da quella lirica sublime, si avvicinavano alla croce di Gesù; ed il salmo, che li avea tratti a Cristo, diventava anche per loro un grido di riconoscenza all'Eterno. Ben presto però i salmi, che erano l'espressione soggettiva della condizione psicologica d'alcuni uomini di Dio delle passate generazioni, non bastarono più ad esprimere i sentimenti della Chiesa primitiva, e dovettero esser quindi completati da un altro genere di letteratura. Ed il salmo improvvisato 1Corinzi 14:26; una delle forme del parlare estatico e l'inno apparvero, come nuove manifestazioni dello Spirito nella famiglia di Dio. Il salmo improvvisato e l'inno dico, che liberi, senza connessione con altre forme di lirica già esistenti, sprigionavano dal cuore degli fedeli e sulle ali della ispirazione portavano a Dio i sagrifici spirituali del nuovo sacerdozio. L'inno, che fuor della Chiesa era essenzialmente un canto di lode a dèi o ad eroi, anche nella Chiesa diventa un canto di lode al Signore (Efesini 5:19... soliti ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem... Ep. C. Plinii Secundi X, 97).

Cantici spirituali.

In genere, ogni varietà di componimento appartenente alla poesia., quanto alla forma; derivante dallo Spirito, quanto alla ispirazione, ed avente nelle esperienze della vita cristiana il proprio contenuto. E di questa forse immensa varietà di liriche, purtroppo, ci manca ogni esatto ricordo storico.

Cantando a Dio nel vostro cuore, per impulso della grazia.

«Cantando a Dio», perchè a chi se non a Dio è dovuta l'espressione della riconoscenza dei credenti? Giovanni 3:27; Giacomo 1:17.

Nel vostro cuore.

Il che può esser inteso in due sensi. O nel senso generico di «cantate non per forma, non perchè è l'abitudine di far così, ma «di cuore», in modo, cioè, che il vostro canto salga fino a Dio e possa essergli gradito come il frutto sincero d'un'anima rinnovata dallo Spirito Santo». Ovvero, nel senso speciale di «unitevi al coro dei credenti, unite la vostra voce alla voce dei fratelli e delle sorelle nella fede; ma se non lo potete, lodate Iddio con quella lode silenziosa e con quel muto rendimento di grazie, che si muovono misteriosi nella calma celeste del cuore; di quel cuore in cui l'uomo non può giungere, ma in cui Dio scende da se stesso a raccogliere i frutti di pace e di riconoscenza che gli sono offerti dal credente». Nell'un senso o nell'altro riman però fermo il concetto che il cuore soltanto è il tempio adatto a coteste espresse o non espresse armonie celesti.

Per impulso della grazia.

Questa espressione è variamente intesa. Il testo ha εν τη χαριτι secondo le migliori edizioni critiche; ma parecchi leggono εν χαριτι , senz'articolo, seguendo altri codici. Tre interpretazioni sono date dai commentatori alla parola grazia (χαριτι ): quella di grazia di Dio (Meyer, Alford, Ellicott, Lightfoot ecc.) Cfr. Colossesi 4:13; Atti 18:27; 2Corinzi 4.15; Galati 5:4; Efesini 4:7; Filippesi 1:7: quella di gratitudine, riconoscenza (Anselmo, De Wette, Bleek (che omette l'articolo), Soden ed altri) cfr. 1Corinzi 10:30; e quella di grazia nel senso umano, leggiadria, delicatezza, e simili (Teofilatto e Bengel) cfr. Colossesi 4:5. Il Reiche, il quale adotta anch'egli questa interpretazione, dice: «Recte et perspicue εν χαριτι αδοντες ii dicuntur, qui carmina sacra cantant et modulantur venuste, decore, suaviter, ita ut etiam cultioribus et pulchri sensu praeditis placeant», Io, con le migliori edizioni critiche, sto per l'articolo e interpreto il pensiero dell'apostolo così: «Cantando nel cuor vostro per impulso della grazia». Se il cuore soltanto è il tempio adatto alle celesti armonie della lode e della riconoscenza, l'atmosfera della. grazia è la sola in cui, come sulle ali d'un'eco che si moltiplichi all'infinito, l'inno del credente possa esser portato dalla terra al cielo.

Riflessioni

Cristo che nel corso della lettera era già apparso all'apostolo come «il primo» nel mondo spirituale e nel mondo etico, gli appare ora un'altra volta come «il primo» nel mondo dell'arte. E chi potrebbe negare l'influenza della parola di Cristo nel mondo dell'arte? E poichè l'apostolo parla specialmente della musica, d'onde se non dalla parola di Cristo ebbe la musica le sue più sublimi ispirazioni? La musica ha una celeste missione da compiere sulla terra. Diciamolo pure; il «Guglielmo Tell» del Rossini, una sinfonia del Beethoven, una creazione dello Schumann, dello Schubert o del Mozart, all'anima che sente, fanno senza dubbio maggior bene d'un arido trattato d'ingarbugliata teologia.; ma la musica essenzialmente sacra, che a Cristo ed alla parola di Cristo s'ispira, è sempre stata e sarà sempre la più atta a compiere l'apostolato morale che ha ricevuto da Dio. In Sant'Ambrogio di Milano, il canto

...che lento lento

per l'aër sacro a Dio mosse le penne,

quasi riconciliava il poeta toscano con i croati ed i boemi, mandati in Italia

come mandre a svernar nelle Maremme.

Il cantico avea fatto vibrare nel cuore del poeta generoso la nota della fratellanza universale;

e quando tacque, lo lasciò pensoso

di pensieri più forti e più soavi.

L'inno sacro è una voce di cielo che risponde ai bisogni più profondi del cuore umano; è un grido di libertà che emancipa l'uomo dalla schiavitù dell'egoismo e dell'orgoglio. E un inno che gli sussurra nell'intimo della coscienza: «Nulla tu sei!» ma che al tempo stesso lo eleva sulle ali della fede fino a quel Dio che è il tutto dei mortali; gli suscita in cuore le dolci emozioni d'un amor puro, santo; gli apre dinanzi agli occhi i luminosi orizzonti della speranza; e là dove vola all'Eterno d'in mezzo a rappresentanti di differenti nazionalità e di diverse confessioni religiose, ristabilisce la divina armonia che l'uomo avea turbata, per superbia, per grettezza d'animo o per sete di dominio.

17 7. Il nome del Signor Gesù: Colossesi 3:17.

E qualunque cosa facciate, in parola od in opera, fate ogni cosa nel nome del Signor Gesù, rendendo, per mezzo di lui, grazie a Dio padre.

Che s'ha egli da intendere per il nome del Signor Gesù?

Il nome è un segno di persona o di cosa; il segno, cioè, da cui una persona od una cosa è d'infra le altre distinta e conosciuta. Ονομα viene dalla stessa radice di νους, γιγνωσκω (γνω) ; e prima era forse ογνομα . Di qui il latino cognomen ed il nomen che propriamente sarebbe gnomen. La formula «il nome di Gesù», in tutta la sua varietà Atti 2:21,38; 8:16; 2Tessalonicesi 1:12; 2Timoteo 2:19, nel linguaggio del Nuovo T., sta per Cristo stesso con tutti i tesori di grazia, di sapienza e d'amore che egli ha recati all'umanità guasta e corrotta, o assume un qualche altro significato speciale che dipende dal luogo in cui si trova, e dall'ordine d'idee che la circonda. In Atti 4:12, chi salva non è un qualcosa di magico inerente ad un nome, ma è la persona stessa di Gesù. In Atti 15:22-29 è ovvio che non si espone la vita per un nome astratto, ma che la si espone per una persona che vive d'una santa idea e che muore ella stessa per una divina missione. In Atti 28:19 Gesù non volea creare una formula metafisica, trascendentale, ma volea che i battezzandi, i quali aveano chiesto di partecipare al rito d'iniziazione che doveva ammetterli nella società dei credenti, avessero fede nel Padre; comunione col Figlio che assicura il perdono del passato, la vittoria sul presente, il trionfo per l'avvenire; e la certezza d'aver ottenuto quello Spirito, che mette l'uomo in grado di portar frutto «abbondante e permanente». Sotto il velame dei tre nomi, stava dunque l'essenza di tutto quel cristianesimo che è spirito e vita. In 2Tessalonicesi 3:6 il nome sta per quel Cristo stesso del quale Paolo è un ambasciatore, e dal quale egli ritrae tutta l'autorità per cui può, in mezzo alla baraonda che s'agita nella chiesa di Tessalonica, rialzare il prestigio della verità minacciata da quei di fuori e tradita da non pochi di quei di dentro. In Giovanni 14:13 Gesù vuol dire: Quando pregherete, abbiate piena certezza, della vostra riconciliazione con Dio, pregate con animo di figliuoli, risuscitate dinanzi agli occhi vostri quella mia croce per cui avete il diritto d'accostarvi al Padre, ed ogni cosa che in cotesto modo, con cotesti sentimenti nel cuore, con cotesto quadro dinanzi agli occhi della vostra fede avrete chiesta, io l'esaudirò. E in Filippesi 2:10 l'apostolo alza per un istante il velo che ci nasconde il futuro, e ci lascia, fugacemente intravedere quel gran giorno nel quale non un nome magico o misterioso, ma Cristo stesso, in tutto lo splendore della sua gloria, sarà diventato il centro dell'adorazione universale.

Qualunque cosa facciate, in parola od in opera, fate ogni cosa nel nome del Signore.

«In parola od in opera»; manca il pensiero, ma v'è sottinteso; chè non si concepirebbe una parola senza corrispondente pensiero. La parola è l'interprete, orale o scritto, del pensiero; quindi è che, senza oltrepassare i limiti del concetto apostolico, possiam dire che il nostro passo abbraccia tutti e tre gli elementi della nostra vita d'esseri ragionevoli; il pensiero che ci eleva fino a Dio: la parola, che rende possibile la società, l'azione, che della vita interna, è al tempo stesso il frutto ed il giudice.

«Qualunque cosa facciate... fate ogni cosa...» Non si tratta di badare soltanto ai grandi pensieri ed alle grandi opere. Il cristianesimo non è soltanto la religione delle grandi cose, ma è anche la religione delle cose minute.

«Fare in parola ogni cosa nel nome di Gesù», vuol dire parlare come Gesù ha parlato: rispondere come Gesù ha risposto; consigliare come Gesù ha consigliato; riprendere come Gesù ha ripreso; consolare come Gesù ha consolato; benedire come Gesù ha benedetto: perdonare come Gesù ha perdonato. L'apostolo dà qui come ideale al nostro parlare la «Parola» Giovanni 1:1, la parola di Jahveh fatta carne. Giovanni 1:14, la parola «piena di grazia e di verità» Giovanni 1:14. «Fare in opera ogni cosa in nome di Gesù», vuol dire far di Cristo il principio, il mezzo ed il fine di ogni nostra attività. Il principio, cercando in lui la nostra ispirazione, lo schema dell'opera da compiere, la parola d'ordine permetterei ad oprare. Il mezzo, cercando nella comunione con lui la forza, l'abnegazione e la perseveranza delle quali ha bisogno chi desidera di lavorare con frutto; il fine, cercando nella gloria di lui e nel trionfo del suo regno la ragione ultima d'ogni opera nostra.

Rendendo, per mezzo di lui, grazie a Dio padre.

L'apostolo si limita anche a dirci «rendete grazie», perchè in cotesta parola sta riassunta tutta quanta l'etica cristiana.

Per mezzo di lui.

Senza dimenticare, cioè, che Cristo vive alla destra di Dio come il solo ma perfetto mediatore per cui i nostri sospiri possano elevarsi fino al Padre e per cui possano dal Padre discendere fino a noi le superne benedizioni.

Riflessioni

«Qualunque cosa facciate in parola od in opera...» dice l'apostolo. Egli non dice come noi avremmo forse detto: «In opera ed in parola». Fra queste dite manifestazioni della vita interna e non dà la precedenza all'opera, ma la dà alla parola. Verba volant, scripta manent; «le parole volano, le cose scritte rimangono», dice l'adagio che, per comodo del testo, si potrebbe alterare un poco e dire: Verba volant, acta manent; «le parole volano, le azioni rimangono». L'adagio riproduce in modo esatto il poco conto che il mondo fa della parola. Il mondo, che si potrebbe dividere in tre grandi classi. La prima, composta di quelli che non riflettono nè quand'operano nè quando parlano. La seconda, di quelli che riflettono quand'operano e non riflettono quando parlano. La, terza, di quelli che riflettono quando parlano e quand'oprano. L'immensa maggioranza appartiene alle prime due classi; non è quindi fuor dl proposito il concetto dell'apostolo, che a noi si presenta come una santa reazione all'adagio che ho ricordato. «Qualunque cosa facciate in parola od in opera...» In parola od in opera; e dico in parola prima e poi in opera, perchè la parola non passa, non vola, ma dura nelle sue conseguenze quanto dura l'azione Cfr. Proverbi 15: 23; 25:11; 12:25; 15:1; Giacomo 3:4-6, 8; Matteo 12:36.

18 8. La famiglia cristiana: Colossesi 3:18-4:1.

Mogli siate soggette ai vostri mariti, come si conviene nel Signore. Mariti, amate le vostre mogli e non v'inasprite contro a loro

L'apostolo tratta qui dei doveri coniugali reciproci. La parola che a mente di Paolo riassume tutti i doveri della moglie verso il marito, è questa: subordinazione.

«Subordinazione» non assoluta, ma relativa; come si conviene nel Signore;

vale a dire, nell'ordine stabilito dal Signore; nell'armonia delle idee divine; nell'atmosfera pura e santa in cui aleggia lo Spirito di Cristo.

19 Al marito l'apostolo non impone che tenerezza d'affetto.

Mariti, amate le vostre mogli.

Il motivo di questo dovere è prima di tutto un motivo storico. La società in mezzo a cui viveano le chiese alle quali Paolo scriveva, era una società pagana, poligama; la poligamia v'incoraggiava il sensualismo, ed il sansualismo vi soffocava ogni sentimento d'amor casto e puro. L'amate le vostre mogli era quindi come un raggio di luce divina che, squarciando le tenebre del paganesimo frigio, veniva a riscaldare il cuore de' credenti di Colosse.

Non v'inasprite contro a loro,

dice ancora Paolo, perché conosce l'uomo e sa quanto facilmente e' sia tratto a lasciarsi soverchiare dalla vecchia natura; sa quanto spesso la parola gli esca amara dal labbro e quanto sovente, sopraffatto dalle cure de' suoi affari, dei suoi studi, delle sue altre occupazioni, rechi al focolare domestico indifferenza invece d'amore, acrimonia invece di dolcezza, stizza e disgusto invece di compiacenza e mitezza.

20 Figliuoli, ubbidite al vostri genitori in ogni cosa, poichè ciò piace al Signore. Padri, non irritate i vostri figliuoli, affinchè non si scoraggino.

Sono i doveri degli figliuoli verso i genitori e dei genitori verso i figliuoli.

Ubbidite... in ogni cosa.

Il comandamento è assoluto. L'apostolo scrive a dei cristiani; parte dal concetto che i genitori ai quali si rivolge, sono dei cristiani nel vero e profondo senso della parola; incapaci, quindi, d'esigere dai loro figliuoli quello che non sia strettamente secondo lo Spirito di Cristo. Ma anche qui, come nel caso del dovere delle mogli, c'è una restrizione; e l'apostolo l'accenna agli efesini quando dice «Figliuoli, ubbidite ai vostri genitori, nel Signore» Efesini 6:1. «Nel Signore»; vale a dire, «come al Signore» Efesini 5:22, in quanto i genitori hanno la loro autorità dal Signore e fino ad un certo punto lo rappresentano agli occhi dei figli; o «nel timor del Signore» Efesini 5:21, il che significa invece: nei limiti della coscienza individuale e fino a che codesto ubbidire non diventi un disubbidire a Dio Atti 5:29; Matteo 10:37. Il motivo di cotesta ubbidienza è tutto in queste parole:

Poichè ciò piace al Signore.

L'apostolo dà a questo precetto un triplice motivo. Una scala di motivi, se posso dir così, perchè c'è fra loro una certa gradazione. Agli efesini, citando la legge mosaica Esodo 20:12; Deuteronomio 5:16, egli fa brillare dinanzi agli occhi dei figli la «felicità e la longevità», come premi promessi all'ubbidienza Efesini 6:1. Nello stesso luogo Efesini 6:1, salendo un gradino, aggiunge: «Figliuoli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori perchè ciò è giusto»; in armonia., cioè, con la legge di Dio e con la legge da Dio stabilita nella natura. Nel nostro passo e il terzo motivo; il motivo che sta al sommo dell'ordine degli pensieri che Paolo esprime. Infatti, è legittimo l'ubbidire avendo un premio in vista; è bello l'ubbidire per la coscienza che, così facendo, rendiamo omaggio ad una legge divina; ma sublime è l'ubbidire per l'unico scopo di far cosa grata a quel Signore «in cui viviamo ci moviamo e siamo».

21 Ai genitori l'apostolo scrive

Padri, non irritate i vostri figliuoli, affinchè non si scoraggino.

«Padri»; non «genitori»; il perchè è ovvio; Paolo considera il padre come il capo della casa, come il «capo della moglie» Efesini 5:23; e nominando lui, egli comprende implicitamente la madre.

Non irritate i vostri figliuoli.

L'ordine ha qui forma negativa, e colpisce il modo inconsiderato, capriccioso, grossolano, con cui molti usano della loro autorità paterna. Paolo non esclude la riprensione severa, la santa ira paterna che «flagella perchè gradisce» Ebrei 12:6, «la verga e la correzione che dànno sapienza al fanciullo» Proverbi 29:15, ma condanna l'arbitrio cieco, l'inconsulta severità e l'eccessivo rigore, che conducono ad un risultato diametralmente opposto a quello che si vorrebbe ottenere. Cotesto risultate chiama:

scoraggiamento.

Il falso metodo d'educazione a cui l'apostolo allude, ruina totalmente il figliuolo; lo scoraggia o lo irrita in guisa, ch'egli non si dà più alcun pensiero del come piacere ai propri genitori; e lo riduce alla condizione o d'uno schiavo che si muove nel modo che accenna lo scudiscio del padrone, o di una, macchina che ubbidisce senza cuore e senza anima, o d'uno sciaurato che alla prima occasione fuggirà ribelle da quella casa, ch'è diventata per lui una galera.

22 Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne; non già sotto ai loro occhi come per piacere agli, uomini, ma con semplicità di cuore, nel timor del Signore. Quello che fate, fatelo di cuore, come per il Signore e non come per gli uomini; sapendo che, per ricompensa, riceverete dal Signore la eredità. Servite a Cristo, il signore: Poichè chi è ingiusto riceverà la sua retribuzione secondo la propria, ingiustizia; e senza riguardi personali. Padroni, date ai vostri servitori ciò che è secondo la giustizia e l'uguaglianza, sapendo che anche voi avete un signore nel cielo.

Sono i doveri dei servi verso i padroni e dei padroni verso i servi.

I servi

ai quali l'apostolo si rivolge, sono degli schiavi. Il sole della giustizia non s'era levato ancora a redimere dagli errori dei mercati di carne umana tanti milioni d'infelici creature pur fatte all'immagine di Dio. E in Colosse, gli schiavi doveano abbondare; e nelle chiese frigie il loro numero doveva essere piuttosto considerevole, se l'apostolo si occupa di loro così largamente e così minutamente. I doveri del servo verso il padrone si possono riassumer tutti nell'unico dovere dell'ubbidienza:

Servi ubbidite.

«Ai vostri padroni secondo la carne», dice Paolo, semplicemente a indicare i padroni di quaggiù, terreni, in contrapposizione al padrone di lassù, celeste Colossesi 3:25.

In ogni cosa.

L'ubbidienza dev'essere assoluta. S'intende, quando il padrone non oltrepassi i limiti che Cristo gli ha assegnati; perchè se il servo si trovasse nel caso di non poter ubbidire al padrone senza trasgredire la, legge di Cristo o senza offendere la propria coscienza, il suo dovere è di ribellarsi. «Ubbidire, dice l'apostolo, ma nel timor del Signore»

L'ubbidienza del servo poi non dev'esser macchinale, di forma, ma dev'essere riflessiva ed interna; il cuore deve averci la sua parte; non il cuor doppio e calcolatore, ma il cuor semplice che è tanto gradito al Signore. E dev'essere ubbidienza continua; cioè, dev'essere ubbidienza assoluta e di cuore non soltanto quando il padrone è lì presente che vede, ma anche quand'egli è lontano e non vede. Se il servo ubbidisce unicamente sotto gli occhi del padrone, egli non ubbidisce per il bisogno vivo ed intimo d'una coscienza pura e delicata, ma ubbidisce per ipocrisia e soltanto per piacere agli uomini.

23 Il servo ideale tutto quello che fa, lo fa di cuore perchè è sensibile, nobile, affettuoso. Lo scopo ultimo della sua ubbidienza non è il padrone; il padrone terreno, per lui, non è che l'ombra fugace di quel Signore che dimora in eterno. E siccome e' non confonde le ombre con la realtà, il suo servigio è prestato all'ombra in guisa, che diventa, in ultima analisi, un servigio prestato al Signore. Ed è così che la sua condizione si nobilita e che il più umile de' servi può stendere in ispirito la mano a Timoteo, a Paolo stesso, ed esclamare a fronte alta: «Noi siamo servi di Cristo Gesù» Filippesi 1:1.

24 E il salario? Il salario non può essere il motivo d'una ubbidienza cosiffatta; ben altra ricompensa ha in vista il servo ideale! Il motivo, non lo scopo, della ubbidienza del servo ideale è l'eredità; l'«eredità incorruttibile, immacolata» 1Pietro 1:4, la «corona della giustizia» 2Timoteo 4:8, la «vita eterna» Giovanni 6:47. Anche il servo ideale è del numero di quelli che «amano i santi d'amor spirituale, a motivo della speranza che è per loro riposta ne' cieli» Colossesi 1:4-5,8. Servite a Cristo, il Signore! Conclude l'apostolo. A Cristo, perchè malgrado tanta varietà di condizioni sociali, gli uomini son tutti uguali dinanzi a colui che è il Signore, «l'assoluto Signore».

25 Può darsi che la voce de' vostri padroni «secondo la carne» non sia sempre l'eco fedele della voce del signore ne' cieli: può darsi che i vostri diritti siano da loro talvolta conculcati; può darsi che il padrone «secondo la carne» usurpi a vostro danno il posto del Signore che è nel cielo; malgrado tutto ciò, «non fate le vostre vendette!... poiché sta scritto: Io renderò la retribuzione, dice il Signore» Romani 12:19. Vige anche nell'ambito domestico la legge divina per cui «chi semina alla carne mieterà dalla carne corruzione, e chi semina allo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna» Galati 6:8; e l'ingiusto, non temiate, riceverà la sua retribuzione secondo la propria ingiustizia, e senza riguardi personali. «Chi è ingiusto... e senza riguardi personali», io dico; e lo dico a voi servi ed a voi padroni; perché servi e padroni sono uguali Colossesi 3:11 dinanzi a Colui che giudica imparzialmente 1Pietro 1:17.

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