Poca fede, o fede in poca?

Marco 9:1-29

Scritto da Richard Wilson.

27/2/2002

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I due racconti in questa sezione (la trasfigurazione e la guarigione) sono circondati dagli annunci delle sofferenze e morte di Gesù. Servono così per dare un po' di equilibrio: è vero che il Messia debba soffrire e morire, ma lui rimane comunque il Messia glorioso, che va ascoltato e che è degno di fede.

La trasfigurazione accadde su una montagna sconosciuta, con solo Pietro, Giacomo e Giovanni – i tre discepoli "principali", come in 5:37; 13:3 e 14:33. Anche se la parola greca usata per descrivere questo evento è 'metamorfosi', trasfigurazione è una traduzione giusta – l'aspetto o figura di Gesù fu cambiato, ma non ci fu un cambio di forma. In questa trasfigurazione, le vesti di Gesù divennero risplendenti, una descrizione tipica della gloria di Dio (per esempio Dan 7:9), come se l'umanità di Gesù fosse caduto e si vedesse solo la sua divinità 'nuda'. Con Gesù apparvero Mosè e Elia, che rappresentavano la legge e i profeti dell'antico patto, e parlarono insieme – secondo Luca della sua dipartita, letteralmente del suo "esodo".

Pietro, non sapendo cosa dire ed essendo spaventato, disse qualcosa comunque. Voleva fissare il momento, renderlo permanente, costruendo tre tende affinché Mosè e Elia rimanessero, e la gloria di Gesù fosse sempre evidente. Ma il regno di Dio non doveva essere stabilito in quel momento né un quel modo. Così la voce della nuvola, il modo in cui Dio parlò spesso nell'AT (vedi anche 1:11), spiegò invece il vero significato di quell'evento. Gesù sembrava (di solito) in aspetto un umano qualsiasi, stava per soffrire e morire, ma nonostante ciò era il diletto Figlio di Dio, e doveva essere ascoltato. Doveva essere ascoltato quando parlava della sua morte, del rinunciare a sé stesso, perché era la verità. Era come il Figlio doveva comportarsi per adempire la volontà del Padre.

Non ho parlato anche del primo versetto del capitolo, ed è giusto che lo consideriamo adesso. Prima di tutto, è meglio collegarlo con quello che precede (8:34-38) che con questo capitolo. Le divisioni dei capitoli nelle nostre Bibbie sono state aggiunte più tardi, e non fanno parte del testo originale. E anche se c'è una pausa nel discorso fra 8:38 e 9:1 ("Diceva loro" nella Nuova Riveduta), nei versetti paralleli Matteo 16:28 e Luca 9:27 non c'è, ed è la continuazione del discorso precedente piuttosto di un'introduzione alla trasfigurazione. Quindi è meglio cercare il significato nel contesto del versetti precedenti che in quelli precedenti. Alcuni credono che qui (e in 13:30), Gesù si aspettava la fine del mondo e il regno glorioso solo qualche anno dopo la sua morte. Anche se è teoreticamente possibile, non è conforme alla descrizione di Gesù che abbiamo nelle altre parte dei Vangeli, che indicò un periodo più lungo fra la sua morte e risurrezione e il suo ritorno (per esempio Matteo 24:28; 25:5,19; 28:19-20). Meglio sono le interpretazioni che capiscono "vedere il regno di Dio venuto con potenza" come un riferimento alla trasfigurazione, alla morte e risurrezione di Gesù, o a Pentecoste. Il problema è che "alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte [un modo di dire per 'morire']" prima di vederlo, è un modo molto strano per riferire a qualcosa che sarebbe successo fra una settimana nel caso della trasfigurazione, o fra qualche settimana o qualche mese negli altri casi. Forse l'interpretazione migliore è di non cercare un riferimento ad un evento particolare, ma a tutti i modi in cui il regno di Dio era visto dopo la risurrezione di Gesù: nella chiesa, nella crescita del cristianesimo, nella grande mietitura di molti nuovi convertiti, e soprattutto nel fatto che molti "venivano dietro a Gesù, rinunziano a sé stessi, prendere la propria croce e seguendolo".

Dopo la trasfigurazione, Gesù ordinò ai discepoli di non dirlo a nessuno fino a quando sarebbe risorto. Come sempre, questo era per evitare malintesi sulla natura dell'opera del Messia, del diletto Figlio di Dio – era di soffrire non di conquistare. I discepoli ubbidirono a Gesù, anche se non capivano. Come poteva morire il Figlio dell'uomo, il Messia, che secondo Daniele 7:14 aveva un dominio eterno e un regno che non sarebbe stato distrutto?

Invece, i discepoli interrogarono Gesù su Elia. Malachia 4:5-6 dice che Dio avrebbe mandato Elia prima del giorno del Signore, e anche altri scritti ebraici del periodo parlavano della venuta di Elia per preparare Israele, prima della venuta del Messia. (Secondo 2Re 2, Elia non morì ma fu rapito in cielo.) Infatti, alcuni pensavano che Gesù fosse questo Elia preparatorio (6:15; 8:28). Probabilmente i discepoli avevano capito che Gesù portava il regno di Dio (anche se non capivano bene ancora il modo), e credendo che Elia doveva venire prima, si chiedevano perché non fosse venuto. Possibilmente è anche un'obiezione alle sofferenze che Gesù preannunciava – se Elia veniva prima e ristabiliva Israele, non ci sarebbe bisogno di soffrire, e non aveva Elia dato gloria e potenza a Gesù alla trasfigurazione? Comunque, Gesù rispose che sì, Elia doveva venire ed era già venuto. In questo Vangelo non è identificato, ma Matteo 11:14 e Luca 1:17 lo identificano con Giovanni il battista (ma vedi anche Giovanni 1:21). Quello invece che Gesù sottolineò qui era che anche questo Elia doveva soffrire. Infatti, la vita di Giovanni il battista era un preannuncio di quella di Gesù: nacque sei mesi prima, cominciò il suo ministero poco prima di Gesù, predicò il ravvedimento come Gesù, soffrì e fu ucciso qualche mese prima (1:4,14; 6:14-29). Così infatti Elia era venuto per preparare la vita per Gesù – non per creare un Israele perfetto, come forse si credeva, ma portandolo al ravvedimento e soffrendo come il Messia.

Il secondo racconto di questa sezione del Vangelo è la guarigione di un figlio posseduto da un demone, che lo aveva reso muto e gli dava delle convulsioni. Gli altri nove discepoli avevano cercato di scacciare il demone, ma non ne erano capaci – più tardi scopriamo il motivo. Gesù gridò "o generazione incredula" – un grido rivolto alla folla, ma che senz'altro includeva i discepoli, che nonostante il riconoscimento di Gesù come il Cristo mostrava ancora la stessa incredulità di prima (4:40; 6:50,52; 8:17-21). Il padre chiese a Gesù di guarire suo figlio con le parole, "Se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci". Forse nella prima parte della richiesta c'era del dubbio, e addirittura una accusa o sfida di incredulità – i discepoli non avevano potuto guarire il figlio, forse anche il loro maestro non ne era capace? Ma Gesù non rispose al dubbio o all'accusa, rispose piuttosto a motivo della sua pietà, come è sempre successo nel Vangelo. Così non guarì subito il ragazzo, ma piuttosto affermò che sì poteva, bastava credere (vedi anche 10:27). Il padre fece una risposta strana: "Io credo, vieni in aiuto alla mia incredulità". Sì, credeva, ma poco. Faceva parte della generazione incredula. Come i discepoli, credevano un po' in Gesù, ma non credeva ancora totalmente, aveva dei dubbi, non era forte nella fede. Riconobbe di avere bisogno dell'aiuto di Gesù a motivo della sua incredulità che era mescolata con la sua piccola fede. A questo punto, quando il padre credeva, Gesù scacciò il demone e guarì il figlio.

Più tardi, i discepoli chiesero a Gesù perché non avessero potuto scacciare il demone. Gesù rispose che era necessario scacciarlo con la preghiera, che significa che i discepoli non avevano pregato quando avevano cercato di scacciarlo. Forse dopo i "successi" di 6:7,13, cominciarono di fidarsi di loro stessi. Avevano potere sugli spiriti immondi, ma forse avevano dimenticato che era Gesù che gliel'aveva dato. In ogni modo, non pregarono, cioè non chiesero aiuto a Dio per scacciare il demone.

Possiamo fare un paragone fra il padre e i discepoli. Il padre aveva poca fede, all'inizio non era sicuro che Gesù potesse scacciare il demone, e anche quando disse che credeva che Gesù lo potesse fare, riconobbe ancora la sua incredulità. Aveva poca fede, ma almeno aveva poca fede in Gesù. I discepoli invece avevano molta fede. Credevano di potere scacciare il demone, che richiede una grande fede. Il loro problema era che avevano questa fede o fiducia in loro stessi, e non in Dio o in Gesù. Così, il demone fu scacciato a causa della fede del padre e non a causa delle fede dei discepoli. Poca fede in Gesù vale di più di molta fede in noi stessi! Oppure, non conta la grandezza della nostra fede, ma la grandezza della persona in cui abbiamo fede. Se abbiamo molta fede nei nostri sforzi, possiamo compiere poco. Ma se abbiamo poca fede in Dio e in Gesù, possono compiere molto di più di noi.