Commentario abbreviato:

Luca 17

1 Capitolo 17

Evitare le offese, Pregare per aumentare la fede, L'umiltà insegnata Lc 17:1-10

Dieci lebbrosi purificati Lc 17:11-19

Il regno di Cristo Lc 17:20-37

Versetti 1-10

Non si tratta di una diminuzione della loro colpa, né di una diminuzione del loro castigo per il fatto che le offese arriveranno. La fede nella misericordia di Dio ci permetterà di superare le più grandi difficoltà nel perdonare i nostri fratelli. Come a Dio nulla è impossibile, così tutto è possibile a chi crede. Nostro Signore ha mostrato ai suoi discepoli la necessità di una profonda umiltà. Il Signore ha in ogni creatura una proprietà che nessun uomo può avere in un'altra; non può essere in debito con loro per i loro servizi, né essi meritano alcun ritorno da lui.

11 Versetti 11-19

La consapevolezza della nostra lebbra spirituale dovrebbe renderci molto umili ogni volta che ci avviciniamo a Cristo. È sufficiente fare riferimento alle compassioni di Cristo, perché esse non vengono meno. Possiamo sperare che Dio ci venga incontro con misericordia, quando ci troviamo sulla via dell'obbedienza. Solo uno di coloro che furono guariti tornò a ringraziare. Come lui, anche noi dobbiamo essere molto umili nei ringraziamenti e nelle preghiere. Cristo notò colui che si distinse in questo modo: era un samaritano. Gli altri ottennero solo la guarigione esteriore, lui solo la benedizione spirituale.

20 Versetti 20-37

Il regno di Dio era tra i Giudei, o meglio all'interno di alcuni di loro. Era un regno spirituale, instaurato nel cuore dalla potenza della grazia divina. Osservate come era stato in precedenza per i peccatori e in quale stato li avevano trovati i giudizi di Dio, di cui erano stati avvertiti. Qui si mostra quale terribile sorpresa sarà questa distruzione per i sicuri e i sensuali. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo sarà rivelato. Quando Cristo venne a distruggere la nazione ebraica per mezzo degli eserciti romani, quella nazione fu trovata in uno stato di falsa sicurezza come quello di cui si parla qui. Allo stesso modo, quando Gesù Cristo verrà a giudicare il mondo, i peccatori saranno trovati del tutto sprovveduti; perché allo stesso modo i peccatori di ogni epoca vanno avanti sicuri nelle loro vie malvagie e non si ricordano della loro ultima fine. Ma ovunque si trovino i malvagi, che sono destinati alla rovina eterna, saranno trovati dai giudizi di Dio.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 17

1 CAPO 17 - ANALISI

1. Discorso sulle offese, il perdono, la fede e l'umiltà. Molti scrittori mantengono che abbiamo qui la continuazione del discorso del capitolo precedente, ma son tutt'altro che ovvie le ragioni messe avanti per connettere con quello i soggetti trattati in questo. È probabile che questo secondo discorso venisse, pronunziato poco dopo il primo; introduce però una serie affatto diversa di pensieri. Anche considerandolo come indipendente, non riesce facile trovare un filo che riunisca come un tutto logico e ben connesso i vari oggetti di cui esso tratta. Fu rivolto all'intero corpo dei discepoli dai quali gli apostoli vengono distinti al ver. 5. Primo soggetto di questo discorso sono le offese date, o meglio gli scandali, o pietre d'intoppo gittate in sul sentiero dei credenti, e dalle quali possono venire impediti i loro progressi verso il cielo, ed essi stessi indotti a volgersi all'errore ed al peccato. Gesù dichiara che un mondo come l'attuale, ove abbondano la violenza, l'orrore e l'immoralità, è impossibile che tali scandali non s'incontrino sulla via dei suoi figliuoli, ma l'avvertimento del loro Maestro dovrebbe metterli in guardia contro ogni sorpresa, ed incoraggiarli, in casi simili, a cercar forza e soccorso dall'alto. Il Signore non mette i suoi discepoli in guardia solo contro gli scandali provenienti dal di fuori, ma più specialmente ancora contro quelli che provengono di dentro alla Chiesa di Cristo a motivo della condotta peccaminosa e indegna del vangelo, di quelli che pur si professano discepoli suoi. Avvisati quelli che potevano rimaner vittime, ammonisce pure gli aggressori, quelli cioè che dànno scandalo, o mettono pietre d'intoppo nella via dei suoi figliuoli, che grave è la responsabilità in cui incorrono, imperocché la morte più terribile che la crudeltà umana possa inventare è preferibile all'eterno castigo che li aspetta.

Il secondo soggetto di questo discorso è il dovere di perdonare i fratelli cristiani che ci hanno offesi. La transizione dalle offese ricevute al dovere del perdono è tanto bella quanto naturale; ma siccome tal perdono è contrario a tutte le inclinazioni del cuore naturale e non è facile neppure al cuore rigenerato, il Signore ci rende attenti a quel dovere colle parole: «Prendete guardia a voi». Come in Matteo 18:15, la via da seguire verso un fratello che ci ha offesi, è indicata nel modo seguente: «Se il tuo fratello ha peccato contro a te, va', e riprendilo fra te e lui solo», così qui pure Gesù comanda ai veri suoi seguaci di andare dall'offensore e di riprenderlo, non con ira ed alterigia, ma in uno spirito di amore e di perdono, per l'offesa di cui egli si è reso colpevole. Se non vien fatta riparazione alcuna, non ci vien domandato di mantenere la stessa intimità di prima, benché, anche in tal caso, l'offesa debba essere perdonata sinceramente e di cuore; ma se la rimostranza, produce pentimento nell'offensore, l'amore deve venirgli reso insieme al perdono. Questo perdono non deve essere limitato ad una sola offesa; bensì è dovere del cristiano nutrire uno spirito perdonatore a segno che ogni qualvolta un fratello, conscio di averci offesi, professa pentimento, il perdono gli deve venir concesso, sia pure sette volte, o settanta volto sette.

Terzo soggetto di questo discorso è la fede. Gesù non ne parla di proprio moto, ma in risposta all'unita domanda dei dodici: «Accrescici la fede». Che cosa li spinse a far quella preghiera? Si riferisce essa alla fede necessaria per operare miracoli, o a quella fede salutare che compenetra la vita di un credente? Niente giustifica l'idea che a questa preghiera abbia dato l'occasione qualche recente, o rimarchevole dimostrazione di potenza straordinaria, per parte di Gesù, e che essa debba perciò aver per oggetto un accrescimento di potenza miracolosa. È assai più probabile che quella domanda venne suggerita agli apostoli dall'impressione prodotta su di loro dai precetti pure allora inculcati da Gesù, e dalla difficoltà che sentirono di metterli in pratica, così nel non dare offesa agli altri, come nel perdonare quelle che verrebbero fatte a loro. Se poi aspettavansi a ricevere lì per lì, mediante il potere miracoloso di Cristo, un accrescimento sensibile della loro fede, la sua risposta li deve aver disillusi; ma essa dava loro la consolante assicurazione che, se il germe della fede vivente esisteva nel loro cuore, fosse esso pur piccolo come un granel di senape, possedeva in sé il potere di crescere; e col suo aiuto essi rovescerebbero ostacoli e riporterebbero vittorie spirituali più maravigliose che il trapiantare un sicomoro in mezzo al mare. Non pare che il Signore voglia dire che la fede può riportare simili vittorie quando è tuttora in quel debole incipiente stato in cui vien paragonata al granel di senape, bensì che il germe per quanto minuto, di una fede vivente ha in sé tali possibilità e tali promesse che chi lo possiede dove sentirsi capace di quanto di più sublime la fede può operare.

Il quarto soggetto di questo discorso è l'umiltà. È dubbio se la parabola che inculca questa dottrina venisse detta al tempo stesso che quella che precede; in ogni caso, essa fornisce una mirabile conclusione agli insegnamenti di questa prima parte del capitolo. Credono alcuni che si riferisca alle ricompense che i discepoli si aspettavano nel regno del Messia; altri che fosse detta purché non si gonfiassero all'idea di quella potenza della fede di cui Gesù avea loro parlato. Coll'esempio di uno schiavo, il quale, terminati i lavori esterni, si cinge per cucinare e servire in tavola, come essendo cose che il padrone ha diritto di esigere da lui, e per le quali egli non aspetta lode speciale alcuna, il Signore indica che chiunque è stato «comprato con prezzo», mediante le sofferenze di Cristo, è proprietà di Dio, e che, ben lungi dall'esservi merito qualsiasi nei servigii che caso gli rende, o nei patimenti che sopporta per la sua causa, egli deve considerar queste cose come il semplice suo dovere, il suo «razional servizio», benché col tempo debba pur venire ricompensato. Anziché vantarsi di quello che ha fatto, il cristiano deve sempre ricordarsi di essere un «servo disutile», perché non ha aggiunto nulla a quello che già possedeva Iddio: lo ha servito si, ma col suo, ed essendo assoluta sua proprietà, vuoi per creazione, vuoi per grazia; dopo che ha fatto quanto sta in suo potere, deve sempre dirsi in cuore: «Ho fatto ciò che io era obbligato di fare» Luca 17:1-10.

2. I dieci lebbrosi nettati. Dal ver. 11 par probabile che, dopo quei discorsi, il Signore rivisitasse rapidamente alcuni dei luoghi nei quali egli era già passato sulla frontiera della Galilea e della Samaria. Vicino ad un villaggio di quelle parti, una brigata di, lebbrosi, sbanditi dal civile consorzio, ma uniti dalla disgrazia comune, s'avvicinò sino a poter venire udita da lui, con ardenti preghiere per ottener guarigione. Mosso a pietà dello Stato di quei meschini, Gesù manifestò la sua intenzione di guarirli, ordinando loro di andarsi a mostrare ai loro sacerdoti rispettivi. Mentre essi erano per via, si operò in loro la guarigione; ma un solo fra tutti fu mosso da vera gratitudine a tornare a Gesù, ed egli era un Samaritano. Mentre i nove Giudei continuavano il loro viaggio, curandosi solo di ottenere il certificato del sacerdote, per ritornar nelle loro famiglie; questi, benché desioso quanto gli altri di cessar la sua vita solitaria, non appena si sentì guarito, si fermò, e spinto dalla riconoscenza, tornò indietro per deporre a' piedi del suo benefattore i più sentiti ringraziamenti. Gesù allora fa osservare agli astanti il contrasto fra l'egoismo e l'ingratitudine dei suoi concittadini, e la lodevole condotta di questo straniero, da essi ritenuto come un pagano, e lo accommiata colle parole di approvazione: «La tua fede ti ha Salvato» Luca 17:11-19.

3. La venuta del regno di Dio e del Figliuol dell'uomo. Abbiamo qui non pochi detti che il Signore ripetè più tardi nel suo discorso profetico sul monte degli Ulivi; ma vi si trovan pure molto cose che appartengono al solo Luca e son preziosissime. Il soggetto fu introdotto da una quistione probabilmente ironica fatta da uno dei Farisei relativamente al tempo in cui il regno di Dio (cioè il regno temporale del Messia, ché tal parola non recava altra idea alla loro mente), al quale avean già reso testimonianza Giovanni e Gesù, ma che rimaneva tuttora invisibile, sarebbe manifestato. Ci parrà probabile che la quistione fosse ironica, anziché diretta ad ottener vera istruzione, se teniamo in mente i sentimenti dei Farisei verso Gesù, e la loro complicità nelle congiure che già tramavansi a suo danno dai sacerdoti. Il Signore subito rispose che s'ingannavano a partito, se si figuravano che quel regno si presenterebbe con gran pompa e potere terreno, perché verrebbe in modo da non essere osservato dagli uomini, anzi già era venuto in quelli che lo aspettavano con disposizioni buone; già trovavasi nel mezzo di loro, fin dal tempo in cui egli avea cominciato il suo pubblico ministero. Le parole hanno questi due sensi, e forse il Signore li unì entrambi nella sua risposta. Avendo risposto alla domanda del Fariseo, Gesù rivolge ora ai suoi discepoli il resto del suo discorso sulla venuta del Figliuol dell'uomo. Parla qui di una venuta avente per iscopo di giudicare, di rovesciare primieramente la colpevole nazione giudaica, con una riferenza tipica al suo ritorno per giudicare i vivi e i morti. In questo senso il passo che ci occupa rassomiglia alla profezia di Matteo 24: e benché molto più breve, contiene parecchi detti che in quella non si ritrovano. Fu solo colla distruzione di Gerusalemme e coll'abolizione completa della economia teocratica, che il regno di Cristo venne ad essere appieno stabilito in sulla terra, senza rivale che pretendesse egli pure ad una divina origine. Non sarà necessaria investigazione o ricerca alcuna per riconoscere la venuta del Figliuol di Dio, sia per distruggere Gerusalemme, sia per giudicare definitivamente il mondo, perché quella venuta sarebbe manifesta come il lampo che illumina tutto il cielo, e sorprenderebbe gli uomini come il diluvio sorprese i contemporanei di Noè, o il fuoco del cielo gli abitanti della pianura di Sodoma Luca 17:20-37.

Luca 17:1-10. DISCORSO SUGLI SCANDALI, IL PERDONO, LA FEDE E L'UMILTÀ

Gli scandali, Luca 17:1-2

1. Or egli disse ai suoi discepoli:

Benché rivolto, come le precedenti parabole, all'insieme dei discepoli, il cambiamento totale di soggetto rende altamente improbabile che questo discorso fosse una continuazione di quelle; ma non v'ha neppur luogo di supporre, come fanno alcuni, che abbiamo qui meri frammenti degli insegnamenti del Signore, riuniti da Luca in questo luogo, come essendo il più adatto a conservarli. Anche quelli che negano ogni nesso intenzione fra uno di questi soggetti e l'altro, devono concedere che il passaggio dall'uno all'altro è naturale e non forzato.

Egli è impossibile

inammissibile, inevitabile. Questa impossibilità nasce dallo stato peccaminoso in cui è immerso il mondo, a motivo della depravazione della natura umana, delle tentazioni di Satana, e dei lacci del mondo.

che non avvengano scandali;

Benché questa parola sia capace del senso di offese, essa significa propriamente pietre d'intoppo o impedimenti messi in sulla via e che impediscono ad un uomo di avanzare o lo fanno cadere in terra. Gesù ci parla qui di quelli che impediscono agli uomini di entrar nel suo regno, o ne trattengono i progressi spirituali dopo che essi hanno creduto in lui. Questi scandali provengono da sorgenti diverse. Le inclinazioni peccaminose del proprio cuore sono spesso, nella sperienza del credente, assai d'intoppo nella via della santificazione, ed è del modo di rimuovere tali ostacoli che il Signore parla in Matteo 18:8. Il mondo pure è pronto a gittare i suoi sassi d'intoppo sulla via dei credenti, e questi sono molto pericolosi, perché li attaccano da lati tanto opposti al tempo stesso. Sono «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, e la superbia della vita». 1Giovanni 2:16, coi quali il mondo seduce alla loro rovina molti che sembravano avere sfuggito ai lacci del diavolo, e se falliscono quei mezzi, egli li attacca col ridicolo, colla calunnia, colle persecuzioni, amareggiando loro in mille modi di vita. Tali pietre di scandalo i Farisei stavano gettandole in sulla via dei Giudei, per iscoraggire quelli che già si erano aggiunti a Gesù e ai suoi discepoli, o per impedire altri di farlo. Questi sono gli scandali che il Signore qui dichiara inevitabili e che i credenti devono affrontare con coraggio, aspettando la forza del loro Maestro. Ma, oimè! gli scandali si trovano pure nella Chiesa di Cristo, e sono le eresie e gli scismi, l'egoismo e la durezza di cuore, le dissenzioni e le lotte, la condotta inconseguente ed immorale di quelli che fanno professione di religione. Tutte queste cose paralizzano molti che sono deboli in fede, e fortificano i pregiudizi dei mondani e degli empii contro la religione. Egli è contro scandali consimili che il Signore alza qui specialmente, la voce, per ammonirne i suoi discepoli in ogni età.

ma, guai a colui per cui avvengono: 2. Meglio per lui sarebbe che una macina da asino

Il Codice Alessandrino invece di (macina così grande da dover esser girata da un asino), porta che è una macina più piccola da girarsi a mano, epperciò più facile a muoversi.

2 gli fosse appiccata al collo, e che fosse gittata nel mare, che di scandalizzare un di questi piccoli.

Quei piccoli sono in primo luogo alcuni dei presenti, discepoli giovani, non ancora confermati nella fede; poi generalmente tutti i credenti, e quelli soprattutto che sono più deboli in fede. Il Signore dichiara che più terribile della morte subitanea e violenta qui descritta sarà la morte di quelli che impediscono od arrestano nei suoi progressi il minimo credente. Per la esposizione, Vedi Marco 9:42.

PASSI PARALLELI

Matteo 16:23; 18:7; Romani 14:13,20-21; 16:17; 1Corinzi 8:13; 10:32; 11:19

2Tessalonicesi 2:10-12; Apocalisse 2:14,20; 13:14-18

Matteo 18:6; 26:24; Marco 9:42; 1Corinzi 9:15; 2Pietro 2:1-3

Isaia 40:11; Zaccaria 13:7; Matteo 18:3-5,10,14; Giovanni 21:15; 1Corinzi 8:11-12; 9:22

3 

Perdono, Luca 17:3-4

3. prendete guardia, a voi. Ora, se il tuo fratello ha peccato contro a te, riprendilo e, se si pente, perdonagli. 4. E benché sette volte il dì pecchi contro a te, se sette volte al dì ritorna a te, dicendo: io mi pento, perdonagli.

Il nesso fra questi versetti e i precedenti è ovvio. Gesù vuole ammonire i suoi discepoli in tutti i tempi di non perdersi d'animo per gli scandali di cui ha parlato, e di comportarsi, quando sono recati da un fratello, con uno spirito di perdono. Da tutto il contesto appare che Gesù non parla qui di offese in senso generico, bensì solo di quelle che un fratello può arrecare all'altro. Il precetto comincia con un ammonimento all'offeso di vegliare sul proprio spirito, di non perdere l'impero sopra se stesso, di non lasciarsi trasportare dalla passione, di non usare, parole violenti, di non far le proprie vendette e di non serbar rancore per l'avvenire. «Prendete guardia a voi». Il secondo passo consiste nel «riprendere» il fratello offensore. Questa espressione dinota il dovere cristiano di comportarci con franchezza, con fedeltà, ed al tempo stesso con benevolenza, verso quelli che ci fanno del torto. Dire di un fratello dietro alle sue spalle quello che non siamo pronti a dirgli in faccia, se occorre, non è atto degno di un servo di Cristo. La linea di condotta quì raccomandata, seguita con ispirito cristiano, condurrà probabilmente l'offensore a pentirsi. Il passo finale consiste in un perdono senza condizioni nel caso di pentimento È notevole l'espressione: «se si pente, perdonagli». Non può significare che non dobbiamo perdonare ai nostri nemici che non si pentono, perché in questo caso molta amaritudine sarebbe di continuo mantenuta viva. Ma vuol certo dire che laddove non c'è pentimento o dolore per l'offesa recata, benché in cuore la perdoniamo, non vi può essere cordiale e completa riconciliazione fra l'offeso e l'offensore. Gli uomini credono che la ripetizione di una offesa giustifichi il rifiuto di perdono; Gesù insegna, precisamente il contrario. Se un fratello ci offende sette volte al giorno ed altrettante volte ne viene a chiedere perdono, dobbiamo perdonargli! Non si supponga che questa è una misura di perdono inferiore a quella di «settanta volte sette» che il Signore, avea imposta a Pietro. In quel caso, Gesù avea così espresso la misura del perdono solo perché Pietro avea indicato un perdono «sette volte» concesso come una misura, a giudizio suo, delle più liberali; ma siccome sette era per i Giudei il numero della completezza, Gesù ne fa uso qui per indicare che il perdono dove esser così ripetuto come l'offesa. Per altra esposizione Vedi Note Matteo 28:21-22.

PASSI PARALLELI

Luca 21:34; Esodo 34:12; Deuteronomio 4:9,15,23; 2Cronache 19:6-7; Efesini 5:15; Ebrei 12:15

2Giovanni 8

Matteo 18:15-17,21

Levitico 19:17; Salmi 141:5; Proverbi 9:8; 17:10; 27:5; Galati 2:11-14; Giacomo 5:19

Matteo 18:21-22,35; 1Corinzi 13:4-7; Efesini 4:31-32; Colossesi 3:12-13

Matteo 5:44; 6:12,14-15; 18:16; Romani 12:20; 2Tessalonicesi 3:13-14

5 

Fede, Luca 17:5-6

5. Allora gli apostoli dissero al Signore: Accrescici la fede.

L'idea di Godet che questa domanda fosse suggerita da qualche recente e notevole manifestazione della potenza di Cristo è senza prova alcuna. Meno probabile ancora è la ipotesi messa avanti da Webster e Wilkinson che essa venisse proferita in qualche occasione in cui gli apostoli erano stati ripresi da Cristo come mancanti di fede per non aver potuto compiere un miracolo. Il senso letterale della parola, è «aggiungici fede». Se fossero vere le idee ora enunziate, la domanda dei discepoli significherebbe adunque: "Accordaci, mediante un dono tuo diretto, una potenza miracolosa più grande di quella che ora possediamo". Ma vi era, senza dubbio, nelle importanti lezioni pure allora cadute l'una dopo l'altra dalle labbra del Maestro, e nel difficile comando del ver. 4, più che non ci voleva per giustificare una tale preghiera. Comportarsi in modo da non dar mai scandalo ad un cercatore di verità o ad un credente, perdonare ripetutamente le offese ricevute erano doveri che richiedevano una misura di fede più grande di quella che i discepoli in allora possedevano, e l'ottenerla fu senza dubbio lo scopo della loro preghiera.

PASSI PARALLELI

Marco 9:24; 2Corinzi 12:8-10; Filippesi 4:13; 2Tessalonicesi 1:3; Ebrei 12:2; 1Pietro 1:22-23

6 6. E il Signore disse: Se voi aveste pur tanta fede quant'è un granel di senape (Vedi Note Matteo 13:32), voi potreste dire a questo moro: Diradicati, e piantati nel mare; ed esso vi ubbidirebbe.

Con questo parole, il Signore non mette in dubbio la fede dei suoi discepoli, come si potrebbe supporre a prima vista, né insinua che essa non fosse più grossa del seme più minuto. Parla nello spirito istesso della, loro preghiera, per incoraggirli, non per rendere il loro carico più grave, e il suo concetto è: "Non temiate; riconoscete di aver già ricevuto, per grazia, una qualche misura di fede: or bene, io vi dico che se anche quella fede vivente non fosse più grande di un granel di senape, essa possiede tal potenza e vitalità, che, se vien coltivata, nessun ostacolo può frenarne la crescenza. Vivere «nel presente secolo temperatamente, e giustamente, e piamente», perdonare appieno le offese più cocenti son cose facili a quella fede, la quale potrebbe, in caso di bisogno, svellere quel sicomoro e fargli prender radice in mezzo al mare!" Era alla loro domanda una risposta delle più benigne ed incoraggianti. Teniamola a cuore. In breve questo detto è esattamente parallelo alle parole dette al padre del fanciullo indemoniato: Se tu puoi credere, ogni cosa è possibile a chi crede» Marco 9:23, solo in questo passo il Signore fa uso di una montagna per similitudine. L'albero qui mentovato, in Greco (sicamino), può essere il moro, come suppone Diodati, ma è più probabilmente il ficus sycomorus, perché quello è l'albero di cui è generalmente parlato nell'Antico Testamento, e che la LXX chiama sempre sicamino. Dioscoride dice espressamente: Il sicomoro chiamasi spesso sicamino. Ciascuno di questi nomi si trova solo una volta nel Nuovo Testamento, qui e in Luca 19:4. Il fico-moro (che questo è il senso del suo nome Greco), è comune in Palestina ed in Egitto. È assai grande ed alto, ha rami molto sporgenti, fogliame sempre verde, e viene estesamente coltivato. Fornisce un legname durevolissimo che non patisce né il caldo né l'umido. Le casse delle mummie egizie son fatte di questo legno, e trovansi ancora perfettamente sane, dopo aver passato nelle tombe migliaia di anni. Il frutto cresce direttamente sul tronco.

PASSI PARALLELI

Matteo 17:20-21; 21:21; Marco 9:23; 11:22-23; 1Corinzi 13:2

Luca 13:19; Matteo 13:31-32

7 

Umiltà, Luca 17:7-10

7. ora, chi è colui d'infra voi,

Benché non sembri esservi un nesso logico assoluto fra il contenuto di questi versetti e i precedenti, il soggetto qui trattato forma però una conclusione benissimo adattata alla serie di ingiunzioni in quelli ricordate. La lezione qui inculcata è l'umiltà; ma il tenore della parabola in cui essa è incorporata pare accennare ad un orgoglio diverso dalla vanagloria che potrebbe risultare dalla certezza di quello che la fede può fare Luca 17:6. Il comando qui dato ha in vista le speranze che Gesù ben sapeva nutrire essi nel cuore di splendide ricompense, e dignità, nel tanto sospirato regno temporale del Messia, e l'impazienza che sentivano di riceverle. Coll'esempio di uno schiavo che compie tutta quanta l'opera sua giornaliera, senza aspettare ricompensa alcuna, perché sa che la sua persona e il suo lavoro appartengono entrambi al suo padrone, e che egli stesso non ha merito alcuno nel fare quello che egli è assolutamente tenuto di fare, il Signore insegna ai discepoli di tutti i tempi che, ben lungi dal credere, nell'orgoglio del loro cuore, che quello da essi fatto per Cristo meriti ricompensa, essi come lo schiavo, devono considerare i loro servizii più devoti come quello che sono tenuti di fare, per essere. stati «comperati con prezzo», cosicché essi sono servi inutili, i quali non dànno a Dio se non quello che appartiene a lui.

il quale avendo un servo.

La parola greca non è qui servo salariato Luca 15:17,19, il quale, finché è pagato, deve compiere i servigi impostigli dal suo padrone, ma è pur libero di licenziarsi quando vuole. È significativa la scelta della parola doulos, che indica uno schiavo comperato a contanti, epperciò divenuto proprietà del padrone come il suo bue o il suo asino, e costretto, al par di questi animali, per amore o per forza a logorarsi la vita in lavoro giornaliero. Gesù ne fa uso per imprimere nella mente dei suoi discepoli il fatto che egli li ha comprati col suo sangue, affinché sieno assoluta sua proprietà, per servirlo ogni giorno ed ogni ora coi loro corpi e coi loro spiriti che sono del Signore, e per convincerli pure che nel rendergli tale servigio, essi non acquistano merito alcuno; poiché il Signore domanda da essi, come sua proprietà, tutto quello che essi possono fare, ed infinitamente più di quello che fanno in realtà. Parlar di meriti, di ricompense, di opere soprabbondanti, di fronte a questa definizione del credente è mera pazzia. I servizi che egli rende a Dio, il Cristiano li deve alla grazia, non meno che la sua giustificazione.

che ari, o che pasturi il bestiame, quando esso, tornando dai campi, entra in cosa, subito gli dica: Passa qua: mettiti a tavola?

subito è congiunto nel testo ad gli dica, ma che la sua vera connessione sia con vieni, è evidente dalla espressione corrispondente poi, nel ver. 8; dovrebbesi dunque leggere: «Vieni subito, mettiti a tavola».

PASSI PARALLELI

Luca 13:15; 14:5; Matteo 12:11

8 8. Anzi, non gli dice egli: Apparecchiami da cena, e cigniti, e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto poi mangerai e berrai tu?

La ricompensa non è totalmente perduta di vista, verrà a suo tempo, ad opera compiuta, non prima. Le parole di questo versetto sembrano a prima vista contradire l'assicurazione che Cristo dà in Luca 12:37; ma notiamo che in quest'ultimo caso il tempo della ricompensa è quando il Maestro ritorna e l'opera del servo è compiuta. «Il Signore parla in questo passo di quello che nel nostro stato di servizio dobbiamo aspettare, mentre, nel cap. 12:37, ragiona di quello che nel nostro stato di manomessione e di adozione, le meraviglie della sua grazia ci conferiranno. Qui è quistione di diritto, lì di favore» (Alford).

PASSI PARALLELI

Genesi 43:16; 2Samuele 12:20

Luca 12:37

9 9. Tiene egli in grazia da quel servo, ch'egli ha fatte le cose che gli erano state comandate?

Con queste parole, il Signore non iscusa in verun modo l'indifferenza o la durezza verso i servi, perché nulla sarebbe più opposto allo spirito del cristianesimo, il quale richiede che facciamo agli altri come vorremmo che fosse fatto a noi Efesini 6:9; Colossesi 4:1. Egli non dà qui delle regole sulla condotta dei padroni terrestri verso i loro servitori, ma parla delle relazioni legali esistenti fra noi e Colui «di cui siamo e che serviamo».

Io nol penso.

Il Codice Alessandrino seguito da Lachmann e da Tischendorff mette in dubbio l'autenticità di queste parole, ma quella opinione è seguita da pochi scrittori. Invero, come osserva Oosterzee, esse hanno un carattere troppo forte di originalità per poter venir messo in dubbio. «Con gran degnazione, ma pare umiliando, con bontà e chiarezza al tempo stesso, l'orgoglio dei suoi servi, il Signore stesso risponde col suo cioè; questo almeno è il franco moi pensiero; potete voi dire che sia diversamente?» (Stier). Sulla parabola in generale si può notare che un esempio ordinario del lavoro di un servo non avrebbe corrisposto allo scopo del Signore; gli occorreva una linea spinta al suo ultimo limite. Egli vuole insegnare che la più completa ubbidienza per parte dell'uomo non è meritoria dinanzi a Dio, e fra le cose temporali sceglie per analogia il caso di uno schiavo il cui lavoro è obbligatorio.

10 10. così ancora voi, quando avrete fatte tutte le cose che vi sono comandate,

Chi tra i figli d'uomo può mai pretendere di alzarsi a tanta altezza? Più sentiamo di rimanerne al disotto, più abbiam motivo di umiliarci, più si convengono a noi le parole che il Salvatore mette sulle nostre labbra:

dite: Noi siam servi disutili;

non suona pigro o insolente,abietto o insignificante e meno ancora disutile nel senso sfavorevole in cui quella parola viene applicata Matteo 25:30, a quelli che sono cacciati nelle pene eterne; ma è usata semplicemente come l'opposto di profittevole. "Non abbiamo recato nessun benefizio a Dio, con tutti i nostri servizii; gli abbiamo dato semplicemente il suo". L'applicazione che Gesù fa di questa parabola va più in là dell'analogia e della similitudine delle cose umane; imperocché, fra gli uomini, un servo fedele reca profitto al suo padrone Filemone 11, e servendolo con zelo amorevole, oltre i limiti dell'assoluto dovere, ne merita i ringraziamenti. I credenti sono essi pure utili ai vicini ed al mondo, come «sale della terra», come «luce del mondo»; ma se si domanda: "Iddio ci va egli debitore, in qualsiasi grado, per quello che abbiamo fatto?" la risposta dovrà essere in eterno: «Noi siamo servi disutili». Bene osserva Bengel: «Guai all'uomo che Dio chiama disutile, ma felice colui che così chiama se stesso» (Miser est quem Dominus servum inutilem appellat, beatus qui se ipse).

conciossiacché abbiam fatto ciò ch'eravamo obligati di fare.

Qui si vede il vero senso di disutile. Non abbiam fatto nulla che ci dia diritto ad una ricompensa: i nostri servizi, come quelli degli angeli, appartengono di diritto a Dio, ed in tutto quello che abbiamo fatto o potremo fare ancora, non possiamo andare più in là di quanto siamo obbligati di fare, come quelli che non «appartengono a sé stessi», ma sono proprietà di Cristo. Ci lodano gli uomini, per le nostre opere di pietà e di amore? Ci lusinga l'orgoglio che meritiamo una ricompensa per le nostre opere? Il nostro cuore carnale ci suggerisce egli che abbiam reso servigio a Dio? In ognuno di questi casi dobbiamo rispondere: Abbiam fatto soltanto ciò che eravamo obbligati di fare. Fossero impazienti di ottenere una ricompensa che credevano meritata, o vanitosi di una fede capace di tante cose, agli apostoli s'insegna qui a ricordarsi ed a confessar sempre, di non aver nulla in proprio, ma di esser debitori alla maravigliosa grazia di Dio. Questa lezione è per tutti i tempi e per tutti i veri discepoli di Gesù. Con questa dottrina Gesù rovescia interamente tutto il merito delle creature. Se fosse possibile di osservare perfettamente tutti i comandamenti di Gesù, altro non faremmo che il nostro dovere; ma oimè! quante innumerevoli imperfezioni deturpano la nostra ubbidienza! Se fosse possibile osservare perfettamente tutti i comandamenti di Gesù, non vi sarebbe in questo merito alcuno, perché così faremmo non per virtù nostra, ma sol per grazia sua. Parlare di merito in noi, di opere soprabbondanti, o di essere in qualunque modo utile a Dio, è di faccia a questi versetti una cosa assurda.

PASSI PARALLELI

1Cronache 29:14-16; Giobbe 22:2-3; 35:6-7; Salmi 16:2-3; 35:6-7; Proverbi 16:2-3

Isaia 6:5; 64:6; Matteo 25:30,37-40; Romani 3:12; 11:35; 1Corinzi 9:16,17; 15:9-10

Filippesi 3:8-9; Filemone 11; 1Pietro 5:5-6

RIFLESSIONI

1. «Quel che dice qui il Signore, della impossibilità che non avvengano scandali, ci mostra quanto vivamente egli fosse convinto del contrasto che esiste fra il santo regno di Dio e il mondo peccaminoso dell'umanità. Un maestro ordinario di morale avrebbe detto: "È impossibile che avvengano scandali". Il Apocalisse del cielo dice al contrario: "Egli è impossibile che scandali non avvengano, ma persino questi scandali saranno strumenti degli alti miei disegni". Ma benché egli tragga il bene dal male, è terribile la responsabilità degli autori degli scandali, ed è troppo spesso scordata. Però dobbiamo badare di applicare questa minaccia del Signore agli scandali dati, non a quelli che uno si crea da sé» (Oosterzee).

2. Ricordiamoci che se dànno certamente scandalo ai figli di Cristo quelli che li perseguitano crudelmente, o si sforzano di impedirli colla violenza di servirlo, è questo un peccato che giace pure alla porta di molti sedicenti cristiani, i quali discreditano la loro religione colla violenza del loro carattere, delle loro parole o dei loro atti. Il mondo può non capire le dottrine e i principii dei credenti, ma ha gli occhi aperti sulla loro condotta. Le infedeltà di quelli che si dicono cristiani dànno spesso agli uomini del mondo una scusa per trascurare interamente la religione. Un credente inconseguente, lo sappia o no, danneggia ogni giorno qualche anima; la sua vita è un attacco continuo alla religione di Cristo. È questo un soggetto di grandissima importanza, e le minaccie pronunziate contro quelli che peccano in questo modo son veramente terribili. Domandiamoci dunque spesso se questo peccato giace alla nostra porta, se facciamo del bene o del male nel mondo.

3. Pochi doveri sono così di frequentemente ricordati nel Nuovo Testamento come la necessità e l'importanza di coltivare uno spirito di perdono. Questo occupa un posto eminente nell'orazione Domenicale. La sola professione che facciamo in quella preghiera si è quella di «perdonare a quelli che ci hanno offeso». È questo pare un segno importante dell'abitazione dello Spirito Santo in noi, perché il cuor dell'uomo, nel suo stato naturale, è proclive alla vendetta. Gesù ha dichiarato che, se non perdoniamo, non saremo perdonati; e Paolo c'insegna a lasciare la nostra vendetta nelle mani del Signore, per vincere al contrario il cuore dei nostri nemici con opere di bontà Romani 12:19-21. Eppure chi non sa che l'orgoglio, l'alterigia e la prontezza nel prendere offesa, e l'implacabile determinazione di non dimenticare o di non perdonare mai, sono cose comuni anche fra quelli che furono battezzati nel nome di Cristo, che si avvicinano alla sua mensa, e professano amore al suo vangelo? Migliaia di cristiani stanno continuamente in guerra coi loro vicini, sempre si lagnano dei torti ricevuti dagli altri, e dimenticano che spesso il loro carattere iracondo è la scintilla che cagiona l'incendio. Non iscordiamo mai che uno spirito litigioso ed avverso al perdono è segno sicuro di un cuore irrigenerato 1Corinzi 3:3; 1Giovanni 3:18-20.

4. La parola del Signore relativamente al granel di senape non si applica solamente alla fede che opera miracoli, quando Dio concedeva un tal dono, ma pure alla fede che salva. La più piccola proporzione di questa grazia porta salvezza in tutto le sue parti, ed il suo esercizio rende possibili tutte le vittorie spirituali. I credenti possono ogni cosa in Cristo che li fortifica Filippesi 4:13. Vi è fede «grande»; fede «debole» e fede «forte», di entrambe parla la Scrittura, ed entrambe si riscontrano nei figli di Dio. Il granel di senape ci ricorda pure che la fede è di natura progressiva 2Tessalonicesi 1:3, fatto che alcuni dimenticano, ma la debita considerazione del quale è importante, affinché sappiamo come pensare, parlare e trattare rispetto agli altri. Esso c'impedirà di giudicare severamente gli altri, perché non sono ancora avanzati quanto dovrebbero Romani 14:1. Questa verità è pure importante per noi. Il tenerla in mente tratterrà dal perdersi d'animo quelli in cui la fede è relativamente debole, ed al tempo stesso essa insegnerà a tutti i credenti di non restarsene soddisfatti con una fede debole, perché è dover loro di essere «fortificati per la fede, dando gloria a Dio».

5. Merito sovrabbondante è cosa che non esiste nell'uomo. Nelle religioni inventate dall'uomo questi meriti crescono come le male piante dal suolo; ma non ci fu mai fondamento alcuno per questo prodotto dell'umano orgoglio. Esso è basato su di un malinteso relativo alle relazioni di Dio e dell'uomo. Dio ha dato tutto, è padrone di tutto, ha diritto a tutto. I Cristiani non appartengono a se stessi; le loro persone, le loro doti, le loro facoltà son di Dio loro Creatore e Redentore. Quando essi avranno rassegnato completamente al volere di Dio le loro forze, ed il prodotto di quelle, gli avranno semplicemente, reso il suo. Una volta perdonati, dobbiamo continuare il viaggio della vita colla profonda convinzione di essere «servi disutili». Quando facciamo il nostro dovere, non è già per propria nostra forza, bensì per la forza che riceviamo da Dio. Non abbiamo su Dio diritto alcuno di ricompensa, né possiamo aspettare legalmente nulla da lui; non abbiamo meritato il più piccolo dono dalla sua mano. Tutto quello che possediamo lo abbiamo ricevuto, tutto quello che siamo lo dobbiamo alla grazia sovrana di Dio.

11 Luca 17:11-19. I DIECI LEBBROSI NETTATI

11. Or avvenne che, andando in Gerusalemme, egli passava per mezzo la Samaria, e la Galilea.

Queste parole posson considerarsi come un avvertimento al lettore, per parte dell'evangelista, che si tratta della continuazione del viaggio di cui egli avea ricordato il principio in Luca 9:51; ma siccome le parole possono significare fra la Samaria e la Galilea, vale a dire sulla frontiera di entrambe, senza attraversarle, e siccome nessuna data è assegnata a questo fatto, non v'ha ragione per non riferirlo al tempo indicato in quel passo, quando, secondo noi, Gesù se ne andava verso la Perea, lungo quella frontiera. La presenza di un Samaritano in questo gruppo di lebbrosi dà più forza alla probabilità che Gesù passasse lungo la frontiera di quella due provincie. Tenendo conto della narrazione degli altri due sinottici, non par probabile che, con una espressione isolata come questa, il nostro evangelista voglia indicare un nuovo viaggio attraverso quelle due grandi divisioni del paese, né egli avrebbe nominato la Samaria prima della Galilea, dalla quale il Signore era pure allora uscito.

PASSI PARALLELI

Luca 9:51-52; Giovanni 4:4

12 12. E, come egli entrava in un certo castello,

Si è parlato di Enon, ove Giovanni battezzava, come essendo la scena di questa guarigione ma siccome le ricerche più diligenti non sono riuscite infino ad ora a identificare quel villaggio, è questa una supposizione affatto infondata.

dieci uomini lebbrosi gli vennero incontro.

Se questi dieci lebbrosi fossero stati tutti di quel vicinato, si dovrebbe dire che la lebbra prevaleva assai in Palestina ai tempi del Signore; ma siccome ogni lebbroso veniva scacciato dalla sua famiglia e dalla sua città, è possibile che questi venissero da lontano, ed essendosi fortuitamente incontrati, avessero risoluto di vivere insieme per farsi compagnia. I più violenti pregiudizii vennero abbandonati, Giudei e Samaritani si unirono nella comune miseria. In 2Re 7:3 troviamo un altro esempio di parecchi lebbrosi costretti dalla necessità a vivere insieme. Questa brigata veniva evidentemente in senso opposto a quella di Gesù e dei suoi discepoli.

i quali si fermarono da lungi;

Le leggi relative ai lebbrosi trovansi in Levitico 13. Tutti quelli che erano affetti da quella malattia erano impuri dinanzi alla legge cerimoniale. Il contatto con essi, anche supposto che, secondo le nozioni moderne, non fosse contagioso involgeva nella medesima loro impurità legale, il che rendeva assolutamente necessario separarli dalla società, e precauzioni molto minuziose venivano prese a questo riguardo. Il lebbroso doveva avere i vestimenti stracciati, il capo scoperto, il labbro superiore velato, ed era costretto a gridare: «L'immondo, l'immondo!» all'avvicinarsi di qualsiasi persona. Doveva poi vivere solo e fuori del campo Levitico 13:45-46. Il fermarsi da lontano, quando vedevano giungere qualche persona, era la conseguenza naturale di queste regole, e quantunque la distanza cui dovevano arrestarsi non venga detta in nessun luogo della Scrittura la si è variamente fissata da 4 a 100 cubiti, vedi Note Matteo 8:2; Luca 5:12.

PASSI PARALLELI

Luca 5:12; 18:13; Levitico 13:45-46; Numeri 5:2-3; 12:14; 2Re 5:27; 7:3

2Cronache 26:20-21

13 13. E levarono la voce, dicendo: Maestro, Gesù, abbi pietà di noi.

Riconobbero Gesù, e conoscendo senza dubbio la fama dei suoi miracoli, la speranza, da lungo tempo morta, rinacque nel loro cuore. Il malinconico grido di ammonimento si mutò in una supplicazione unita e clamorosa per ottener grazia. Non occorreva specificare di qual soccorso abbisognavano: ben sapevano che Gesù riconoscerebbe subito il loro stato miserando, ed essi erano per parte loro perfettamente convinti del suo potere di guarirli.

PASSI PARALLELI

Luca 18:38-39; Matteo 9:27; 15:22; 20:30-31; Marco 9:22

14 14. Ed egli, vedutili, disse loro: Andate, mostratevi a' sacerdoti.

Era questa una delle regole della legge mosaica, poiché al sacerdote toccava di decidere se la malattia era rimossa e in quel caso rimettere il lebbroso nella società. Nel dare questo comando, Cristo, come «fatto sotto la legge», dà un altro esempio di quell'«adempimento di ogni giustizia», della necessità del quale egli avea parlato a Giovanni al momento del battesimo. Ma questo comandamento avea pure un altro scopo più importante ancora, quello cioè di mettere alla prova la fede di questi uomini nel suo potere di guarirli. Nella cura del lebbroso Luca 5:12-14, il Signore lo toccò colla propria mano; ma in questo caso non vi fu né guarigione immediata, né l'assicurazione diretta di quella se si mostravano ai sacerdoti benché avessero il diritto di arguirla dal comando stesso. Avrebbero potuto chiedere: "Perché non guarirei prima? perché mandarci dai sacerdoti, senza darci guarigione che sola può liberarci di faccia alla legge?" Ma non vi fu né dubbio né esistenza per parte loro nel fare quanto Gesù avea detto. I peccatori che sono inquinati dalla lebbra del peccato dovrebbero imparare da essi a por fede nel Signor Gesù ed a fare uso dei mezzi di grazia, colla massima fiducia che egli può e vuole guarirli, se solo seguono le sue direzioni, e che col tempo essi avranno la più certa prova della loro pace con Dio, e della loro guarigione da ogni sozzura. In ogni tribù d'Israele, trovavansi delle città specialmente designate per la dimora dei sacerdoti, dimodoché non aveano da andar lontano per ottener la sentenza di liberazione, benché alcuno delle cerimonie connesse colla guarigione della lebbra non potessero venire adempiute che in Gerusalemme. Siccome i Samaritani davano molta importanza al Pentateuco, dov'eran contenute le leggi relative alla lebbra, è da presumersi che essi pure osservavano la stessa forma di purificazione, dimodoché il lebbroso samaritano non avrà avuto che da presentarsi al più vicino sacerdote di suo rito. Alcuni però suppongono che Gesù lo mandò ai sacerdoti giudei per indicare «che la salute era dalla parte dei Giudei» Giovanni 4:22. La conclusione derivata da questo versetto dalla Chiesa di Roma che cioè il Signore voglia che ci sia nella sua Chiesa una, casta sacerdotale separata, e che a quella debbano sempre rivolgersi i peccatori desiosi di aiuti spirituali, non ha fondamento alcuno. Nulla v'ha in questo versetto che la giustifichi. Finché, durarono la legge cerimoniale e il sacerdozio levitico, dovevansene osservare tutte le prescrizioni; ma il culto del Nuovo Testamento fu modellato su quello della sinagoga, coi suoi anziani, non su quello del tempio coi suoi sacerdoti e le sue cerimonie.

Ed avvenne che, com'essi andavano, furono mondati.

Gesù compì i suoi miracoli in vari modi, e questo fu uno di quelli compiuti dalla sua virtù invisibile, quando quelli che ne erano l'oggetto trovavansi lontano da lui. Casi analoghi a questo sono le guarigioni del figlio dell'ufficiale reale; del servo del centurione di Capernaum; e della figlia della donna sirofenice, sulle frontiere di Tiro e di Sidon Giovanni 4:50; Luca 7:10; Marco 7:30.

PASSI PARALLELI

Luca 5:14; Levitico 13:1,2-46; 14:2-32; Matteo 3:15; 8:4

2Re 5:14; Isaia 65:24; Matteo 8:3; Giovanni 2:5; 4:50-53; 9:7; 11:10

15 15. Ed un di loro, veggendo ch'era guarito, ritornò, glorificando Iddio ad alta voce.

Mentre questi uomini se ne andavano in fretta in cerca del sacerdote, divennero subitamente consci di una guarigione perfetta; ma l'effetto che questa produsse non fu in tutti lo stesso. I più proseguirono la loro via, intenti solo ad ottenere il certificato di salute, ed impazienti di tornarsene a casa e in seno alle famiglie; non venne loro in mente l'idea di un dovere da compiere verso il loro benefattore. Né, si può scusarli col dire che senza dubbio intendevano tornare dopo di essersi fatti vedere dal sacerdote, perché le parole che Gesù rivolge ai circostanti indicano che non v'era nessuna intenzione consimile nel loro cuore. Un solo si fermò di botto e ritornò in presenza di Cristo, ed era questi l'ultimo dal quale un tal atto si sarebbe potuto aspettare, poiché era Samaritano. Il suo primo pensiero fu pel suo liberatore; sentivasi il cuore pieno di gratitudine, perché, nel comunicare un tal benefizio, Gesù non avea fatto distinzione alcuna fra lui e i suoi compagni di sventura. Il senso della misericordia di Dio e della sua propria indegnità gli fa dimenticare ogni altra cosa, e con voce allegra egli rende gloria a Dio, pel cui potere solo una tal guarigione avea potuto venir fatta. Tenne condotta parallela alla sua il lebbroso, Naaman siro, il quale era egli pure straniero alla nazione d'Israele 2Re 5:15.

PASSI PARALLELI

Luca 17:17-18; 2Cronache 32:24-26; Salmi 30:1-2,11-12; 103:1-4; 107:20-22; 116:12-15

Salmi 118:18-19; Isaia 38:19-22; Giovanni 5:14; 9:38

16 16. E si gittò sopra la sua, faccia a' piedi di Gesù, ringraziandolo. Or colui era Samaritano.

È notevole il nesso fra il dar gloria a Dio e il ringraziar Cristo. Gli altri possono aver ringraziato Iddio in modo generico, costui solo lo ringraziò debitamente ed in modo accettevole, confessando l'unigenito e diletto suo Figlio (ora da lui riconosciuto per fede nella persona del suo liberatore), mediante il quale questa grazia eragli stata accordata. Si prostrò colla fronte nella polvere, e quest'atto di adorazione divina, Cristo lo ricevette e lo lodò, il che non avrebbe potuto fare se non fosse Dio, Per dettagli sui SAMARITANI vedi note Matteo 10:5; Luca 9:52, e le Sette Giudaiche.

17 17. E Gesù prese a dire: I dieci non sono eglino stati nettati? e dove sono i nove? 18. È non se n'è trovato alcuno, che sia ritornato per dar gloria a Dio, se non questo straniero.

La parola straniero, non si trova in nessun altro posto del Nuovo Testamento; corrisponde a ben nekar di Esodo 12:43, e significa «uomo d'altro popolo». È una espressione molto forte e indica che Gesù metteva i Samaritani sullo stesso rango che i Gentili. Al Signore importava poco ricevere onore dagli uomini: in questo caso, egli non mette l'accento sull'affronto fatto a sé stesso; ma, conoscendo che cosa è l'uomo, indica con queste parole che la gratitudine verso Dio non poteva essere molto profonda, quando non si rivolgeva neppure una parola di ringraziamento al benefattore umano. Le sue parole relativamente al Samaritano esprimono lo stupore e la maraviglia, come accadde pure in occasione di un'altra dimostrazione di fede per parte di un Gentile Matteo 8:10. Gesù sente vivamente la differenza fra quei semplici cuori nei quali vibra tuttora il sentimento naturale della gratitudine, e i cuori giudaici corazzati di orgoglio farisaico e di pregiudizii.

PASSI PARALLELI

Genesi 3:9; Salmi 106:13; Giovanni 8:7-10; Romani 1:21

Salmi 29:1-2; 50:23; 106:13; Isaia 42:12; Apocalisse 14:7

Matteo 8:10,12; 15:24-28; 19:30; 20:16

19 19. E disse a colui: Levati, e vattene; la tua fede ti ha salvato.

Egli era salvato non solo in quanto al corpo, come gli altri, ma in quel senso spirituale e più elevato col quale il costante linguaggio di Cristo ci ha resi famigliari. Abbiam qui una nuova grazia di cui Gesù da la certezza a questo lebbroso. La fede, di cui parla qui il Signore, non è solamente quella che lo condusse a mettersi senza esitazione per via, ubbidendo al comando del Signore, ma più ancora quella che lo ricondusse con ringraziamenti ai piedi di Gesù. «Col suo ritorno», dice Godet, «egli ha suggellato per sempre il primiero e fuggitivo legame che la sua guarigione avea formato fra Cristo e lui; egli riconosce la parola di Cristo come l'agente di quel miracolo, si unisce strettamente a tutta la persona di colui, del quale egli non avea in sulle prime ricercato che la potenza, In questo modo; la sua guarigione fisica trasformarsi in guarigione morale, in salute». Benché non gli venga ripetuto il comando di mostrarsi al sacerdote, è probabile che quest'uomo si affrettò di ottenere il certificato legale attestante la realtà del miracolo che era stato compiuto su di lui. I peccatori rigenerati, mentre il loro cuore sovrabbonda di gratitudine verso Dio, dovrebbero esprimerla coll'ubbidirgli, e coll'accingersi ai doveri della loro vocazione e della loro religione.

PASSI PARALLELI

Luca 7:50; 8:48; 18:42; Matteo 9:22; Marco 5:34; 10:52

20 Luca 17:20-37. LA VENUTA DEL REGNO DI DIO E DEL FIGLIUOLO DELL'UOMO Matteo 24:16-28,37-41; Marco 13:15-16

20. Ora, essendo domandato da' Farisei, quando verrebbe il regno di Dio,

Dalle disposizioni che nutrivano verso Gesù gli interroganti, è facile conoscer subito qual fosse il regno di Dio del quale domandavano, ed in quale spirito facessero quella quistione. Altre nozioni non avevano del regno di Dio che il potente e glorioso dominio temporale di cui aspettavano la fondazione alla venuta del Messia, venuta che, secondo le loro idee, doveva essere segnata da prove di insolito splendore. L'«eccolo quì», «eccolo là» del ver. 21 indicano che essi stavano continuamente spiando, frammezzo agli eventi rumorosi del tempo, qualunque segno atto a realizzare le loro speranze. Giovanni Battista avea parlato di quel regno come essendo molto vicino, Gesù lo avea detto già venuto; ma non era accaduto in Palestina o fuori niente che corrispondesse alle loro speranze ed è con maliziosa ironia che domandano: "Quanto dovremo ancora aspettare che questo regno di Dio, di cui parli tanto, faccia la sua apparizione?"

rispose loro, e disse: Il regno di Dio non verrà la maniera che si possa osservare;

La parola significa una osservazione rigorosa. una vigilanza continua, uno stare all'erta per scoprire qualche cosa, che altrimenti potrebbe passare inosservata. Il Targum, spiegando le parole di Davide: «L'anima mia guarda al Signore più che le guardie non riguardano alla mattina, stando a guardare quando verrà la mattina» Salmi 130:6, dichiara che i preti stavano a turno spiando nel tempio il primo apparir dell'alba, affin di poter offrire il sacrifizio della mattina, ed è la medesima idea di vigilanza costante per una cosa che devesi aspettare ad ogni momento, che viene espressa dalla parola greca qui usata. Non si deve aspettare il regno di Dio come una fragorosa sorpresa.

PASSI PARALLELI

Luca 10:11; 16:16; 19:11; Atti 1:6-7

Luca 17:23-24; Daniele 2:44; Zaccaria 4:6; Giovanni 18:36

21 21. E non si dirà: Eccolo qui, od eccolo là;

Gli uomini non ne parleranno, come fate quando udite la nuova di qualche evento fuori dell'usato.

perciocché ecco, il regno di Dio è dentro di voi.

Le parole possono tradursi ugualmente dentro di voi, o in mezzo a voi, e in ambo i casi contengono una verità importante. Il regno spirituale di Cristo è stabilito nel cuore del credente, mediante la fede nel Figlio di Dio, il quale morì per acquistargli la salute, e mediante gli effetti vivificanti ivi prodotti dallo Spirito Santo. Egli è come il lievito nelle tre misure di farina;. non viene con pompa e parata cisterna, e la sua azione, in regola generale, non è osservabile dai circostanti e nemmeno dal più intimo amico. Egli è solo quando è avvenuta la nuova nascita, quando la vita del cuore rigenerato si manifesta nella condotta e nella conversazione giornaliera del credente, che gli uomini cominciano ad osservare che i tali «sono stati con Gesù». Crediamo fermamente, che questa idea sia racchiusa in queste parole, e che per esse Gesù volesse inculcare a quelli fra i suoi uditori che erano ben disposti spiritualmente che il regno di Dio ha la sua sede nel cuore, e non in cerimonie e servizii religiosi esterni. Però si scorge subito che tale non era il significato primo di queste parole, perché, in questo senso, esse non sarebbero state vere dei Farisei, nel cuore dei quali il regno di Dio non era venuto, e di più sarebbero state affatto incomprensibili per loro. Il senso primo è senza dubbio: il regno di Dio è nel mezzo di voi. V'ha qui una risposta diretta ed intelligibile alla domanda dei Farisei, quasiché egli avesse detto: «Non occorre che aspettiate ansiosamente un evento tuttora avvenire, che corriate qua e là ad ogni falso rumore; quel regno di cui domandate già è nel mezzo di voi. Vi è sfuggita la sua venuta, o l'avete deliberatamente ignorata perché egli non è venuto nel modo in cui lo aspettavate.

PASSI PARALLELI

Luca 21:8; Matteo 24:23-28; Marco 13:21

Romani 14:17; Colossesi 1:27

Luca 10:9-11; Matteo 12:28; Giovanni 1:26

22 22. or egli disse ancora a' suoi discepoli:

Il Signore, avendo risposto ai Farisei, si volge ora in modo più speciale ai suoi discepoli; ma, invece di mutar soggetto, continua ad istruirli sulla venuta del regno di Dio, o sulla economia evangelica. Nel suo tenore generale v'ha molta rassomiglianza fra questo discorso e quello di Luca 21; Matteo 24 relativamente alla distruzione di Gerusalemme, ed alla venuta finale del Signore. Vi è però abbastanza differenza fra questo e quelli, soprattutto se si tien conto della diversità delle circostanze in cui quello che ora ci occupa ebbe origine, per condurci alla conclusione che non abbiamo qui un mero frammento introdotto da Luca, senza darsi pensiero di tempo o di luogo, ma un discorso distinto ed avente per iscopo di ammonire i discepoli di non lasciarsi ingannare da ogni falsa voce relativamente alla venuta del regno di Dio; perché quando verrà il momento fissato per la sua manifestazione, più non sarà possibile disconoscerlo. Abbiamo osservato nelle Note su Matteo 24:1-51 che oltre alla prima venuta del Signore in umiliazione e la seconda in gloria. «alla fine del mondo», il Nuovo Testamento parla pure di altre venute providenziali, per punire i suoi nemici, e per iniziare o spingere avanti lo sviluppo del regno del vangelo in tutto il mondo; e ciascuna di quelle venute sarà preceduta da convulsioni e da sconvolgimenti in mezzo ai popoli. Di una tale sua venuta il Signore espressamente dichiara che alcuni di quelli che lo ascoltavano «non gusteranno la morte, che non abbian veduto il Figliuol dell'uomo venire nel suo regno» Matteo 16:28; Marco 9:1; Luca 9:27, e che tutti gli eventi relativi a quella venuta si adempirebbero durante quella generazione Matteo 24:34; Marco 13:31; Luca 21:32. Paolo annunzia un altro di questi ritorni providenziali del Figliuolo di Dio 2Tessalonicesi 2:8, per la distruzione dell'anticristo e l'inaugurazione della felicità millenniale. Circostanze e fatti simili a quelli che sono esposti qui, in Luca 21; Matteo 24: sappiamo dalla storia che accompagnarono la prima di queste manifestazioni providenziali del Figliuol dell'uomo, alla distruzione di Gerusalemme, e siccome quella fu un tipo di quelle che doveano poi seguire, crediamo che la venuta del millennio, ed il ritorno finale del Signore per giudicare il mondo saranno accompagnati da fatti della medesima natura. Molti scrittori, specialmente quelli di tendenze premilleniali (i quali cioè credono che la venuta di Cristo precederà il millennio) asseriscono che in questi versetti non v'ha la, più piccola allusione alla rovina di Gerusalemme, ma che tutti i fatti speciali qui enumerati si riferiscono unicamente alla supposta venuta del Signore in persona prima del millennio; ma, ritenendo quella teoria infondata nella Bibbia, consideriamo questa profezia come applicabile in primo luogo alla distruzione di Gerusalemme, quindi ad ogni manifestazione spirituale e provvidenziale di Cristo (fra le quali, l'inaugurazione del millennio), e finalmente alla sua seconda apparizione personale, «con gli angeli della sua potenza; con fuoco fiammeggiante, prendendo vendetta di coloro che non conoscono Iddio, e di coloro che non ubbidiscono all'evangelo del Signor nostro Gesù Cristo» 2Tessalonicesi 1:7-10.

I giorni verranno che voi desidererete vedere un de' giorni del Figliuol dell'uomo e non lo vedrete.

Alford, Oosterzee ed alcuni altri erroneamente attribuiscono alle parole «un dei giorni del Figliuol dell'uomo» un senso anticipativo e non retrospettivo; in altre parole dicono che nelle calamità che poi dovrebbero attraversare, i credenti sospirerebbero la venuta di Cristo in gloria. Avendo detto pure allora che il regno di Dio già era nel mezzo di loro, lo scopo del Signore in queste parole doveva essere di impedire il risveglio di quelle speranze carnali di un regno temporale che egli avea sempre combattute. Benché il regno già fosse fra di loro, egli annunzia che il Apocalisse non continuerà sempre ad essere nel loro mezzo; che la sua presenza visibile non ne accompagnerà le manifestazioni e lo stabilimento; che invece di essere accompagnato nel suo sviluppo da onori, da potere e da fama terrena, i suoi discepoli sarebbero esposti a tali persecuzioni e calamità che farebbero loro rimpiangere i loro privilegi passati, e strapperebbero al loro cuore il grido: «Oh se avessimo con noi il nostro Signore e Maestro, non fosse che per un giorno?» Un tal desiderio sarebbe molto naturale per parte dei suoi seguaci; ma Gesù annunzia che non potrebbe venire esaudito. Egli avea provveduto un altro mezzo di mandar loro consolazione e coraggio - «il Consolatore», benché non fosse ancora giunto il momento di rivelarlo.

PASSI PARALLELI

Luca 5:35; 13:35; Matteo 9:15; Giovanni 7:33-36; 8:21-24; 12:35; 13:33; 16:5-7

Giovanni 16:16-22; 17:11-13

23 23. E vi si dirà: Eccolo quì, od eccolo là; non vi andate, e non li seguitate

È questo un ammonimento ai suoi discepoli di non lasciarsi commuovere da false voci relative alla venuta ed allo stabilimento del regno temporale del Messia, le quali voci sorgerebbero in diversi lati e si tirerebbero dietro gli amatori di novità e di eccitamento; è pure un buon fondamento per le cose dette nel versetto seguente. Sappiamo da Flavio e da altre autorità, che tali rumori si fecero molto frequenti fra il tempo dell'ascensione di Cristo e quello della distruzione di Gerusalemme; che sorsero allora molti falsi Cristi e molti falsi profeti, e che molti perirono miseramente, per aver dato ascolto a quelle voci. Quell'avvertimento non è punto fuor di luogo ai tempi nostri, poiché vediamo diffondersi vedute così stravaganti relativamente alla seconda venuta di Cristo. Alford dice molto giudiziosamente su questo versetto: «È un avvertimento a tutti i cosidetti espositori di profezie, ed ai loro seguaci, i quali gridano "eccolo qui, eccolo là", tutte le volte che scoppia una guerra o una rivoluzione».

PASSI PARALLELI

Luca 17:21; 21:8; Matteo 24:23-26; Marco 13:21-23

24 24. Perciocché, quale è il lampo, il quale lampeggiando risplende da una parte di sotto al cielo infino all'altra; tale ancora sarà il Figliuol dell'uomo, nel suo giorno.

È questa la ragione per cui l'ammonimento del precedente versetto dovea venir preso sul serio e come regola di condotta. Quando sarà realmente venuto il giorno del Figliuol dell'uomo, si farà evidente agli occhi di tutti l'inutilità di andarlo ricercando da un luogo all'altro, a motivo della sua potente chiarezza, delle circostanze straordinarie che l'accompagneranno, e dell'universale attenzione che egli desterà. Il lampo è simbolo indubitato di un evento subitaneo ed inaspettato; ma il Signore non l'usa tanto qui in quel senso, quanto in quello di una manifestazione della potenza divina così chiara, evidente ed indubitabile da ridurre al silenzio ogni contraddittore. L'invasione della Giudea per parte dell'esercito romano non fu segreta, lenta e limitata in quanto all'estensione; ma aperta, rapida, terribile ed estesa come il lampo. «Quando tutta l'economia civile e religiosa dei giudei fu distrutta in un colpo solo, e la sua continuazione resa impossibile a motivo della distruzione di Gerusalemme, divenne a tutti manifesto colla chiarezza del lampo, che il regno di Dio era cessato di esistere sotto la sua forma di prima, e ne aveva assunto una nuova e perfettamente diversa da quella. Così accadrà forse di nuovo prima del suo finale e maggior cambiamento al ritorno personale di Cristo, cui queste parole, nel loro senso più elevato, sono applicabili» (Brown). Per altre osservazioni vedi nota Matteo 24:27.

PASSI PARALLELI

Giobbe 37:3-4; Zaccaria 9:14; Matteo 24:27

Malachia 3:1-2; 4:1-2; Matteo 24:30; 25:31; 26:64; 1Tessalonicesi 5:2; 2Tessalonicesi 2:2,8; Giacomo 5:8

2Pietro 3:10

25 25. Ma conviene ch'egli prima sofferisca, molte cose,

Per moderare le speranze che potevano sorgere nella mente dei suoi discepoli, dietro alle parole del versetto precedente. Gesù ricorda loro, ancora un'altra volta, le sofferenze di cui già ha parlato ripetutamente, ed alle quali dovea andar sottoposto prima di quella «venuta»; ma così facendo, implica pure che essa doveva accadere poco dopo la sua morte. Se è giusta questa inferenza, la comune interpretazione, che riferisce i vers. 24,26,30, e naturalmente tutto il passo, alla venuta providenziale di Cristo nella distruzione di Gerusalemme, per parte dell'esercito romano e come tipo della sua venuta personale all'ultimo giorno, sarebbe la vera.

e sia rigettato da questa generazione,

generazione, in questo luogo significa senza dubbio la generazione dei Giudei attualmente viventi al tempo in cui Cristo parlava.

PASSI PARALLELI

Luca 9:22; 18:31,33; 24:25-26,46; Matteo 16:21; 17:22-23; 20:18-19; Marco 8:31

Marco 9:31; 10:33

1Samuele 8:7; 10:19; Isaia 53:3; Matteo 21:42; Marco 12:10; Giovanni 1:11; 12:38

26 26. E, come avvenne a' dì di Noè, così ancora avverrà a' dì del Figliuol dell'uomo. 27. Gli uomini mangiavano, beveano, sposavano mogli, e si maritavano infino al giorno che Noè entrò nell'arca; e il diluvio venne, e li fece, tutti perire.

Avendo dichiarato che il giorno della sua venuta (abbracciando epoche distinte) sarebbe accompagnato da segni così visibili che nessuno ne potrebbe dubitare, il Signore ci mostra ora lo stato di completa indifferenza, sicurezza e preoccupazioni delle cose giornaliere della vita, in cui questa venuta troverà gli uomini, ad onta di tutti gli avvertimenti ricevuti da lui medesimo, dai suoi ministri o dalla sua parola, paragonandolo allo stato del mondo antediluviano, al momento in cui scoppiò il diluvio e Noè entrò nell'Arca. Essendo il mondo immerso volontariamente in quello stato di indifferenza, la venuta del Signore, mentre porta liberazione al suo popolo, ci viene rappresentata come un giudizio che colpisce gli empii e gli increduli. In questi giorni, in cui i teologi trattano gli eventi ricordati nella Genesi come dei miti, è importante vedere Colui che è LA VERITÀ confermare come una realtà storica il diluvio di Noè. Per altre annotazioni su questi versetti vedi note Matteo 24:37-39.

PASSI PARALLELI

Genesi 7:7-23

Giobbe 22:15-18; Matteo 24:37-39; Ebrei 11:7; 1Pietro 3:19-20; 2Pietro 2:5; 3:6

Luca 17:22,24; 18:8

Luca 12:19-20; 16:19-23; Deuteronomio 6:10-12; 8:12-14; 1Samuele 25:36-38; Giobbe 21:9-13

Isaia 21:4; 22:12-14; 1Tessalonicesi 5:1-3

28 28. Parimente ancora, come avvenne a' dì di Lot; la gente mangiava, bevea, comperava, vendeva, piantava, ed edificava; 29. Ma, nel giorno che Lot uscì di Sodoma, piovve dal cielo fuoco e zolfo, e li fece tutti perire; 30. Tal sarà il giorno, nel quale il Figliuol dell'uomo apparirà.

All'esempio di mondanità e di securità carnale in cui il diluvio trovò i contemporanei di Noè, il Signore ne aggiunge un altro non meno calzante (ricordato dal solo Luca), preso dallo stato di Sodoma e delle altre città del piano, quando cadde su di loro fuoco e zolfo dal cielo, e le distrusse completamente; e questo pure è un tipo dello stato in cui si troveranno gli uomini alla venuta del Signore. Così fa alla distruzione di Gerusalemme. Ad onta di tutti gli avvertimenti dei profeti, di Giovanni Battista, di Cristo stesso e dei suoi Apostoli, tutti gli storici concordano nel rappresentarci i Giudei, come vivendo in completa sicurezza, occupati solo dei loro piaceri, o di interessi mondani, o delle loro lotte di partiti, finché non si trovarono accerchiati per ogni parte dagli eserciti romani, e non poteron sfuggire più che gli antediluviani, o gli abitanti di Sodoma. Notiamo qui pure la chiarezza colla quale Gesù conferma l'ispirazione e l'accuratezza del libro della Genesi, laddove esso ci racconta la storia di Lot, della distruzione di Sodoma, e della morte della moglie del patriarca, come essendo eventi storici indubitati, benché contro di essi il moderno scetticismo abbia alzato l'empia mano. Notiamo specialmente che la moderna teoria, secondo la quale Sodoma sarebbe stata distrutta mediante un terremoto, è ridotta al niente da Cristo, quando dice che «piovve dal cielo fuoco e zolfo e li fece tutti perire». La miserabile teoria dell'accomodazione per parte del Signore, in casi consimili, alla credenza popolare è oramai caduta in discredito. La storia ci mostra come gli esempi di mondanità e di sicurezza ebbero la loro ripetizione nel caso dei Giudei, quando li sorprese "il giudicio della presenza del Signore"; ma quando egli tornerà per giudicare i viventi ed i morti, questi tipi dell'Antico Testamento troveranno una applicazione anche più universale, perché la sua subitanea apparizione sorprenderà dovunque gli uomini occupati solo degli interessi di questo mondo, come se questi fossero lo scopo primario per cui sono stati creati. In quanto questi avvertimenti sono stati verificati nella storia, possiamo esporli; in quella parte di essi che si riferisce all'avvenire altro non si può dire, senza presunzione se non che, in comune con tutti i tipi profetici dell'antico Testamento, essi troveranno infallibilmente la loro realizzazione.

PASSI PARALLELI

Genesi 13:13; 18:20-21; 19:4-15; Ezechiele 16:49-50; Giacomo 5:1-5

Genesi 19:16-25; Deuteronomio 29:23-25; Isaia 1:9; 13:19; Geremia 50:40; Osea 11:8

Amos 4:11; Sofonia 2:9; Matteo 11:23-24; 2Pietro 2:6; Giuda 7; Apocalisse 11:8

Luca 17:24; 21:22,27,34-36; Matteo 24:3,27-31; 26:64; Marco 13:26; 2Tessalonicesi 1:7

1Pietro 1:13; Apocalisse 1:7

32 32. Ricordatevi della moglie di Lot.

Il Signore dà peso al suo ammonimento, mediante un esempio molto memorabile ed impressivo. Lot e la sua famiglia abbandonavano Sodoma così a malincuore che la Storia Sacra ci informa che gli angeli «presero lui, la sua moglie, e le sue due figliuole per la, mano, e lo fecero uscire, e lo misero fuori della città», coll'ordine: «non riguardare dietro» Genesi 19:16-17. Lot e le sue figliuole ubbidirono; ma il cuore ed i pensieri di sua moglie rimanevano in Sodoma, colle sue figliuole, i suoi generi e tutti i beni che possedevano ed avean lasciato dietro. Essa guardò indietro ed istantaneamente il fuoco del cielo la colpì ed essa fu cambiata in un piliere di sale. "Vi sieno di lezione salutare il suo sguardo indietro, ed il suo destino; se la tentazione di salvar qualche cosa di valore vi conduce ad arrestarvi, badate di non incontrare la stessa sua rovina".

PASSI PARALLELI

Genesi 19:17,26; 1Corinzi 10:6-12; Ebrei 10:38-39; 2Pietro 2:18-22

33 33. Chiunque avrà cercato di salvare la vita sua la perderà; ma chi l'avrà perduta farà che ella viverà.

La parola è affatto speciale. Essa significa «recar fuori vivo», e si trova in un sol altro posto nel Nuovo Testamento Atti 7:19. Questo versetto sembra indicare che la religione degli uomini sarà messa alla prova del fuoco prima della seconda venuta di Cristo, e che da quella non riuscirà vincitore se non chi sarà pronto a dare ogni cosa, anche la vita, per amore di Cristo. Considerato insieme ai versetti precedenti esso sembra però voler dire che nel giorno in cui i Romani assedieranno Gerusalemme, quelli che trascureranno l'avviso di Cristo di fuggire, nella fiducia di poter meglio assicurare la loro salvezza rimanendo nascosti in Gerusalemme od in Giudea, perderanno sicuramente la vita; mentre al contrario i fuggenti non soffriranno male alcuno, benché vadano incontro all'esercito romano, e ad una morte in apparenza inevitabile. «Queste parole hanno per iscopo di incoraggiare i discepoli a sfidare anche la morte per amor di Cristo, e qui sembrano usate a mo' di proverbio, per intimare che molti sarebbero tratti fuori da pericoli imminenti, mentre perirebbero molti i quali avean presa ogni precauzione e stimavansi perfettamente al sicuro» (Webster e Wilkinson). Per l'esposizione generale di questo versetto, vedi Note Matteo 10:39.

PASSI PARALLELI

Luca 9:24-25; Matteo 10:39; 16:25; Marco 8:35-37; Giovanni 12:25; Apocalisse 2:10

34 34. lo vi dico che in quella notte

Fino ad ora il Signore ha parlato del momento della sua venuta come di un giorno, qui sostituisce la notte come termine più proprio, perché dinota un'epoca di tenebre e, di pericoli, un tempo oscuro e calamitoso, che sarà davvero la condizione del mondo, quando il giorno del Figliuol dell'uomo scoppierà su di esso come un fulmine

due saranno in un letto;

non il letto matrimoniale, come suppongono alcuni, poiché il genere maschile è dato ad entrambi, ma un letto in cui dormono due intimi amici.

PASSI PARALLELI

Luca 13:3,5,24; Isaia 42:9; Matteo 24:25; Marco 13:23; 14:29

Matteo 24:40-41

Salmi 26:9; 28:3; Geremia 45:5; Ezechiele 9:4-6; Malachia 3:16-18; Romani 11:4-7

1Tessalonicesi 4:16-17; 2Pietro 2:9

l'uno sarà preso, e l'altro lasciato. 35, Due donne macineranno insieme; l'una sarà presa, e l'altra lasciata. 36. Due saranno nella campagna; l'uno sarà preso, e l'altro lasciato.

Quasi tutti i critici cancellano dal testo il vers. 36, ritenendolo una interpolazione tolta da Matteo; ma Bengel lo sostiene con forza genuino, a motivo della differenza delle parole e dell'ordine dei versetti, nei due Vangeli; così pure fa Stier; Brown lo mette in parentesi, come dubbio; de Wette sembra inchinare a riceverlo. Secondo Stier il letto indica la più grande intimità fra parenti ed amici, il macinare insieme unione nel lavoro, il campo, l'associazione in genere. Checché ne sia di ciò, tutto il passo indica il principio di un nuovo ordine di cose, nel quale verranno sciolti subitaneamente e per sempre i più intimi legami della terra. V'ha diversità di opinione sul senso delle parole preso e lasciato; alcuni prendono la prima come indicante distruzione, e l'ultima salvezza; il senso della voce media, però è l'uso che Paolo fa di questo verbo in 1Tessalonicesi 4:17, quando descrive i santi sollevati ad incontrare il Signore nell'aria, non lascian dubbio alcuno che preso abbia un senso favorevole, ed indichi liberazione. «Quelli che sono preparati e quelli che non lo sono, dice il Signore, si troveranno al momento della separazione confusi nella più grande intimità, occupati insieme nelle faccende ordinarie della vita. Solenne pensiero! realizzato prima della distruzione di Gerusalemme, quando i Cristiani, per seguire gli ordini di Gesù Luca 21:21, si videro costretti di abbandonare per sempre i loro antichi compagni; ma che si realizzerà più completamente ancora, quando la seconda venuta di Cristo scoppierà sopra un mondo indifferente» (Brown). Per altre osservazioni su questi versetti, vedi nota Matteo 24:40-41.

37 37. E i discepoli, rispondendo, gli dissero: Dove, Signore? Ed egli disse loro: Dove sarà il carname, quivi ancora si accoglieranno le aquile.

In tutto questo discorso, il Signore non avea, indicato un luogo speciale, avendo di proposito deliberato mescolato varie epoche in una. Questo non basta ai discepoli, i quali, vivamente commossi dalla descrizione del Signore, desiderarono sapere più precisamente qual sarebbe il teatro dei terribili avvenimenti da lui profetati; ma la loro domanda: «Dove Signore?» non ottenne l'informazione che essi desideravano, perché la risposta di Gesù, in forma proverbiale, benché larga tanto da tener desta l'attenzione di tutte le generazioni successive di uomini, non lega però la predizione a nessun luogo, né a nessun popolo speciale. Il vocabolo greco corpo, non indica necessariamente un cadavere, è però usata in quel senso in Matteo 14:12, e la parola carname, nel passo parallelo Matteo 24:28, mostra in modo indubitato, che questo è il senso in cui lo si deve prendere qui. L'aquila, non si ciba di corpi ammazzati: in, molti passi della Scrittura quella parola è usata come un termine generico che abbraccia varie specie dell'ordine dei Rapaci, ed in questo dobbiamo riferirlo all'avoltoio egizio, Neoporon, percnopterus, di cui Plinio dice: «sola aquilarum exanima fert corpora» (Storia Nat. 10,3). L'aquila però è scelta qui primieramente in evidente allusione all'aquila romana, stendardo dell'esercito romano, come incaricata di eseguire la giusta vendetta di Dio su Giuda e su Gerusalemme, e quindi per indicare in un senso più generico che dovunque si trovi quella comunità, nazione o chiesa dalla quale si sono dipartite la giustizia, la fede e la verità, e che è pronta a disciogliersi nella propria corruzione, quivi i ministri della giustizia divina saranno chiamati a distruggerla. Questo versetto ha messo in grande perplessità i commentatori, e ne sono state date molte strane interpretazioni. Si è detto che il «corpo» rappresenta Cristo», «il cielo», «la Chiesa», «il mondo intero», «il giudizio finale», ecc.; le «aquile», «gli angeli della vendetta», «i santi», «gli angeli riuniti attorno alla Chiesa nell'ultimo giorno». È giusto indicare ai lettori quelle varie interpretazioni, ma non occorre esaminarle a fondo. Per le Riflessioni vedi quelle a Matteo 24:51.

PASSI PARALLELI

Giobbe 39:29-30; Daniele 9:26-27; Amos 9:1-4; Zaccaria 13:8-9; 14:2; Matteo 24:28

1Tessalonicesi 2:16; Apocalisse 19:17-18

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