Come poteva la Pentecoste essere un adempimento della profezia di Gioele, quando non c'erano i prodigi nel cielo?

Atti 2:19-20

Quello che venne profetizzato nell'Antico Testamento come un unico evento, fu spesso adempiuto nel Nuovo Testamento come un periodo di tempo. È come se i profeti vedessero l'evento da lontano, per cui non vedevano tutti i dettagli ma solo l'insieme (1P 1:10-12). Questo è vero soprattutto per le loro descrizioni degli "ultimi giorni", che nel Nuovo Testamento include tutto dalla morte di Gesù fino al suo ritorno. Noi stiamo vivendo ora negli ultimi giorni (Ebr 1:1-2), non gli ultimi nel senso quantitativo (gli ultimi cinque o qualche altro numero, infatti non sappiamo quanti giorni rimangono), ma gli ultimi nel senso qualitativo, Dio ha già fatto tutto quello che doveva fare nel suo piano per il creato. Così, nel discorso di Pietro a Pentecoste, la cosa importante era che il dono dello Spirito Santo, con conseguente segno di parlare in diverse lingue, era un segno sulla terra (At 2:19) dell'arrivo degli ultimi giorni, secondo la profezia di Gioele. Pietro non spiega quando i prodigi nel cielo si realizzano, e non li usa come evidenza per l'arrivo degli ultimi giorni, per cui Pietro non contraddice la profezia di Gioele.

Ci sono comunque due possibilità per i prodigi nel cielo. Una è i segni celesti che accompagnarono la morte di Gesù (Mt 27:45, 51; Lu 23:44-45). L'altra è che sono un riferimento agli eventi al ritorno di Gesù (Lu 21:11; Ap 6:12). In tutti e due i casi, i segni avvengono negli ultimi giorni, come disse Gioele. È anche possibile che la profezia di Gioele si riferiva sia agli eventi in cielo alla crocifissione sia agli eventi in cielo al ritorno di Gesù, che Gioele vedeva insieme.