Commentario abbreviato:

Giovanni 4

1 Capitolo 4

La partenza di Cristo per la Galilea Gv 4:1-3

Il suo discorso con la Samaritana Gv 4:4-26

Gli effetti della conversazione di Cristo con la donna samaritana Gv 4:27-42

Cristo guarisce il figlio dell'ufficiale Gv 4:43-54

Versetti 1-3

Gesù si applicò più alla predicazione, che era la più eccellente, 1Cor 1:17, che al battesimo. Voleva rendere onore ai suoi discepoli, impiegandoli per battezzare. Ci insegna che il beneficio dei sacramenti non dipende dalla mano che li amministra.

4 Versetti 4-26

C'era un grande odio tra i Samaritani e i Giudei. La strada di Cristo dalla Giudea alla Galilea passava per la Samaria. Non dobbiamo andare nei luoghi di tentazione se non quando è necessario; e allora non dobbiamo soffermarci in essi, ma attraversarli in fretta. Abbiamo qui il nostro Signore Gesù sotto la comune fatica dei viaggiatori. Così vediamo che era veramente un uomo. La fatica si accompagnava al peccato; perciò Cristo, essendosi fatto maledizione per noi, vi si sottopose. Inoltre, era un uomo povero e faceva tutti i suoi viaggi a piedi. Essendo stanco, si sedette così sul pozzo; non aveva un giaciglio su cui riposare. Si sedette così, come siedono le persone stanche di viaggiare. Certamente, dovremmo prontamente sottometterci a essere come il Figlio di Dio in cose come queste. Cristo chiese dell'acqua a una donna. La donna si stupì perché non mostrava la rabbia della sua nazione contro i Samaritani. Gli uomini moderati di ogni parte sono uomini meravigliati. Cristo colse l'occasione per insegnarle cose divine: convertì questa donna, mostrando la sua ignoranza e la sua peccaminosità, e il suo bisogno di un Salvatore. Per acqua viva si intende lo Spirito. In questo paragone la benedizione del Messia era stata promessa nell'Antico Testamento. Le grazie dello Spirito e i suoi conforti soddisfano l'anima assetata, che conosce la propria natura e la propria necessità. Ciò che Gesù disse in senso figurato, lei lo prese alla lettera. Cristo mostra che l'acqua del pozzo di Giacobbe ha dato una soddisfazione molto breve. Di qualsiasi acqua di conforto beviamo, avremo di nuovo sete. Ma chi partecipa allo Spirito di grazia e ai conforti del Vangelo, non mancherà mai di ciò che sazierà abbondantemente la sua anima. I cuori carnali non guardano più in alto dei fini carnali. Dammi, dice, non perché io abbia la vita eterna, che Cristo ha proposto, ma perché io non venga qui ad attingere. La mente carnale è molto ingegnosa nello spostare le convinzioni e nell'impedire che si fissino. Ma come il Signore Gesù porta la convinzione alla coscienza della donna! Egli rimproverò severamente il suo attuale stato di vita. La donna riconobbe che Cristo era un profeta. Il potere della sua parola di scrutare il cuore e di convincere la coscienza di cose segrete è una prova dell'autorità divina. Dovrebbe raffreddare le nostre contestazioni il pensiero che le cose per cui ci battiamo stanno passando. L'oggetto del culto continuerà ad essere lo stesso, Dio, come Padre; ma si porrà fine a tutte le differenze sul luogo di culto. La ragione ci insegna a considerare la decenza e la convenienza dei luoghi di culto; ma la religione non dà alcuna preferenza a un luogo rispetto a un altro, in relazione alla santità e all'approvazione di Dio. Gli Ebrei erano certamente nel giusto. Coloro che grazie alle Scritture hanno ottenuto una certa conoscenza di Dio, sanno chi adorano. La parola di salvezza era dei Giudei. Attraverso di loro è giunta alle altre nazioni. Cristo ha giustamente preferito il culto ebraico a quello samaritano, eppure qui parla del primo come di un culto che presto sarà abolito. Dio stava per essere rivelato come Padre di tutti i credenti di ogni nazione. Lo spirito o l'anima dell'uomo, come influenzato dallo Spirito Santo, deve adorare Dio e avere comunione con lui. Gli affetti spirituali, come dimostrano le ferventi preghiere, le suppliche e i ringraziamenti, costituiscono l'adorazione di un cuore retto, in cui Dio si diletta e viene glorificato. La donna era disposta a lasciare la questione in sospeso fino alla venuta del Messia. Ma Cristo le disse: "Io che ti parlo, sono Lui". Era una samaritana estranea e ostile, e si pensava che il solo parlare con lei avrebbe disonorato il Signore Gesù. Eppure, a questa donna il Signore si è rivelato in modo più completo di quanto non avesse ancora fatto a nessuno dei suoi discepoli. Nessun peccato passato può impedirci di essere accettati da lui, se ci umiliamo davanti a lui, credendo in lui come il Cristo, il Salvatore del mondo.

27 Versetti 27-42

I discepoli si stupirono che Cristo parlasse così con una samaritana. Tuttavia, sapevano che era per una buona ragione e per un buon fine. Così, quando si verificano particolari difficoltà nella parola e nella provvidenza di Dio, è bene accertarsi che tutto è bene ciò che Gesù Cristo dice e fa. Due cose colpirono la donna. L'ampiezza della sua conoscenza. Cristo conosce tutti i pensieri, le parole e le azioni di tutti i figli degli uomini. E la potenza della sua parola. Le disse i peccati segreti con potenza. La donna si concentrò su quella parte del discorso di Cristo che, secondo molti, sarebbe stata più timida a ripetere; ma la conoscenza di Cristo, in cui siamo condotti dalla convinzione del peccato, è più probabile che sia sana e salvifica. Vennero da lui: coloro che vogliono conoscere Cristo, devono incontrarlo dove egli registra il suo nome. Il nostro Maestro ci ha lasciato un esempio, affinché impariamo a fare la volontà di Dio come lui: con diligenza, come chi ne fa un mestiere, con gioia e piacere. Cristo paragona il suo lavoro al lavoro del raccolto. La mietitura è stabilita e cercata prima di arrivare; così è stato per il Vangelo. Il tempo della mietitura è un tempo di lavoro; tutti devono essere al lavoro. Il tempo della mietitura è un tempo breve, e il lavoro della mietitura deve essere fatto in quel momento, o non deve essere fatto affatto; così il tempo del Vangelo è una stagione che, una volta passata, non può essere richiamata. Dio a volte usa strumenti molto deboli e improbabili per iniziare e portare avanti un'opera buona. Il nostro Salvatore, insegnando a una povera donna, diffuse la conoscenza in un'intera città. Beati coloro che non si sentono offesi da Cristo. Chi viene istruito da Dio è veramente desideroso di saperne di più. Il fatto di sconfiggere i pregiudizi è un'ulteriore lode al nostro amore per Cristo e per la sua parola. La loro fede cresceva. Nel merito: lo credevano il Salvatore, non solo dei Giudei ma del mondo intero. Nella certezza: sappiamo che questo è davvero il Cristo. E nel fondamento, perché lo abbiamo ascoltato noi stessi.

43 Versetti 43-54

Il padre era un ufficiale del re, ma il figlio era malato. Gli onori e i titoli non sono una sicurezza dalla malattia e dalla morte. Gli uomini più grandi devono andare loro stessi a Dio, devono diventare mendicanti. Il nobile non smise di chiedere finché non ebbe la meglio. Ma all'inizio scoprì la debolezza della sua fede nella potenza di Cristo. È difficile convincersi che la distanza di tempo e di luogo non sia un ostacolo alla conoscenza, alla misericordia e alla potenza di nostro Signore Gesù. Cristo ha dato una risposta di pace. Il fatto che Cristo dica che l'anima vive, la rende viva. Il padre andò per la sua strada, il che dimostra la sincerità della sua fede. Soddisfatto, quella sera non si affrettò a tornare a casa, ma tornò come una persona tranquilla. I suoi servi lo raggiunsero con la notizia della guarigione del bambino. Una buona notizia incontrerà coloro che sperano nella parola di Dio. Il confronto diligente tra le opere di Gesù e la sua parola confermerà la nostra fede. E l'aver portato la guarigione alla famiglia ha portato ad essa la salvezza. Così l'esperienza della potenza di una parola di Cristo può stabilire l'autorità di Cristo nell'anima. Anche tutta la famiglia credette. Il miracolo rese Gesù caro a loro. La conoscenza di Cristo si diffonde ancora nelle famiglie e gli uomini trovano salute e salvezza nelle loro anime.

Commentario del Nuovo Testamento:

Giovanni 4

1 CAPO 4 - ANALISI

1. Partenza di Cristo dalla Giudea. I primi versetti ci presentano il ministerio di Cristo trasferito dalla Giudea alla Galilea, e ci dicono le ragioni di tal cambiamento. Come già il Signore si era ritirato da Gerusalemme nelle campagne di Giuda, a motivo della invidia dei Farisei, così per evitare una collisione prematura con essi, risolvette di ritirarsi ora interamente dalla Giudea, quando seppe che essi erano maggiormente irritati per avere udito che egli faceva più discepoli che Giovanni Giovanni 4:1-3.

2. La visita a, Sichar e la conversazione con una donna al pozzo di Giacobbe. Due strade conducevano dalla Giudea in Galilea; l'una, dopo avere varcato il Giordano, risaliva la Perea, l'altra più diretta, attraversava la Samaria, passando vicino al villaggio di Sichar, e al pozzo di Giacobbe. Il Signore prescelse quest'ultima, e giunto al pozzo verso mezzogiorno, sedette sul margine di quello per riposarsi, mentre i discepoli andavano nella vicina città di Sichem, a comprar provviste per proseguire il viaggio. Frattanto una donna uscì dal villaggio, per attinger acqua dal pozzo. Il Signore le domandò da bere, il che con ad una conversazione "sull'acqua viva" che egli può dare, sulla natura del vero culto che Dio domanda, e sul passato e carattere di lei. Questa conversazione condusse la donna a riconoscere Gesù come profeta, e finalmente a credere che egli fosse davvero il Messia, di cui essi aveano parlato Giovanni 4:5-27.

3. Il ritorno dei discepoli e la conversazione di Gesù con loro. Il Signore ricusò il cibo che essi recavano, e chiedendosi essi, con stupore, se mai qualcuno gli avesse portato da mangiare durante la loro assenza, la sua risposta mostrò che egli era tutto quanto assorto, nell'opera di suo Padre, la quale tenevagli luogo di cibo. Sapendo che i Sichemiti tosto si sarebbero affollati dintorno a lui, in seguito al rapporto della donna, egli annunzia ai discepoli che già vede "le contrade bianche da mietere", e si rallegra di vedersi compiere la volontà di suo Padre, Vedi Matteo 11:25; Luca 10:18-22. Quindi li esorta a mostrarsi diligenti mietitori nel campo del vangelo, sia per il valore della ricolta sia per il premio assicurato agli operai Giovanni 4:31-38.

4. Le notizie portate dalla donna nella città e le loro conseguenze. Lasciata la sua secchia nel suo eccitamento, si affrettò non al suo proprio villaggio, bensì alla città vicina, e qui si accinse a pubblicare la meravigliosa notizia. Le parole: indicano che non una volta solamente, ma ripetutamente e con grande ardore, portò di casa in casa la sua testimonianza, la cui sostanza era: "certamente questi dev'essere il Cristo, perciocché egli investiga i cuori, e mi ha detto tutto ciò che ho fatto mai". I Sichemiti, vedendo la sincerità di questa donna, vollero vedere quell'uomo straordinario, e udire da se medesimi, i suoi insegnamenti. Avendolo udito, molti credettero, e alla loro preghiera egli rimase due giorni nella loro città, predicando l'evangelo e confermando la fede di quelli che già lo aveano confessato "veramente il Cristo, il Salvator del mondo" Giovanni 4:28-30,39-42.

5. Il ritorno di Cristo in Galilea, e il secondo suo miracolo a Cana. Continuando il suo viaggio da Sichar, la strada lo conduce, dopo attraversate le gole dei monti di Samaria e la pianura di Esdraelon, a Nazaret; ma, lasciato Nazaret da parte, per la ragione detta in Giovanni 4:44 egli si recò a Cana di Galilea, dove lo accolsero alcuni degli abitanti, i quali, essendo saliti in Gerusalemme per la Pasqua, erano stati testimoni dei miracoli che ivi egli avea compiuti. La notizia del suo arrivo in Galilea giunse presto in Capernaum, e un uffiziale del Tetrarca Erode Antipa, ivi residente, partì subito per Cana, affin di supplicarlo di scendere a guarire il suo figliuolo morente. Gesù, senza recarsi a Capernaum, compì un miracolo a prò di quel giovanotto, e la coincidenza esatta delle parole: "Va, il tuo figliuolo vive", colla guarigione del medesimo, fu verificata dal padre al suo ritorno a casa Giovanni 4:43-52.

Giovanni 4:1-3. GESÙ PARTE DALLA GIUDEA. LE SUE RAGIONI PER FAR COSÌ

1. Quando adunque il Signore ebbe saputo che i Farisei aveano udito, che Gesù faceva e battezzava più discepoli che Giovanni;

Quello che i discepoli del Battista aveano riferito al loro maestro Giovanni 3:26 della crescente popolarità del ministero di Cristo era pervenuto pure agli orecchi dei Farisei. È incerto come ne fosse avvertito Cristo. Forse glielo dissero i suoi discepoli, per averlo udito fra la moltitudine; ma il titolo "Signore" (che in tutto questo Vangelo si trova una volta sola prima della risurrezione), datogli quando ci vien parlato di questa sua conoscenza, in contrasto col nome di Gesù, usato più oltre in questo versetto, ci indurrebbe a credere che l'Evangelista parli qui di una conoscenza soprannaturale, come quella che egli attribuisce a Gesù, in Giovanni 2:24-25.

PASSI PARALLELI

Luca 1:76; 2:11; 19:31,34; Atti 10:36; 1Corinzi 2:8; 15:47; 2Corinzi 4:5; Giacomo 2:1

Apocalisse 19:16

Giovanni 3:22,26

2 2. (Avvegnaché Gesù stesso non battezzasse, ma i suoi discepoli)

Giovanni non aggiunge queste parole per correggere quanto avea pur ora detto; ma per correggere la voce che era giunta fino ai Farisei, imperocché Gesù stesso non battezzò mai con acqua. La sua ragione per questo può essere stata che nella qualità di Maestro, la cui esclusiva prerogativa era di battezzare collo Spirito, egli, giudicò più conveniente di amministrare il simbolo esterno, per mano dei suoi discepoli. "Possiamo aggiungere", dice Ryle, "un'altra ragione di considerevole importanza, cioè, che i Signore voleva con questo insegnarci che l'effetto e il benefizio del battesimo non dipendono punto dalla persona che lo amministra; e che il linguaggio enfatico e stravagante di certi teologi riguardo al sacramento del battesimo e ai suoi effetti, è affatto inconciliabile con questo passo, e coll'insegnamento generale della Scrittura" Atti 10:48; 1Corinzi 1:17.

PASSI PARALLELI

Atti 10:48; 1Corinzi 1:13-17

3 3. Lasciò la Giudea, e se ne andò di nuovo in Galilea

Notiamo che l'Evangelista Giovanni non parla mai né dei Sadducei, né degli Erodiani; i Farisei erano i veri rappresentanti della nazione incredula. Quelli fra loro ch'erano in autorità, s'irritarono per i successi del Battista Giovanni 1:25, senza dubbio a motivo della severità e della giustizia dei suoi rimproveri Matteo 3:7, e del Ratto che attirando tanta gente a sé indeboliva il loro prestigio e la loro autorità. Per le stesse ragioni si irritarono contro Gesù, il quale, secondo quanto era stato loro riferito, faceva la stessa cosa, in proporzioni anche maggiori, facendo e battezzando discepoli, senza la loro autorità. Potevano ad ogni istante usar violenza contro di lui, e per evitar quello che avrebbe guastato l'opera sua, Gesù decise di lasciar la Giudea, per tornare in Galilea. Benché molti sieno di parere contrario, crediamo fermamente che questa partenza è identica con quella ricordata da Matteo Matteo 4:12, dopo che Erode ebbe messo Giovanni in carcere. Si obietta che Enon essendo in Giudea, Erode non avrebbe potuto metter le mani addosso al Battista, non avendo giurisdizione in quella provincia; ma quelli che avanzano questa difficoltà si scordano che il ministero del Signore in Giudea durò almeno otto mesi. Salito a Gerusalemme alla fine di Marzo per la Pasqua, non tornò in Galilea che quattro mesi prima della ricolta Giovanni 4:35, cioè nel mese di Dicembre. Supposto che si fosse fermato due mesi in Gerusalemme, è probabilissimo che nel lungo intervallo di sei mesi che seguì Giovanni sia tornato al di là del Giordano, dove avea cominciato il suo ministero, cadendo così nel potere di Erode. Questa teoria è confermata dalla credenza generale che il ministero di Giovanni cessasse circa sei mesi dopo il battesimo del Signore.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:32; 10:40; 11:54; Matteo 10:23; Marco 3:7

Giovanni 1:43

4 4. Or gli conveniva passar per il paese di Samaria.

Quella era la via più breve e più diritta, benché non la più battuta, a motivo della inimicizia esistente fra i Giudei e i Samaritani Giovanni 4:9. L'altra strada, che risaliva la Perea, dopo avere attraversato il Giordano vicino a Gerico, era assai più frequentata, perché evitava affatto la Samaria. Il Signore la seguì, nell'ultimo suo viaggio a Gerusalemme, fermandosi però a predicare a quelli che dimoravano oltre il Giordano. conveniva: di questo versetto non era dunque una necessità geografica, bensì morale. Scelse quella strada per un alto scopo; egli sapeva che c'era per lui un'opera da fare in Samaria. Gli "conveniva" incontrar quella donna al pozzo di Giacobbe, e raccogliere i frutti benedetti di quell'incontro, gli "conveniva" insegnare in Samaria, come in Giudea, i principi della vera religione e del vero culto, distruggendo così le basi di quelle rivalità e gelosie nazionali, e raccogliendo nel suo regno quelli che, ad onta del culto difettoso e confuso di Samaria, pur vivevano nella giornaliera aspettazione del Messia.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:5-6; Luca 2:49; 9:51-52; 17:11

5 5. Venne adunque ad una città del paese di Samaria, detta Sichar, che è presso della possessione, la quale Giacobbe diede a Giuseppe, suo figliuolo

PASSI PARALLELI

Genesi 33:19; 48:22; Giosuè 24:32

6 6. Ora quivi era la fontana (una polla, d'acqua) di Giacobbe.

Sichem, la moderna Nablusa, posta in uno stretto e fertile Wadi, ricco di sorgenti e di rivi d'acqua, fra i monti Garizim ed Ebal Genesi 12:6; 33:18; Deuteronomio 27:4, 12,13; Giosuè 8:30-35; 24:1, fu per molto tempo ritenuta identica colla Sichar di questo versetto, benché la sua posizione non corrisponda esattamente a quello che dice qui Giovanni, poiché giace a ben due miglia dal pozzo di Giacobbe. Questo pozzo esiste tuttora nel Wady Mukhna, "la pianura di More" Genesi 12:6, precisamente là dove lo sperone N. E. di Garizim lo divide dalla stretta valle di Nablusa, e, a cinque minuti dalla sua entrata, il viaggiatore trova un misero villaggio, costruito sulle rovine di una città samaritana. E questa la Sichar del nostro versetto, come lo dimostra il suo nome moderno di Askar. La seguente citazione del mio libro La Tenda e il Khan contiene la sostanza di note prese in sul posto: il pozzo di Giacobbe è stato scavato precisamente all'entrata della valle di Sichem, nel suo lato meridionale, e quasi sulla medesima linea con essa, ma vicino al lato settentrionale della valle, trovasi un piccolo edificio a cupola, simile a un Weli Turco "tomba di un profeta", il quale copre la tomba di Giuseppe. Giudei, Maomettani e Cristiani vanno d'accordo nel credere che questa sia realmente la tomba del governatore dell'Egitto, e dalla sua situazione nella vicinanza del pozzo, e nella porzione di terreno che gli era stata data dal padre suo, non v'ha motivo per mettere in dubbio quella tradizione Giosuè 24:32. Il terreno che trovasi fra il pozzo e la tomba, alla congiunzione delle due valli, è quello che Giacobbe comprò dai figli di Hamor, padre di Sichem, e la lussureggiante messe che vi si ammira ogni anno, prova che la scelta fu fatta con molta abilità. Se Sichar fosse solo un altro nome per Sichem, non si capirebbe che la donna, colla quale parlò Gesù, abbia deliberatamente trascurata la magnifica fonte di acqua corrente, ora chiamata Ain el Defna, in vicinanza di Sichem, e abbia fatto due miglia, per attinger acqua dal pozzo profondo di Giacobbe; ma se la moderna Askar è Sichar, quel pozzo lì vicino era quello cui dovevano naturalmente ricorrere tutti i suoi abitanti. Altra conferma di questa identità ci vien data da Eusebio, il quale nel suo Onomasticon (citato da Robinson, vol. III), dice espressamente "che Sichar giaceva davanti", cioè ad oriente di Neapolis, "Nablusa", vicino al campo di Giuseppe, col pozzo di Giacobbe, mentre Sichem era additata come un luogo deserto nei sobborghi di Neapolis.

Gesù adunque, affaticato del cammino, sedeva così in sulla fontana; or era intorno alle sei ore

L'Evangelista descrive l'attitudine del Salvatore, di cui si ricordava così vivamente come se i fatti fossero accaduti il giorno avanti, anziché mezzo secolo prima che egli scrivesse. È costume dei viaggiatori in Palestina, ora, come ai tempi antichi, di avviarsi al levar del sole ed anche prima; era la metà del giorno, "le sei ore", quando Gesù e i suoi discepoli giunsero alla fontana; e dopo una marcia di sei ore, gli stanchi viandanti dovettero esser lieti di farvi la fermata del mezzodì. Vogliono alcuni che sia quì nominata la sesta ora di sera, sotto il pretesto che Giovanni, scrivendo dopo gli altri Evangelisti, e nell'Asia Minore, deve avere usato il modo romano o asiatico di contar le ore, cioè dalla mezzanotte a mezzodì, e da, mezzodì alla mezzanotte, anziché il modo giudaico che faceva cominciare il giorno alle sei pomeridiane. Ma Lucke, "citato da Alford", asserisce che nell'Asia Minore non si usava punto il metodo romano. L'altro argomento che cioè non fosse usuale per una donna andare ad attinger acqua a mezzodì non prova punto che tal cosa sia impossibile mentre è altamente improbabile che essa uscisse sola alle sei di sera, cioè a notte buia, poiché era di Dicembre. Merita la nostra attenzione il fatto della stanchezza di Gesù dopo quella lunga marcia. Nello stesso modo, è ricordato che egli si addormentò in mezzo alla tempesta sul lago di Galilea Marco 4:38, in seguito alle fatiche del giorno. Questi fatti sono un commento pratico su Isaia 53:4, prima parte, e Ebrei 4:15; essi dimostrano la realtà della natura umana di Cristo, in virtù della quale egli aveva un corpo sottoposto, come il nostro, a tutte le condizioni della carne e del sangue; essi dimostrano la meravigliosa sua condiscendenza in quanto che, benché il mondo fosse fatto da lui, egli accettò di camminare faticosamente a piedi, mentre "andava attorno facendo del bene", ed operando per noi una redenzione eterna; essi sono un pegno pei credenti che Cristo è un Salvatore atto a compatire, poiché conosce, per esperienza, che cosa sia l'avere un corpo debole e stanco, e un cuore affaticato. Il parapetto del pozzo sul quale sedette Gesù non esiste. Una chiesa venne costruita per circuirlo al quarto secolo, e le sue rovine ingombrano tuttodì il terreno circostante; occorre scendere più giù del suolo attuale in una stanza a volta per osservare, nell'impiantito di quella, l'apertura circolare del pozzo. Secondo le misure prese da vari viaggiatori, esso è profondo dai 75 ai 100 piedi. Esiste probabilmente ancora in fondo una piccola polla d'acqua. Quando lo scrivente lo visitò nel marzo 1854, potevasi udire distintamente il tonfo di un sasso nell'acqua a una grande profondità sotto l'apertura; ma uno degli ufficiali della "Esplorazione della Palestina" scese fino in fondo nel 1866 e lo trovò affatto asciutto.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:2; 8:24; Ebrei 2:17; 4:15

Luca 2:7; 9:58; 2Corinzi 8:9

Giovanni 11:9; Matteo 27:45

7 Giovanni 4:7-26. GESÙ PARLA CON UNA DONNA SAMARITANA AL POZZO DI GIACOBBE

7. E una donna di Samaria,

Non della città di Samaria, che ai tempi di Gesù era chiamata Sebaste in onore dell'imperatore Auguto, ma semplicemente una donna di razza Samaritana venne, per attigner dell'acqua. E Gesù le disse: Dammi da bere. Stanco e assetato per il lungo viaggio, Gesù desiderava un sorso d'acqua per rinfrescar e il suo corpo; perciò si rivolse naturalmente e senza ostentazione a quella donna che aveva appunto allora riempita la sua secchia dal pozzo. Ma la sua domanda aveva principalmente per scopo di entrare in conversazione con questa povera peccatrice, per salvare la quale gli era convenuto Giovanni 4:4, scegliere la via di Samaria, e in questo riuscì, come lo mostra il racconto che segue. Il suo fu un atto di meravigliosa condiscendenza, e pieno di saviezza e di prudenza. Egli comincia con una cosa indifferente in apparenza; domanda un favore, e niente poteva meglio acquistargli la simpatia e l'attenzione di quella donna.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:10; 19:28; Genesi 24:43; 2Samuele 23:15-17; 1Re 17:10; Matteo 10:42

8 8. Perciocché i suoi discepoli erano andati nella città, per comperar da mangiare

Alcuni scrittori hanno azzardato la supposizione che Giovanni fosse rimasto indietro col suo Maestro, e si fondano per questo sulla completezza del racconto che egli ci dà della conversazione di Gesù con quella donna. Ma la cosa sembra impossibile dietro la dichiarazione di Giovanni in questo versetto. L'inimicizia esistente fra Giudei e Samaritani non arrivava alla proibizione della vendita delle cose necessarie alla vita. Uova, formaggio, frutta potevansi sempre comprare, senza tema di contaminazione. Ma si vede dal Talmud, che le leggi del traffico coi Samaritani, eran soggette a cambiamenti. "Un precetto dei Talmud", citato nel Smith's Dizionario della Bibbia, Vol. 3, p. 37, "approva il loro metodo di preparare la carne degli animali, altri lodano il loro pane azzimo, il loro formaggio, e finalmente tutto il loro cibo" (Milligan e Moulton).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:5-7; Luca 9:13

9 9. Laonde la donna Samaritana gli disse: Come, essendo Giudeo domandi tu da bere a me, che son, donna Samaritana?

Dalla favella, dall'accento o da qualche particolarità del vestire, essa riconobbe subito di che nazione era, e pur concedendogli quanto chiedeva, espresse la sua maraviglia, che essendo egli Giudeo, avesse fatto a lei una tale domanda, e ciò non perché essa fosse una donna, "non essendo punto raro che una donna, anche ai dì nostri, desse da bere dalla sua secchia a un viaggiatore", ma perché apparteneva ad un popolo odiato e disprezzato dai Giudei.

conciossiaché i Giudei non usino coi Samaritani

Il ver. 8 Giovanni 4:8 mostra che questo non si deve intendere in senso assoluto, ma solo rispetto ad atti amichevoli, come lo scambio dell'ospitalità e la mutua assistenza. Le cause di questa, antipatia nazionale risalgono alla colonizzazione assira del paese d'Israele per opera di Salmanezer 2Re 17:6,24; l'accrebbe l'antagonismo dei Samaritani, quando i Giudei tornarono dalla cattività di Babilonia Esdra 4:5; Nehemia 6:6-7. Vedi note Matteo 10:5; Luca 9:53. Essa era tuttora vivace al tempo di Gesù, e gli valse a render più incisiva la parabola del buon Samaritano Luca 10:30-37. Si accetta dal maggior numero che l'ultima clausula di questo versetto sia una spiegazione inserita a questo punto dall'Evangelista per i suoi lettori gentili. La cosa può essere, e infatti troviamo altrove in questo Vangelo simili brevi spiegazioni parentetiche. Ma non troviamo ragioni sufficienti per distaccar queste parole dalla risposta della donna, colla quale esse hanno un nesso naturalissimo. "La ripetizione di questa massima ben nota", dice Milligan, "dà un'enfasi ironica alle sue parole, mettendo in contrasto i principi dei concittadini di Gesù, colla domanda che la necessità lo aveva costretto a fare".

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:27; 8:48; Luca 10:33; 17:16-19

2Re 17:24-41; Esdra 4:1-24; Nehemia 4:1-2; Luca 9:52-56; Atti 1:8; 10:28

10 10. Gesù rispose, e le disse: Se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colati che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva.

Gesù non risponde direttamente alla domanda della donna sulla differenza fra la sua condotta e quella dei suoi concittadini, ma le fa capire che possedeva quello che potrebbe ampiamente ripagare il lieve servizio che essa aveale reso, e il quale se essa lo accettava, sarebbero affatto mutate le parti, ed essa diverrebbe la sua debitrice. "Tu mi prendi per un viandante qualunque che abbisogna di un sorso d'acqua; ma se solo sapessi chi è quel che ti domanda quel favore, e qual sia il dono che, in lui, Dio ha fatto agli uomini, saresti tu la supplichevole, ed egli, ben lungi dal ricusarti la tua domanda, ti darebbe acqua viva". Eccitando così il suo interesse e la sua curiosità, il Signore la conduce a far altre domande. Non v'ha dubbio che Gesù accenna a se stesso nelle parole: "chi è colui che ti dice: Dammi da bere". Ma i commentatori differiscono assai in quanto al significato del "dono di Dio", e "dell'acqua viva". Del primo si è detto che è "la salute", "la fede", l'occasione favorevole che Dio le concedeva di conoscere la verità, "i doni di Dio in generale", "Cristo medesimo", "lo Spirito Santo". Quest'ultimo è senza dubbio il dono speciale di Dio che il Messia doveva recare agli uomini; ma siccome la missione del Consolatore ancora non era stata spiegata nemmeno agli Apostoli, è poco probabile che il Signore ne facesse il punto di partenza della istruzione di una povera donna Samaritana. Siccome Gesù Cristo è "l'ineffabile dono di Dio" 2Corinzi 9:15, il dono che racchiude tutti gli altri, sembrerebbe che questo "dono di Dio" dovesse essere il Salvatore medesimo, tanto più che ogni buon dono si trova racchiuso in lui Colossesi 1:19; 2:9; Romani 8:32 ma siccome subito dopo Gesù parla di se medesimo come del Donatore, par più naturale intendere con questo dono la salute che Dio ha, da ogni eternità, provveduta per il peccatore, che egli ha promesso per bocca dei profeti, e che il Figlio di Dio è venuto ad adempiere quaggiù. Tale era il pensiero di Diodati come appare dalla breve sua nota seguente: "Dono, cioè la grazia salutare che Iddio presenta agli uomini in me". I Giudei chiamavano acqua viva le polle, le sorgenti, i rivi correnti, in opposizione all'acqua stagnante, o a quella delle cisterne. Che intende qui il Signore con questa parola? È evidente da Giovanni 4:14 che trattasi di una benedizione spirituale, e Giovanni Giovanni 7:38-39 chiama "acqua viva" il dono stesso dello Spirito. Questo è il senso più alto, ma non il solo, di queste parole, e il nostro Signore voleva probabilmente includere in esse, oltre allo Spirito Santo, tutto ciò che è necessario ad un'anima peccatrice, perdono, pace, misericordia grazia, giustificazione e santificazione.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:16; Isaia 9:6; 42:6; 49:6-8; Luca 11:13; Romani 8:32; 1Corinzi 1:30; 2Corinzi 9:15

Efesini 2:8

Giovanni 4:25-26; 9:35-38; 16:3; 17:3; 1Giovanni 5:20

2Cronache 33:12-13,18-19; Salmi 10:17; Isaia 55:6-9; Luca 11:8-10; 18:13-14

Luca 23:42-43; Atti 9:11; Apocalisse 3:17-18

Giovanni 4:14; 6:35,51; 7:37-39; Esodo 17:6; Salmi 36:8-9; 46:4; Isaia 12:3; 35:6

Isaia 41:17-18; 43:20; 44:3; 49:10; 55:1-3; Geremia 2:13; Ezechiele 47:1-9

Zaccaria 13:1; 14:8; 1Corinzi 10:4; Apocalisse 7:17; 21:6; 22:1-2,17

11 11. La donna gli disse: Signore,

Il che indica un gran cambiamento nel suo tuono verso Cristo, confr. Giovanni 4:9.

tu non hai pare alcun vaso da attignere, e il pozzo è profondo; onde adunque hai quell'acqua viva?

Le parole del Signore hanno eccitato nella donna maraviglia ed incredulità al tempo stesso. Esse non le suggeriscono idea alcuna, oltre a quella dell'acqua del pozzo lì vicino; però, convinta che devono aver qualche senso, e avendo osservato che Gesù non aveva né corda né secchia, essa domanda in tuono quasi di sfida, come mai egli farà per attingere quell'acqua viva, e questo fa, per comprender meglio le sue parole.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:4; 1Corinzi 2:14

12 12. Sei tu maggiore di Giacobbe, nostro padre, il qual ci diede questo pozzo, ed egli stesso ne bevve, e i suoi figliuoli, e il suo bestiame?

Se questo straniero non aveva mezzo alcuno per attigner dal pozzo, e pure le offriva acqua viva, non voleva forse dir questo che egli era qualcuno di grande? Perciò divien più viva la sua curiosità di conoscere chi egli è. "Pretendi tu esser maggiore di Giacobbe? Tu che sembri un povero viandante, pretenderesti possedere un pozzo migliore e più copioso di questo, che bastò a Giacobbe, alla sua famiglia, al suo bestiame e ai suoi discendenti?" "La loquacità di questa donna fa contrasto colla sentenziosa concisione di Nicodemo, ma è molto naturale, ed essa non è meno di lui ritrosa a comprendere metafore spirituali" (Plummer). Benché la storia di Giacobbe non parli di questo pozzo, non v'ha nessuna ragione di mettere in dubbio la verità della tradizione Samaritana che quel patriarca lo abbia comprato insieme al campo di Hemor Genesi 33:19, o lo abbia scavato egli stesso per l'uso della sua famiglia e delle sue gregge, e lo abbia lasciato a Giuseppe e ai suoi discendenti. La Samaritana chiama Giacobbe "nostro padre", perché i Samaritani pretendevano di discendere da Giuseppe, e di rappresentare le tribù di Efraim e di Manasse. Il loro legame col patriarca deve però essere stato molto sottile. I Samaritani erano una razza mista, poiché provenivano dai coloni pagani importati dalla Media, da Salmanezer, e dai pochi Israeliti che quel re si lasciò dietro nel paese 2Re 17:24, e anche questo è dubbio, poiché Flavio dichiara che Salmanezer portò via tutta la nazione cattiva in Media e in Persia Antiq. 9:4, 1. Ecco ciò che egli ci dice dei Samaritani: "Quando gli affari degli Israeliti prosperano, si dicono loro parenti, e si chiamano discendenti di Giacobbe; ma se la fortuna non arride ai Giudei, allora dicono di non aver nulla in comune con loro, e di essere un popolo affatto diverso" Flavio Antiq. 9, 4, 3.

PASSI PARALLELI

Giovanni 8:53; Isaia 53:2-3; Matteo 12:42; Ebrei 3:3

13 13. Gesù rispose, e le disse: Chiunque beve di quest'acqua, avrà ancora sete; 14. Ma, chi berrà dell'acqua ch'io gli darò non avrà giammai in eterno sete; anzi, l'acqua ch'io gli darò diverrà in lui una fonte d'acqua sagliente in vita eterna.

La domanda del ver. 12, come già quella del ver. 11 Giovanni 4:11-12, non riceve una risposta diretta; il Signore lascia che la donna indovini la grandezza del Donatore dal valore del suo dono. L'acqua del pozzo di Giacobbe, per quanto eccellente, non poteva soddisfare che un bisogno momentaneo. Poco dopo tornava la sete imperiosa come prima, e una nuova provvista sì doveva attingere dal pozzo. Al contrario, l'acqua che egli offriva era di tal permanenza ed efficacia che chiunque ne beve non ha più mai sete, perché essa diviene in lui una fonte perenne, che supplisce ad ogni suo bisogno. Non è solamente una fonte viva in sé; è una fonte che dà vita eterna a chiunque ne beve. Colle parole "quest'acqua" del ver. 13 Giovanni 4:13, il Signore allude all'acqua naturale del pozzo, ma senza dubbio considerandola come il simbolo di tutte le soddisfazioni di natura consimile, cioè terrene e periture, di tutti i beni temporali e materiali. Queste cose non possono dissetare l'anima, o soddisfare i bisogni di una creatura immortale come l'uomo. Chi beve solo di quelle avrà ancora sete, perché esse non toccano se non la parte superficiale della nostra natura, e non arrivano ai suoi bisogni più profondi. L'acqua che Gesù offre è la vita spirituale che scaturisce direttamente da lui, ed è impiantata e mantenuta viva nel cuore del credente dalla presenza costante, e dall'opera efficace dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo. In questo modo l'anima ha in se stessa una fonte perpetua di vita, che la morte del corpo non distrugge, che ci esce ogni giorno in forza, finché non sia resa perfetta nella gloria eterna, quell'oceano infinito in cui tutti i doni divini raggiungono il loro fine e la loro consumazione. Siccome Cristo è la sorgente di tal vita, quando egli entra nel cuore quale "speranza di gloria" Colossesi 1:27, il credente è, da quel momento, messo in possesso della vita eterna Giovanni 10:28, e non gli mancherà nulla che sia necessario alla sua crescenza in grazia, e alla sua preparazione per la gloria; tale è la promessa significata nelle parole: "non avrà giammai in eterno sete". Esse sono un forte argomento per la perpetuità della grazia, e la perseveranza in fede dei credenti che ne è il frutto; ma esse non dicono punto che chi ha ricevuto quell'acqua di vita più non abbia bisogno di ricevere quotidiane effusioni di grazia, e più non debba aver sete, come Davide, di trovarsi ognor più vicino all'Iddio vivente Salmi 42:2-3. "Chi riceve lo Spirito Santo e la grazia di esso, benché continui a dire ogni giorno: 'dà, dà', e desideri sempre nuove effusioni di grazia, però non sarà mai interamente mancante, né avrà mai difetto di cosa buona alcuna che possa essergli necessaria" (Poole).

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:27,49; Isaia 65:13-14; Luca 16:24

Giovanni 6:35,58; 11:26; 17:2-3; Isaia 49:10; Romani 6:23; Apocalisse 7:16

Giovanni 7:38-39; 10:10; 14:16-19; Romani 5:21; 8:16-17; 2Corinzi 1:22; Efesini 1:13-14

Efesini 4:30; 1Pietro 1:22; 1Giovanni 5:20

15 15. La donna gli disse: Signore, dammi cotest'acqua, acciocché io non abbia più sete, e non venga più qua ad attignerne.

Il suo interesse è alfine svegliato a segno che essa fa ciò che il Signore dice che avrebbe dovuto far subito, cioè domanda l'acqua che egli descrive. E strano che la sua domanda sia stata attribuita, da alcuni, "ad uno spirito sarcastico ed ironico, come se fosse stata fatta parte in beffa, parte sul serio", mentre il titolo "Signore", implica rispetto, e la domanda della donna spira un semplice, ma serio desiderio. Essa fu probabilmente dettata da un bisogno vago, che la donna stessa non avrebbe saputo definire. Vi entrava l'acqua materiale, ma forse v'era pure un desiderio della vita eterna. Essa non può seguire i propri pensieri nelle loro misteriose profondità; ma almeno può domandar quello che le è stato offerto. Il dono le pareva aver due virtù, corrispondenti alla duplice descrizione che ne era stata data. Esso soddisfarebbe ai suoi bisogni personali, l'alleggerebbe di molta fatica giornaliera, e di più diverrebbe una sorgente di benedizioni per altri, dandole il mezzo di soddisfare ai bisogni di quelli cui essa doveva provveder l'acqua per ogni giorno.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:26,34; 17:2-3; Salmi 4:6; Romani 6:23; 8:5; 1Corinzi 2:14; 1Giovanni 5:20; Giacomo 4:3

16 16. Gesù le "disse: Va, chiama il tu o marito, e vieni qua.

Cessa qui il linguaggio figurativo; le parole del Signore si fanno chiare, dirette, personali. L'ordine datole qui è il primo passo per concederle l'acqua viva. Non fu dettato, come stranamente suppongono Grozio ed altri, dal timore di Gesù che sembrasse indecoroso un lungo colloquio con quella donna, imperocché, anche fra i Giudei, tal cosa era proibita solamente ai Rabbini; né dal desiderio che il marito pure approfittasse del suo insegnamento, perché il resto del discorso mostra che quell'ordine non doveva essere eseguito letteralmente, e subito; né tampoco dobbiam supporre, con Godet, che Gesù le parlasse del suo marito non sapendo in qual posizione essa si trovasse, quasiché il suo sguardo profetico non si fosse aperto che quando ella disse: "Non ho marito"; mentre sappiamo che il Signore leggeva sempre i pensieri di quelli coi quali trattava, Vedi Giovanni 1:48; 2:24-25; Marco 2:8 ecc. Lo scopo di Gesù nel chiedere a quella donna di suo marito, era di produrre in essa la convinzione del suo peccato, e di mostrarle la propria divina conoscenza di ogni cosa. Egli penetra nella sua vita più intima, la convince del suo peccato, e la conduce al pentimento, senza il quale la sua domanda: "Dammi di cotest'acqua", non avrebbe mai potuto venirle accordata. Questo convincimento di peccato è pure la prima opera del Consolatore, che Cristo ha ora mandato per la conversione del mondo e l'edificazione della sua Chiesa. "Il darle cotest'acqua non era una cosa così facile come essa supponeva. Prima di tutto, bisogna che il cuore sia messo a nudo dinanzi alla sapienza di Dio, che i peccati segreti sieno svelati 'alla luce della sua faccia' Salmi 90:8, e questo fa qui il Signore" (Alford).

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:18; 1:42,47-48; 2:24-25; 21:17; Ebrei 4:13; Apocalisse 2:23

17 17. La donna rispose, e gli disse: io non ho marito.

Queste parole sono da molti ritenute come una confessione genuina della sua colpa, se non di pentimento; ma non è impossibile che, con queste parole, senza negare la posizione in cui trovavasi, la donna cercasse di evitare il soggetto, non supponendo mai che Gesù conosceva la sua storia. Questo ci pare assai probabile anche dalla cura che essa mette subito dopo a cambiare l'argomento del discorso dalle cose sue personali a un soggetto di controversia, cioè alla rivalità dei santuari di Gerusalemme e di Garizim Giovanni 4:19-20.

Gesù le disse: Hai detto bene: Non ho marito;

"Bene" qui significa veramente, esattamente per quanto almeno significano le parole, ma non suona approvazione. La costruzione delle parole greche: "marito non ho", mette un enfasi ironica sulla parola marito, per far risaltare la riserva mentale che stava nascosta nelle parole della donna.

18 18. Perciocché tu hai avuti cinque mariti, e quello che tu hai ora non è tuo marito; questo hai tu detto con verità.

Il Signore ripete che essa ha detto il vero dichiarando di non aver marito; ma le dà subito a conoscere che gli è nota la sua storia, e la vita di peccato aperto che essa conduceva con un uomo che non l'avea sposata. Egli era il peccato di questa unione scandalosa di cui il Signore aveva voluto convincere la sua coscienza, ammonendola che quel peccato rendeva impossibile per lei la vita eterna. Il fatto che questa donna avea primieramente avuto cinque mariti è stato da molti considerato come un indizio di più di vita peccaminosa; ma non è necessariamente tale. I Samaritani professavano di ubbidire alla legge Mosaica, "al Pentateuco", non meno rigorosamente che i Giudei, e senza dubbio l'abuso scandaloso della legge del divorzio non era meno comune fra loro che fra i loro avversari. I più frivoli pretesti erano sufficienti per rimandar la moglie, Vedi Note Matteo 5:31; Matteo 19:3, dimodoché, in pratica, quella legge divenne per quei popoli la licenza della prostituzione, e la scritta del divorzio non si dava che per salvar l'onore della donna oltraggiata, permettendole di sposare un'altr'uomo. Forse v'era qualche difetto nel carattere di questa donna poiché essa non poteva ritener l'affetto dei suoi mariti; ma sotto un tal regime, se aveva ottenuta la scritta del divorzio, i suoi matrimoni successivi erano perfettamente regolari. E specialmente la sua vita licenziosa, dopo l'ultimo divorzio, che Gesù qui rivela, per risvegliare la morta sua coscienza.

PASSI PARALLELI

Genesi 20:3; 34:2,7-8,31; Numeri 5:29; Ruth 4:10; Geremia 3:20; Ezechiele 16:32

Marco 10:12; Romani 7:3; 1Corinzi 7:10-11; Ebrei 13:4

19 19. La donna gli disse: Signore, io venga che tu sei profeta.

La conoscenza che questo straniero possedeva della vita sua trascorsa, la persuade che egli possedeva una sapienza soprannaturale. Essa lo dichiara profeta, il che non vuol necessariamente dire uno che predice il futuro, ma uno che ha ricevuto una missione divina; e benché essa non sia giunta ancora al punto di fare una piena e penitente confessione, virtualmente e senza volerlo, riconosce la sua colpa, e la verità di quello che Gesù aveva detto del suo passato. Si osservi il cambiamento graduale del suo contegno e del suo linguaggio verso di lui. Prima, impertinente leggerezza Giovanni 4:9, poi, rispetto per la gravità dei suoi modi e la serietà delle sue parole Giovanni 4:11; quindi fede nelle sue parole senza comprenderle Giovanni 4:15; ed ora venerazione qual si deve ad un uomo di Dio (Plummer).

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:29; 1:48-49; 2Re 5:26; 6:12; Luca 7:39; 1Corinzi 14:24-25

Giovanni 6:14; 7:40; 9:17; Luca 7:16; 24:19

20 20. I nostri padri hanno adorato in questo monte; e voi dite che in Gerusalemme è il luogo ove conviene adorare.

È opinione di molti che la dichiarazione della donna, al ver. 19 Giovanni 4:19, contenga la più seria e la più decisa confessione di peccato, e che la questione da lei posta ex abrupto in questo versetto, ben lungi dall'essere un tentativo per sfuggire ai rimproveri del Signore, si spiega dal suo desiderio, ora che la sua coscienza è stata solennemente risvegliata, di ricevere le spiegazioni di questo profeta sulla grande questione religiosa che divideva i loro due popoli, affin di poter scegliere il vero culto. Ma questa spiegazione è forzata e poco naturale. Il domandare tutto ad un tratto istruzioni sopra una questione di controversia religiosa è un modo strano di rispondere al rimprovero diretto del nostro Signore; ma è naturale e dimostra molta presenza di spirito, se essa voleva stornare il discorso dal poco piacevole soggetto della sua vita di peccato. Questa è la spiegazione più soddisfacente delle sue parole. Era rimasta di sasso vedendosi scoperta dal Signore; ma, non sentendosi ancora disposta ad umiliarsi e a confessar la sua colpa, altro non poteva fare che cambiare il soggetto. Come è lento il cuore umano a sottoporsi ad una verace, umiliazione! Spesso vediamo i peccatori mutare conversazione, come questa donna, quando essa comincia ad esser troppo grave per le loro coscienze, e il modo più ordinario consiste nell'intavolare qualche questione speculativa o di controversia, che sembri aver qualche legame colla religione ma non tocchi direttamente allo stato delle anime loro! La questione del culto non era il gran problema che occupava la sua mente, quello del quale domandava a questo profeta la soluzione. Tali questioni non eran di quelle che potessero preoccupare le donne di Samaria, e la vita di costei non era stata tale da far di essa una eccezione alla regola; ma il cuore, che trema sotto lo sguardo di colui che lo legge, "come mai non è stato letto da se stesso", rifugio dalla luce che vien gettata su di esso. "La Samaritana è pronta a parlar di qualunque cosa, fuorché di se medesima" (Plummer). Inconsciamente essa ammette che colui nel quale ha riconosciuto un profeta, le sarà contrario, per simpatia nazionale, nell'argomento che essa ha messo avanti, pure sostiene francamente la tradizione del suo popolo. Il Signore la tratta con consumata sapienza ed infinita tenerezza. Invece di ricondurla al soggetto che l'aveva sgomentata, la segue nel nuovo argomento da essa proposto, e illumina la sua mente sulla spiritualità del vero culto, e di Colui cui vien rivolto, preparando in quel modo gradatamente la strada alla rivelazione di se stesso qual Messia. Colle parole: "in questo monte", la donna indicava il monte Garizim, appiè del quale è scavato il pozzo di Giacobbe. Ma, benché i Samaritani asserissero che ivi Abrahamo aveva offerto Isacco e incontrato Melchisedec, e benché nei loro manoscritti del Pentateuco il nome di Garizim sia stato sostituito a quello di Ebal, come luogo dove Mosè ordinò a Giosuè ed al popolo di innalzare un altare al Signore Deuteronomio 27:4, la loro pretesa di discendere dai patriarchi era affatto favolosa. Dio aveva già indicato a Davide 2Samuele 24:16,18-19,24, e confermato dipoi a Salomone 1Re 9:3, di aver scelto Gerusalemme e il suo tempio, "per mettervi il suo nome in perpetuo"; ed ivi "le tribù del Signore salivano per celebrare il nome del Signore" Salmi 122:4, molto prima che le dieci tribù si ribellassero a Roboamo. Dallo stabilimento del regno di Israele, "dieci tribù", alla sua estinzione per opera di Salmanezer, re di Assiria, il culto dei vitelli d'oro era stato celebrato a Betel e a Dan 1Re 12:29-33, e Garizim non è mai ricordato come luogo sacro. I padri, che questa donna vanta come avendo adorato su quel monte, non potevano essere che i discendenti dei coloni pagani che Salmanezer aveva trapiantati nel regno d'Israele 2Re 17:24, e pei quali, un secolo dopo, Sanballat Horonita costruì un tempio sul monte Gerizim. Di questo fu primo sacerdote Manasse suo genero, fratello di Gioiada, sommo Sacerdote dei Giudei Nehemia 13:28-29, che era stato espulso dal numero dei sacerdoti di Giuda, Flavio Antiq. 11.8, 2, 4.

PASSI PARALLELI

Genesi 12:6-7; 33:18-20; Deuteronomio 27:12; Giosuè 8:33-35; Giudici 9:6-7; 2Re 17:26-33

Deuteronomio 12:5-11; 1Re 9:3; 1Cronache 21:26; 22:1; 2Cronache 6:6; 7:12,16; Salmi 78:68

Salmi 87:1-2; 132:13

21 21. Gesù le disse: Donna, credimi che l'ora viene, che voi non adorerete il Padre né in questo monte, né in Gerusalemme.

Invece di decidere fra le pretese rivali di Gerusalemme e di Garizim, il Signore chiama la sua attenzione sopra una verità nuova, che non apparteneva alle rivelazioni del passato, ma ad una economia superiore che era in sul punto di cominciare. Essa lo aveva riconosciuto come profeta, e colle parole: "Donna, credimi", egli l'invita ora a ricevere le sue parole come quelle di un profeta: "Io ti dico una grande verità, che ti domando di accettare e di credere. Ed era questa, che una nuova dispensazione s'avvicinava, nella quale gli uomini adorerebbero Iddio come Padre, e questo carattere filiale li emanciperebbe da tutte le barriere delle religioni antiche. Venuto quel tempo, né Gerusalemme, né Garizim, né alcun altro luogo potrà pretendere di essere esclusivamente scelto e consacrato per il culto di Dio". E sollevando i pensieri di quella donna dal luogo del culto al suo glorioso oggetto, le sue parole suonano pure: "il culto del Padre si stabilirà tosto dappertutto; perciò la questione che hai messa avanti cesserà presto di aver qualsiasi importanza".

PASSI PARALLELI

Ezechiele 14:3; 20:3

Malachia 1:11; Matteo 18:20; Luca 21:5-6,24; Atti 6:14; 1Timoteo 2:8

Giovanni 4:23; 14:6; Matteo 28:19; Efesini 2:18; 3:14; 1Pietro 1:17

22 22. Voi adorate ciò che non conoscete;

La domanda della donna implicava più che il luogo del culto; si riferiva pure all'oggetto di esso, e su questo punto il Signore non esita a dar ragione ai Giudei. I Samaritani, col ricevere, quale rivelazione di Dio, i soli libri di Mosè, e col rigettare tutti gli scritti dei profeti, non potevano, giungere alla conoscenza di un Dio personale, e dello sviluppo del piano della salute annunziato nella prima promessa fatta ad Adamo ed Eva nell'Eden Genesi 3:15, e conservavano solo una conoscenza astratta degli attributi divini. Anche purificata della sua mescolanza originaria, colla idolatria, la religione dei Samaritani rimase sempre una religione mutilata; oscurità del Pentateuco non essendo illuminate per essi dalle rivelazioni più chiare dei profeti, e perciò, di fronte alla religione giudaica, ben la si poteva descrivere come una ignoranza. Oltre a ciò, i Samaritani non potevano indicare nessun passo della Scrittura, nessuna rivelazione di Dio, che sanzionasse il loro culto. Esso non era che una invenzione umana; niente li accertava che fosse accettevole a Dio. Gesù condanna il loro culto al tempo stesso nel suo oggetto e nel suo modo non autorizzato, colle parole: "Voi adorate ciò che non conoscete".

noi adoriamo ciò che noi conosciamo;

Il caso dei Giudei era tutt'altro. La caratteristica essenziale di tutta la storia giudaica, e di tutte le profezie, consisteva nel condurre al Messia, del quale i profeti rivelavano più chiaramente, l'uno dopo l'altro, la natura spirituale del suo regno; sicché chiunque leggeva con intelligenza quelle profezie doveva persuadersi che la salvezza del mondo non poteva venire adempiuta se non da un discendente di Giuda. Di ogni Giudeo adunque, che riceveva e intendeva "gli oracoli di Dio", si poteva dire che egli conosceva ciò che adorava, ed egli è perché il Signore parla di quella conoscenza di Dio, ricavata dalle Scritture, che era posseduta dai Giudei, che egli dice: "ciò che noi conosciamo". La parola noi in questo passo ha un interesse speciale. Gesù non parla di se stesso e di altri individui; bensì di se stesso e della nazione dei Giudei, dei quali è uscito, secondo la carne, il Cristo Romani 9:5. È questa quasi l'unica occasione nella quale Gesù identifica se stesso con altri uomini, e questo solo riguardo alla famiglia cui, come uomo, egli apparteneva; e per condiscendenza verso quella donna parla di sé stesso, quale appariva a lei, cioè come appartenente alla nazione giudaica. "Io e gli altri Giudei conosciamo quello che adoriamo".

conciossiaché la salute sia dalla parte de Giudei

La salute è enfatico, e indica quella salvazione annunziata e sospirata, che doveva venir compiuta dal Messia, o più probabilmente ancora indica "il Salvatore stesso", imperocché, secondo la profezia, egli doveva nascere fra i Giudei, Vedi Michea 5:2. Benché i Giudei non conoscessero il tesoro che possedevano, erano i depositari della verità spirituale per il mondo intero; e in un senso assai più profondo che essi stessi non sapevano, "la salute era dalla parte dei Giudei" Confr Isaia 2:3; Michea 4:2; Romani 3:2; 9:4-5. "Per corrotti e malvagi che fossero i Farisei e gli Scribi, Gesù dichiara vera e conforme alla Scrittura la religione giudaica. È questa una prova dolorosa che una Chiesa può ritenere la verità ortodossa, eppur trovarsi sulla via della distruzione" (Ryle).

PASSI PARALLELI

2Re 17:27-29,41; Esdra 4:2; Atti 17:23,30

2Cronache 13:10-12; Salmi 147:19; Romani 3:2; 9:5

Genesi 49:10; Salmi 68:20; Isaia 2:3; 12:2,6; 46:13; Sofonia 3:16-17; Zaccaria 9:9

Luca 24:47; Romani 9:4-5; Ebrei 7:14

23 23. Ma l'ora viene, e già al presente è, che i veri adoratori adoreranno il Padre

Questo versetto è unito coi due precedenti: con Giovanni 4:22 dalla parola "ma, però", che qualifica "noi adoriamo ciò che conosciamo", e ce lo presenta come uno stato religioso imperfetto, destinato ad essere rimpiazzato da uno stato migliore; e con Giovanni 4:21, poiché ripete e spiega il culto del vero Dio nel suo carattere di Padre, "nome non più limitato a un popolo eletto, ma che offre ad ogni uomo una relazione personale con Dio", che in quel versetto egli aveva rivelato alla Samaritana. "L'ora viene" accenna al giorno non molto distante della sua risurrezione, dell'ascensione e della discesa dello Spirito Santo, quando tutti i credenti conoscerebbero Iddio come un Dio riconciliato, e lo chiamerebbero: "Abba, padre"; quando, in una parola, la dispensazione cristiana sarebbe appieno stabilita. Ma l'aggiunta: "e già al presente è", indica che quell'ora già è cominciata, mediante il ministero di Gesù e la ragione che egli ha dato a quanti avranno creduto in lui, "d'esser fatti figliuoli di Dio" Giovanni 1:12. I "veri adoratori" sono distinti dagli ipocriti che rendono a Dio un culto apparente ma non sincero il nome dei quali in tutti i tempi è stato "Legione", e da tutti quelli che erano morti prima di Cristo, il cui culto era necessariamente imperfetto, se non affatto erroneo. Quei veri adoratori non apparterranno più ad un paese speciale, non saranno esclusivamente Giudei, o Samaritani o Gentili; ma le profezie riguardo a loro di Geremia 3:14; Malachia 1:11, verranno allora appieno adempiute spiritualmente.

in ispirito, e verità;

Queste parole ci danno la caratteristica del vero culto. Esse contengono l'espressione di un sentimento, e un certo concetto dell'oggetto per il quale questo sentimento è nutrito. Sotto la dispensazione del Nuovo Testamento, nessun culto accettevole può venir reso a Dio, salvoché nel nome di Cristo, e sotto l'influenza dello Spirito Santo; non è però dello Spirito che il Signore parla qui, bensì della parte mentale o intellettiva dell'uomo in contrasto colla sua natura materiale e carnale, "degli elementi più profondi dell'anima umana, mediante i quali egli può stare in comunione col mondo spirituale" (Godet).

Culto "in ispirito" vuol dunque dire culto del cuore, in opposizione ad ogni culto formale, materiale o carnale, consistente solo di riti, di offerte, di sacrifici ecc. Il tempo, il luogo, le attitudini, le rubriche non sono l'essenza della religione; e come tutte le cose esterne, sono importanti solo in quanto allontanano i nostri pensieri dal mondo esterno, e innalzano il nostro spirito a Dio, ma divengono dannose, se in esse si fa consistere l'essenza della religione. Per "verità", relativamente al culto, dobbiamo intendere quella che nel senso più elevato della parola corrisponde alla natura di Dio, ed è conforme all'assoluta sua santità. Ma la verità contrasta pure con ciò che è solo ombra, non realtà, e in questo senso fa qui opposizione ai tipi, alle ombre, alle figure, agli emblemi sotto i quali, fino al tempo di Cristo, era stato praticato il culto giudaico. "in ispirito" è il culto del cuore, in opposizione a quello delle labbra, e alla devozione formale; "in verità" è la piena luce della dispensazione cristiana, in opposizione al crepuscolo della legge di Mosè (Ryle).

perciocché anche il Padre domanda (ricerca) tali che l'adorino,

Qui abbiamo una ragione per la regola ora annunziata rispetto al culto. È volontà del Padre nostro celeste che così sia, e si noti con qual bontà e qual condiscendenza il Signore ce lo fa conoscere. Non ci dice che Dio comandi, o anche solo aspetti, "come cosa che gli è dovuta", tali adoratori; bensì che egli stesso ne fa ricerca, come uno che desidera ardentemente tali adoratori in terra, benché angeli e santi gli tributino eterni omaggi in cielo! Egli sa che cosa sia il vero culto, il culto che scaturisce dal cuore e dall'anima, che impegna tutti gli affetti, e tal culto e tali adoratori egli va cercando. Non è punto impossibile che, dicendo tali parole, il Signore pensasse a quella donna. Se essa desidera veramente divenire una adoratrice in ispirito non occorre che si dia pensiero delle differenze fra il culto dei Giudei e quello dei Samaritani.

PASSI PARALLELI

Giovanni 5:25; 12:23

Isaia 1:10-15; 26:8-9; 29:13; 48:1-2; 58:2,8-14; 66:1-2; Geremia 7:7-12

Matteo 15:7-9; Luca 18:11-13

Romani 1:9; 8:15,26; Galati 4:6; Efesini 6:18; Filippesi 3:3; Giuda 20-21

Giovanni 1:17; Giosuè 24:14; 1Samuele 12:24; 1Cronache 29:17; Salmi 17:1; 32:2; 51:6; Isaia 10:20

Geremia 3:10; 4:2

Salmi 147:11; Proverbi 15:8; Cantici 2:14; Isaia 43:21; Ezechiele 22:30; 1Pietro 2:9

24 24. Iddio è spirito; perciò, convien che coloro che l'adorano l'adorino in ispirito e verità.

Oltre alla ragione enunciata nella fine di Giovanni 4:23 per un culto spirituale, che cioè tale è la, volontà di Dio, il Salvatore ne aggiunge qui una seconda, dichiarando che un tal culto è conforme alla natura dell'Essere glorioso cui vien tributato. Le parole: "Iddio è spirito" non ci ragionano della sua personalità, ma dell'essere suo astratto, della natura stessa della sua divina essenza, assolutamente libera da ogni limitazione di tempo o di spazio. Abbiam qui la definizione più sublime, eppur più chiara della natura di Dio, che si trovi in tutta la Bibbia; ma, oimè, come poco comprendiamo tutto ciò che essa contiene! A noi conviene quella riverenza che riempiva il cuore di Giobbe, quando egli cercava di comprendere la natura dell'Altissimo Giobbe 11:7-9; 26:14. Però, l'insegnamento pratico di questo versetto ha per oggetto il culto da offrirsi a Dio. Niente che non sia culto in ispirito e in verità può essere veramente culto di Dio, perché "Dio è spirito"; non è dunque il corpo, ma solo lo spirito dell'adoratore che può cercare e trovare la presenza Spirituale di Dio, ed è un tale incontro con Dio in Cristo che caratterizza i veri adoratori. Milligan osserva giustamente che in questo passo meraviglioso Giovanni 4:23-24 trovansi concentrate non poche delle verità più essenziali del Nuovo Testamento: "Lo sviluppo storico del piano divino della salute, la preparazione del Cristianesimo mediante il Giudaismo, l'idea di progresso dall'esterno all'interno, dal sensibile allo spirituale 1Corinzi 15:46, l'indipendenza delle forme che segna l'essenza della religione, mentre però essa rimane libera di vestirsi di forme, purché lo spirito non sia perduto, ecco le lezioni qui insegnate".

PASSI PARALLELI

2Corinzi 3:17; 1Timoteo 1:17

1Samuele 16:7; Salmi 50:13-15,23; 51:17; 66:18; Isaia 57:15; Matteo 15:8-9

2Corinzi 1:12

25 25. La donna gli disse: io so che il Messia, il quale è chiamato Cristo, ha da venire;

A prima vista sembra strano che una Samaritana parli del Messia, poiché la sua nazione rigettava tutte le scritture profetiche; ma nel Pentateuco trovansi vari passi messianici, e specialmente, nel Deuteronomio 18:15,18-19, la promessa di Mosè "di un profeta simile a lui". Fondandosi su questa promessa, essi aspettavano o Mosè stesso, o qualcuno investito della medesima sua autorità, e lo chiamavano in quei giorni "ashaeb, Colui che ritorna"; ed ora el muhdy, "la Guida". Che il titolo giudaico di questo profeta aspettato, "Messia", fosse familiare ai Samaritani anche sotto la sua forma greca "il Cristo", è chiaro non solo dall'uso che di entrambi questi nomi fa la donna, parlando con Gesù; ma dall'uso che ne fanno pure i suoi concittadini Giovanni 4:29 e questo toglie la necessità di supporre che le parole: "il quale è chiamato Cristo", sieno una spiegazione parentetica dell'Evangelista, tanto più, che una tale spiegazione egli l'avea data già per i suoi lettori non giudei, in Giovanni 1:14. L'aspettativa di un grande liberatore non era limitata ai Giudei; la dividevano senza dubbio i Samaritani, poiché anche autori profani ci dicono che, a quell'epoca, essa prevaleva in tutto l'oriente.

quando esso sarà venuto, ci annunzierà ogni cosa

Questa aspettazione generale del Messia conduce naturalmente la Samaritana a parlar di lui come del gran Profeta che illuminerebbe la sua mente, e toglierebbe qualsiasi confusione ingenerata in lei dalle strane, rivelazioni che questo forestiere aveale fatte. Il suo cuore ne desidera la venuta, forse chiedeva a se stessa se già non si trovasse dinanzi a lui. Nella sua sapiente bontà, il Signore avevala condotta passo, passo dalla sua misera condizione di prima, ad uno stato d'animo e di cuore che la rendeva atta a ricevere le più sublimi rivelazioni. Le parole: "ci annunzierà ogni cosa" manifestano il concetto che questa donna facevasi del Messia. Per lei egli doveva essere un profeta, non un re, concetto incompleto senza dubbio, poiché Gesù già aveva assunto il suo triplice uffizio di profeta, sacerdote e re; ma che pur presentava un notevole contrasto colle nozioni mondane e politiche dei Giudei, riguardo al Figliuol di Davide.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:42; 1:41-42,49; Daniele 9:24-26

Giovanni 4:29,39; Deuteronomio 18:15-18

26 26. Gesù le disse: io, che ti parlo, son d'esso.

Queste parole sono la dichiarazione più completa che il Signore abbia mai fatta di essere il Messia, "per quanto almeno ci dicano i Vangeli", assai più completa di quante egli fece mai ai propri concittadini giudei ma egli sapeva che il cuore cui l'affidava era pronto a riceverla. Coi propri connazionali occorreva esser più riservato, per non suscitare illusioni pericolose, che potevano ritardare la sua missione, e mettere in pericolo i suoi seguaci, Giovanni 6:15; Matteo 8:4; 16:20 ma non v'era pericolo alcuno nel farsi conoscere a quella donna, perché i Samaritani non aspettavano come Giudei un Messia di carattere politico; mentre, per evitar qualsiasi gelosia, era più sicuro per lui proclamare apertamente il suo vero carattere. Di più, il tempo che poteva passare in Samaria era breve, le anime da salvare molte, né forse si sarebbe più presentata una occasione così propizia. Queste considerazioni spiegano il fatto meraviglioso che Cristo si dichiarò così presto e così chiaramente alla donna di Samaria. Persino ai tre discepoli prediletti Cristo non rivela verità più profonde di quelle che annunziò a questa povera donna. Egli la conduce alla sorgente della religione! E che una tal rivelazione sia stata fatta ad una donna di quel carattere è uno dei più mirabili esempi di grazia e di condiscendenza che troviamo nel Nuovo Testamento.

PASSI PARALLELI

Giovanni 9:37; Matteo 16:20; 20:15; 26:63-64; Marco 14:61-62; Luca 13:30; Romani 10:20-21

27 Giovanni 4:27-42. RITORNO DEI DISCEPOLI, E CONVERSAZIONE DI CRISTO CON LORO. LA DONNA CORRE A SICHEM PER ANNUNZIARVI LA GRANDE NOTIZIA. AL SUO INVITO, I SUOI CONCITTADINI ACCORRONO A GESÙ E SONO CONVERTITI DALLA SUA PAROLA

27. E in su quello, i suoi discepoli vennero, e si meravigliarono ch'egli parlasse con una donna; ma pur niuno gli disse: Che domandi? o: Che ragioni con lei?

Fatte le loro compre Giovanni 4:8, i discepoli tornarono subito al loro Maestro, e stupirono vedendolo parlare con una donna samaritana. Alcuni spiegano la loro maraviglia, supponendo che il Signore avesse violato il precetto giudaico che proibiva alla donna di parlare con un rabbino; ma i discepoli ben sapevano che Gesù non si credeva legato dalle tradizioni dei padri, "e le violava qualunque volta esse annullavano la legge", o facevano ostacolo alla sua missione di "salvare ciò che era perito"; perciò quella ipotesi si può abbandonare. Il loro stupore aveva piuttosto la sua sorgente nel disprezzo che, essi, insieme ai loro concittadini in generale, nutrivano per la inferiorità dell'intelletto della donna, che essi supponevano incapace di istruirsi, e un tal sentimento doveva esser più intenso ancora verso una Samaritana. Dicevano i rabbini che "era meglio bruciare le parole della legge, anziché affidarle alle donne!" il loro stupore fa nascere due domande nella loro mente, una, come alcuni suppongono, riguardo alla donna, l'altra riguardo al loro Maestro, benché sia più probabile che entrambe si riferiscano a lui. "Domandava egli qualche servizio a questa straniera? O era possibile che le avesse parlato come profeta?" Le parole: "ma pur niuno disse", mostrano la profonda riverenza dei discepoli per il loro Maestro ed ogni suo atto, sin dal principio del suo ministero; perfino quando portavano qualche giudizio su di lui non si attentavano a proferirlo, ma aspettavano che egli si degnasse spiegare loro ogni cosa.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:9; Luca 7:39

28 28. La donna adunque, lasciata la sua secchia se ne andò alla città, e disse alla gente:

L'arrivo di questi stranieri le fece sentire che era tempo per lei di ritirarsi; quel discorso con Gesù era stato troppo sacro, e di effetto troppo potente su di lei per poterlo continuare in presenza di altri. Giovanni ricorda un particolare minuto, che egli osservò come testimone oculare, cioè che essa si lasciò dietro la sua secchia. La stessa parola serve a indicare le "pile" nella casa di Cana di Galilea, dove il Signore fece il suo primo miracolo. Essa non indica un vaso piccolo da bere, ma una brocca grande quali le donne orientali usano portare in sul capo tuttodì. Nella sua fretta di arrivare alla città, quel vaso sarebbe stato un impedimento; lasciandolo, dava a conoscere di voler tornar presto. Forse, come suppone Lightfoot, lo lasciò pure affinché Gesù e i suoi discepoli potessero servirsene durante la sua assenza. O forse, ancora il suo cuore e la sua mente erano così pieni di quanto avea udito "dell'acqua viva, saliente in vita eterna", ed era tanto ansiosa di far note queste cose ai suoi concittadini, che non si ricordò più del motivo per cui era venuta al pozzo di Giacobbe. Lo zelo missionario che abbiamo ammirato in Giovanni e in Andrea, non appena furono i loro cuori aperti a ricevere Gesù come Messia Giovanni 1:41,43, è pure cospicuo in questa donna. Per quanto sapesse di esser poco stimata dai suoi concittadini a motivo della sua vita passata, per quanto sapesse che le parole di una donna sulla religione non potessero venir molto ascoltate, il fuoco che bruciava in lei la costrinse a spargere le buone nuove dell'arrivo del glorioso profeta che essa aveva incontrato. Che sia andata fino a Sichem, o solo nel vicino villaggio di Sichar, essa proclamò il suo messaggio a quanti incontrò nelle strade, aggiungendo il pressante invito.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:7; Matteo 28:8; Marco 16:8-10; Luca 24:9,33

29 29. venite, vedete un uomo che mi ha detto tutto ciò ch'io ho fatto;

L'effetto prodotto sulla sua coscienza dalle parole di Cristo spiega l'esagerazione delle sue proprie. Anche concedendo che Gesù le avesse svelato altri particolari della sua vita che l'Evangelista non ci ha riferiti, essa non può voler dire che Gesù le abbia raccontato per filo e per segni tutti gli eventi del suo passato. Per la sua coscienza però era come se egli avesse fatto così. Era convinta che egli sapeva ogni cosa, e la rivelazione speciale che egli le avea fatto equivaleva per lei al dirle tutto, perché con quelle parole egli aveva evocato dinanzi agli occhi suoi tutta la sua vita trascorsa. Avendo fatto dividere ai suoi concittadini la potente impressione prodotta sopra di lei dalla meravigliosa conoscenza di quel forestiero, li invita a venire e a giudicare da se stessi se le sue parole fossero vere; e il suo invito è fatto colle parole stesse di Filippo a Natanaele: "vieni e vedi" Giovanni 1:46.

non è costui il Cristo?

La forma grammaticale di questa domanda suggerisce una risposta negativa, e dovrebbe venir tradotta: "È egli possibile che costui sia il Cristo?" Potrebbe mai una si grande benedizione venir accordata a noi? Vedi un altro esempio Matteo 12:23. La donna, in quanto a sé, non aveva dubbio alcuno; ma essa fa la sua domanda in questa forma modesta, per tema che, riferendo quanto Gesù le avea detto di se medesimo, i suoi concittadini non le prestassero fede, e fors'anche la deridessero e si beffassero di lei. Intanto era certo che, se solo fossero venuti e avessero giudicato da se medesimi sarebbero giunti alle stesse sue conclusioni. Qual tatto meraviglioso essa spiega nel porre in tal modo la questione! Essa domanda loro di venirle in aiuto per poter giudicar meglio di Gesù, e non pretende punto far loro da maestra; così disarma i loro pregiudizi e attrae la loro attenzione sul soggetto, nel modo più effettivo.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:17-18,25; 1:41-49; 1Corinzi 14:24-25; Apocalisse 22:17

30 30. Uscito adunque della città, e vennero a lui.

il Signore sapeva quello che questa donna aveva in cuore partendo, e benedisse l'opera sua. Qual contrasto fra i Samaritani di Sichem pronti a investigare, e la durezza dei Giudei che respingono ogni evidenza! La loro condotta nell'accorrere in folla a Gesù presso il pozzo di Giacobbe, è simile a quella dei Berrei, ai tempi di Paolo Atti 17:11. Questo versetto ha per scopo, in parte, di farci vedere il successo dell'appello di quella donna, e come i Samaritani fossero preparati a ricevere l'evangelo; mentre serve pure a spiegare le parole di Gesù di Giovanni 4:35.

PASSI PARALLELI

Isaia 60:8; Matteo 2:1-3; 8:11-12; 11:20-24; 12:40-42; 20:16; Luca 17:16-18

Atti 8:5-8; 10:33; 13:42; 28:28; Romani 5:20

31 Giovanni 4:31-38. CONVERSAZIONE DI GESÙ COI SUOI DISCEPOLI, QUANDO RICUSÒ DI PRENDER CIBO

31. Or in quel mezzo i suoi discepoli lo pregavano, dicendo: Maestro (Rabbi), mangia.

In questi versetti, l'Evangelista riferisce quello che avvenne al pozzo, fra la partenza della donna e il suo ritorno, accompagnata dai suoi concittadini. I discepoli, andando nella città per comprar da mangiare, aveano lasciato Gesù affamato e stanco al tempo stesso; ora che hanno recate alcune provviste, il loro affetto li spinge ad esortarlo a prendere qualche ristoro. Nel loro desiderio di provvedere ai bisogni corporei del loro Maestro, dimenticano di chiedergli di che parlasse con quella Samaritana.

PASSI PARALLELI

Genesi 24:33; Atti 16:30-34

32 32. Ma egli disse loro: io ho da mangiare un cibo, il qual voi non sapete.

"Dal principio del suo ministero, Gesù non aveva forse mai provato una gioia simile a quella che, in quel momento, riempiva il suo cuore; essa gli dava una vita nuova anche dal punto di vista fisico" (Godet). Il senso di queste parole di Gesù è evidentemente figurativo. Nel comunicare il pane e l'acqua di vita a questa povera donna, "aliena dalla repubblica d'Israele, e straniera dei patti della promessa" Efesini 2:12, egli aveva completamente dimenticato la propria fame; l'anima sua era soddisfatta da un cibo e da un sostentamento spirituale di cui i suoi discepoli non avevano idea alcuna. Non occorre punto supporre che il Signore parli qui di qualche cibo che gli fosse stato recato miracolosamente. Le sue parole significano semplicemente che, nel far del bene, egli trovava una tal delizia e un così gran conforto, che ciò era per lui come mangiare e bere. "I pronomi io e voi segnano chiaramente il contrasto fra i suoi pensieri e quelli dei discepoli in quell'istante. In quanto a me, ho mangiato, tutto questo tempo, e tal cibo che voi non sognate neppure" (Brown).

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:34; Giobbe 23:12; Salmi 63:5; 119:103; Proverbi 18:20; Isaia 53:11; Geremia 15:16

Atti 20:35

Salmi 25:14; Proverbi 14:10; Apocalisse 2:17

33 33. Laonde i discepoli dicevano l'uno all'altro: Gli ha punto alcuno portato da mangiare?

I loro pensieri sono carnali. Non capiscono di qual cibo Gesù intende parlare, più di quel che Nicodemo non intendesse la nuova nascita. Cominciano dunque a domandare l'uno all'altro se quella donna o qualche altra persona gli avesse forse portato da mangiare, mentre erano lontani. Benché le loro parole non giungano all'orecchio di Gesù, egli indovina i loro pensieri e subito risponde.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:6-11; Luca 9:45

34 34. Gesù disse loro: il mio cibo è, ch'io faccia la volontà di colui che mi ha mandalo, e ch'io adempia l'opera sua.

"La volontà di Dio", se ci ricordiamo l'avvenuto risveglio spirituale di quella donna, mediante la sua conversazione con Gesù, "deve intendersi qui della salute delle anime, che periscono, e del raccogliere nel regno di Dio di quelli che giacciono nelle tenebre. Fare ogni giorno quella "volontà", e adempierla perfettamente, in ultimo, dando se stesso, per addurre a gloria molti figliuoli e figliuole, non era solamente lo scopo, la delizia, il ristoro di Gesù, era lo stesso suo cibo, senza il quale egli non avrebbe potuto vivere, ma del quale, durante l'assenza dei discepoli, l'anima sua era stata "saziata come di grasso e di midolla". E in che consisteva questo cibo? Primieramente nella condiscendenza, nella compassione, nella pazienza, e nella sapienza da lui spiegata verso quella donna così meschina e così indegna. Ma Gesù sapeva che lo aspettava qualcosa di più; lo rallegrava la prospettiva di salvare molte altre anime in Samaria; e la gioia di veder così presto "il beneplacito del Signore prosperare nelle sue mani", non solo lo alzò al disopra della fame, ma lo condusse ad animare pure, mediante una bella e naturale figura, i suoi discepoli, ad entrar con zelo nell'opera di Dio per la salvezza delle anime.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:32; 6:33,38; Giobbe 23:12; Salmi 40:8; Isaia 61:1-3; Luca 15:4-6,10; 19:10

Atti 20:35

Giovanni 5:36; 17:4; 19:30; Ebrei 12:2

35 35. Non dite voi che vi sono ancora quattro mesi infino alla mietitura ecco, io vi dico: Levate gli occhi vostri, e riguardate le contrade, come già son bianche da mietere.

V'ha qui contrasto fra la prospettiva, ancora alquanto lontana, della ricolta naturale e la ricolta spirituale che tosto doveva farsi in quei medesimi campi attorno a Sichem. Benché Alford ed alcuni altri sostengano che Gesù non intende parlar qui della messe naturale che andava crescendo, le loro ragioni non reggono dinanzi al consenso generale dei commentatori, i quali spiegano così le sue parole: il 16 di Nizam, che corrisponde al principio di Aprile (Vedi Kitto: Enciclopedia di letteratura biblica, all'articolo. MESI), facevasi nel tempio, l'offerta della primizia, e questo era il segnale dei lavori della ricolta in tutto il paese. Il Signore attraversò la Samaria verso la fine di Dicembre o il principio di Gennaio, quando le raccolte erano tuttora verdeggianti. Se l'attenzione dei discepoli fosse stata diretta a quelle, avrebbero detto senza dubbio "la ricolta non comincerà che fra quattro mesi"; ma se avessero capito il significato spirituale delle parole del loro Maestro, quanto più distante sarebbe loro comparso il giorno, in cui i Samaritani sarebbero entrati nel regno di Dio! Ora invece il Signore ordina loro di alzar gli occhi e di considerar quelle campagne dal punto di vista della coltura delle anime e di credere che in quel momento stesso divenivano bianche da mietere. Senza dubbio, Gesù disse questo, pensando ai Samaritani che accorrevano a lui. La semplice bellezza delle sue parole, non è sorpassata che dall'ardente emozione che esse ci permettono di leggere nell'anima stessa del Redentore. "Ei vide la preparazione dei loro cuori, l'impressione fatta dalle parole della donna, la fede che le proprie sue parole susciterebbero nelle anime loro, anzi previde una messe più gloriosa assai dell'opera di quel giorno, quella cioè della salvezza del mondo" (Milligan).

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:30; Matteo 9:37-38; Luca 10:3

36 36. Or il mietitore riceve premio e ricoglie frutto in vita eterna; acciocché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme.

In questo versetto, il Signore sembra parlare del campo del mondo in generale, e pronunzia una promessa che dev'essere di grande incoraggiamento a quanti lavorano nell'opera sua. Godet riferisce quelle parole all'opera di quel giorno solo, nel quale il Signore era stato il seminatore, e i discepoli i mietitori, e perciò entrambi si rallegrerebbero insieme dell'opera loro; ma a questa interpretazione obiettiamo che non c'è prova alcuna della compartecipazione attiva dei discepoli nell'opera di quel giorno, "ammenoché non abbiano forse battezzato i nuovi convertiti", anzi la testimonianza dei Samaritani Giovanni 4:42 è chiaramente che, per essi, Gesù fu al tempo stesso il seminatore e il mietitore. Siccome il Signore non può voler dire che il mietitore solo riceve un premio personale, mentre il seminatore sarebbe rimandato colle mani vuote, preferiamo la spiegazione di Brown, che cioè il premio altro non può esser quì, se non la gioia provata dal mietitore nell'avere una tanta raccolta da mietere, raccolta, nella quale le anime salvate sono il grano, e la vita eterna il granaio. Ma, siccome senza seminagione non v'ha ricolta, è evidente che nella felice conclusione di tutta l'opera, il seminatore che "va piangendo mentre porta la semenza comprata a prezzo" Salmi 126:6 ha il medesimo interesse che il mietitore, imperocché il risultato è il frutto dell'opera di entrambi. O non sarebbe forse questa l'idea: che siccome il premio del seminatore è sicuro, essendo il frutto dell'opera sua evidente nel campo giunto a maturità così non manca più che quello del mietitore nel raccogliere, affinché entrambi possano rallegrarsi insieme Nell'un modo come nell'altro, il Signore insegna qui che la gioia del gran giorno della ricolta, alla fine del mondo, e in tutta l'eternità, sarà comune a quanti avranno avuto parte nell'opera, dal principio infino alla fine Amos 9:13.

PASSI PARALLELI

Proverbi 11:30; Daniele 1; 2:3; Romani 1:13; 6:22; 1Corinzi 9:19-23; Filippesi 2:15-16; 1Tessalonicesi 2:19

1Timoteo 4:16; 2Timoteo 4:7-8; Giacomo 5:19-20

1Corinzi 3:5-9

37 37. Conciossiaché in questo quel dire sia vero: L'uno semina, e l'altro miete.

Era questo un proverbio usuale fra gli Ebrei e fra i Greci, ed esprimeva ordinariamente il disinganno e l'amarezza della vita, e l'instabilità delle ricchezze. Il Signore riconosce la verità di questo proverbio nel suo senso mondano; ma, da quanto ha detto in Giovanni 4:36 e dall'esempio che porterà in Giovanni 4:38 egli ci dichiara il suo significato reale e completo, nella gioia reciproca del mietitore e del seminatore. Nel campo dell'evangelo accade spesso, benché non sempre, che uno getta la semenza, e perché tarda a maturare, un altro ne raccoglie il frutto; ma anziché mostrar dall'una parte l'amarezza della speranza delusa, e dall'altra la esaltazione del successo personale, gli operai si ricordino che sono necessari l'uno all'altro, perché entrambi sono impegnati nella medesima opera, e insieme ne riceveranno il premio: "Quelli che avranno giustificati molti risplenderanno come le stelle in sempiterno" Daniele 12:3.

PASSI PARALLELI

Giudici 6:3; Michea 6:15; Luca 19:21

38 38. io vi ho mandati

Il passato vien qui usato probabilmente a modo di prolessi per: "io vi mando", caso non raro nella Scrittura, specialmente quando il Signore parla di una cosa che deve farsi. O, se si deve mantenere il senso passato, Gesù, parlando enfaticamente qual Signore della ricolta intera, si riferisce alla già avvenuta loro vocazione all'apostolato, benché essi non ebbero parte alcuna nella conversione dei Samaritani.

a mietere ciò intorno a che non avete faticato;

il loro campo doveva essere prima di tutto la Giudea, la Galilea e la Samaria, ed essi non avevano avuto parte alcuna nel preparare il suolo, o nel gittar la semenza nei cuori degli abitanti di quei paesi.

altri han faticato, e voi siete entrati nella loro fatica

Gli altri, sono senza dubbio Mosè, i profeti e Giovanni Battista, i quali tutti avevano lavorato al tempo loro e secondo il mandato loro affidato, per preparare il popolo del patto a ricevere il Messia e il regno di Dio. In queste parole, abbiamo una illustrazione pratica del proverbio di Giovanni 4:27, dove altri seminarono, Cristo manda i suoi discepoli a mietere; dove essi dovevano poi seminare sul duro terreno delle genti, altri a loro turno ne raccoglieranno il frutto nella conversione dei Gentili; ma in ogni caso, "il seminatore e il mietitore si rallegreranno insieme".

PASSI PARALLELI

Atti 2:41; 4:4,32; 5:14; 6:7; 8:4-8,14-17

Giovanni 4:1-7; 2Cronache 36:15; Geremia 44:4; Matteo 3:1-6; 4:23; 11:8-13; Atti 10:37-38,42-43

1Pietro 1:11-12

39 Giovanni 4:39-42. I SICHEMITI SONO CONDOTTI ALLA FEDE DALL'INSEGNAMENTO DI GESÙ A LORO DOMANDA, EGLI SI FERMA DUE GIORNI IN QUELLA CITTÀ

39. Or di quella città molti dei Samaritani credettero in lui, per le parole della donna che testimoniava: Egli mi ha dette tutte le cose che io ho fatte.

Abbiam qui una bella conferma del detto di Gesù: "le contrade son bianche da mietere" Giovanni 4:35. Gli uomini della città diedero ascolto con prontezza e senza pregiudizi alla ripetuta testimonianza della donna, relativamente a questo straniero, che aveva denudata tutta la vita di lei e le avea annunziata l'acqua di vita saliente in vita eterna. Accettando come vere le sue dichiarazioni, credettero, senz'altro, che un uomo possessore di una tal conoscenza doveva essere un profeta, seppur non era, come essa suggeriva, il Messia medesimo. Pieni di curiosità, desiderosi di udire da se stessi quello che egli insegnava, uscirono dalla città e vennero a Gesù al pozzo di Giacobbe. La fede loro, mentre ascoltavano la donna, può essere stata meramente intellettuale; ma fu fede salutare quella che produssero in loro le parole di Gesù medesimo. Questo versetto ci fa vedere l'importanza della testimonianza resa dall'uomo all'evangelo di Cristo. Le parole di una debole donna servirono a svegliar la fede in molte anime. Stiamo in guardia contro la tendenza a disprezzare i mezzi perché ci sembrano deboli e impotenti per far del bene!

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:41-42; 11:45

Giovanni 4:29,42

40 40. Quando adunque i Samaritani furon venuti a lati, lo pregarono di dimorare appresso di loro; ed egli dimorò quivi due giorni

Non ci vien data la sostanza delle cose dette loro dal Signore; ma l'effetto potente delle sue parole si vede dalla loro ardente domanda che si fermi nel loro paese, se non per sempre, almeno per un tempo. Egli accettò con piacere la loro ospitalità, e dimorò quivi due giorni, raccogliendo anime nel regno di Dio. Nello stesso modo, egli è tuttodì pronto a prender dimora nel cuore di tutti quelli che lo cercano con verità! Qual contrasto fra questa accoglienza dei Samaritani, e il modo in cui Gesù vien trattato dai Gadareni Matteo 8:34, e dai propri conterranei di Nazaret! Luca 4:29; Matteo 13:58. I Giudei rigettarono la testimonianza delle proprie scritture, del Battista, di Gesù e dei suoi miracoli. I Samaritani ricevettero la testimonianza della donna che erasi fatta, ad un tratto, apostolo pei propri concittadini, e aprirono con gioia i loro cuori e le loro case al Signore!

PASSI PARALLELI

Genesi 32:26; Proverbi 4:13; Cantici 3:4; Geremia 14:8; Luca 8:38; 10:39; 24:29; Atti 16:15

Luca 19:5-10; 2Corinzi 6:1-2; Apocalisse 3:20

41 41. E più assai credettero in lui per la sua parola; 42. E dicevano alla donna: Noi non crediamo più per le tue parole; perciocché noi stessi l'abbiamo udito,

Abbiam qui i frutti dei due giorni di lavoro di Gesù in mezzo agli abitanti di Sichem e di Sichar. Oltre a quelli che erano stati condotti alla fede dalla testimonianza della donna, e dalla loro propria conversazione con Gesù vicino al pozzo di Giacobbe, altri molti, credettero in seguito al suo insegnamento e alla sua predicazione durante la breve sua dimora nella loro città. Non pare che Gesù facesse quivi miracolo alcuno; non sembra nemmeno che i Samaritani gli chiedessero un segno, come i Giudei erano usi di fare; semplicemente udirlo, bastò per innalzar la fede loro a un punto cui i Giudei non giunsero mai, e che forse neppure gli Apostoli di Gesù possedevano in quel momento. In questo versetto il senso dell'avverbio "non più", è stato trascurato, e le parole dei Samaritani alla donna: sono state mal tradotte: "Noi non crediamo più per le tue parole", quasiché avessero rigettato la sua prima testimonianza. Si devono tradurre: "Non più crediamo per le tue parole", il che implica che, primieramente non avevano altro argomento a credere che quelle sue parole; ma che ora la loro fede riposa sopra una base più alta e più stabile; essi credono per la testimonianza di Cristo, che hanno udita coi propri orecchi. Questo è piuttosto un complimento per la donna, poiché con queste parole dichiarano che il loro giudizio indipendente li avea condotti alle medesime sue conclusioni.

42 e sappiamo che costui è veramente il Cristo, il Salvator del mondo

L'ordine delle parole nell'originale è: "il Salvator del mondo, il Cristo". Quest'ultimo titolo manca nel codice Vaticano, e in quello di Efrem, "Parigi"; ed i critici moderni lo considerano come una glossa; ma lo si ritrova nel Codice Alessandrino e in quello di Beza; e le parole di Gesù alla donna riguardo al Messia, e il suggerimento da questa fatto dipoi ai suoi concittadini, che questo estraneo potesse essere il Cristo, sembrano argomenti per conservarlo, come quello che definisce il senso nel quale essi accettavano l'appellativo giudaico di, "Messia", cioè non come uno, i cui benefizi si limiterebbero ai soli Giudei, bensì come "il Salvator del mondo" in generale. Se si obietta che la loro ignoranza rendeva poco probabile in essi una speranza così generale, rispondiamo che nel Pentateuco era stato promesso ad Abrahamo: "Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua progenie" Genesi 22:18; mentre Giacobbe morente aveva profetizzato che "inverso lui (lo Shiloh) sarà l'ubbidienza dei popoli" Genesi 49:10. Di questo ultimo passo Hengstenberg dice "che tutta l'antichità è concorde per riferirlo ad un Messia personale". Se poi l'insegnamento dato dal Signore a questa gente fu simile a quello che già egli aveva impartito alla donna, relativamente al, culto spirituale ed universale che Iddio domanda, culto che non è limitato né al Samaritano né al Giudeo, il titolo che essi gli danno di "Salvator del mondo", ci prova che avevano capito le sue parole, poiché egli aveva interamente rigettato la loro pretesa di aver parte alcuna nel patto di Dio coll'Israele secondo la carne. Giovanni fa uso, un'altra sola volta, di questo titolo, nella sua prima epistola 1Giovanni 4:14. È dubbio che essi intendessero tutto quello che quel titolo significava; questo almeno capivano chiaramente che Gesù era venuto per redimere l'umanità intera, e non già i soli Giudei. Forse le loro opinioni antecedenti, la loro storia, e la stessa loro antipatia contro ai Giudei li condusse ad un concetto più cattolico e più corretto di quello degli stessi discepoli a quel tempo, intorno allo scopo della venuta di Cristo. Con qual meravigliosa semplicità e prontezza questi Samaritani ricevono l'evangelo! Con qual pienezza lo confessano! Questa visita del Signore produsse frutti durevoli nella loro vita: poiché, allorquando, non molti anni dopo, l'Evangelista Filippo, e dopo di lui Pietro e Giovanni andarono a predicare l'evangelo nella città di Samaria, "le turbe di pari consentimento attendevano alle cose dette da loro, e vi fu grande allegrezza in quella città" Atti 8:6,8. Quei due giorni furono dolci certamente al Salvatore stesso. Egli era venuto ai suoi, e i suoi non lo avevano ricevuto; ed ora quelli che non erano suoi eran venuti a cercarlo, e lo avevano invitato nella loro città, per far altri partecipi del suo meraviglioso ministero. V'ha egli nella storia del vangelo, fatto più notevole di questo?

PASSI PARALLELI

Genesi 49:10; Atti 1:8; 8:12,25; 15:3

Giovanni 6:63; 7:46; Matteo 7:28-29; Luca 4:32; 1Corinzi 2:4-5; Ebrei 4:13

Giovanni 4:1:45-49; 17:8; Atti 17:11-12

Giovanni 4:29; 1:29; 3:14-18; 6:68-69; 11:17; Isaia 45:22; 52:10; Luca 2:10-11,32

Atti 4:12; Romani 10:11-13; 2Corinzi 5:19; 1Giovanni 4:14

RIFLESSIONI

1. Fra i particolari della visita di Gesù al pozzo di Giacobbe, il suo tatto e la sua condiscendenza nel trattare colla Samaritana, danno a ogni suo vero discepolo una lezione importantissima sul modo di condurre a lui i peccatori indifferenti. "Egli non aspetta che essa gli parli; egli non comincia col rimproverarle i suoi peccati, benché ne conoscesse la storia; ma intavola discorso con essa, richiedendola di un favore: 'Dammi da bere'. Essa veniva a cercar acqua, ed egli di acqua le parla, e per quanto semplice la sua richiesta, fu l'introduzione di un ragionar spirituale; gettò un ponte sull'abisso che esisteva fra loro due; e condusse alla conversione quell'anima peccatrice. Se vogliam far del bene agli ignoranti, agli indifferenti per le cose di Dio, prendiamo a nostro modello la condotta del Signore in questo caso. Invano spereremmo che tali vengano volontariamente a noi per essere istruiti a salute; tocca a noi andare in cerca di loro, in uno spirito cortesemente ed amichevolmente aggressivo; ansiosi di trovar modo di fermar la loro attenzione e di penetrare fino al loro cuore, unendo alla gentilezza dei modi l'assenza di qualsiasi pretesa di superiorità" (Ryle).

2. "Quale importanza danno al valore di ogni anima, la condiscendenza, lo zelo, l'abilità, la pazienza di cui Gesù fu prodigo verso la donna di Samaria! Se anche non fosse seguito altro, qual opera di salvazione fu quella! Una cura consimile per un'anima sola, la troviamo pure nel caso dell'eunuco etiopo, per illuminare il quale, Filippo fu tolto ad un'opera gloriosa e prospera nella città di Samaria, e mandato sulla via deserta da Gerusalemme a Gaza! Atti 8:26. 'Fratelli' dice Giacomo Giacomo 5:19-20, se alcun 'uno' di voi si svia dalla verità, e alcuno lo converte, sappia colui, che chi avrà convertito un peccatore dall'errore della sua via, salverà un'anima da morte, e coprirà moltitudine di peccati" (Brown).

3. Nei vers. 13 e 14 Giovanni 4:13-14, Gesù rivela alla donna e a noi l'eccellenza e il prezzo infinito dei suoi doni, in confronto di tutto ciò che il mondo ci può dare: "Chiunque beve di quest'acqua avrà ancor sete ecc.". La verità di questo principio è evidente a tutti, quelli che il pregiudizio o l'amor del mondo non acciecano. Quanti hanno ogni bene temporale che il cuore possa desiderare, eppure sono insoddisfatti e stanchi! Ricchezza, nobiltà, impieghi, potere, scienza e divertimenti non bastano affatto a riempire e a soddisfare l'anima. Chi beve solo di tali acque avrà certamente sete. Ogni Achab trova una vigna di Nabot accanto al suo palazzo 1Re 21:1-4; ogni Aman trova un Mardocheo seduto alla porta del palazzo reale Ester 5:13. Ma qual contrasto colle parole che seguono: "Chi berrà dell'acqua che io gli darò ecc.". Colla medesima figura dell'acqua, il Signore si attribuisce la prerogativa di aprir nell'anima una sorgente di acque vive che non cesseranno mai, una fonte di felicità duratura, e di freschezza eterna, e con ciò ci dipinge in brevi ma belle parole la spiritualità, la vitalità, la gioia, la durevolezza di quel cambiamento religioso che egli opera in chiunque crede nel suo nome.

4. La conversione deve essere preceduta da un vero e profondo convincimento di peccato. Cristo ci dichiara che questa è la prima opera efficace dello Spirito Santo sul cuore del peccatore Giovanni 16:8-9, e benché spesso sfuggita e respinta da parte, occorre che quel convincimento entri nel cuore prima che l'uomo possa essere salvato. Ce ne offre un esempio la donna di Samaria. Essa rimase piuttosto indifferente, finché Gesù non mise a nudo la sua trasgressione del settimo comandamento; ma le parole: "Va, chiama il tuo marito e vieni qua", sembrano aver trafitto la sua coscienza come una saetta. Anziché arrendersi a quel convincimento e confessarsi peccatrice, essa si sforza di scuoterlo da sé, di allontanarlo dalla sua mente, attirando l'attenzione del Signore sulla diversità che passava fra il culto dei Giudei e quello dei Samaritani! Nello stesso modo gli uomini che sono convinti di peccato, cercano comunemente di sfuggire a quel convincimento, mettendo avanti una folla di obiezioni che non hanno niente che fare col peccato loro.

5. La condotta susseguente di quella donna dimostra come sia assorbente l'influenza della grazia, quando essa entra per la prima volta nel cuore di un credente. Essa era partita da casa espressamente per attingere acqua. Aveva portato al pozzo una grossa secchia, coll'intenzione di portarla indietro piena. Ma al pozzo trovò un nuovo cuore e nuovi oggetti di interesse. Essa "divenne una nuova creatura" 2Corinzi 5:17. Più non poteva pensare ad altro che alle verità che le erano state rivelate, al Salvatore che avea trovato. Nella pienezza del suo cuore, lasciò indietro la sua secchia, per correre ad aprire il suo cuore ad altri. Qui vediamo la potenza purificatrice dello Spirito. La grazia una volta introdotta nel cuore, ne scaccia gl'interessi e gli affetti di prima. Un uomo convertito non si dà più pensiero delle cose che aveva care per l'addietro. "Tutte le cose son fatte nuove". La condotta di Matteo il pubblicano Matteo 9:10, di Pietro, di Andrea, di Giacomo e di Giovanni Marco 1:20, di Saulo da Tarso Atti 9:20, confermano abbondantemente quella di questa donna. Per quel momento, la salute che essa avea trovata riempiva completamente la mente sua, e con vero spirito missionario, si affrettò a rendere i suoi concittadini partecipi della sua gioia.

6. "Chiunque ha ricevuto la grazia di Dio, e assaggiata la bontà di Cristo dovrebbe trovar parole per testimoniar di Gesù agli altri. Ben possiamo dubitar di amar Cristo, se non ci sentiamo mai mossi a parlar di lui ai nostri simili. Ben possiamo dubitare della salvezza dell'anima nostra, se non ci sentiamo desiderio alcuno della salvezza degli altri" (Ryle).

7. Benché le contrade di Samaria apparissero spiritualmente bianche da mietere agli occhi di Gesù solo, i fatti lo dimostrarono in modo chiarissimo agli occhi dei discepoli attoniti, per quanto almeno concerneva Sichem. Nello stesso modo il deserto tutto "fiorir come una rosa". Nessuna raccolta però è mai stata mietuta che non sia stata seminata. I seminatori possono morire prima che il frutto dell'opera loro sia pronto per la mietitura, però i mietitori non possono dire ai seminatori: "Non abbiam bisogno di voi". "Quelli che seminano con lagrime mieteranno con canti", benché altri forse faccian la ricolta dopo la morte loro e se l'opera dei mietitori è più giuliva, essa li dovrebbe riempir di gratitudine per quelli che li hanno preceduti, ricordandosi, che "altri hanno faticato, ed essi sono entrati nella loro fatica" (Brown).

43 Giovanni 4:43-54. GESÙ RIENTRA IN GALILEA. SECONDO SUO MIRACOLO IN CANA. GUARIGIONE DEL FIGLIO DELL'UFFICIALE REALE

43. Ora, passati quei due giorni, egli si partì di là, e se ne andò in Galilea.

Lasciando la provincia di Samaria, dopo quei due giorni di ristoro spirituale in Sichem, il Signore entra in Galilea, e dove volge egli i suoi passi? L'Evangelista parla di Cana Giovanni 4:46, non di Nazaret, che era stato la dimora di Gesù fin dalla sua infanzia, e la ragione di questa preferenza ci vien data al versetto seguente.

PASSI PARALLELI

Matteo 15:21-24; Marco 7:27-28; Romani 15:8

Giovanni 4:46; 1:42; Matteo 4:13

44 44. Conciossiaché Gesù stesso avesse testimoniato che un profeta non è onorato nella sua propria patria.

L'idea di questo proverbio si è che gli uomini sono meno disposti a riconoscere la superiorità di un loro concittadino, col quale sono familiari, che quella di uno straniero, rivestito agli occhi loro di un certo mistero. I critici non van d'accordo sul senso delle parole "nella sua propria patria", a motivo dell'apparente contraddizione fra il "perciocché" del ver. 44. che esprime la ragione per la quale Gesù non tornava a Nazaret; e il "quando" di Giovanni 4:45, nel quale l'accoglienza fatta a Gesù sembra contraddire questa asserzione. Né minore è la divergenza riguardo al senso della parola propria; la Galilea in generale, la Galilea alta, la Galilea bassa, la Giudea e Nazaret avendo ciascuna i loro sostenitori. Il modo migliore e più naturale di decidere tale questione si è di cercare e vi è qualche luogo al quale, in altri passi della Scrittura, si dia, riguardo a Gesù, quel nome di "sua propria patria", nel qual caso, al medesimo luogo dovranno applicarsi queste parole del nostro versetto. Or in Matteo 13:54; Marco 6:1 queste parole medesime son dette di Nazaret, e in Luca 4:16, parole di senso identico, "ove era stato allevato", son dette pure di Nazaret, oltre a che, nei due primi di quei passi, il Signore applica pure il proverbio qui riferito agli abitanti di quel paese. Il senso di Giovanni 4:43-44 è dunque che, entrato in Galilea, il, Signore, anziché andarsene a Nazaret, dove sapeva che l'aspettava un'accoglienza fredda, se non ostile, se ne andò a Cana, scena del suo primo miracolo, e i cui abitanti lo ricevettero con grande cordialità.

PASSI PARALLELI

Matteo 13:57; Marco 6:4; Luca 4:24

45 45. Quando adunque egli fu venuto in Galilea (escludendone Nazaret), i Galilei lo ricevettero, avendo vedute tutte le cose ch'egli avea fatte in Gerusalemme nella festa; perciocché anch'essi eran venuti alla festa.

Questa festa è senza dubbio la Pasqua nella quale Gesù avea cominciato il suo pubblico ministero in Giudea otto mesi prima, e della quale troviamo un breve cenno in Giovanni 2:23. Per quella, come la principale festa dell'anno, molti Galilei salivano in Gerusalemme. Vi avean veduti e li avean colpiti i miracoli fatti da Gesù, e l'autorità colla quale egli avea purificato il tempio, e dal loro ritorno non si erano stancati di spargere fra i loro vicini la fama di Gesù; dimodoché al suo apparir fra loro, i Galilei erano pronti a riceverlo amichevolmente, non per mera curiosità, ma anche per più alti motivi.

PASSI PARALLELI

Matteo 4:23-24; Luca 8:40

Giovanni 2:13-16,23; 3:2

Deuteronomio 16:16; Luca 2:42-44; 9:53

46 46. Gesù adunque venne di nuovo in Cana di Galilea, dove avea fatto dell'acqua vino

E possibile che Gesù si fermasse parecchi giorni in Cana; in ogni caso siccome Capernaum ne dista solo poche ore, il suo arrivo vi fu presto noto e vi attrasse l'attenzione così dei ricchi come dei poveri.

Or vi era un certo ufficial reale,

Il titolo di "basilicos", frequente nelle opere di Flavio, designa un funzionario civile o militare, o anche un dignitario di qualche casa reale, come Cuza Luca 8:3, e Manaen Atti 13:1. Quest'ultimo è forse designato qui, invero alcuni sostengono che si tratti dell'uno o dell'altro dei due ora nominati. La Volgata, seguendo una lezione erronea, benché antica, legge regulus, un, piccolo re, un capo di tribù. Chiunque ci fosse, quest'uomo serviva Erode Antipa, il cui titolo uffiziale, era quello di Tetrarca Luca 3:1, benché fosse comunemente chiamato re, come suo padre. Questo uffiziale era Giudeo, come i più fra i servi di Erode; ma v'erano pure in Capernaum dei soldati romani, e alcuni hanno confuso quest'uomo col centurione, il cui servo fu guarito da Gesù. L'evidente contrasto che esiste fra i due casi rende impossibile questa identificazione, Vedi nota Luca 8:3.

il cui figliuolo era infermo in Capernaum

L'articolo che precede "il figliuolo", sembra indicare che fosse unico, indi l'importunità colla quale il padre implora l'aiuto di Cristo, come Iario in simil caso.

PASSI PARALLELI

Giovanni 2:1-11; 21:2; Giosuè 19:28

Salmi 50:15; 78:34; Osea 5:15; Matteo 9:18; 15:22; 17:14-15; Luca 7:2; 8:42

47 47. Costui, avendo udito che Gesù era venuto di Giudea in Galilea, andò a lui, e lo pregò che scendesse, e guarisse il suo figliuolo; perciocché egli stava per morire.

La fama dei miracoli di Gesù in Cana e in Gerusalemme era giunta fino a lui, ed egli credeva appieno in essi. Benché di alto rango, l'amor paterno tanto poté nel cuor suo, che andò di persona a domandar l'aiuto di Gesù. Così devono fare quelli che voglion grazie da lui. Ricchi e poveri, nobili e plebei devono farsi umili supplicanti dinanzi ad esso; chi a lui viene con tale spirito, "egli non caccerà fuori" Giovanni 6:37. La fede di quest'uomo però era difettosa in un punto: egli erroneamente credeva che Gesù non potrebbe guarire suo figlio se non era presente e non metteva la mano sopra lui. Le parole "che scendesse ecc." lo provano, e col far questo miracolo in Cana stesso, Gesù volle, senza dubbio, mostrare che non era necessario per lui mettersi in contatto coi morenti, o coi morti, e che la sua parola era potente da guarir subito, a qualunque distanza venisse pronunziata.

PASSI PARALLELI

Marco 2:1-3; 6:55-56; 10:47

Giovanni 11:21,32; Salmi 46:1; Luca 7:6-8; 8:41; Atti 9:38

48 48. Laonde Gesù gli disse: Se voi non vedete segni e miracoli, voi non crederete.

"non crederete in nessun modo". Queste parole, rivolte all'uffiziale reale, s'indirizzavano a tutti i suoi concittadini, Giudei e Galilei, i quali volevano vedere dei segni e dei miracoli per credere in Cristo. Il pensiero di Cristo tornava a quei Samaritani dai quali si era dipartito da così poco tempo essi non gli avevano chiesto miracoli, ma lo avean ricevuto come il loro Salvatore, convinti dalle sole sue parole. Con quelli egli contrasta i suoi concittadini, dai quali veniva ricercato solo per i miracoli che faceva, per le guarigioni corporali che operava. Delle parole "segni e miracoli", l'ultima esprime il carattere sovrannaturale di un atto, il quale, come prodigio, eccita lo stupore e la maraviglia la prima è l'attestazione che in quell'atto si trova, di una più alta presenza e di una commissione divina, Confr. Giovanni 6:26.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:41-42; 2:18; 12:37; 15:24; 20:29; Numeri 14:11; Matteo 16:1; 27:42; Luca 10:18

Luca 16:31; Atti 2:22; 1Corinzi 1:22

49 49. L'ufficial reale gli disse: Signore, scendi prima che il mio fanciullo muoia.

Nel versetto precedente il Signore chiaramente suggeriva un altro modo di guarigione, diverso dal contatto materiale col paziente; ma l'uffiziale reale non lo ha compreso, e non vi risponde. Continua a credere necessaria la presenza di Gesù sul luogo, e teme che egli giunga troppo tardi, quando cioè suo figlio già sarà spirato; non sognandosi neppure che Gesù era potente da suscitare i morti "Perciò", paziente di ogni indugio, proferisce parole che sembran dire: "Mentre perdiam tempo in inutili discorsi, il mio figlio si muore. Vieni subito, te ne scongiuro, o sarà troppo tardi".

PASSI PARALLELI

Salmi 40:17; 88:10-12; Marco 5:23,35-36

50 50. Gesù gli disse: Va', il tuo figliuolo vive. E quell'uomo credette alla parola che Gesù gli avea detta; e se ne andava.

Egli aveva piena fede nel potere di Gesù per sanare, e lo limitava solo colla supposta necessità del contatto personale; le parole del Signore mettono a nuova prova la sua fede, e con tal prova la fortificano, sollevandola a più alto livello, dandogli di credere nella potenza della sua parola, senza vedere un miracolo in persona; e lo rimanda colla consolante parola: "il tuo figliuolo vive". Bastò questo, ogni dubbio scomparve; cessò ogni istanza importuna; l'uomo credette alla parola che Gesù aveagli detta, e tornò a casa sua. Ma anche prima della sua partenza da Cana, la guarigione, più rapida del fulmine, si fece sentire al giovane malato in Capernaum. Cirillo, citato da Ryle, osserva che con queste parole sue il Signore guarì due persone al tempo stesso, condusse alla fede l'anima dell'uffiziale reale, e liberò il corpo di suo figlio dalla malattia.

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:40; 1Re 17:13-15; Matteo 8:13; Marco 7:29-30; 9:23-24; Luca 17:14

Atti 14:9-10; Romani 4:20-21; Ebrei 11:19

51 51. ora, come egli già scendeva,

Questo descrive esattamente la posizione relativa di questi due paesi: Cana trovasi in alto fra le colline della Galilea superiore, Capernaum giaceva nella profonda depressione occupata dal lago di Gennesaret.

i suoi servitori gli vennero incontro, e gli rapportarono, e dissero: il tuo figliuolo vive

I servitori, comprendendo e dividendo l'ansietà del loro padrone, gli andarono incontro per salutarlo col lieto annunzio della guarigione insperata di suo figlio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:50,53; 1Re 17:23

52 52. Ed egli domandò loro dell'ora ch'egli era stato meglio.

Le parole "era stato meglio" non indicano esistenza alcuna del padre riguardo alla completezza della guarigione. Egli aveva creduto la parola di Cristo, ma desidera ora sapere a qual ora precisa il suo figlio ha ricuperato la salute e le forze, e avea un motivo speciale per questo.

Ed essi gli dissero: ieri a sette ore la febbre lo lasciò

Al momento stesso in cui Gesù aveva pronunziato la parola, la febbre non solo cominciò a scemare, "non vi fu una semplice crisi favorevole alla malattia", ma lo lasciò ad un tratto, come nel caso della suocera di Pietro Luca 4:39. Abbiamo già spiegato Vedi nota Giovanni 1:39, che Giovanni contava le ore secondo l'uso giudaico, e nel caso presente, siccome egli riferisce parole di servi galilei, qual sia l'ora sesta, non può esser dubbio. Siccome l'ora nona "3 pomeridiane", era nota come l'ora della preghiera della sera, questa settima, corrisponderebbe all'una pom. I servi dissero al loro padrone che la guarigione era avvenuta il giorno prima, ieri, ed è per render conto del tempo trascorso fra la parola pronunziata da Gesù Giovanni 4:50, e l'arrivo dell'uffiziale a casa sua il giorno dopo, che alcuni critici sostengono che, questa volta, Giovanni contò le ore al modo romano; ma ciò non fa che accrescere la difficoltà della lunghezza del tempo indicato dalla parola ieri Dire che egli si fermò per parlare ancora con Gesù; o per trattare altri affari in Cana è pervertire lo spirito e la lettera di questo versetto. Le parole prese nel loro senso naturale non offrono né indugio, né difficoltà. La distanza da Cana a Capernaum è di circa quaranta chilometri. Partendo da Cana alle 2 pom. era impossibile che egli giungesse a casa prima delle 8 di sera; ed anche se i suoi servitori gli erano andati incontro un par di chilometri, non lo potevano incontrare avanti le sette pom. cioè quando già era cominciato il nuovo giorno da un'ora almeno; era dunque naturale che parlassero della guarigione come avvenuta "ieri". L'uffiziale tornò a casa colla maggior premura; ma un altro giorno giudaico era cominciato, prima che vi potesse giungere.

53 53. Laonde il padre conobbe ch'era nella stessa ora, che Gesù gli avea detto: il tuo figliuolo vive; e credette egli, e tutta la sua casa.

La notizia datagli dai suoi servi era la sola cosa che mancasse a consolidare e a rendere trionfante la sua fede. Prima credeva molto imperfettamente, poi con sicura fiducia nella parola di Cristo; ora la sua fede è incoronata dalla "veduta", quando abbracciò il suo diletto figlio sano e salvo. Né questo è tutto; nella sua conversione, egli trasse dietro a sé tutta la casa sua. I servi sapevano che il bambino era stato guarito, e ne sapevano l'ora; il padrone sapeva che Gesù avea parlato, e ne sapeva l'ora altresì. Il confronto di queste cose, e le esortazioni del capo di casa indussero tutti i membri della famiglia a conoscer Cristo, la sua potenza e la sua bontà. Questa fu la prima famiglia convertita in Capernaum. Ryfe, dopo avere osservato come raramente persone appartenenti ad una corte reale ricerchino Cristo, così continua: "Questo fatto ci prova che Cristo avrà trofei del potere della sua grazia in ogni rango, classe e condizione. Nel primo capitolo di questo Vangelo troviamo convertiti dei pescatori, nel terzo un Fariseo pieno della propria giustizia, nel quarto una povera peccatrice samaritana e alla fine del medesimo capitolo, un uffiziale di una corte regia".

PASSI PARALLELI

Salmi 33:9; 107:20; Matteo 8:8-9,13

Luca 19:9; Atti 2:39; 16:15,34; 18:8

54 54. Questo. secondo segno fece di nuovo Gesù, quando fu venuto di Giudea la Galilea.

Il senso è, non già che questo fu il secondo miracolo operato da Gesù, dopo il suo ritorno dalla Giudea in Galilea; bensì che fu il secondo suo miracolo nella Galilea, il primo essendo stato compiuto in Cana, prima della sua partenza per Gerusalemme, il secondo pure in Cana, dopo il suo ritorno dalla Giudea.

PASSI PARALLELI

Giovanni 2:1-11

RIFLESSIONI

1. L'affetto di quest'uffiziale pel suo figlio insegni ai genitori a interessarsi del benessere materiale e spirituale dei loro bambini. Le loro malattie fisiche sono sempre pei genitori causa di grandi ansietà; per vincerle si persevera con vigore nell'impiegare i rimedi prescritti; ma, oimè! quanto son pochi quelli che spiegano un interesse altrettanto vivo per le anime loro! Iddio castiga i genitori stessi mediante le malattie dei bambini, e non di rado accade, come in questo caso, che la malattia di uno dei suoi, conduce una intera famiglia al Signore. Qual benedizione fu infine la malattia del suo figlio per quest'uomo e tutta la casa sua!

2. Heubner, citato da Lanage, fa le seguenti giustissime osservazioni sul ver. Giovanni 4:48 - "Vi è nel mondo una passione universale per i miracoli.

a. Il desiderio di ottenere ad un tratto qualche fortuna straordinaria che non possiamo ottenere da noi medesimi.

b. L'aspettazione di qualche aiuto eccezionale, in qualche momento di bisogno, quando non siamo disposti a far seriamente uso dei veri mezzi per ottenerlo.

c. La speranza che L'opera nostra sarà benedetta oltre il consueto, anche quando non abbiamo seminato in fede.

d. La brama di qualche aiuto straordinario e violento per liberarci da difetti, contro i quali non sappiamo nemmanco alzar la mano.

e. L'ambizione di essere onorati, prima ancora di aver fatto nulla per la gloria di Dio".

3. Dobbiamo credere la parola di Cristo, anche quando ci sembri contraria alla nostra ragione. Chi ha preso possesso, per fede, di qualche parola di Cristo, ha posato il piede sulla roccia, imperocché quanto Cristo ha detto, egli può e vuole mantenere; le sue promesse non falliranno mai. Il peccatore che ha affidato l'anima sua alla promessa del Signor Gesù, è salvo per la eternità; non ne potrebbe esser più sicuro se vedesse il "Libro della vita", e vi leggesse scritto il suo nome. Nelle cose del vangelo credere equivale a vedere. Secondo Paolo, "la fede è una dimostrazione delle cose che non si veggono" Ebrei 11:1.

4. Il credente deve notare tutti i particolari delle opere di Cristo che sono atti a confermar la sua fede; e questo uffiziale di Capernaum ce ne dà l'esempio, comparando il tempo in cui suo figlio era stato guarito, con quello in cui Gesù gli avea parlato. Così solamente potremo vedere appieno le meravigliose liberazioni che il Signore opera in favor nostro; così saremo condotti ad avere in lui la più illimitata fiducia, e la più pura devozione.

5. Egli è sulla strada della fede e dell'obbedienza, che incontriamo le buone nuove dalle quali sono rimossi i nostri ultimi dubbi e timori Giovanni 4:51.

6. "Vi è un incanto speciale quando la pietà entra nelle famiglie dei ricchi e dei nobili. È cosa tanto rara; il loro esempio e la loro influenza vanno tanto lontano; la lor fede vince tante tentazioni, e possiede sì numerose occasioni di far del bene, che non ci deve stupire il vedere l'Evangelista scegliere questo esempio come uno, degli effetti più notevoli della potenza e della predicazione del Signor Gesù Cristo" (Barnes).

Dimensione testo:


Visualizzare un brano della Bibbia

Aiuto Aiuto per visualizzare la Bibbia

Ricercare nella Bibbia

Aiuto Aiuto per ricercare la Bibbia

Ricerca avanzata