Nuova Riveduta:

1Timoteo 1

(At 20:28)
Indirizzo e saluti
Tt 1:1-4
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per ordine di Dio, nostro Salvatore, e di Cristo Gesù, nostra speranza, 2 a Timoteo, mio legittimo figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro Signore.

Avvertimento contro le false dottrine
(1Ti 6:3-5, 20-21; Tt 3:9) Ga 3:10-12, 19-24; 5:6; 2Ti 2:10-14
3 Ti ripeto l'esortazione che ti feci mentre andavo in Macedonia, di rimanere a Efeso per ordinare ad alcuni di non insegnare dottrine diverse 4 e di non occuparsi di favole e di genealogie senza fine, le quali suscitano discussioni invece di promuovere l'opera di Dio, che è fondata sulla fede.
5 Lo scopo di questo incarico è l'amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6 Alcuni hanno deviato da queste cose e si sono abbandonati a discorsi senza senso. 7 Vogliono essere dottori della legge, ma in realtà non sanno né quello che dicono né quello che affermano con certezza. 8 Noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne fa un uso legittimo; 9 sappiamo anche che la legge è fatta non per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e gl'irreligiosi, per coloro che uccidono padre e madre, per gli omicidi, 10 per i fornicatori, per i sodomiti, per i mercanti di schiavi, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, 11 secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato.

Paolo, esempio della misericordia divina
At 26:9-20; 1Co 15:9-10
12 Io ringrazio colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù, nostro Signore, per avermi stimato degno della sua fiducia, ponendo al suo servizio me, 13 che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità, 14 e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l'amore che è in Cristo Gesù. 15 Certa è quest'affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. 16 Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me, per primo, tutta la sua pazienza, e io servissi di esempio a quanti in seguito avrebbero creduto in lui per avere vita eterna. 17 Al Re eterno, immortale, invisibile, all'unico Dio, siano onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

1Ti 6:12, 20-21; 2Ti 2:15-18
18 Ti affido questo incarico, Timoteo, figlio mio, in armonia con le profezie che sono state in precedenza fatte a tuo riguardo, perché tu combatta in virtù di esse la buona battaglia, 19 conservando la fede e una buona coscienza; alla quale alcuni hanno rinunciato, e, così, hanno fatto naufragio quanto alla fede. 20 Tra questi sono Imeneo e Alessandro, che ho consegnati a Satana affinché imparino a non bestemmiare.

C.E.I.:

1Timoteo 1

1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
3 Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse 4 e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. 5 Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6 Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, 7 pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che dànno per sicure.
8 Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; 9 sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, 10 i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, 11 secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.
12 Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: 13 io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; 14 così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
15 Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. 16 Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
17 Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
18 Questo è l'avvertimento che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia 19 con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; 20 tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.

Nuova Diodati:

1Timoteo 1

Indirizzo e saluti
1 Paolo, apostolo di Gesù Cristo, per comando di Dio, nostro Salvatore, e del Signore Gesù Cristo, nostra speranza, 2 a Timoteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio nostro Padre e da Cristo Gesù, nostro Signore.

Le false dottrine e l'evangelo della grazia; il buon combattimento
3 Come ti esortai quando andai in Macedonia, rimani in Efeso per ordinare ad alcuni di non insegnare dottrine diverse, 4 e di non occuparsi di favole e di genealogie senza fine, le quali producono controversie piuttosto che l'opera di Dio, che è fondata sulla fede. 5 Ora il fine del comandamento è l'amore, che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede non finta. 6 Alcuni, essendosi sviati da queste cose, si sono rivolti a discorsi vani e, 7 volendo essere dottori della legge, non comprendono né le cose che dicono né quelle che affermano. 8 Or noi sappiamo che la legge è buona, se uno la usa legittimamente; 9 sapendo questo, che la legge non è stata istituita per il giusto, ma per gli empi e i ribelli, per i malvagi e i peccatori, per gli scellerati e i profani, per coloro che uccidono padre e madre, per gli omicidi, 10 per i fornicatori, per gli omosessuali, per i rapitori, per i falsi, per gli spergiuri, e per qualsiasi altra cosa contraria alla sana dottrina, 11 secondo l'evangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato. 12 E rendo grazie a Cristo nostro Signore, che mi fortifica, perché mi ha ritenuto degno di fiducia, ponendo al suo servizio me, 13 che prima ero un bestemmiatore, un persecutore ed un violento; ma mi è stata fatta misericordia, perché lo feci ignorantemente nella mia incredulità; 14 così la grazia del Signor nostro ha sovrabbondato con la fede e con l'amore, che è in Cristo Gesù. 15 Questa parola è sicura e degna di essere pienamente accettata, che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. 16 Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo facesse conoscere in me, per primo, tutta la sua clemenza, per essere di esempio a coloro che per l'avvenire avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. 17 Or al Re eterno, immortale, invisibile, all'unico Dio sapiente, sia onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen. 18 Ti affido questo incarico, o figlio Timoteo, in accordo con le profezie fatte in precedenza a tuo riguardo, perché tu conduca in virtù di esse un buon combattimento, 19 avendo fede e buona coscienza, poiché alcuni, avendola rigettata, hanno fatto naufragio nella fede. 20 Tra questi vi sono Imeneo e Alessandro, che io ho dato in mano di Satana, perché imparino a non bestemmiare.

Riveduta 2020:

1Timoteo 1

Indirizzo e saluti
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comandamento di Dio nostro Salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timoteo, mio vero figlio nella fede, grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore.

Le false dottrine e l'evangelo della grazia
3 Ti ripeto l'esortazione che ti feci quando andavo in Macedonia, di rimanere a Efeso per ordinare ad alcuni che non insegnino dottrine diverse 4 né si occupino di favole e di genealogie senza fine, le quali producono discussioni, anziché promuovere la dispensazione di Dio, che è fondata sulla fede.
5 Ma il fine di questo incarico è l'amore che procede da un cuore puro, da una buona coscienza e da fede non finta, 6 dalle quali cose alcuni, avendo deviato, si sono rivolti a discorsi vani, 7 volendo essere dottori della legge; in realtà non sanno né quello che dicono né quello che affermano con certezza. 8 Noi sappiamo che la legge è buona, se uno la usa legittimamente, 9 riconoscendo che la legge è fatta non per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per gli scellerati e gli irreligiosi, per coloro che uccidono padre e madre, 10 per gli omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i mercanti di schiavi, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, 11 secondo l'evangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato.

Testimonianza dell'apostolo Paolo
12 Io rendo grazie a colui che mi ha reso forte, a Cristo Gesù, nostro Signore, per avermi reputato degno della sua fiducia, chiamando al ministerio me, 13 che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma misericordia mi è stata fatta, perché lo facevo ignorantemente nella mia incredulità 14 e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l'amore che è in Cristo Gesù. 15 Certa è questa parola e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. 16 Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me per primo tutta la sua pazienza e io servissi di esempio a quelli che in avvenire avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. 17 Al Re eterno, immortale, invisibile, solo Dio, siano onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
18 Ti affido questo incarico, o figlio mio Timoteo, in armonia con le profezie che sono state in precedenza fatte a tuo riguardo, perché tu combatta in virtù di esse la buona battaglia, 19 avendo fede e buona coscienza, alla quale alcuni hanno rinunciato e così hanno naufragato quanto alla fede. 20 Fra questi sono Imeneo e Alessandro, i quali ho consegnati a Satana affinché imparino a non bestemmiare.

La Parola è Vita:

1Timoteo 1

1 
Questa lettera è scritta da Paolo, apostolo di Gesù Cristo per ordine di Dio, nostro Salvatore, e di Gesù Cristo nostra unica speranza, 2 ed è indirizzata a Timòteo.
Timòteo, per quanto riguarda la fede, sei per me come un figlio. Possano Dio, nostro Padre, e il nostro Signore Gesù Cristo darti grazia, misericordia e pace.

Attenti ai falsi maestri!
3 Come già ti dissi mentre partivo per la Macedonia, ti prego di rimanere lì ad Efeso per far tacere quei tali che stanno insegnando altre false dottrine.
Metti fine una buona volta ai miti, alle favole e alle genealogie interminabili. Queste idee strambe suscitano soltanto discussioni, anziché aiutare la gente ad accettare il piano di Dio, che si fonda sulla fede. 4  5 Ciò che mi sta più a cuore è che tutti i cristiani siano guidati dall'amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera, 6 cose che questi «maestri» hanno perso di vista, per sprecare il loro tempo in discussioni e chiacchiere inutili.
7 Pretendono di essere dottori nella legge di Dio, mentre non conoscono in realtà né quello di cui parlano, né quello che affermano con tanta sicurezza. 8 Ora, noi sappiamo bene che le leggi sono buone, quando se ne fa l'uso che intende il Signore. 9 Esse non sono state fatte per i giusti, bensì per i peccatori, che le rifiutano e si ribellano a Dio. Servono per gli empi, per gli scellerati e per quelli che non rispettano Dio e ciò che è sacro; servono per chi alza le mani sui genitori e per gli assassini. 10 È così: queste leggi sono state fatte perché possano riconoscersi peccatori tutti quelli che sono immorali, pervertiti, trafficanti di uomini e donne, bugiardi, tutti quelli che sono spergiuri e che vanno contro il giusto insegnamento del Vangelo che ci fa conoscere la gloria del Signore benedetto, Vangelo di cui mi è stata affidata la predicazione.
11  12 Ringrazio Gesù Cristo, nostro Signore, che mi ha considerato degno di fiducia e mi ha dato la forza di compiere il servizio che mi ha affidato. 13 Ha chiamato me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e lo avevo offeso. Ma Dio ha avuto pietà di me, perché in quel periodo non conoscevo Cristo e non mi rendevo conto di ciò che facevo. 14 Quanto è stato misericordioso il Signore, che mi ha mostrato la via per credere in lui e mi ha riempito dell'amore di Gesù Cristo!
15 Questo è un fatto sicuro, degno di essere accettato da tutti con piena fiducia: Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il peggiore. 16 Ma Dio ha avuto pietà di me, perché Cristo mi potesse usare come esempio, per dimostrare a tutti quanto sia grande la sua pazienza perfino verso i peccatori più incalliti, in modo che anche gli altri credano in lui e possano avere la vita eterna. 17 Sia gloria e onore a Dio per sempre! A lui che è il Re di tutte le età, l'invisibile che non muore mai, il solo e unico Dio, pieno di saggezza. Amen.
18 Ed ora, Timòteo, figlio mio, ecco l'incarico che ho per te: in accordo con le profezie che sono state fatte su di te, perché, fondato su di esse, tu combatta con impegno la buona battaglia. 19 Aggrappati forte alla tua fede in Cristo e mantieni sempre pulita la tua coscienza, facendo ciò che è giusto. Perché alcuni, per aver disobbedito alla propria coscienza, hanno fallito nella fede. 20 Fra questi ci sono Imenèo e Alessandro, che ho abbandonato in mano a Satana, perché li punisca, così impareranno a non bestemmiare.

La Parola è Vita
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Riveduta:

1Timoteo 1

L'indirizzo e i saluti
1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comandamento di Dio nostro Salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timoteo mio vero figliuolo in fede, grazia, misericordia, pace, da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore.

Le false dottrine e l'evangelo della grazia
3 Ti ripeto l'esortazione che ti feci quando andavo in Macedonia, di rimanere ad Efeso per ordinare a certuni che non insegnino dottrina diversa 4 né si occupino di favole e di genealogie senza fine, le quali producono questioni, anziché promuovere la dispensazione di Dio, che è in fede. 5 Ma il fine di quest'incarico è l'amore procedente da un cuor puro, da una buona coscienza e da fede non finta; 6 dalle quali cose certuni avendo deviato, si sono rivolti a un vano parlare, 7 volendo esser dottori della legge, quantunque non intendano quello che dicono, né quello che danno per certo. 8 Or noi sappiamo che la legge è buona, se uno l'usa legittimamente, 9 riconoscendo che la legge è fatta non per il giusto, ma per gl'iniqui e i ribelli, per gli empî e i peccatori, per gli scellerati e gl'irreligiosi, per i percuotitori di padre e madre, 10 per gli omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti, per i ladri d'uomini, per i bugiardi, per gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, 11 secondo l'evangelo della gloria del beato Iddio, che m'è stato affidato. 12 Io rendo grazie a colui che mi ha reso forte, a Cristo Gesù, nostro Signore, dell'avermi egli reputato degno della sua fiducia, ponendo al ministerio me, 13 che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un oltraggiatore; ma misericordia mi è stata fatta, perché lo feci ignorantemente nella mia incredulità; 14 e la grazia del Signor nostro è sovrabbondata con la fede e con l'amore che è in Cristo Gesù. 15 Certa è questa parola e degna d'essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. 16 Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me per il primo tutta la sua longanimità, e io servissi d'esempio a quelli che per l'avvenire crederebbero in lui per aver la vita eterna. 17 Or al re dei secoli, immortale, invisibile, solo Dio, siano onore e gloria ne' secoli de' secoli. Amen. 18 Io t'affido quest'incarico, o figliuol mio Timoteo, in armonia con le profezie che sono state innanzi fatte a tuo riguardo, affinché tu guerreggi in virtù d'esse la buona guerra, 19 avendo fede e buona coscienza; della quale alcuni avendo fatto getto, hanno naufragato quanto alla fede. 20 Fra questi sono Imeneo ed Alessandro, i quali ho dati in man di Satana affinché imparino a non bestemmiare.

Ricciotti:

1Timoteo 1

Intestazione e saluti.
1 Paolo apostolo di Cristo Gesù, secondo l'ordine di Dio Salvatore nostro, e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timoteo diletto figlio nella fede, grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore.

Timoteo deve combattere le false dottrine
3 Già ti ho raccomandato venendo in Macedonia, di rimanere ad Efeso per far intendere ad alcuni di non insegnare dottrine aliene, 4 e di non andar dietro a miti e genealogie interminabili, le quali dànno luogo a dispute, anzichè promuovere l'opera di Dio che sta nella fede. 5 Ora il fine dell'ammaestramento è l'amore che proviene da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera, 6 le quali cose perdendo di mira, alcuni si son sviati a un vano parlottare, 7 pretendendo essere dottori della Legge, mentre non sanno neppure quel che dicono, nè intorno a che cosa mostrano tanta sicumera. 8 Ora noi sappiamo bene che la Legge è buona se altri se ne serva legittimamente, 9 nella persuasione che la Legge non è fatta per il giusto, ma per i non giusti e riottosi, per gli empi e i peccatori, per gli scellerati e i profani, per i parricidi e matricidi e omicidi, 10 per i fornicatori, per i sodomiti, per i ladri d'uomini, i bugiardi, gli spergiuri, e se altra cosa s'oppone alla sana disciplina, 11 conforme al Vangelo di gloria del beato Dio, che fu a me affidato. 12 Io rendo grazie al mio datore di forza Cristo Gesù nostro Signore, che mi ha stimato fedele, ponendomi nel suo ministerio, 13 mentre prima ero bestemmiatore e persecutore violento; ma ottenni misericordia perchè agii per ignoranza nella mia incredulità, 14 e la grazia del nostro Signore sovrabbondò, con la fede e con l'amore in Cristo Gesù. 15 Ecco una parola di fede e degnissima d'ogni accoglimento, questa, che Cristo Gesù venne nel mondo a salvare i peccatori; di cui io sono il primo; 16 ma per questo ottenni misericordia perchè in me primo mostrasse Gesù Cristo tutta la sua longanimità, a esempio di chi è per credere a lui per la vita eterna. 17 Al re dei secoli, immortale, invisibile, unico Dio, onore e gloria per i secoli dei secoli. Amen. 18 Questi avvertimenti ti raccomando, o figlio Timoteo, secondo le predizioni prima fatte su di te; affinchè tu, conforme a quelle, combatta la buona battaglia, 19 mantenendo la fede e la buona coscienza, la quale rigettando, alcuni han fatto naufragio rispetto alla fede. 20 E son di questo numero Imeneo ed Alessandro, che io ho abbandonato a Satana, perchè imparino a non dir bestemmie.

Tintori:

1Timoteo 1

Indirizzo e saluto
1 Paolo, apostolo di Gesù Cristo per ordine di Dio, nostro salvatore, e di Cristo Gesù, nostra speranza, 2 a Timoteo, per la fede figliolo diletto: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.

Avvisi contro i falsi dottori
3 Ti rinnovo la raccomandazione che ti feci partendo per la Macedonia: di restare ad Efeso per far intendere a certuni che non devono insegnare altre dottrine, 4 nè andar dietro a favole e genealogie interminabili e più adatte a suscitar questioni che a far progredir l'opera di Dio fondata sulla fede. 5 Or il fine del precetto è la carità procedente da cuore puro, da buona coscienza e da fede sincera; 6 dalle quali cose deviando, alcuni si son perduti in vani cicaleggi, 7 colla pretensione d'esser dottori in legge, senza capire nè quel che dicono, nè quel che danno a intendere. 8 Or noi ben sappiamo che la legge è buona, se uno se ne serve legittimamente, 9 persuaso che la legge non è fatta pel giusto, ma per gli ingiusti e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per gli scellerati e i profani, per i parricidi e matricidi, per gli assassini, 10 per i fornicatori, per i sodomiti, per i ladri d'uomini, per i bugiardi e spergiuri e per ogni altro che s'opponga alla sana dottrina, 11 la quale è secondo il glorioso Vangelo del beato Iddio, che è stato a me affidato.

S. Paolo ringrazia Gesù Cristo per la sua conversione
12 Rendo grazie a Cristo Gesù, Signor nostro, che mi ha reso forte e mi ha stimato fedele, ponendo nel ministero me, 13 che prima ero bestemmiatore e persecutore e oppressore, ma ottenni misericordia, perchè agii per ignoranza, nella mia incredulità; 14 e la grazia del Signore nostro sovrabbondò colla fede e colla carità che è in Cristo Gesù. 15 Parola fedele e degna d'ogni accettazione: Cristo Gesù venne in questo mondo a salvare i peccatori, dei quali il primo son io, 16 ma appunto per questo ottenni misericordia, affinchè in me per il primo Cristo Gesù facesse vedere tutta quanta la sua pazienza, ad esempio di coloro che in avvenire crederanno in lui, per la vita eterna. 17 Al Re dei secoli, immortale ed invisibile, al solo Dio onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

Esortazione a conservare intatta la vera dottrina della fede
18 Questo avvertimento ti raccomando, o figlio Timoteo, che, secondo le profezie già fatte a tuo riguardo, conforme a quelle tu combatta la buona battaglia, 19 conservando la fede e la buona coscienza, rigettata la quale, alcuni han fatto naufragio rispetto alla fede, 20 come Imeneo e Alessandro, che io ho consegnati a Satana, perchè imparino a non bestemmiare.

Martini:

1Timoteo 1

Rammenta a Timoteo l'incombenza, che gli avea data di ritrarre alcuni dalla cattiva dottrina, e di insegnare la buona. La legge è fatta per gl'ingiusti. Rende grazie a Dio, il quale di persecutore della Chiesa lo aveva fatto Apostolo. Egli avea conseguito misericordia, affinchè manifesta si rendesse la pazienza di Dio ad istruzione de' peccatori. Esorta Timoteo a diportarsi da valoroso soldato.
1 Paolo Apostolo di Gesù Cristo secondo l'ordinazione di Dio Salvatore nostro, e di Gesù Cristo nostra speranza: 2 A Timoteo per la fede figliuolo diletto: grazia, misericordia, e pace da Dio Padre, e da Gesù Cristo Signor nostro. 3 Siccome ti pregai, che rimanessi in Efeso, mentr'io andava nella Macedonia, perché facessi intendere a certuni, che non tenessero diversa dottrina, 4 Né andasser dietro alle favole, e alle genealogie, che non hanno fine: le quali partoriscon piuttosto delle dispute, che quell'edificazione di Dio, che si ha per la fede. 5 Or il fine del precetto è la carità di puro cuore, e di buona coscienza, e di fede non simulata. 6 Dalle quali cose alcuni avendo deviato, hanno dato nei vani cicalecci, 7 Volendo farla da dottori della legge, senza intendere né le cose, che dicono, né quelle, che danno per certe. 8 Or sappiamo, che buona è la legge, se uno se ne serve legittimamente: 9 Non ignorando, come la legge non è fatta pel giusto, ma per gli ingiusti, e disubbidienti, per gli empi, e peccatori, per gli scellerati, e profani, pei parricidi, e matricidi, e omicidi, 10 Pei fornicatori, pei rei di delitto infame, per coloro, che ruban gli schiavi, pe' bugiardi, e spergiuri, e s'altro v'ha, che alla sana dottrina s'opponga, 11 La quale è secondo il glorioso vangelo del beato Iddio, il quale è stato a me affidato. 12 Rendo grazie a colui, che mi ha fatto forte, a Gesù Cristo Signor nostro, perché mi ha giudicato fedele, ponendomi nel ministero: 13 Me, che prima fui bestemmiatore e persecutore, e oppressore, ma conseguii misericordia da Dio, perché per ignoranza lo feci, essendo incredulo. 14 Ma soprabbondò la grazia del Signor nostro colla fede, e colla carità, ch'è in Cristo Gesù. 15 Parola fedele, e degna di ogni accettazione, che Gesù Cristo venne in questo mondo a salvare i peccatori, de' quali il primo son io. 16 Ma per questo trovai misericordia affinchè in me prima io facesse vedere Cristo Gesù tutta la pazienza per modello a coloro, i quali sono per credere a lui, per la vita eterna. 17 Al Re de' secoli immortale, invisibile, al solo Dio, onore, e gloria pe' secoli de' secoli. Così sia. 18 Questo avvertimento ti raccomando, o figliuolo Timoteo, che seconda le profezie, che di te precedettero, secondo queste militi nella buona milizia, 19 Tenendo la fede, e la buona coscienza, rigettata la quale taluni han fatto naufragio intorno alla fede: 20 Del numero de' quali è Hymeneo, e Alessandro: i quali io ho consegnati a Satana, perché imparino a non bestemmiare.

Diodati:

1Timoteo 1

1 PAOLO, apostolo di Gesù Cristo, per comandamento di Dio, nostro Salvatore; e del Signor Gesù Cristo, nostra speranza; 2 a Timoteo, mio vero figliuolo in fede; grazia, misericordia, e pace, da Dio nostro padre, e da Cristo Gesù, nostro Signore. 3 SICCOME io ti esortai di rimanere in Efeso, quando io andava in Macedonia, fa' che tu dinunzi ad alcuni che non insegnino dottrina diversa. 4 E che non attendano a favole, ed a genealogie senza fine; le quali producono piuttosto quistioni, che edificazion di Dio, che è in fede.
5 Or il fine del comandamento è carità, di cuor puro, e di buona coscienza, e di fede non finta. 6 Dalle quali cose alcuni essendosi sviati, si son rivolti ad un vano parlare; 7 volendo esser dottori della legge, non intendendo nè le cose che dicono, nè quelle delle quali affermano. 8 Or noi sappiamo che la legge è buona, se alcuno l'usa legittimamente. 9 Sapendo questo: che la legge non è posta al giusto, ma agl'iniqui, e ribelli, agli empi, e peccatori, agli scellerati, e profani, agli uccisori di padri e madri, 10 a' micidiali, a' fornicatori, a quelli che usano co' maschi, a' rubatori d'uomini, a' falsari, agli spergiuratori; e se vi è alcun'altra cosa contraria alla sana dottrina; 11 secondo l'evangelo della gloria del beato Iddio, il qual m'è stato fidato.
12 E rendo grazie a Cristo nostro Signore, il qual mi fortifica, ch'egli mi ha reputato fedele, ponendo al ministerio me, 13 il quale innanzi era bestemmiatore, e persecutore, ed ingiurioso; ma misericordia mi è stata fatta, perciocchè io lo feci ignorantemente, non avendo la fede. 14 Ma la grazia del Signor nostro è soprabbondata, con fede e carità, che è in Cristo Gesù. 15 Certa è questa parola, e degna d'essere accettata per ogni maniera: che Cristo Gesù è venuto nel mondo, per salvare i peccatori, de' quali io sono il primo. 16 Ma, per questo mi è stata fatta misericordia, acciocchè Gesù Cristo mostrasse in me primieramente tutta la sua clemenza, per essere esempio a coloro che per l'avvenire crederebbero in lui a vita eterna. 17 Or al Re de' secoli, immortale, invisibile, a Dio solo savio, sia onore, e gloria ne' secoli de' secoli. Amen.
18 Io ti raccomando questo comandamento, o figliuol Timoteo: che secondo le profezie che innanzi sono state di te, tu guerreggi, in virtù d'esse, la buona guerra. 19 Avendo fede, e buona coscienza; la quale avendo alcuni gettata via, hanno fatto naufragio intorno alla fede. 20 De' quali è Imeneo, ed Alessandro, i quali io ho dati in man di Satana, acciocchè sieno castigati, ed ammaestrati a non bestemmiare.

Commentario abbreviato:

1Timoteo 1

1 L'obiettivo dell'epistola sembra essere che, essendo Timoteo rimasto a Efeso, San Paolo gli scrisse per istruirlo nella scelta dei giusti funzionari della Chiesa e nell'esercizio di un ministero regolare. Inoltre, lo mette in guardia dall'influenza dei falsi maestri, che con sottili distinzioni e infinite dispute corrompevano la purezza e la semplicità del Vangelo. Lo esorta a prestare la massima diligenza, fedeltà e zelo. Questi argomenti occupano i primi quattro capitoli; il quinto capitolo istruisce su classi particolari; nell'ultima parte si condannano le controversie e le dispute, si biasima l'amore per il denaro e si esortano i ricchi alle buone opere.

Capitolo 1

L'apostolo saluta Timoteo 1Tim 1:1-4

Il disegno della legge data da Mosè 1Tim 1:5-11

Della propria conversione e della chiamata all'apostolato 1Tim 1:12-17

L'obbligo di mantenere la fede e la buona coscienza 1Tim 1:18-20

Versetti 1-4

Gesù Cristo è la speranza del cristiano; tutte le nostre speranze di vita eterna sono fondate su di lui; e Cristo è in noi la speranza della gloria. L'apostolo sembra essere stato il mezzo della conversione di Timoteo, che ha servito con lui nel suo ministero, come un figlio doveroso con un padre amorevole. Ciò che solleva questioni non è edificante; ciò che dà occasione a dispute dubbie, abbatte la Chiesa anziché edificarla. La pietà del cuore e della vita può essere mantenuta e accresciuta solo dall'esercizio della fede nelle verità e nelle promesse di Dio, attraverso Gesù Cristo.

5 Versetti 5-11

Tutto ciò che tende a indebolire l'amore verso Dio o verso i fratelli tende a vanificare il fine del comandamento. Il disegno del Vangelo trova risposta quando i peccatori, attraverso il pentimento verso Dio e la fede in Gesù Cristo, sono portati a esercitare l'amore cristiano. E poiché i credenti erano persone giuste nel modo stabilito da Dio, la legge non era contro di loro. Ma se non siamo resi giusti dalla fede in Cristo, se non ci pentiamo davvero e non abbandoniamo il peccato, siamo ancora sotto la maledizione della legge, anche secondo il vangelo del Dio benedetto, e non siamo idonei a condividere la santa felicità del cielo.

12 Versetti 12-17

L'apostolo sapeva che sarebbe giustamente morto, se il Signore fosse stato estremo nel notare ciò che non andava; e anche se la sua grazia e la sua misericordia non fossero state abbondanti con lui quando era morto nel peccato, operando nel suo cuore la fede e l'amore a Cristo. Questo è un detto fedele; sono parole vere e fedeli, su cui si può fare affidamento, che il Figlio di Dio è venuto nel mondo, volontariamente e di proposito, per salvare i peccatori. Nessun uomo, con l'esempio di Paolo davanti a sé, può mettere in dubbio l'amore e il potere di Cristo di salvarlo, se desidera davvero confidare in lui come Figlio di Dio, che è morto sulla croce e ora regna sul trono della gloria, per salvare tutti coloro che vengono a Dio attraverso di lui. Ammiriamo e lodiamo la grazia di Dio, nostro Salvatore, e attribuiamo al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, tre Persone nell'unità della Divinità, la gloria di tutto ciò che è stato fatto in, da e per noi.

18 Versetti 18-20

Il ministero è una guerra contro il peccato e Satana, portata avanti sotto il Signore Gesù, che è il Capitano della nostra salvezza. Le buone speranze che gli altri hanno nutrito nei nostri confronti ci devono spronare al dovere. E cerchiamo di essere retti nella nostra condotta in ogni cosa. Le censure più severe nella Chiesa primitiva avevano lo scopo di prevenire ulteriori peccati e di recuperare il peccatore. Che tutti coloro che sono tentati di mettere da parte la buona coscienza e di abusare del Vangelo si ricordino che questo è il modo per far naufragare anche la fede.

Commentario del Pulpito:

1Timoteo 1

1 

PULPIT COMMENTARY

VERSIONE ITALIANA DEL COMMENTO ALLA PRIMA LETTERA A TIMOTEO

TESTO TRADOTTO DA

ANTONIO CONSORTE

INTRODUZIONE

LE EPISTOLE PASTORALI

TRE domande principali si presentano allo studente delle Epistole pastorali:

1 la loro autenticità;

2 la loro cronologia;

3 il loro contenuto, compresi gli argomenti trattati in essi, e lo stile in cui sono scritti

Queste tre domande si toccano necessariamente e si incontrano in molti punti. Tuttavia, potrebbero essere trattati separatamente

§1. L'AUTENTICITÀ DELLE EPISTOLE PASTORALI

L'autenticità di queste Epistole, come opere autentiche dell'apostolo Paolo, il cui nome è preceduto da tutte e tre, si basa sulla duplice autorità dei testimoni esterni e dell'evidenza interna

1. La testimonianza esterna è la seguente. Eusebio li annovera "le quattordici Epistole di Paolo" tra i libri universalmente riconosciuti della Sacra Scrittura, e ne parla come manifesti e certi 'Eccl. Hist., III 3. e 25., con qualche riserva riguardo all'Epistola agli Ebrei. Il Canone Muratoriano circa 170 d.C. comprende tredici Epistole di San Paolo, esclusa l'Epistola agli Ebrei; il Canone di Peschito all'incirca della stessa data conta quattordici Epistole di San Paolo, tra cui l'Epistola agli Ebrei "Canon", in 'Dictionary of Bible'; e non sono mai stati messi in dubbio da nessuno scrittore della Chiesa, ma hanno mantenuto il loro posto in tutti i canoni dell'Oriente e dell'Occidente. Frasi identiche a quelle di queste Epistole, e presumibilmente citate da esse, si trovano in scrittori quasi contemporanei. Clemens Romanus 1Corinzi 2 ha Etoimoi eijv pan ergon ajgaqon comp. Tito 3:1 In 1Timoteo 2:9 dice, Proselqwmen aujtw ejn oJsiothti yuchv agnas kaintouv ceirav arontev pron comp. 1Timoteo 2:8 Policarpo c. 4. usa le stesse parole di San Paolo, jArchntwn calepwn filarguria; comp. 1Timoteo 6:10 Oujdegkamen eijv tosmon ajll oujde ejxenegkein ti ecomen comp. 1Timoteo 6:7 Teofilo di Antiochia A.D. 181 gov, 1Timoteo 2:1,2 testualmente come l'espressione di Qeiov Lo "la Parola di Dio" 'Ad Autol.,' 3:14. Lo stesso scrittore, in un passo in generale armonia con Tito 3:3-7 , usa le stesse parole di Tito 3:5 , Diaav 'Ad Auto.,' 1:2. Le diverse liturgie, come citate nelle note a 1Timoteo 2:1 , sono manifestamente fondate su quel passaggio. Ireneo 178 d.C. nel suo libro 'Contro le eresie', cita ripetutamente per nome tutte e tre le epistole 1Timoteo 1:4; 2Timoteo 4:21; Tito 3:10 ,ecc. Tertulliano 200 d.C., in ' Deuteronomio Praescript.,' cap. 25., cita più e più volte per nome la prima e la seconda lettera di San Paolo a Timoteo. Clemente di Alessandria 194 d.C. cita ripetutamente entrambe le Epistole a Timoteo, e dice che gli eretici le rigettano perché i loro errori sono confutati da loro 'Strom.', 2., 3., e 1.. Cita anche l'Epistola a Tito. Molti altri riferimenti e citazioni si possono trovare in Lardner vol. 1., così come in varie "Introduzioni", come Huther, Olshausen, Alfbrd dove sono disposti molto chiaramente; "Commento dell'oratore"; Commentario del Nuovo Testamento", a cura del Vescovo di Gloucester e Bristol; 'Dizionario della Bibbia', art. "Timoteo", ecc. Ma quanto sopra stabilisce in modo definitivo l'accettazione di queste Epistole come autentiche con il consenso unanime degli scrittori della Chiesa dei primi tre secoli dell'era cristiana, un'unanimità che è continuata fino al secolo attuale

2. L'evidenza interna non è meno forte. Dobbiamo ricordare che, se queste Epistole non sono di San Paolo, sono falsi ad arte, scritti con l'esplicito scopo di ingannare. È possibile supporre che scritti così gravi, così sobri, così semplici eppure così potenti; respirando un così nobile spirito d'amore e di bontà, di alto coraggio e di santi propositi; pieno di così grande saggezza e di così alta pietà; non avendo altro scopo apparente che il benessere delle società cristiane a cui si riferiscono; e così ben calcolato per promuovere quel benessere; sono stati scritti con una penna intrisa di menzogne e falsità? È impossibile supporlo. La verità trasparente di queste Epistole è la loro stessa credenza che esse sono opera di colui di cui odono il nome

Ma tutti i dettagli delle Epistole portano alla stessa conclusione. Mentre c'è una differenza marcata e sorprendente nel vocabolario di queste Epistole, che un falsario avrebbe evitato su cui torneremo tra poco, c'è un'identità di tono e di sentimento, e anche di parole e frasi, che rivela che esse sono la nascita dello stesso cervello delle altre Epistole di San Paolo universalmente riconosciute. Confrontate, per esempio, i saluti di apertura e di chiusura delle tre Epistole con quelli delle altre Epistole di San Paolo: sono gli stessi. Confronta il sentimento in 1Timoteo 1:5 con Romani 13:10; Galati 5:6 , e l'atteggiamento generale della mente dello scrittore verso gli oppositori ebrei e la Legge di Mosè, come si vede in 1Timoteo 1:4-11; Tito 1:10-16; 2Timoteo 3:5-8 , con il linguaggio e la condotta di San Paolo verso i non credenti e i giudaizzanti tra gli ebrei, come si vede generalmente negli Atti degli Apostoli, e in passaggi delle Epistole come Romani 2:17-29;7:12 Filippesi 3.; Colossesi 2:16-23; 1Tessalonicesi 2:14-16 ; E vedi la stessa mente. Si noti, ancora, come lo scrittore delle Epistole pastorali, in passaggi come 1Timoteo 1:11-16;2:5-7;6:13-16; 2Timoteo 1:8-11; 4:7,8; Tito 2:11-13;3:4-7 , prorompe in esibizioni estasiate della grazia del vangelo, e si riferisce al suo ufficio come predicatore di esso; e i sentimenti simili in passaggi come Romani 1:5,14-17; 15:15,16; 1Corinzi 1:17; 15:1-11; 2Corinzi 4:4-7; Galati 1:1-5 e in tutta l'Epistola Efesini 3:7-12; Colossesi 1:23 e in molti altri. Confrontate, di nuovo, le allusioni alla sua conversione, in 1Corinzi 15:9 e Efesini 3:8 , con quelle in 1Timoteo 1:12,13 ; l'allusione al suo ufficio speciale come apostolo delle genti, in Romani 11:13 , con quella in 1Timoteo 2:7 ; e i riferimenti alle sue sofferenze per il vangelo, ad esempio in 2Corinzi 1:4-10; 4:7-12; 6:4-10; 11:23-28; 1Tessalonicesi 2:2 , con quelli in 2Timoteo 1:8,12; 2:9,10; 3:10,11 . Comp. 1Corinzi 14:34,35 con 1Timoteo 2:11,12 . Allora l'insegnamento dottrinale è esattamente lo stesso; i precetti della vita santa, in tutti i suoi dettagli di carattere, temperamento e condotta, derivano da affermazioni dogmatiche proprio come fanno nelle altre Epistole: vedi 1Timoteo 3:15,16; 6:12-16; 2Timoteo 1:8-12; 2:19; Tito 2:11-14;3:4-8 ; e Efesini 4:20-32; 5:1-4; Colossesi 3:1-5,8-17 ,ecc L'interposizione della dossologia in 1Timoteo 1:17 è esattamente alla maniera di Romani 1:25;9:5;11:36;16:27; Efesini 3:20,21 , ecc. Confrontate, di nuovo, le due sentenze di scomunica: quella menzionata in 1Corinzi 5:3-5 , l'altra in 1Timoteo 1:20 . Confronta le due notizie della tentazione di Eva per mezzo del serpente, in 2Corinzi 11:3 e 1Timoteo 2:13,14 ; e il riferimento a Deuteronomio 25:4 in 1Corinzi 9:9 e 1Timoteo 5:18 . Confronta le indicazioni per gli schiavi cristiani, in 1Timoteo 6:1,2 , con quelle in Efesini 6:5-8 e Colossesi 3:22-25 ; la metafora dei giochi, in 1Timoteo 6:12; 2Timoteo 2:5; 4:7,8 , con ciò 1Corinzi 9:24, 27 ; quello dei diversi vasi d'oro, d'argento, di legno e di terra, in 2Timoteo 2:20 , con quello dell'oro, dell'argento, delle pietre preziose, del legno, del fieno, della stoppia, di 1Corinzi 3:12 ; e confronta anche Romani 9:22,23 e 2Corinzi 4:7 . Confrontate l'annuncio profetico dell'apostasia, in 2Tessalonicesi 2:3 , con quello in 1Timoteo 4:1 . Vediamo esattamente lo stesso tono di pensiero in Atti 23:1 come in 2Timoteo 1:3 ; in Romani 14:14,20 , e 1Corinzi 12 ., e Colossesi 2:16-23 , come in 1Timoteo 4:3-5 e Tito 1:14,15 ; in Filippesi 4:11 come in 1Timoteo 6:8 ; e in Romani 14:6 come in 1Timoteo 4:3 . Molti precetti sono comuni alla pastorale e alle altre Epistole, come ad esempio 1Timoteo 3:2; Tito 1:8, Romani 12:13; 1Timoteo 5:10 e Romani 12:13; 1Timoteo 6:5 A.V e 2Tessalonicesi 3:14; 2Timoteo 2:24,25, 2Corinzi 2:6,7 e 2Tessalonicesi 3:15 ; a cui sarebbe facile aggiungere altri esempi. Anche le indicazioni per il culto pubblico in 1Corinzi 14:34 e 1Timoteo 2:8-13 sono molto simili. Il riferimento ripetuto alla seconda venuta di nostro Signore è un'altra caratteristica comune alla pastorale e alle altre Epistole di San Paolo vedi 1Timoteo 6:14; 2Timoteo 4:1,8; Tito 2:13 ,confrontato con 1Corinzi 1:7; 15:23; 1Tessalonicesi 2:19; 3:13; 5:23; 2Tessalonicesi 2:1,8; Filippesi 3:20 ,ecc. C'è una marcata somiglianza di pensiero tra Tito 3:3-7 e Efesini 2:2-8 ; tra Tito 3:5 e Efesini 5:26 . Si noti, ancora, il modo in cui San Paolo comunicava informazioni, a coloro ai quali scriveva, riguardo ai suoi affari e dintorni, come si vede in 1Corinzi 16:5- Colossesi 4:7-13 , e in 2Timoteo 4:9-17 ; e l'affettuoso ricordo delle lacrime passate, mostrato allo stesso modo in 1Tessalonicesi 1:2-8 e 2Timoteo 1:3-5,16-18 . Poi c'è la stessa stima degli individui mostrata nelle Epistole pastorali che si vede nelle altre Epistole. Confronta la menzione di Timoteo, in 1Corinzi 16:10 e Filippesi 2:19,20 con quelle in 1Timoteo 1:2; 2Timoteo 1:2-5; 4:9,21 ; quello di Luca, in Colossesi 4:14 , con quello in 2Timoteo 4:11 ; quello di Marco, in Colossesi 4:10 , con quello in 2Timoteo 4:11 ; e osservate anche la coincidenza delle dichiarazioni che rappresentano Marco, in Colossesi 4:10 , mentre andava a Colosse, e in 2Timoteo 4:11 come nelle vicinanze di Efeso, dove Timoteo poteva prenderlo e portarlo a Roma con lui. Si può aggiungere, in generale, che abbiamo un certo numero degli stessi operai associati a San Paolo in entrambe le serie di Epistole, come Timoteo, Tito, Luca, Apollo, Tichico, Trofimo, Atti 20:4;21:29 Dema, Marco, Priscilla e Aquila; e allo stesso tempo, come c'era da aspettarsi dopo un intervallo di diversi anni, la scomparsa di alcuni vecchi nomi, come Sopater, Aristarco, Gains, Secundus, Tertius, Quartus, Onesimus, Justus, Epaphras, Epaphroditus, Sosthenes, Lucius, Gesù detto Justus, ecc.; e l'introduzione di alcuni nuovi, come Figello ed Ermogene, Onesiforo, Crescente, Carpo, Eubulo, Lino, Pudente, Claudia, Artema, Zenas e altri. La stessa cosa si può dire dei luoghi. Mentre abbiamo ancora davanti a noi le vecchie scene familiari delle fatiche apostoliche di San Paolo – Mileto, Efeso, Troade, Macedonia, Corinto – ne vengono introdotte di nuove, come Creta, Nicopoli e Dalmazia

L'altra classe di somiglianze molto diversa è quella delle parole, delle anti-frasi e dello stile letterario. San Paolo aveva un modo di mettere insieme un certo numero di parole, sostantivi o aggettivi, o brevi frasi. Esempi di ciò possono essere visti in Romani 1:29-31;8:35,39;16:14; 1Corinzi 3:12,5:11;6:9,10;12:8-10,28; 2Corinzi 6:4-10;11:23-27; Galati 5:19-23; Efesini 4:31; Colossesi 3:5,8,12 e altrove. Un modo esattamente simile si vede in 1Timoteo 1:9,10;6:4,5; 2Timoteo 3:2-4,10,11; Tito 1:7,8;2:3-8;3:3 . La mente ardente e impulsiva di San Paolo portò a frequenti digressioni e lunghe parentesi nei suoi scritti, e occasionali anomalie grammaticali. Prendete gli esempi familiari di Romani 2:13-15;5:13-17; Galati 2:6-9; Efesini 3:2-21 , ecc. Con questi confronta la lunga parentesi in 1Timoteo 1:5-17 ; che in 1Timoteo 3:5 e in 2Timoteo 1:3 ; e le difficoltà grammaticali di passaggi come; 1Timoteo 3:16 R.T 1Timoteo 4:16 . Ancora, San Paolo amava la preposizione uJper, di cui sono riportati esempi nella nota tomenon 1Timoteo 1:14 ; e l'upax lego in quel passaggio, uJperepleonase è in marcato accordo con questo uso. Il verbo fanerow, in 1Timoteo 3:16; 2Timoteo 1:10; Tito 1:3 , è di uso molto frequente da San Paolo in Romani, 1 e 2 Corinzi, Efesini e Colossesi. L'uso di nomov in 1Timoteo 1:9 è lo stesso di quello in Romani 2:12-14 ; di ejndunamo in 1Timoteo 2Timoteo 2:1;4:17 come quello in Romani 4:20 ; Efesini Filippesi 4:13; Ebrei 11:34 ; e del cavolo in 1Timoteo 6:12 e 2Timoteo 1:9 come quello in Romani 8:30;9:24; 1Corinzi 1:9, 7:15 , ecc.; Galati 1:6 , ecc.; Efesini 4:1; Colossesi 3:15; 1Tessalonicesi 2:12 ; fqartov 2Tessalonicesi 2:14 , ecc. Troviamo a—in Romani, Corinzi e 1Timoteo 1:17 altrove solo in 1 Pietro; ajpwqomai in Romani 11:1,2 e in; 1Timoteo 1:19 altrove solo negli Atti ajnohtov in Romani 1:14 Galati 3:1,3 , e in 1Timoteo 6:9 e Tito 3:3 altrove solo in; Luca 24:25 ajnupokritov in Romani, Corinzi, 1Timoteo 1:5 e 2Timoteo 1:5 altrove solo in 1Pietro 1:22 e Giacomo 3:17 Confronta pneuma deiliav inav 2Timoteo 1:7 con pneuma doulei eijv fobon innwn Romani 8:15 ; cro aijwniwn in 2Timoteo 1:9 e Tito 1:2 con Romani 16:25sma 1Corinzi 2:7 . San Paolo applica il sostantivo pla all'uomo, e il verbo plassw a Dio suo Creatore, in Romani 9:20 ; e lo scrittore di 1 Timoteo 2:13 usa anche il plassomai della formazione dell'uomo da parte di Dio. Il termine ajgiasmov, che è usato da San Paolo sette o otto volte e solo una volta da San Pietro, si trova anche in 1Timoteo 2:15 . San Paolo parla del vangelo come del "mistero di Cristo", "il mistero nascosto", ecc., in Romani 16:25; Efesini 3:3,4; Colossesi 1:26 , e spesso altrove; e così abbiamo le frasi, "il mistero della fede", "il mistero della pietà", ingklhtov 1Timoteo 3:9,16 . Anche le seguenti trenta parole sono peculiari di San Paolo e delle Epistole pastorali: ajne aujtarkeia ajoratov uJperoch, semnov mesithv uJpotagh uJbristhv proi'sthmai ejndeiknumi praothv crhstothv, ajnakainwsiv prokoptein tranne, Luca 2:52 prokoph oleqrov katargew tranne, Luca 13:7 ojstrakinov ejkkaqairw hpiov ajlazwn astorgov aspondov T.R., morfwsiv aijcmalwteuw swreuw ajdokimov makroqumia eccetto Giacomo e 1 e 2 Pietro, paqhma eccetto 1 Pietro, plassw

Ma quando passiamo da queste somiglianze nella mera dizione a considerare la potenza intellettuale, la verve e lo splendore divino delle Epistole pastorali, l'evidenza è schiacciante. Mettete al loro fianco l'epistola di Clemente Romano ai Corinzi, o le epistole di Ignazio e Policarpo, o la cosiddetta 'Epistola di Barnaba', e sentirete l'incommensurabile differenza tra loro. La combinazione di vigore mentale e sobrio, buon senso pratico e sagace intuizione riguardo agli uomini e alle cose, e vasta conoscenza, con fervente zelo, ed entusiasmo di temperamento, e ardente pietà, e completo sacrificio di sé, e mente celeste, e il movimento verso l'alto e in avanti di tutto l'uomo interiore sotto la guida dello Spirito Santo di Dio, producendo un'eloquenza non artistica di immensa forza e persuasione, si trova in queste Epistole pastorali, come in tutte le altre Epistole di questo grande apostolo; ma non si trova da nessun'altra parte. San Paolo, lo sappiamo, avrebbe potuto scriverle; Non conosciamo nessun altro che potrebbe. Attribuirli a qualche sconosciuto impostore fraudolento invece che a lui, il cui marchio della personalità portano in ogni riga così distintamente come portano il suo nome nelle loro soprascritte, è una caricatura della critica e una burla dell'incredulità

Applicando, inoltre, le consuete prove di autenticità, possiamo osservare che tutti i segni storici e cronologici che possiamo scoprire in queste Epistole concordano con la teoria che esse furono scritte durante il regno dell'imperatore Nerone. La serietà con cui l'apostolo dirige le preghiere per i governanti da usare in tutte le chiese: "affinché possiamo condurre una vita tranquilla" 1Timoteo 2:1,2; Tito 3:1 corrisponde bene all'idea che l'atteggiamento di Nerone verso i cristiani cominciava a suscitare notevole ansia. Pensieri come quelli di 1Timoteo 1:1; 6:15 traggono un nuovo significato da tale idea; mentre l'espressione successiva di 2Timoteo 4:16-18 mostra che ciò che prima era solo temuto era diventato un fatto, e che lo scrittore di 2 Timoteo era nel bel mezzo della persecuzione neroniana

Ancora una volta, lo stato irrequieto della mente ebraica e la messe malsana di eresie, contenenti il germe del successivo gnosticismo, che spuntavano tra gli ebrei semi-cristiani, che si riflette nelle epistole pastorali, è in accordo con tutto ciò che sappiamo del settarismo ebraico in questo periodo, come descritto da Filone, Giuseppe Flavio e altri scrittori successivi citati dal vescovo Lightfoot Introduzione ai Colossesi, ' p. 83, nota. Lo gnosticismo, come appare nell'Epistola ai Colossesi e come fu insegnato da Cerinto - lo gnosticismo, evidenziato da alcune allusioni gnostiche, come ajntiqeseiv thv yeudwnumou gnwsewv; 1Timoteo 6:20 con una risurrezione mistica invece che reale; 2Timoteo 2:18 con l'astinenza dai cibi e dal matrimonio, con le favole delle vecchie e le pratiche ascetiche, 1Timoteo 1:8,9 appare effettivamente nelle Epistole pastorali, come era inevitabile, considerando la loro portata; ma è uno gnosticismo distintamente di origine ebraica, Tito 1:10,14 e tanto diverso dal successivo gnosticismo di Marcione, Valentiniano e Taziano quanto la ghianda lo è dalla quercia, o il bambino dall'uomo adulto. Questi passaggi, che la grande ingegnosità e l'erudizione di Baur hanno faticato a strappare come prove contro l'autenticità di queste Epistole, sono davvero prove molto importanti a loro favore

Così come tutti i segni della politica ecclesiastica di allora che spiccano in queste Epistole. La facilità può essere così affermata. Verso la fine del secondo secolo, quando Baur e i suoi seguaci sostengono che queste Epistole erano state falsificate, l'episcopato diocesano era universale in tutta la Chiesa, e la parola ejpiskopov significava esclusivamente ciò che oggi intendiamo per vescovo distinto dai presbiteri. E non solo, ma era credenza universale che tale episcopato fosse esistito in successione regolare dagli apostoli stessi, e in diverse Chiese si conservavano elenchi di vescovi, di cui si diceva che la prima fosse stata nominata da un apostolo. In queste circostanze, sembra assolutamente impossibile che un falsario, che scrive nell'ultima parte del secondo secolo e che impersona San Paolo, rappresenti il clero a Creta e ad Efeso sotto il nome di ejpiskopoi 1Timoteo 3; Tito 1:7 e non dovrebbe fare menzione di alcun vescovo che presieda quelle Chiese. Così, di nuovo, l'uso della parola "presbitero" in queste Epistole mostra chiaramente il termine non ancora indurito in un termine esclusivamente tecnico. La stessa cosa vale anche per le parole diakonov diakonia, e diakonein vedi 1Timoteo 5:1; 4:6; 1:12; 2Timoteo 4:5,11; 1:18 , cosicché l'uso di questi termini ecclesiastici nelle Epistole pastorali è, se opportunamente soppesato, una prova di grandissimo peso a favore della loro appartenenza al primo, non al secondo, secolo

Allo stesso modo, gli episcopati missionari e mobili di Timoteo e Tito, e, a quanto pare, di Tichico e Artema allo stesso modo, sono fortemente indicativi del terzo quarto del primo secolo, e non era affatto probabile che venissero in mente a uno scrittore dell'ultima parte del secondo secolo. Per quanto risulta dalle Epistole pastorali, i vescovi con diocesi stabilite non esistevano al tempo in cui furono scritte. Gli apostoli esercitarono essi stessi pieni poteri episcopali; e sembra che avessero al loro seguito un certo numero di vescovi missionari, che mandavano per un certo tempo a prendere la supervisione delle Chiese particolari, secondo che erano necessarie, e poi passavano a sovrintendere ad altre Chiese. Da queste nacquero vescovi con una diocesi fissa , ma non divennero la regola fino a quando gli apostoli che li avevano nominati non furono deceduti

Un 'ulteriore indicazione del tempo in cui queste Epistole furono scritte può essere trovata anche nel loro stile, che appartiene all'ultima parte del primo secolo, e non appartiene all'ultima parte del secondo. Frequenti somiglianze nello stile e nella materia con l'Epistola agli Ebrei, con la Prima Lettera di Pietro, con l'Epistola di Giacomo, così come con la dizione di Filone, Giuseppe Flavio, i successivi Libri dei Maccabei, Plutarco e con i sentimenti di Seneca, indicano uno scrittore dell'età neroniana, e non uno al tempo degli Antonini

Ma, come accennato sopra, ci sono caratteristiche nello stile letterario delle Epistole pastorali che sono molto peculiari e che, se prese da sole, suggerirebbero una paternità diversa da quella delle altre Epistole di San Paolo

Nell 'Appendice a questa Introduzione si troverà un elenco di centottantasette parole, di cui centosessantacinque si trovano solo nelle Epistole pastorali, undici solo nelle Epistole pastorali e nelle Lettere agli Ebrei, e undici solo nelle Epistole pastorali, Ebrei, San Giacomo, San Pietro, San Luca, e gli Atti degli Apostoli. Di questi, circa quarantaquattro si trovano nella LXX, ma in alcuni casi molto raramente, così che la LXX non può essere la cava da cui San Paolo ha estratto queste nuove aggiunte al suo vocabolario. Ma sono quasi tutte buone parole classiche; ed è inoltre notevole, per quanto riguarda altre parole che si trovano in altre parti della Sacra Scrittura, che nelle Epistole pastorali seguono l'uso classico piuttosto che quello ellenistico

Le deduzioni naturali dai fatti di cui sopra sono

1 che queste Epistole pastorali furono scritte più tardi delle altre Epistole;

2 che nel frattempo lo scrittore aveva ampliato la sua conoscenza dei classici greci;

3 che, poiché i suoi due corrispondenti erano greci, scrisse loro nel greco più puro che potesse comandare

È degno di nota che la teoria che assegna le Epistole pastorali al periodo successivo al ritorno di San Paolo dalla Spagna concorda pienamente con le prime due delle deduzioni di cui sopra. Pone un intervallo di due o tre anni tra l'ultima delle altre Epistole di S. Paolo e queste Epistole a Timoteo e Tito, e indica anche uno spazio di due anni, Atti 28:31 durante il quale egli potrebbe aver avuto il tempo di accrescere in gran parte la sua conoscenza della letteratura classica greca. Se tra coloro che "vennero da lui" al suo stesso salario Atti 28:30 ci fossero stati uomini come Seneca, o il vecchio Piteo, o Sergio Paolo, San Paolo potrebbe aver pensato che fosse utile leggere gli scrittori classici greci - Aristotele, Polibio, Plutarco, Demostene e altri - con l'obiettivo di aumentare la sua influenza sugli uomini di cultura e di cultura nella grande capitale del mondo. E il frutto di tali studi si sarebbe visto nell'allargato vocabolario delle Epistole pastorali. È curioso che questa congettura sia in qualche modo rafforzata dalla circostanza che San Paolo sembra aver fatto della sua residenza a Creta l'occasione di leggere le poesie del grande profeta e poeta cretese Epimenide Tito 1:12 Si può anche aggiungere che l'effetto di una nuova lettura sullo stile di una persona sarebbe molto maggiore nel caso di un come probabilmente lo era il greco per San Paolo, che nel caso della lingua madre di una persona. La variazione nel vocabolario delle Epistole pastorali può, naturalmente, anche essere in parte spiegata dalla differenza nelle materie trattate in esse; e dai libri degli eretici, che San Paolo può aver letto allo scopo di confutarli. Frasi come l'ajntiqeseiv thv yeudwnumou gnwsewv, 1Timoteo 6:20 e l'allusione al bebhloi kenofwniai degli eretici, indicano una certa familiarità con i loro scritti

La conclusione, quindi, riguardo ai segni interni dello stile, della dizione, del sentimento, della dottrina, delle allusioni incidentali agli uomini, e alle cose, e ai luoghi, e alle istituzioni, è che sono in pieno accordo con la testimonianza esterna che assegna queste Epistole senza dubbio all'apostolo di cui portano il nome; e che le Epistole pastorali sono le opere autentiche di San Paolo

§2. LA CRONOLOGIA DELLE EPISTOLE PASTORALI

Il nostro prossimo compito è quello di accertare la cronologia di queste Epistole; la loro cronologia

1 relativamente l'uno all'altro;

2 agli incidenti della vita di San Paolo;

3 il tempo assoluto della loro composizione

1. Per cominciare con la loro cronologia relativa l'uno all'altro. Traendo le nostre conclusioni esclusivamente dalle Epistole stesse, l'ordine che si presenta naturalmente è il seguente:

1 l'Epistola a Tito;

2 La Prima Epistola a Timoteo;

3 La seconda epistola a Timoteo

E quest'ordine si fonda sulle seguenti ragioni. Tutti i segni interni delle Epistole indicano, secondo l'opinione quasi unanime dei commentatori, che furono scritte a non molto intervallo l'una dall'altra. Ciò è indicato, per quanto riguarda Tito e 1 Timoteo, dalla somiglianza della materia e delle parole, analoga alle somiglianze delle Epistole agli Efesini e ai Colossesi; e, per quanto riguarda 2 Timoteo e le altre due Epistole, in parte per lo stesso tipo di somiglianze anche se meno frequenti, per le prove degli stessi nemici e per le stesse difficoltà che Timoteo dovette incontrare al momento della stesura della Seconda Epistola, che esisteva al momento della stesura della prima; e inoltre, per il percorso indicato in 2 Timoteo come percorso da San Paolo poco prima che quell'Epistola fosse scritta, concordando esattamente con ciò che si può dedurre dall'Epistola a Tito e dalla Prima Lettera a Timoteo

Supponendo che le tre Epistole siano state scritte nello stesso anno, e che "l'inverno" di cui si parla in Tito 3:12 e 2Timoteo 4:20 sia lo stesso inverno, otteniamo il seguente itinerario per San Paolo: Creta, Tito 1:3 Mileto, 2Timoteo 3:1-9 forse Efeso, 1Timoteo 1:3;2Timoteo 3:13 Macedonia, 1Timoteo 1:3 Corinto, 2Timoteo 3:1-9 Nicopoli, Tito 3:12 Roma 2Timoteo 1:17;4:15-17 Poiché, dunque, è chiaro che, quando San Paolo lasciò Creta, intendeva andare a Nicopoli, e poiché i luoghi sopra elencati si trovano esattamente sulla strada che probabilmente avrebbe preso, concludiamo che il viaggio che così desumiamo da 1 e 2 Timoteo è quello di cui Tito ci fornisce i terminali, un'epopea e il terminus ad quem. Ancora una volta, poiché la partenza di Tito da Creta è il primo episodio rivelato in questo viaggio da sud a nord, è naturale supporre che questa Epistola sia stata scritta per prima, probabilmente subito dopo che San Paolo aveva lasciato Creta, poiché le istruzioni in essa contenute sarebbero state necessarie immediatamente. Timoteo non sarebbe stato mandato a Efeso un po' più tardi, probabilmente da Mileto, e 1 Timoteo non sarebbe stato scritto se non dopo che vi fosse stato per poco tempo 1Timoteo 1:3 -scritto, forse, da Troas, con l'intenzione di unirsi presto a Timoteo a Efeso 1Timoteo 3:14;4:13 L'intenzione di San Paolo probabilmente era di non andare oltre la Macedonia in prima istanza, 1Timoteo 1:3 e da lì ritorna a Efeso prima di proseguire per Nicopoli. Ma le circostanze, di cui non sappiamo nulla, lo portarono a Corinto, e abbandonò il suo proposito di tornare a Efeso. Mandò egli a chiamare Timoteo in Macedonia, quando si accorse che non poteva andare a Efeso, e lì si separò da lui con molte lacrime? 2Timoteo 1:4 Questo sarebbe in accordo con la menzione degli eventi successivi relativi a Dema, Crescenso, Tito, Tichico ed Erasto. Ma poi c'è la frase, 2Timoteo 4:20 "Ma i Trofini li ho lasciati malati a Mileto". Ma questo può essere stato aggiunto, per così dire, fuori dal suo giusto luogo, per spiegare l'assenza dell'unico altro membro della banda missionaria non ancora notato. Dema, Crescendo, Tito, Luca, Marco, Tichico, Erasto, furono tutti contati, e così aggiunge: "Trofimo non può essere con me, perché l'ho lasciato a Mileto malato, mentre ero in viaggio per la Macedonia".

La teoria di cui sopra spiegherà anche la frase in 2Timoteo 4:12 che ha molto perplesso i commentatori. San Paolo, naturalmente, non avrebbe portato Timoteo lontano da Efeso per un certo periodo di tempo senza mandare qualcuno a prendere il suo posto. Da Tito 3:12 apprendiamo che Tichio era uno di quelli che San Paolo pensava di inviare a Creta per prendere il posto di Tito quando fosse venuto a Nicopoli. Probabilmente ha mandato Artema. Tieico era quindi libero; e così San Paolo, avendo convocato Timoteo a Roma, gli dice che Tichico prenderà il suo posto a Efeso durante la sua assenza

Ma per seguire San Paolo. Sembra che da Corinto sia andato a Nicopoli, perché la menzione di Tito come andato in Dalmazia sembra implicare che avesse incontrato San Paolo a Nicopoli secondo l'appuntamento, e da lì fosse stato mandato da lui nella vicina provincia della Dalmazia quando anche Cresceno andò in Galazia. A quanto pare, i primi segni di pericolo cominciarono a manifestarsi, e Dema trovò qualche scusa per andare nella sua città natale di Tessalonica, lasciando San Paolo ad affrontare il pericolo senza il suo aiuto. Se sia stato arrestato mentre si trovava a Nicopoli, che era nella provincia dell'Acaia, e portato a Roma come prigioniero, il che sembra molto probabile, o se volontariamente, per ragioni che non conosciamo, abbia navigato da Apollonia a Brundusio, e da lì si sia recato a Roma, e lì sia stato catturato e imprigionato, non abbiamo mezzi certi per decidere. Tutto ciò che i documenti esistenti ci permettono di concludere con certezza è che egli andò a Roma, e lì era prigioniero quando scrisse la Seconda Lettera a Timoteo

Le ragioni per concludere che 2 Timoteo fu scritto da Roma sono

1 la tradizione che fu a Roma che fu processato e condannato a morte e subì il martirio. Questa tradizione, anche se sorprendentemente vaga, è costante e unanime. Il testimone più antico, quello di Clemente Romano, che avrebbe potuto dirci tutto, è provocatoriamente indefinito. Egli ci dice che Paolo, dopo molte sofferenze, "giunto ai confini dell'Occidente e aver testimoniato marturhsav davanti ai governanti twn hJgoumenwn, si allontanò da questo mondo" '1 Epist. to the Corinth.,' c. 5. Dionigi, vescovo di Corinto verso il 170 d.C., dice che Pietro e Paolo insegnarono entrambi in Italia, e vi subirono il martirio nello stesso periodo 'Ap. Euseb.,' 2:25. Il presbitero Caio dice che "i trofei di coloro che fondarono la Chiesa di Roma cioè Pietro e Paolo possono essere visti sia in Vaticano che sulla Via Ostia", intendendo le chiese o i monumenti a loro dedicati ibid.. Eusebio cita anche Tertulliano che disse espressamente che Nerone fu il primo imperatore che perseguitò i cristiani; che fu condotto al massacro degli apostoli, e che la testa di Paolo fu tagliata proprio a Roma, e Pietro fu crocifisso in modo simile, durante il regno di Nerone. Eusebio aggiunge che questa narrazione è confermata dall'iscrizione prosrhsiv ancora esistente sulle rispettive tombe a Roma. Eusebio afferma anche nel libro seguente 3:1, 2 che San Paolo, dopo aver predicato il Vangelo da Gerusalemme all'Illirico, alla fine subì il martirio a Roma sotto Nerone, e cita Origene come sua autorità. Aggiunge che San Paolo scrisse l'Epistola a Timoteo, in cui menziona Lino, da Roma

2 L'evidenza interna di quell'Epistola indica anche Roma come il luogo in cui fu scritta. Se 1Timoteo 1:17 si riferisce a una recente visita di Onesiforo, questa sarebbe, naturalmente, di per sé una prova decisiva. Ma, omettendo ciò come dubbio, possiamo prendere 1Timoteo 4:1-7 come almeno probabilmente indicante Roma come il luogo in cui si trovava a quel tempo. Il seggio del giudizio, la presenza dell'imperatore, la folla dei Gentili, i nomi delle persone che inviavano saluti, tra cui Lino, il primo vescovo di Roma, e le espressioni dell'avvicinarsi della sua morte in 1Timoteo 4:7,8 , lasciano pochi dubbi sul fatto che egli fosse ora a Roma; e, se è così, 2 Timoteo deve essere stata l'ultima delle tre epistole pastorali

2. Ma in quale periodo della vita di San Paolo furono scritte queste Epistole? La questione è già stata parzialmente risolta nella sezione precedente, ma è abbastanza importante da richiedere una considerazione separata

Hug, nella sua "Introduzione agli Scritti del Nuovo Testamento" vol. 2. sette, 90., 103., 122., 123., assegna l'Epistola a Tito al secondo viaggio missionario di San Paolo. Egli suppone che, quando partì da Corinto Atti 18:18 per andare a Efeso, egli, volontariamente o per lo stress del tempo, fece il giro di Creta, e che vi lasciò Tito; che poi proseguì il suo viaggio verso Efeso, scrisse l'Epistola a Tito, raccomandò a lui Apollo, che sapeva stava partendo da Corinto; Atti 23:27 proseguì poi per Cesarea, Gerusalemme e Antiochia; e di là, passando per la Galazia e la Frigia, tornò così a Efeso, Atti 18:22,23;19:1 dopo aver svernato lungo la strada a Nicopoli in Cilicia, una città situata tra Antiochia e Tarso, vicino a Isso. Ma le obiezioni a questo schema sono insormontabili. La narrazione del suo passaggio da Cencre a Efeso con Aquila e Priscilla è del tutto incompatibile con un soggiorno a Creta, tra l'altro. Cantici importante un incidente non poteva essere omesso. C'è ogni apparenza, inoltre, di fretta nei movimenti dell'apostolo da Corinto, al fine di permettergli di raggiungere Gerusalemme entro la festa probabilmente di Pentecoste in connessione con l'adempimento del suo voto, Atti 18:18,21 che rende l'idea di un soggiorno a Creta il più inopportuna possibile. Allora Nicopolis in Cilicia è il posto più improbabile che si possa immaginare per lui per svernare. Era una città di riflusso, non collegata a nessuna opera missionaria di San Paolo di cui siamo a conoscenza, ed è ovvio supporre che avrebbe preferito svernare ad Antiochia o, se così vicino a casa sua, a Tarso. Né è possibile spiegare l'omissione della menzione di Nicopoli nel racconto dato da San Luca, in Atti 18:22,23 , di come Paolo trascorreva il suo tempo, se vi trascorreva circa tre mesi dell'inverno. Per stessa ammissione di Hug, non c'è un altro momento nell'ambito della narrazione di San Luca in cui San Paolo sarebbe potuto andare a Creta

Egli assegna 1 Timoteo al terzo viaggio missionario di San Paolo, al tempo, cioè, in cui San Paolo lasciò Efeso, dopo il tumulto, per andare in Macedonia Atti 20:1 Ma è sicuramente assolutamente fatale per questa teoria che leggiamo,; Atti 19:22 , poco prima del tumulto, che "mandò in Macedonia due di quelli che lo servivano, Timoteo ed Erasto per precederlo, ma egli stesso rimase in Asia per un certo tempo". Né è meno in netta contraddizione con lo scopo dichiarato di San Paolo Atti 19:21; 20:3 di andare dalla Macedonia e dall'Acaia a Gerusalemme, che egli dice a Timoteo, in 1Timoteo 3:14,15 , che è sua intenzione tornare molto presto ad Efeso. Sappiamo, infatti, che, sebbene fosse costretto dalla violenza dei Giudei Atti 20:3 a tornare per la via della Macedonia, tuttavia non volle nemmeno andare a Efeso per un giorno, ma mandò a chiamare gli anziani per incontrarlo a Mileto Atti 20:16,17 Sappiamo anche che Timoteo, che egli aveva mandato prima di lui in Macedonia, tornò con lui dalla Macedonia in, Atti 20:4 ed era con lui quando scrisse 2Cor 1:1. Cantici che ogni dettaglio è direttamente opposto all'idea che il viaggio in Macedonia di 1Timoteo 1:3 sia lo stesso del viaggio di Atti 19:21 e Atti 20:1 , e, di conseguenza, che 1 Timoteo sia stato scritto in questo periodo

Hug assegna 2 Timoteo al tempo della prima prigionia di San Paolo a Roma, e lo colloca dopo l'Epistola agli Efesini e prima di quelle ai Colossesi e a Filemone. Ci sono, senza dubbio, alcune coincidenze che, prese da sole, incoraggiano una tale conclusione. Ad esempio, Timoteo non era con San Paolo quando scrisse agli Efesini, Efesini 1:1 , ma in quella stessa Epistola Efesini 6:21 dice agli Efesini che ha mandato Tichico da loro, e troviamo che Timoteo era con San Paolo quando scrisse Colossesi 1:1 . Ma in 2 Timoteo troviamo San Paolo che scrive a Timoteo e gli ordina di conicarlo rapidamente, e di dirgli che aveva mandato Tichico a Efeso. Ancora, in Colossesi 4:10-14 troviamo le seguenti persone con San Paolo: Marco, Luca, Dema, oltre a Timoteo 1:2, e Tichico, che lo aveva appena lasciato. Ma in 2Timoteo 4 . troviamo Luca con lui, Dema lo aveva appena abbandonato, Tichico era appena stato mandato via da lui, e Timoteo e Marco erano subito attesi. Ma la forza di queste coincidenze è molto indebolita dalle seguenti considerazioni. Il personale dei compagni e associati missionari di San Paolo era composto da circa ventidue persone, di cui si fa menzione durante la sua prigionia a Roma o poco prima. Sono i seguenti: Apollo, Aquila, Aristarco, Deraa, Epafra o Epafrodito, Erasto, Gaio, Giusto, Lucio, Luca, Marco, Onesimo, Priscilla, Secondo, Sila, Sopatero, Sostene, Silvano, Timoteo, Tito, Trophiraus, Tychicus. Di queste, undici quelle in corsivo appaiono nelle Epistole pastorali come ancora all'opera con San Paolo. Gli altri undici non sono menzionati nelle Epistole pastorali. Ma compaiono nove nuovi nomi: Artema, Carpo, Claudia, Crescente, Eubulo, Lino, Onesiforo, Pudente e Zena. Questa è la proporzione del cambiamento nel personale che ci si potrebbe aspettare che tre o quattro anni producano

Ancora una volta, se guardiamo da vicino le presunte coincidenze nella situazione esposta da Colossesi 4 e 2Timoteo 4 , alcune di esse si trasformano in contraddizioni. Così 2Timoteo 4:10,11 rappresenta Dema come se avesse abbandonato San Paolo e fosse andato a Tessalonica, mentre Colossesi 4:14 scritto, secondo Hug, dopo 2 Timoteo lo rappresenta come ancora con San Paolo. Ancora una volta, 2Timoteo 4:11 rappresenta Marco come probabilmente proveniente dal quartiere di Efeso a San Paolo a. Roma per servirlo; ma Colossesi 4:10 lo rappresenta come probabile che presto andasse di fronte a Roma a Colosse, e apparentemente come uno straniero. Ancora una volta, l'avviso di Erasto e di Trofimo, inlipon, 2Timoteo 4:20 , implica naturalmente che Erasto era stato a Corinto con Paolo, ma vi era rimasto quando Paolo se ne andò, e, allo stesso modo, che lui e Trofimo erano stati entrambi a Mileto insieme, il che, naturalmente, è fatale per la teoria di Hug. Il suo espediente di tradurre ajpe "se ne andarono" è molto innaturale e forzato, e la sua traduzione di emeinen non si addice all'aoristo, che piuttosto dà il senso di "Quando me ne andai via, si fermò a Corinto".

Altre circostanze militano fortemente contro la composizione di 2 Timoteo al tempo della prima prigionia di San Paolo. Il racconto di San Luca di quella prigionia non prepara in alcun modo il lettore a una tragica fine di essa Atti 28:30,31 Né il linguaggio di San Paolo, nelle Epistole agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi e a Filemone, indica alcuna aspettativa da parte sua che sarebbe stato condannato a morte; piuttosto, al contrario, esprime la speranza di una pronta liberazione Efesini 6:21.22; Filippesi 2:24; Colossesi 4:8; Filemone 1:22 Ma in 2 Timoteo la sua stirpe è completamente diversa. Scrive con la sensazione che il suo lavoro sia finito e che la sua partenza sia vicina; 2Timoteo 4:6-8,18 non una parola di essere pronunciato in risposta alle loro preghiere, né l'aspettativa di essere liberati. La differenza è marcata, e sicuramente la più significativa

La conclusione necessaria è che il piano di Hug è del tutto impraticabile. Varie altre ipotesi, che attribuiscono la data delle Epistole pastorali a qualche parte della vita di San Paolo non scritta da S. Luca negli Atti, di cui le principali sono enumerate e spiegate da Huther nella sua "Introduzione", sono ugualmente incompatibili con una o più semplici affermazioni negli Atti degli Apostoli o nelle Epistole stesse, e deve quindi essere abbandonato allo stesso modo

Inoltre, tutti non tengono conto di quelle peculiarità nella dizione delle Epistole pastorali che sono indicate nella prima parte di questa Introduzione. Se si potessero superare le difficoltà nel trovare un posto nella narrazione degli Atti degli Apostoli in cui inserire le Epistole pastorali con le loro allusioni cosa che non possono, saremmo atterrati nella non meno formidabile difficoltà di dover rendere conto dei grandi cambiamenti di linguaggio rispetto alle altre Epistole di San Paolo, e una differenza nell'aspetto delle istituzioni della Chiesa e delle eresie nascenti, come riflesso in queste Epistole, da ciò che vediamo sia negli Atti che nelle altre Epistole di San Paolo

Siamo spinti, quindi, ad accettare l'ipotesi che assegna queste Epistole a un tempo posteriore a quello abbracciato nel racconto di San Luca. E ora esporremo il caso di questa ipotesi dal suo lato positivo

Gli Atti degli Apostoli si concludono con l'affermazione che San Paolo "rimase due anni interi nella sua propria dimora in affitto, e ricevette tutti quelli che entravano da lui, predicando il regno di Dio e insegnando ogni cosa riguardo al Signore Gesù Cristo, con ogni franchezza, senza che alcuno glielo proibisse". È altrettanto naturale il fatto che, alla fine dei due anni, l'apostolo riprese la sua carriera attiva come "l' Apostolo delle genti", sia che fu condotto all'esecuzione come un criminale: la maggior parte delle persone penserà che sia più naturale. Tuttavia, in assenza di ulteriori informazioni dalla Sacra Scrittura, dobbiamo ricorrere alle altre fonti di informazione che sono a nostra disposizione. Eusebio, che fu il grande collezionista di storia di opere oggi perdute, e di tradizioni correnti nella Chiesa, dopo aver citato le parole conclusive degli Atti degli Apostoli, ci dice 'Eccl. Hist.'2. 22. che il racconto corrente era che l'Apostolo, dopo aver fatto la sua difesa, in seguito riprese la sua opera di predicazione; ma che, essendo venuto a Roma una seconda volta, fu reso perfetto dal martirio. Atti che una volta, trovandosi in prigione, scrisse la Seconda Epistola a Timoteo

Eusebio aggiunge, dopo aver commentato in modo un po' confuso l'ultimo capitolo di 2 Timoteo, che scrisse così tanto per dimostrare che San Paolo non compì il suo martirio durante quel soggiorno a Roma narrato da San Luca. Aggiunge che Nerone era relativamente mite ed essenziale al tempo della prima visita di Paolo, e quindi accolse favorevolmente la sua difesa; ma che in seguito, essendo caduto in crimini mostruosi, attaccò gli apostoli insieme ad altri. Da ciò è evidente che Eusebio, con i mezzi di informazione di cui poteva disporre, credeva che il racconto che era in voga ai suoi tempi fosse vero

Clemente Romano, ancora, nella sua "Epistola ai Corinzi", nel passo citato sopra p. 10., usa un linguaggio che, alla luce delle tradizioni di cui sopra, certamente indica fortemente la visita in Spagna: torma thv dusewv, "l'estremo confine dell'Occidente", non poteva significare "Italia" in bocca a una persona che viveva a Roma, ma è una descrizione naturale della Spagna. Seguendo l'ordine usato da Clemente, questa visita in Spagna precedette immediatamente la sua testimonianza davanti ai governanti del mondo, e la sua partenza da questa vita: jEpi torma thv dusewv ejlqwn kaisav ejpinwn outwv ajphllagh tou kosmou

Il Frammento Muratoriano sul Canone aggiunge un'altra testimonianza antica alla convinzione della Chiesa che San Paolo andò in Spagna dopo la sua prigionia a Roma. Infatti, sebbene il passo sia così corrotto e mutilato da sfidare la traduzione, tuttavia le parole, "profectionem Pauli ab urbe ad Spaniam proficiscentis", ce lo dicono certamente, come osserva Routh 'Reliq. Sac.", vol. 4. p. 20, che san Paolo, lasciando Roma, si recò in Spagna. Se a queste prime testimonianze aggiungiamo quella più tarda di Venanzio Fortunato, nel VI secolo, il quale afferma espressamente che San Paolo si recò a Cadice che è descritta dal verso: "Transit et oceanum, vel qua facit insula portum", ecc.; di Teodoreto 'Salmo 16.', che dice di S. Paolo che "venne in Spagna; " di S. Girolamo, che, seguendo il 'Chronicon' di Eusebio A. 2083, colloca il martirio di Paolo nel quattordicesimo anno di Nerone A.D. 67 o 68, tre o quattro anni dopo la sua liberazione dalla sua prima prigionia 'Catal. Script. Eccle-Mast.'; - abbiamo sufficienti testimonianze esterne su cui poggiare un tentativo di assegnare alle Epistole pastorali una data successiva a quella che è delimitata dalla chiusura del racconto di San Luca. Supponendo, quindi, che il primo confino di Paolo a Roma terminò nella primavera del 63 d.C., e che immediatamente, secondo la sua intenzione originale, Romani 15:24 si recò in Spagna, possiamo assegnare due anni alla sua visita in Spagna, e possibilmente in Gran Bretagna, e collocare il suo ritorno a Cadice all'inizio della primavera del 65 d.C. Procedendo di là verso il luogo precedente delle sue fatiche, sarebbe andato a Creta, e forse vi si sarebbe fermato un mese Tito 1:3 Lasciando Tito lì, salpò per Mileto, diciamo il 1° aprile, 2Timoteo 4:20 e scrisse da lì l'Epistola a Tito. Potrebbe essere andato a Efeso da Mileto, ma più probabilmente Atti 20:25 mandò lì Timoteo, forse con l'intenzione di seguirlo; ma, per circostanze che non conosciamo, pensò che fosse meglio andare direttamente in Macedonia, 1Timoteo 1:3 e scrisse a 1 Timoteo da Troas, dove aveva il suo apparecchio per scrivere 2Timoteo 4:13 Aveva intenzione di tornare dalla Macedonia a Efeso, 1Timoteo 3:14; 4:13 ma di nuovo le sue intenzioni furono frustrate, e forse mandò a chiamare Timoteo in Macedonia 2Timoteo 1:4 prima che procedesse per Corinto. Comunque sia, andò certamente a Corinto, 2Timoteo 4:20 e da lì a Nicopoli, situata nell'Epiro, ma nella provincia dell'Acaia. Lì, Tito lo raggiunse, diciamo nel mese di luglio, essendo stato sostituito da Artema, Tito 3:12 Nicopoli era il luogo di ritrovo generale, e fu inviato da lui in Dalmazia. Atti nello stesso periodo, Crescens andò in Galazia. Dema, che vi era venuto tra gli altri, o che forse era stato il compagno di viaggio di Paolo, all'apparenza del pericolo, tornò precipitosamente al suo luogo natale di Tessalonica, e San Paolo proseguì con Luca verso Roma, dove potrebbe essere arrivato in agosto. Poiché il suo piano era stato quello di svernare a Nicopoli, Tito 3:12 sembra molto probabile che il suo viaggio a Roma non fosse volontario. Non c'è il minimo accenno nella Scrittura, o in qualsiasi storia, riguardo al luogo o alle circostanze del suo arresto. Ma sapendo che si recò a Nicopoli in Epiro, con l'intenzione di passarvi l'inverno, e che poco dopo fu prigioniero a Roma, la deduzione naturale è che fu arrestato dalle autorità della provincia di Acaia, e da queste mandato a Roma per essere processato. Il suo percorso sarebbe stato da Aulon, il porto marittimo dell'Illiria, a Brundusium, e da lì per la Via Appia fino a Roma

La causa dell'arresto di San Paolo non è lontana da cercare. Il grande incendio di Roma, che si suppone sia stato opera dello stesso Nerone, ebbe luogo "la notte del 19 luglio del 64 d.C." Lewin, vol. 2. p. 359. Nerone, secondo il noto racconto di Tacito 'Annali,' 15:44, per distogliere il sospetto da se stesso, diede la colpa del fuoco ai cristiani, e inflisse loro le punizioni più atroci. La persecuzione, che in un primo momento colpì solo i cristiani di Roma, fu in seguito estesa ai cristiani delle province, e fu reso criminale professare la fede cristiana vedi i passaggi citati da Lewin da Tacito, Sulpizio Severo e Orosio. Le frequenti allusioni alla persecuzione e alla sofferenza nella Prima Lettera di San Pietro 1Pietro 2:12; 3:16; 4:1,12-16; 5:8,9 sembrano indicare distintamente questa persecuzione generale. Era sufficiente l'attiva malizia di una o più persone per portare un cristiano davanti ai governatori romani con l'accusa di empietà. È molto probabile che l'amara inimicizia degli ebrei di Corinto, che pochi anni prima avevano tramato contro la sua vita, Atti 20:3 abbia approfittato di questi editti persecutori per accusarlo davanti al Proconsole di Acaia

Comunque sia , ciò che è certo è che San Paolo fu ancora una volta prigioniero a Roma, e potrebbe esservi arrivato in agosto, come sopra suggerito. Sembrerebbe, da 2Timoteo 4:16,17 , che la sua tranquillità fosse venuta davanti a Nerone subito dopo il suo arrivo, diciamo alla fine di agosto o settembre, e che non si aspettasse che tornasse prima delle vacanze invernali 2Timoteo 4:21 Di conseguenza scrisse la Seconda Epistola a Timoteo, in cui il pensiero principale era di incoraggiare Timoteo, ed esortarlo a non lasciarsi abbattere dallo stato calamitoso della Chiesa e dalla prigionia dell'apostolo, di cui senza dubbio la notizia si era diffusa rapidamente da Corinto a Efeso, ma ad essere pronto a sopportare la durezza come un buon soldato di Gesù Cristo. San Paolo esprime con un linguaggio toccante la sua fede impassibile, la sua costanza e la sua fiducia; si lamenta gentilmente della defezione dei falsi amici; fa amorevole menzione delle antiche gentilezze ricevute dai fedeli seguaci ora defunti; dà sinceri consigli a Timoteo; predice i pericoli imminenti; insiste con fedeli avvertimenti ed amorevoli esortazioni all'intrepidezza nei doveri del suo grande ufficio; e poi termina con una breve esposizione dei principali eventi di interesse che erano accaduti da quando si erano separati, compresa la sua difesa davanti a Nerone, insieme a una sincera richiesta, ripetuta due volte, a Timoteo di andare da lui prima dell'inverno. Menziona anche di aver mandato Tichico - non dice quando, né da dove - a Efeso, senza dubbio allo scopo di prendere il posto di Timoteo quando fosse venuto a Roma

Qui, tuttavia, può essere bene sottolineare uno o due punti. Uno, che la notizia che San Paolo era prigioniero deve essere stata comunicata a Timoteo da qualche messaggio precedente, o da San Paolo stesso o, con la sua privazione, forse da Tichico, o in qualche altro modo, poiché questa Epistola suppone chiaramente che Timoteo fosse già a conoscenza della circostanza. L'altra era che San Paolo non si aspettava di essere chiamato per la sua sistemazione finale per i prossimi tre mesi almeno, dal momento che ci sarebbe voluto così tanto tempo perché la sua lettera arrivasse a Timoteo e perché Timoteo viaggiasse a Roma. Un terzo punto è importante da notare, vale a dire che i dettagli forniti nell'ultimo capitolo sono una prova evidente che il viaggio a cui questi dettagli si riferiscono - che abbraccia Mileto, Troade, Macedonia, Corinto e Roma - era molto recente, e che, poiché l'ultima tappa di quel viaggio era Roma, è dimostrato che questa non era la stessa visita a Roma di quella raccontata da San Luca. che passava per Malta, Siracusa, Reggio e Puteoli

Camminando ancora su un terreno incerto, proseguiamo osservando che, prendendo l'Epistola agli Ebrei come scritta in questo periodo, sembrerebbe che Timoteo, dopo aver ricevuto la Seconda Lettera di San Paolo, iniziò immediatamente a venire a Roma, ma fu arrestato lungo la strada, essendo la persecuzione dei cristiani ora attiva nelle province. Il luogo del suo arresto non è indicato, ma potrebbe essere stato probabilmente l'Acaia, attraverso la quale sarebbe passato nel suo viaggio da Efeso a Roma. La gradita notizia, tuttavia, era ora giunta allo scrittore degli Ebrei che Timoteo era stato liberato e che era in viaggio apparentemente per Roma. Se San Paolo fosse stato l'autore dell'Epistola, sembrerebbe, inoltre, che in quel periodo – circa tre o quattro mesi dopo 2 Timoteo – avesse speranze di una sua rapida liberazione. Su cosa siano state costruite queste speranze non abbiamo modo di decidere. Ma erano trascorsi parecchi mesi dalla sua "prima difesa"; Timoteo fu rilasciato; forse c'era un po' di allentamento nella persecuzione, e qualche ragione per sperare che fosse servita a sviare i sospetti da Nerone, e che fosse vicina alla sua fine. In ogni caso, sperava di essere "presto ristabilito da loro" e di venire da loro con Timoteo Ebrei 13:19,23

Ma questa attesa non era destinata ad essere soddisfatta. Né sappiamo se Timoteo arrivò in tempo per vederlo vivo. Forse lo fece, se la data tradizionale del martirio di San Paolo, il 29 giugno, è vera Lewin, vol. 2. p. 400, in quanto ciò avrebbe dato a Timoteo tutto il tempo di raggiungere Roma. Sarebbe anche intensamente interessante sapere se San Pietro e San Paolo si sono incontrati prima o al momento dei loro rispettivi martiri. La stesura dell'Epistola agli Ebrei supponendo che fosse di San Paolo da parte dell'Apostolo delle Genti aveva qualcosa a che fare con il desiderio da parte dell'apostolo della circoncisione di mostrare la perfetta unità che esisteva tra lui e San Paolo? Erano forse lo stesso corpo di Ebrei, in tutto o in parte, come quelli a cui San Pietro scrisse la sua Prima Epistola? È certamente notevole che entrambe le Epistole implichino che coloro ai quali erano indirizzate fossero stati recentemente sottoposti a gravi persecuzioni, ed entrambe hanno una forte luce gettata su di loro dalle circostanze della persecuzione neroniana: Ebrei 10:32-34; 11:32-40; 12:1-13; 13:3; 1Pietro 2:12; 3:14-18; 4:12-19; 5:8-10 Inoltre, il passaggio 2Pietro 3:15 afferma chiaramente che San Paolo aveva scritto loro un'Epistola. E se 2 Pietro è stato scritto allo stesso corpo di cristiani di 1 Pietro, 2Pietro 3:1 allora ci viene detto, con tante parole, che l'Epistola di San Paolo a cui si fa allusione era indirizzata agli Ebrei "della Dispersione nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, in Asia e in Bitinia". Questa Epistola potrebbe essere l'Epistola agli Ebrei? C'è certamente una somiglianza molto forte nell'insegnamento allegorico dell'Epistola agli Ebrei con quello dell'Epistola ai Galati. Confronta il passaggio su Agar Galati 4:22-31 con quello su Melchisedec Ebrei 5:, 7; Galati 3:11 con Ebrei 10:38; Galati 3:20 con Ebrei 12:24 , ecc.; e, per quanto riguarda il riferimento particolare 2Pietro 3:15 , sembra essere giustificato da Ebrei 9:28 e Ebrei 10:35-39 , meglio che da qualsiasi altro passo delle Epistole di San Paolo. Ma se è di San Paolo, perché non porta il suo nome, come fanno tutte le altre sue Epistole? È impossibile dare una risposta decisiva a questa domanda. Ma una concomitanza di alcune lievi indicazioni suggerisce una possibile spiegazione. La menzione di San Paolo da parte di San Pietro in 2Pietro 2:15 ; il fatto che San Paolo scrisse una lettera a quei cristiani ebrei che erano sotto la speciale responsabilità di San Pietro; 2Pietro 3:15 la venuta di Marco a San Paolo a Roma 2Timoteo 4:11 da San Pietro a Babilonia; 1Pietro 5:13 la missione di Crescens in Galazia; 2Timoteo 4:10 e la presenza di San Pietro e San Paolo insieme a Roma al tempo dei loro martiri, come riferito da Clemente Romano, Eusebio e altri; tutto indica qualche rapporto tra i due apostoli in questo periodo. Viene in mente, quindi, che San Pietro, per sottolineare l'unione tra lui e San Paolo, e tra la Chiesa Ebraica e quella Gentile, avrebbe chiesto a San Paolo attraverso Marco o in altro modo di scrivere agli Ebrei della Dispersione, e che San Paolo, nell'assecondare la richiesta, con la sua solita delicatezza di sentimenti, potrebbe aver trattenuto il suo stile apostolico, e dato alla sua Epistola più la forma di un trattato che di una lettera. vedi anche, Ebrei 13:22

Tuttavia, non per soffermarci su speculazioni incerte, la questione pratica è che, se l'Epistola agli Ebrei fu scritta in questo periodo, possiamo registrare l'ulteriore fatto dell'imprigionamento e della liberazione di Timoteo, e, se scritta da San Paolo, quello della sua stessa aspettativa di essere liberato, e dobbiamo anche modificare l'affermazione nella nota a 2Timoteo 4:22 , che abbiamo lì l'ultima parola del grande apostolo

Nel complesso, concludiamo, con fiducia, che le Epistole pastorali furono scritte dopo l'imprigionamento di San Paolo a Roma riportato in Atti 28 , e poco prima del suo martirio nella città imperiale come riportato nella storia ecclesiastica

3. Per quanto riguarda la data assoluta delle Epistole pastorali, esse possono, con molta probabilità, essere assegnate all'anno 65 d.C., 66 d.C. o 67 d.C., a seconda che il martirio di san Paolo sia assegnato al 66 d.C., al 67 d.C. o al 68 d.C. Eusebio 'Chronic.' A., 2083 dice, sotto il tredicesimo anno di Nerone, che Pietro e Paolo subirono il martirio; mentre Girolamo lo colloca nel quattordicesimo anno. È impossibile arrivare a certezze in materia. Alcune considerazioni puntano fortemente al 65 d.C. per le Epistole, e al 66 d.C. per il martirio

§3. IL CONTENUTO E LO STILE DELLE EPISTOLE PASTORALI

Il contenuto e lo stile di queste Epistole devono trattenerci solo per poco tempo, essendo già stati parzialmente discussi nelle pagine precedenti. Per quanto riguarda lo stile, le tre Epistole vanno insieme e mostrano chiare indicazioni di essere state scritte quasi nello stesso periodo. Ma per quanto riguarda il loro contenuto, l'Epistola a Tito e la Prima Epistola a Timoteo vanno insieme, e la Seconda Epistola a Timoteo è a sé stante. L'oggetto e il motivo dei primi due erano esattamente simili. Paolo, avendo lasciato Tito sotto la sorveglianza temporanea delle Chiese di Creta, e Timoteo in quella della Chiesa di Efeso, scrive a entrambi semplici istruzioni pratiche su come ordinare e governare le Chiese ad esse affidate. La conduzione delle preghiere pubbliche, le qualifiche del clero, la disciplina delle società ecclesiastiche, l'esempio che il pastore capo deve dare alle comunità cristiane, insieme con seri avvertimenti riguardo alle eresie crescenti, costituiscono la maggior parte di entrambe le Epistole, integrate da alcune indicazioni peculiari per ciascun caso. Nulla può essere più ovvio, più ingenuo e meno aperto al sospetto di un movente nascosto, del trattamento dei soggetti in questione. La Seconda Epistola a Timoteo è di carattere diverso, poiché è stata causata da circostanze completamente diverse. Il suo scopo principale era quello di incoraggiare Timoteo, nonostante il nuovo pericolo che si era abbattuto sulla Chiesa a causa delle persecuzioni neroniane, e l'imprigionamento dell'apostolo sotto un'accusa capitale. Con il suo nobile esempio di fede e costanza, con ragionamenti ed esortazioni convincenti, e con i più forti motivi cristiani, San Paolo si sforza di confortare e sostenere Timoteo nelle circostanze difficili e pericolose in cui si trovava trovato, e aggiunge alcuni avvertimenti profetici riguardo alle eresie future, e indicazioni su come Timoteo deve affrontarle. Una breve esposizione della situazione attuale dei suoi affari a Roma, con una pressante supplica a Timoteo, ripetuta due volte, di affrettarsi da lui, e i soliti saluti, completano l'Epistola

Alcune caratteristiche notevoli dello stile delle Epistole pastorali sono state evidenziate nelle sezioni precedenti. Non possono essere soppesati abbastanza attentamente da coloro che vorrebbero formarsi un giudizio sano sulle difficili questioni ad essi connesse. Il fatto che ci siano centosessantacinque parole, quasi tutte buone in greco classico, che ricorrono nelle Epistole pastorali, ma da nessun'altra parte nel Nuovo Testamento, e poche di esse nella LXX vedi Appendice; una trentina di comuni alle Epistole pastorali e alle Epistole di San Paolo, che non si trovano altrove nel Nuovo Testamento con solo tre o quattro eccezioni; e ventidue che si trovano altrove nel Nuovo Testamento solo nell'Epistola agli Ebrei, nelle Epistole di San Pietro e San Giacomo, in San Luca e negli Atti degli Apostoli p. 9, sono fatti significativi, che, se usati correttamente, devono gettare luce sulla situazione. Le deduzioni naturali da esse, e dalle opinioni eretiche a cui si fa riferimento, e l'esatta fase del governo della Chiesa e delle istituzioni della Chiesa rivelate, è senza dubbio che queste Epistole appartengono a un periodo un po' più tardo rispetto alle altre Epistole di San Paolo; che nel frattempo San Paolo aveva letto una buona quantità di greco classico; che l'Epistola agli Ebrei era o una composizione di San Paolo, o, almeno, che egli aveva molto a che fare con essa; che San Pietro aveva visto le Epistole di San Paolo, o alcune di esse; e che entrambi gli scrittori conoscevano gli Atti degli Apostoli

Per quanto riguarda lo schema generale dell'ultimo viaggio di san Paolo a Roma, proposto nelle pagine precedenti, può essere bene richiamare l'attenzione sul fatto che esso scaturisce direttamente dalle stesse Epistole pastorali. Assumendo, come punto di partenza, la spedizione in Spagna, indicata da Clemente di Roma come immediatamente precedente al martirio di Paolo, veniamo in ordine regolare a Creta, Mileto, forse Efeso, Troade, Macedonia, Corinto, Nicopoli, Roma. Non ci sono viaggi immaginari, o prove a Efeso, o anni vuoti da riempire con presunti eventi, come in altri progetti. Ma abbiamo un viaggio coerente, ogni tappa del quale è indicata nelle Epistole stesse, e anche il periodo di un anno dalla primavera all'inverno, entro il quale gli eventi cadono naturalmente. Ed è inoltre soddisfacente scoprire che queste indicazioni, insieme ad altre sopra menzionate, rientrano nelle migliori tradizioni ecclesiastiche autenticate, che riuniscono San Pietro e San Paolo a Roma al tempo della persecuzione neroniana, per suggellare con il loro sangue la loro testimonianza unita alla verità del vangelo di nostro Signore Gesù Cristo

§5. LETTERATURA SULLE EPISTOLE PASTORALI

Una considerevole varietà di letteratura, sia inglese che tedesca, si è riunita intorno alla questione della paternità delle Epistole pastorali. Di seguito sono riportate alcune delle principali opere che lo riguardano

Inglese: "Prolegomena to the Pastoral Epistles" di Dean Alford, una dichiarazione molto abile e conclusiva; "Introduzione alle epistole pastorali", nel "Commentario dell'oratore", del professor Wace; articolo del Dr. Salmon, nel Christian Observer, 1877, p. 801; "Introduzione alle Epistole a Timoteo", in "Popular Commentary on the New Testament" del Dr. Schaaf, di Dean Plumptre; articolo su "Epistole di Timoteo", in "Dizionario della Bibbia", di Dean Plumptre; "Introduzione alle epistole pastorali di San Paolo", in "Commentario del Nuovo Testamento per i lettori inglesi", a cura del vescovo Ellicott, del canonico Spence; "Excursus sulla genuinità delle epistole pastorali", nell'Appendice al vol. 2. della "Vita e opera di San Paolo" di Farrar; "Appendice sulla data delle epistole pastorali", in "Vita ed epistole di San Paolo" di Conybeare e Howson; vedi anche "Horse Paulinae" di Paley

Tradotto dal tedesco: " Introduzione alle epistole pastorali", nel "Commentario" di Meyer, di H

2 

il mio vero figlio nella fede per il mio proprio figlio nella fede, A.V; pace per e pace, A.V; il Padre per il Padre nostro, A.V e T.R.; Cristo Gesù per Gesù Cristo, A.V e T.R. Il mio vero figlio nella fede. Una frase molto imbarazzante, che può solo significare che Timoteo era il vero figlio di San Paolo perché la sua fede era uguale a quella di San Paolo, che non è il significato di San Paolo. Timoteo era il figlio di San Paolo, perché lo aveva generato nel vangelo 1Corinzi 4:14-16; Filemone 1:10 -il suo figlio spirituale. Questo è meglio espresso, come nell'A.V., da "nella fede", comp. Tito 1:4 , dove la stessa idea è espressa da kata koinhstin Grazia, misericordia e pace. Questo varia dalla benedizione all'inizio delle Epistole ai Romani, ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi e ai Tessalonicesi, con l'aggiunta della parola "misericordia", come in 2Timoteo 1:2 e Tito 1:4 nella T.R., e anche in 2Giovanni 1:3 e Giuda 1:2 . Sembra che in San Paolo si colleghi a quel senso più profondo del bisogno e del godimento della misericordia che accompagnava il suo senso di peccato sempre più profondo mentre si avvicinava alla sua fine, e si armonizza magnificamente con ciò che dice in Versetti. 12-16. L'analogia delle altre forme di benedizione citate sopra favorisce fortemente il senso del nostro Padre piuttosto che del Padre. Sia che leggiamo hJmwn con il T.R. o lo omettiamo con il R.T., l'idea di Padre è contrapposta, non a quella di Figlio, ma a quella di Signore; le due parole esprimono la relazione delle Persone della Divinità, non l'una con l'altra, ma con la Chiesa

3 

Esortato per cercato, A.V; indugiare per rimanere ancora, A.V; stava andando per andare, A.V; certi uomini per alcuni, A.V; non insegnare un diverso per quello che non insegnano ad altri, A.V Esortato parekalesa. In una sessantina di luoghi questa parola ha il senso di "supplicare", "supplicare", "desiderare", "pregare", che è più adatto a questo passo di quanto non lo esorti R.V. È un'espressione forte, e sembra implicare che Timoteo fosse stato ansioso di andare con San Paolo in Macedonia, per condividere le sue fatiche e servirlo; ma che San Paolo, con quel nobile disinteresse che caratterizzò tutta la sua vita, lo aveva, non senza difficoltà, persuaso a rimanere a Efeso. Indugiare. Anche in questo caso la R.V è sfortunata. Il senso esatto di prosmeinai è "rimanere" o, come nell'A.V., "rimanere fermo". La parola ci dice che Timoteo era già a Efeso quando ricevette la richiesta da San Paolo di rimanere lì invece di andare in Macedonia. Non c'è nulla nella frase che implichi che San Paolo fosse a Efeso stesso quando fece la richiesta a Timoteo. Può darsi che sia stato fatto per messaggio o per lettera. Quando stavo andando. Alcuni commentatori hanno cercato di spiegare poreuomenov come se si applicasse a Timoteo, o come se l'ordine fosse ina poreuomenov paraggeilhv; ma i greci non lo ammettono. Carica paraggeilhv; una parola che implica autorità, quasi invariabilmente resa "comando" o "carica". È ripreso nel Versetto 18 tauthn than, "Questa carica", ecc. Insegnare una dottrina diversa eJterodidaskalein. Questa è una delle tante parole peculiari delle Epistole pastorali. Si verifica solo quiskalov, 1Timoteo 6:3 . È formato da eJterodida un insegnante di altra dottrina che non sia la retta dottrina, e significa "svolgere la parte di un insegnante di una dottrina diversa dalla destra", proprio come nel linguaggio ecclesiastico ejterodoxov significa "colui che ha opinioni contrarie a ciò che è ortodosso", e tali che lo fanno sono detti eJterodoxein. Il senso classico è un po' diverso, "uno che ha un'opinione diversa" – "essere di un'opinione diversa". L'introduzione della parola nel vocabolario della Scrittura è un segno dell'epoca un po' più tarda a cui appartiene questa Epistola, quando le eresie crescevano e si moltiplicavano. Altri composti simili sono eJteroglwssov 1Corinzi 14:21 e eJterozugein 2Corinzi 6:14

Versetti 3-11, 19, 20.

L'eretico

Abbiamo in questi versetti alcune delle caratteristiche dell'eresia ritratte in modo molto grafico. In primo luogo, c'è l'insegnamento di una dottrina diversa da quella che avevano ricevuto. I Padri hanno sempre posto l'accento sulla novità come caratteristica dell'eresia, mentre era caratteristico della Chiesa insegnare le antiche verità che erano state loro trasmesse da coloro che li avevano preceduti. E hanno ragione. "Vi ho trasmesso ciò che anch'io ho ricevuto", è lo spirito del sano insegnamento. Inventare nuove dottrine e predicare cose di propria scelta è lo spirito dell'eresia. Inoltre, è caratteristico dell'eresia iniziare domande curiose, non in vista di una vera edificazione nella fede di Gesù Cristo, ma per il gusto di mostrare sottigliezza nella disputa, e mantenere la polemica e una guerra di parole, e una faziosa partigianeria. L'unità della Chiesa e l'amorevole accordo tra i fratelli è l'ultima cosa a cui gli eretici pensano. Gonfi di presunzione, desiderosi di essere leader, disprezzando gli altri, trattando con disprezzo tutti coloro che non li seguiranno, trasformano la Chiesa in un giardino di orsi e sostituiscono il vano tintinnio alle parole di verità e sobrietà. Specialmente l'arroganza combinata con l'ignoranza è una caratteristica principale nell'eretico; e nel suo metodo di maneggiare la verità divina fa mostra di entrambe. Si può notare un'altra caratteristica, come esposto nel Versetto 19, cioè il divorzio tra coscienza e fede. L'eretico tratta le cose di Dio come materia per mere competizioni intellettuali, a parte la riverenza e il timore di Dio. Discute su Dio e su Cristo, e pensa che non abbia importanza se il suo cuore sia puro o impuro. Egli cammina in aperta disobbedienza ai comandamenti di Dio, eppure si crede competente a giudicare della natura e degli attributi di Dio. Egli ottenebra la propria anima con il peccato, eppure osa avvicinarsi al mistero della pietà. Infine, è caratteristico dell'eretico il fatto che raramente, se non mai, si pente e ritorna alla fede che ha negato. Imeneo e Alessandro, nonostante la santa disciplina loro inflitta per la loro correzione, si trovano ancora a sovvertire la fede di molti, e a resistere all'apostolo di Gesù Cristo, nell'ultima menzione di loro. Sotto questo aspetto erano simili ai loro fratelli nell'eresia, Simon Mago, Cerinto, Marcione, Valentino, Montano, Manes, Ario, Socino e molti altri. Il naufragio della fede è, per la maggior parte, totale e irrimediabile

Versetti 3, 4.

L'obiettivo del continuo soggiorno di Timoteo a Efeso

CONSIDERO LA TENERA CURA CHE L'APOSTOLO HA DELLA CHIESA DI EFESO: "Come ti ho pregato di rimanere ancora a Efeso, quando stavo andando in Macedonia, così ti supplico ora di ordinare ad alcuni di non insegnare nessun'altra dottrina". Poiché Timoteo era con l'apostolo nel suo primo viaggio attraverso la Macedonia, Atti 16:3,12;20:3,4 questo deve riferirsi a un viaggio successivo, avvenuto dopo la prima prigionia a Roma

1. Marco lo stile affettuoso del suo discorso: "Ti ho supplicato; " mentre a Tito disse: "Ti ho dato comando" Tito 1:5 Timoteo non ricevette alcuna ingiunzione autorevole, ma solo una tenera richiesta di prolungare il suo soggiorno in modo da frenare la ribellione dei falsi maestri che erano sorti per rovinare la semplicità del vangelo

2. Marco, la tendenza delle Chiese più pure a lasciarsi viziare dalla falsa dottrina. L'apostolo aveva predetto l'ascesa di un partito separatista quando si rivolgeva agli anziani di Efeso a Mileto Atti 20:29,30 Potevano essere pochi, "alcuni"; ma se erano come "i lupi rapaci" della predizione, avrebbero potuto riuscire a "trascinare dietro di loro i discepoli, dicendo cose perverse".

II L'INCARICO CHE L'APOSTOLO DÀ DI RIVOLGERE AI FALSI MAESTRI

1. Era un incarico che non dovessero insegnare alcuna dottrina diversa dal Vangelo. "Che non insegnino nessun'altra dottrina".

1 Ciò implicava che la dottrina dell'apostolo era il vero criterio di insegnamento in base al quale tutti gli altri insegnamenti dovevano essere giudicati

2 Può darsi che non ci sia stata alcuna eresia dottrinale ad Efeso; ma l'insegnamento, essendo di carattere morboso, poco edificante e speculativo, tenderebbe a ridurre il calore del "primo amore" dei santi di Efeso, se non a portare a seri allontanamenti dalla fede

3 I ministri devono prestare particolare attenzione affinché non vengano affrontate false dottrine nella Chiesa di Dio

2. Era un'accusa che gli erroristi non dovessero prestare attenzione alle favole e alle genealogie

1 Favole. Evidentemente favole rabbiniche e invenzioni nelle regioni della storia e della dottrina. Il Talmud ne è pieno

2 Genealogie infinite. Le genealogie del Pentateuco furono in realtà il fondamento delle interpretazioni allegoriche da parte di ebrei come Filone, che influenzarono largamente i loro connazionali. Allo stesso modo, ci può essere stata una disposizione da parte degli ebrei a stabilire il loro legame genealogico con Abramo, come se il legame di una relazione fisica potesse aggiungere forza a quel legame più saldo che unisce tutti ad Abramo, siano essi ebrei o gentili, che credono in Cristo Galati 3:29

3. Considerate il motivo per cui l'apostolo condanna questo insegnamento dannoso. "In quanto essi ministrano questioni, piuttosto che la dispensazione di Dio che è nella fede".

1 L'insegnamento era inutilmente controverso. Ha posto domande a cui non era facile rispondere e che, se risposte, non avevano alcuna attinenza pratica con la vita cristiana

2 Non tendeva a promuovere lo schema di salvezza esposto dagli apostoli: "la dispensazione di Dio che è nella fede".

a La dispensazione di Dio è semplicemente il suo metodo di salvezza, come spiegato nel vangelo, Efesini 1:10 che fu appositamente affidato all'apostolo Paolo 1Corinzi 4:1

b Questa dispensazione ha il suo principio in kith, a differenza delle favole e delle genealogie, che potrebbero esercitare la mente o l'immaginazione, ma non il cuore. La fede è la sfera d'azione su cui ruota la dispensazione

3 L'ansia dell'apostolo di controllare questo falso insegnamento a Efeso aveva evidentemente due motivi

a Questo insegnamento rabbinico, se gli fosse permesso di entrare nell'addestramento delle congregazioni gentili, farebbe sì che il cristianesimo si riduca negli stretti limiti di una semplice setta giudaica. L'ebraismo potrebbe così diventare la tomba del cristianesimo

b Despiritualizzerebbe la Chiesa Cristiana, e la priverebbe del suo "primo amore", e preparerebbe la via all'amara apostasia. — T.C

4 

Dare per dare, A.V; il quale per cui, A.V; interrogatori per domande, A.V; una dispensazione di Dio per l'edificazione divina, A.V e T.R. oijkonomian Qeou per oijkodomian Qeou; così faccio ora perché lo faccio, A.V Favole vedi 1Timoteo 4:7 Se lo spirito che ha dato origine alle favole del Talmud era già all'opera tra gli ebrei, abbiamo una pronta spiegazione della frase. E che fossero favole ebraiche non deliri gnostici successivi è dimostrato dal passaggio parallelo in Tito 1:14 , "Non prestare attenzione alle favole ebraiche". La prevalenza della stregoneria tra gli ebrei in questo periodo è un ulteriore esempio della loro inclinazione alla favola: vedi Atti 8:9, 13:6; 19:13 ; Genealogie infinite. Quale sia stato l'abuso particolare delle genealogie che San Paolo qui condanna, non abbiamo una conoscenza storica sufficiente per permetterci di decidere. Ma che fossero forme ebraiche di "vane chiacchiere", e non gnostiche, e legate a pedigree umane, non a "emanazioni di eoni", può essere dedotto dalla connessione in cui sono menzionate in Tito 3:9 , e dal significato invariabile della parola genealogi stessa. È vero che Ireneo 'Contr. Haer.,' lib. 1. applica questo passaggio ai Valentiniani e alla loro successione di eoni Bythus, Nous, Logos, Anthropus, ecc., in tutto trenta, maschio e femmina; e così fa Tertulliano, che parla dei semi delle eresie gnostiche come già germogliate ai tempi di San Paolo 'Advers Valentin.,' cap. 3. e altrove, e Grozio sostiene la spiegazione sottile 'Comment.,'. 1Timoteo 1:4 Ma era molto naturale che Ireneo e Tertulliano, vivendo quando le eresie di Valentino, Marcione e altri erano al loro apice, dovrebbe accogliere in tal modo le parole di San Paolo, che è tutto ciò che fa Ireneo. D'altra parte, né Ireneo né Tertulliano mostrano che genealogia fosse una parola applicata alle emanazioni degli eoni nel vocabolario gnostico. Le genealogie, quindi, erano pedigree ebraiche, usate letteralmente per esaltare gli individui come di origine sacerdotale o davidica come gli alberi genealogici dei Desposyni, o più tardi dei principi della cattività, o usate cabalisticamente, in modo da trarre dottrine fantasiose dai nomi che compongono una genealogia, o in qualche altro modo che non conosciamo vedi gli scrittori 'Genealogie di Cristo, ' 1Timoteo 3 . §2:1; e nota C alla fine del volume. Senza fine ajperantov; si trova solo qui nel Nuovo Testamento e quindi una delle parole peculiari delle Epistole pastorali, ma usata nella LXX per "infinito", "incommensurabile". Significa "senza fine", "interminabile" o "senza fine o scopo utile"; oujdesimon Crisostomo. Ma il primo "interminabile" è la resa migliore, e in accordo con il suo uso classico. Interrogatori zhthseiv o ejkzhthseiv, R.T.. Per zhthsiv, vedi Giovanni 3:25; Atti 25:20 ; e 1Timoteo 6:4; 2Timoteo 2:23 ; thma, Tito 3:9 ; e per i parenti: zh Atti 15:2, 18:15, 23:29, 25:19, 26:3 La lettura ejkzhthsiv si trova solo qui. Una dispensazione di Dio. Questa versione deriva dal greco oijkonomian, che è la lettura del R.T. e di quasi tutti i manoscritti. Si pensa che il T.R. oijkodomian sia una congettura di Erasmo, che, dal suo senso molto più semplice, è stato preso nel T.R. Prendendo la lettura oijkonomian, la frase "una dispensazione di Dio che è nella fede", deve significare il vangelo come consegnato per rivelazione e ricevuto per fede. Queste favole e genealogie si rivolgono, dice l'apostolo, alla curiosità controversa e pruriginosa delle menti degli uomini, non alla loro fede. La loro sostanza è materia di dubbia disputa, non di verità rivelata. "La dispensazione" è un inglese migliore di "una dispensazione". Cantici do I now; o, come l'A.V., così do, è il riempimento congetturale della frase incompiuta che iniziava "come ti ho esortato". Ma è molto più naturale e semplice prendere il versetto 18 come l'apodosi, e i versetti intermedi come una digressione causata dal desiderio di San Paolo di mostrare come esattamente l'accusa fosse in accordo con il vero spirito della Legge di Dio

5 

Ma per ora, A.V; carica per il comandamento, A.V; amore per la carità, A.V; un bene per di un bene, e la fede per di fede, A.V Ma la fine della carica. Prima di procedere con la sua sentenza, con la quale stava per affidare solennemente l'affidamento dell'episcopato della Chiesa di Efeso a Timoteo, egli si interrompe bruscamente per mostrare il carattere benefico dell'incarico, vale a dire la promozione di quell'amore fraterno e di quella purezza di cuore e di vita che sono il vero frutto della dispensazione del Vangelo, ma che alcuni, con la loro falsa dottrina, ostacolavano così spietatamente. Ognuna di queste frasi, "un cuore puro" e "una buona coscienza" e "fede non finta", sembra rimproverare per contrasto la purezza meramente cerimoniale e la coscienza contaminata e il cristianesimo meramente nominale di questi giudaizzanti eretici comp. Tito 1:10-16

Versetti 5-7.

Natura dell'incarico connesso con l'adempimento della dispensazione di Dio

Nel resistere a questi falsi insegnanti, Timoteo deve ricordare la vera portata e il vero disegno dell'insegnamento pratico che espone il piano della salvezza divina per l'uomo

I IL FINE DI QUESTO INSEGNAMENTO È L'AMORE

1. L'insegnamento, in contrapposizione a "favole e genealogie", ha la natura di un incarico solenne o di un'esortazione pratica. Non è

1. la Legge mosaica, né

2. la legge evangelica, ma

3. La sana dottrina nella sua forma precettiva, e quindi praticabile.

4. Il fine o lo scopo è l'amore. "La fine della carica è l'amore". È amore per gli uomini, non per Dio; poiché l'accusa è in contrasto con "le domande che il ministro contende" 2Timoteo 2:23 L'insegnamento religioso pratico ha la tendenza a unire gli uomini nell'amore

1 È difficile mantenere l'amore fraterno in presenza di attive differenze di dottrina

2 È impossibile edificare senza amore; poiché "l'amore edifica", 1Corinzi 8:1 come le speculazioni e le contese non possono

II LA NATURA DELL'AMORE CHE È LEGATO A QUESTO INCARICO EVANGELICO. È "l'amore che viene da un cuore puro, e da una buona coscienza, e da una fede non finta". Questo è il triplice fondamento su cui poggia

1. Scaturisce da un cuore puro come sua sede interiore

1 Un tale cuore è purificato dalla fede At 15:9

2 Spruzzato da una cattiva coscienza mediante il sangue di Cristo

3 Orientati all'amore di Dio 2Tessalonicesi 3:5

4 Incline alle testimonianze di Dio Salmi 119:36

5 Perciò è un cuore puro da desideri egoistici, scopi ignobili e politica sinistra

L'amore che scaturisce da un tale cuore deve essere "senza dissimulazione", perché è amare con fervore un cuore puro

2. Scaturisce da una buona coscienza

1 Tale coscienza è resa buona dall'aspersione del sangue di Cristo, che ci riconcilia con Dio. Così abbiamo la risposta di una buona coscienza davanti a Dio

2 Viene purificato dalle opere morte per servire il Dio vivente

3 Perciò l'uomo è in grado di mantenere una coscienza priva di offesa verso Dio e verso l'uomo, di essere fedele alle sue convinzioni di verità e di dovere, e di rispondere fedelmente ad ogni obbligo morale. L'amore che scaturisce da una tale fonte avrà le sue azioni saggiamente determinate

3. Scaturisce dalla fede non finta

1 Questa è la sua vera origine, perché "la fede opera mediante l'amore", e quindi deve esistere prima dell'amore

2 Dà realtà e forza all'amore, perché non è essa stessa la finzione della fede, ma la fede nell'esistenza reale e nella potenza. C'era quindi un netto contrasto con la vita dei falsi insegnanti: corrotti di mente, 1Timoteo 6:5 bruciati nella coscienza, 1Timoteo 4:2 e "reprobi riguardo alla fede" 2Timoteo 3:8

4. Marco qui seguiva l'ordine della grazia. Nell'ordine della natura, la fede deve essere posta al primo posto. L'apostolo segue l'ordine del lavoro pratico. Più in basso nella natura interiore dell'uomo c'è il profondo pozzo di un cuore purificato; allora l'amore, quando si manifesta nell'esercizio, deve essere arrestato nel suo cammino da una buona coscienza, per ricevere moderazione e regolazione; allora, per sostenere il vigore dell'amore nel suo continuo esercizio, ci deve essere una fede non finta, che afferra le promesse di Dio e in intima relazione con le cose che non si vedono

GLI EFFETTI NEGATIVI DELLO SVIAMENTO DA QUESTO TRIPLICE FONDAMENTO DELL'AMORE. "Da queste cose alcuni, avendo deviato, si sono distolti per parlare vani

1. Le persone a cui si fa riferimento erano evidentemente appartenute, se non appartenevano ancora, alla Chiesa di Efeso. Timoteo non avrebbe potuto esercitare altrimenti autorità su di loro

2. La sterzata era di natura morale, ma avrebbe avuto effetti intellettuali di carattere dannoso. Quante volte il cuore determina la tendenza della mente!

3. Il suo risultato effettivo è stata una persistente abitudine di parlare invano. Era un chiacchiericcio vuoto, senza senso né profitto, su semplici sciocchezze, trascurando questioni dottrinali più importanti

IV LA PRESUNTUOSA IGNORANZA DI QUESTO PARTITO, "Desiderando essere dottori della Legge, non comprendendo né ciò che dicono, né riguardo a ciò che affermano con fiducia".

1. Non è un fatto nuovo nella vita trovare i meno qualificati, i più pronti a intraprendere il compito dell'istruzione. Erano uomini ignoranti e ignoranti , che erano in grado di strappare le Scritture solo per la loro propria distruzione

2. La loro ignoranza era del carattere più indiscutibile; poiché non comprendevano né le loro proprie affermazioni o argomenti, quanto alla loro natura e alla loro deriva, né comprendevano le cose riguardo alle quali erano così pronti a dare il loro giudizio sciocco ma deliberato

1 È evidente che non rigettarono e denigrarono la Legge mosaica, ma piuttosto la esaltarono con le loro interpretazioni

2 Non erano semplici giudei come quelli con cui l'apostolo ha conteso in Galazia e altrove; poiché non sono accusati di alcun tentativo, né di mantenere le antiche usanze né di portare le osservanze legali fuori dal loro giusto posto

3 Piuttosto, fraintendendo la vera natura e il disegno della Legge, cercarono di elaborare un composto di elementi giudaici e gnostici, che spiegassero la Legge secondo le visioni filosofiche dell'Oriente. Perciò la loro teologia era viziata da fantasiose allegorizzazioni della Legge, che eliminavano il suo elemento morale, e così la privavano di ogni potere di toccare il cuore o la coscienza degli uomini

4 Il caso in questione illustra il progresso dell'errore nella Chiesa. L'incipiente gnosticismo di Efeso si sviluppò gradualmente fino a diventare il più pronunciato gnosticismo così acutamente condannato dall'apostolo Giovanni nella sua Prima Epistola. — T.C

Il fine vitale della religione

"Ora il fine del comandamento è la carità". Quando conosciamo il fine o lo scopo divino, facciamo luce su tutto ciò che porta a quel fine. La carità, o l'amore che è come l'amore stesso di Dio, è il fine di tutto. Il principio religioso nella sua radice e nel suo stelo è quello di sbocciare nella bellezza del carattere simile a Cristo. Il cristianesimo è una verità, perché sia una vita. Non deve essere una mera dottrina, o un mero rituale. Possiamo essere infuocati disputatori senza essere soldati fedeli. Possiamo anche essere operai nella vigna, senza la fede che opera mediante l'amore. Il clericalismo non è necessariamente religione. Ci può essere uniformità della Chiesa, armonia della Chiesa e cerimoniale estetico, eppure, per quanto riguarda la vita divina, può non esserci "alcun respiro in mezzo ad essa". Limitiamoci alla prima parola

LA CARITÀ È SUPERIORE ALL'UNIFORMITÀ. Con Costantino il cristianesimo significava uniformità, con Ildebrando significava supremazia. Ma nella sua spiritualità e semplicità il Vangelo rimane lo stesso in tutte le epoche. Dobbiamo vivere Cristo; e vivere Cristo è vivere nell'amore, come anche Cristo ci ha amati, e ha dato se stesso per noi. Il clericalismo è spesso un sistema di severo esercizio esteriore, di obbedienza al rito esteriore e al culto. Cantici, la Chiesa Romana in Spagna, secoli fa, convertì con la forza i Mori gettando loro acqua santa in faccia, e così li ammise nella comunione della Chiesa. Il vangelo non può essere diffuso da un "multitannismo" rozzo e pronto come questo. Deve iniziare nella fede personale e lavorare nello spirito dell'amore

II LA CARITÀ TROVA LA SUA IMMAGINE IN DIO. Non abbiamo bisogno di chiederci che cosa sia questo amore. L'abbiamo infatti vista incarnata nelle parole e nelle opere del Cristo, e nelle sue sofferenze per "noi" sulla croce

1. Non è l'amore egoistico che dà affetto dove riceve affetto, e trasforma anche un dono in baratto e scambio

2. Non è l'amore a costo zero che sarà un elemosiniere di generosità dove non c'è abnegazione personale e sofferenza; ma dona se stesso

3. Non è l'amore di uno stato d'animo passeggero, che ministra in modo affettuoso nei momenti di alta emozione; ma un amore che è pieno di tolleranza verso i nostri difetti e trionfa sulla nostra infedeltà. Cantici, il fine del comandamento è degno del Dio che dà il comandamento. Come lui, è carità. E noi abbiamo raggiunto il punto più alto della visione nella Rivelazione, quando vediamo nei suoi sublimi insegnamenti, che non erano comandamenti che possono essere arbitrari, ma un dispiegamento della natura di Dio.

Le molle interiori della vita

"Da un cuore puro". Questo è il terreno in cui cresce la grazia celeste, e questo terreno è essenziale per la purezza e la bellezza della grazia. Non è sufficiente piantare il seme; Dobbiamo coltivare e nutrire il suolo

IO , IL CUORE, È IL BANCO DI PROVA DI CIÒ CHE CI PIACE. Qui vorrei dare risalto al fatto che "l'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore produce cose buone". Ci deve essere passione in tutta la vera vita. Come dice giustamente il signor Ruskin, "L'intero obiettivo della vera educazione è far sì che le persone non solo facciano le cose giuste, ma godano delle cose giuste; non solo industrioso, ma amante dell'industria; non solo imparato, ma ad amare l'apprendimento; non solo puro, ma di amare la purezza; non solo giusto, ma affamato e assetato di giustizia. Il gusto non è solo una parte e un indice della moralità; è l'unica morale. La prima e l'ultima e più vicina a qualsiasi creatura vivente è: Che cosa ti piace? Dimmi cosa ti piace, e io ti dirò cosa sei". Esattamente! Cantici dice il vangelo. "Dal cuore escono le questioni della vita"; "Come un uomo pensa nel suo cuore, così egli è". Questo è un vero insegnamento e può aprire una nuova visione della vita morale e spirituale alla mente riflessiva

II IL CUORE È LA PARTE RIVELATRICE DEL VERO UOMO. Dovete osservare la vita nel suo temperamento e nel suo spirito in ogni momento e in ogni luogo. Potresti essere ingannato dalle buone azioni. Gli uomini possono costruire ospizi e tuttavia vivere in modo da spezzare i cuori; possono essere coraggiosi nell'affrontare le tirannie all'estero, eppure vivono una vita impura nell'indulgenza dei peccati che li assillano. Pensate a questo. Le buone azioni non fanno un uomo buono; È l'uomo buono che compie le buone azioni. Un uomo può essere benevolo e dare migliaia di dollari agli ospedali, o coraggioso e salvare dalla morte uomini che stanno annegando, o patriottico e salvare una nazione in tempi pericolosi, eppure può non avere la mente di Cristo, e il suo cuore può non essere rinnovato. "Un cuore puro". Tutti noi amiamo le cose pure: il marmo bianco, il cielo bagnato dalla pioggia, l'alabastro impareggiabile, le ali d'argento della colomba. Cantici Cristo vorrebbe che tutti noi desiderassimo e cercassimo il cuore puro. — W.M.S

Il senso della rettitudine

"E di buona coscienza". Arriviamo qui alla regione etica della rettitudine, che ci mostra quanto sia completo il vangelo e come sia in relazione con l'intera nostra natura complessa. Notiamo qui la connessione del "bene" con la coscienza; Vediamo cosa significa. Ci può essere un'altra coscienza che non è buona?

CI PUÒ ESSERE LA COSCIENZA DEL CASUISTA. Lo vediamo nella disinvoltura degli scribi e dei farisei al tempo di nostro Signore. I semplici istinti di giustizia e misericordia erano pervertiti dalla routine ecclesiastica e dalle minuzie delle ordinazioni legali. Essi sovrapposero la Legge, che faceva appello agli istinti innati della coscienza, con le loro tradizioni, che non erano così attraenti, e che erano gravose e fastidiose. Cantici al tempo di Lutero le coscienze degli uomini erano nelle mani dei preti, e una morale artificiale e gesuitica rendeva talvolta conveniente e lecita anche l'immoralità. Gli uomini hanno perso gli istinti innati del bene e del male nell'obbedienza a un codice morale artificiale ed ecclesiastico; si sono preoccupati dei peccati che non erano peccati, e hanno perso la coscienza che gli uomini possono essere peccatori anche quando sono figli obbedienti della Chiesa

II CI PUÒ ESSERE LA COSCIENZA MONDANA. Questo rende l'abitudine un dio. La coscienza è governata e regolata da ciò che è conveniente, o da ciò che la società si aspetta dagli uomini. Essi sono addolorati per il peccato che reca vergogna agli uomini , ma non sono sconcertati per i desideri, le emozioni e le azioni che sono malvagie agli occhi di Dio. È uno studio meraviglioso e interessante questo: il rapporto della società con il peccato. Ci sono infatti vizi alla moda e peccati rispettabili che sono atroci agli occhi di Dio, ma la coscienza è tranquilla perché lo spirito del tempo non li condanna. Quanto è importante, quindi, mantenere la coscienza illuminata dalla Parola di Dio e rinvigorita dallo Spirito Santo! Il fine del comandamento è, nel senso migliore, fare di te una legge per te stesso. È importante avere la Bibbia nella nostra testa, ma è molto importante avere Cristo intronizzato nel tribunale della coscienza interiore.

L'assenza di ipocrisia

"E la fede non finta". A tutti noi non piacciono le finzioni. Guidata da Carlyle, la nazione inglese ha recentemente udito molte voci profetiche contro di loro. Insistiamo, nell'arte, nell'abbigliamento, nei costumi e nella religione, sulla sincerità. Senza questo nulla è bello, perché nulla è reale. Odiamo la finta istruzione, la finta abilità, la finta cultura e la finta superiorità. L'apostolo ci dice qui che la fede deve essere non finta. Ora, se il fine del comandamento è l' amore, l'argomento è questo: che la fede che deve essere operata da una così gloriosa ispirazione di carità deve essere una fede onesta, sincera, vera

IO DOBBIAMO CREDERE NELL'UMANITÀ PRIMA DI POTER AMARE GLI UOMINI. Credete, cioè, che c'è un ideale di Dio in ogni uomo; che sotto la sua depravazione e degradazione c' è una natura morale che può essere rinnovata e una vita che può essere trasfigurata nella gloria di Cristo. Perché la coscienza dell'uomo è stata fatta per conoscere la verità, il suo cuore per sentirla e la sua volontà per essere guidato e stimolato da essa. Se pensiamo agli uomini in modo cinico o sprezzante, allora non ci saranno sforzi seri per salvare ciò che è perduto

II DOBBIAMO CREDERE NELLA POTENZA DI CRISTO E DELLA SUA CROCE, ALTRIMENTI NON SAREMO ENTUSIASTI NEL PREDICARLI. Senza dubbio può essere un buon predicatore. Gli uomini conoscono e sentono il potere di una fede ardente. La freccia mancherà il bersaglio se la mano dell'arciere trema o diffida della sua arma. L'unico grande elemento del successo è la fede non finta, una fede che dice: "Ho creduto, e perciò ho parlato". Ci può essere una fede variabile, come quella del Vicario di Bray, che credeva in qualsiasi cosa – romanistica, razionalistica o evangelica – per amore della posizione. Ma la maschera cade presto, gli anti-uomini, invece di ricevere la verità, disprezzano l'insegnante di innalzamento. "Noi crediamo e siamo certi che tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente", è la base essenziale di un vero ministero. Una tale fede sarà toccata da un entusiasmo simile a quello di colui che disse: "Dio non voglia che io mi glori, se non nella croce di Cristo Gesù, nostro Signore".

III DOBBIAMO CREDERE IN SENSO VITALE PER VIVERE LA NOSTRA FEDE. Una fede non finta è quella che pratichiamo noi stessi; che riempie ogni canale del nostro essere: la nostra vita etica, le nostre filantropie, i nostri sforzi missionari, le nostre gioie e santità domestiche. C'è una fede che è meramente dogmatica, che tiene salde le dottrine cristiane, ma non riesce a tradurle in vita. L'espiazione stessa, così augusta e terribile, deve sempre stare da sola come sacrificio divino; ma il suo effetto morale deve essere vissuto. "Noi giudichiamo così, che se uno è morto per tutti, allora tutti sono morti; e che noi che viviamo non dobbiamo più vivere per noi stessi, ma per colui che è morto per noi ed è risorto". La fede non deve essere un frutto di cera, qualcosa di artificiale e irreale, ma la vite vivente, di cui Cristo è la radice.

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Quali cose per cui, A.V; parlando per tintinnio, A.V Aver sterzato ajstochsantev; letteralmente, aver mancato il bersaglio, come nel margine. Si trova solo qui nel Nuovo Testamento e in 1Timoteo 2Timoteo 2:18 . In Ecclesiaste 7:19;21 e 8:9;11 è usato in un senso leggermente diverso, "rinunciare" e "mancare". In Polibio e Plutarco ripetutamente, "mancare il bersaglio .... per fallire", con l'affine astocov ajstocia astochma, Questi uomini mancarono il vero fine del Vangelo — la purezza del cuore, della coscienza e della vita — e giunsero solo a parlare vanitosamente e vanagloriosamente. Si sono sviati ejxetraphsan; 1Timoteo 5:15;6:20; 2Timoteo 4:4 ; a; Ebrei 12:13 ; ma non altrove nel Nuovo Testamento. Si trova nella voce attiva della LXX, ed è comune in tutte le voci del greco classico. Vani parlamenti mataiologi qui solo nel Nuovo Testamento, e non temuti nella LXX, ma usati da Strabone, Plutarco e Porfirio. L'aggettivo mataiologov è usato in Tito 1:10 , e applicato specialmente a coloro che "sono della circoncisione". Gli equivalenti latini sono vaniloquus dud vaniloquium. La descrizione di Livio di un vaniloquus è "Maria terrasque inani sonitu verborum complevit" lib. 35:48; comp. Giuda 1:16

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Anche se capiscono per capire. A.V; affermare con fiducia per affermare, A.V Insegnanti della Legge nomodidaskaloi come Luca 5:17; Atti 5:34 Questo, ancora una volta, segna distintamente l'origine giudaica di questi eretici. Anche se comprendono, ecc. Cantici nostro Signore rimprovera agli scribi e agli insegnanti della Legge del suo tempo: "Voi sbagliate, non conoscendo le Scritture né la potenza di Dio"; "Voi sbagliate molto" Matteo 22:29; Marco 12:27; Matteo 12:7 , ecc. confronta, Romani 2:17-24 Affermano con fiducia diabebaiountai. Altrove nel Nuovo Testamento solo in Tito 3:8 , "Voglio che tu affermi con fiducia". Cantici in greco classico, "mantenere fortemente", "essere positivo". Questo era giusto nel ministro di Cristo che dichiarava la verità divina, ma molto sbagliato in questi vanitosi scherzigli. La natura delle loro affermazioni fiduciose è evidente da ciò che segue: essi parlavano della Legge, ma non legittimamente

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La Legge è buona, vedi l'affermazione simile in Romani 7:12 Gli ebrei pensavano che San Paolo parlasse contro la Legge comp., Atti 6:13,14 perché ne rivendicava il vero uso Romani 10:4; Galati 3:24; 4:4,5 ,ecc. Ma egli parla dappertutto della Legge come buona e santa. Se un uomo, cioè un insegnante della Legge, la usa legalmente, conoscendone l'uso corretto, come segue nel versetto successivo

Versetti 8, 9.

La natura e il disegno della Legge

"Sappiamo che la Legge è buona, se un uomo la usa legalmente". Questo passaggio contiene l'ultima dichiarazione registrata dell'apostolo riguardo alla Legge, e di cui egli parla con tutta l'autorità cosciente di un apostolo. Egli afferma la bontà della Legge – la Legge morale, non quella cerimoniale, che ora è stata annullata, perché il contesto si riferisce espressamente ai precetti del Decalogo – e questa bontà è manifesta se si tiene presente il fine morale per il quale è stata data. Forse l'apostolo aveva in mente la pratica morale lassista degli erroristi di Efeso

I L'USO LEGITTIMO DELLA LEGGE. La Scrittura espone il suo disegno in un linguaggio semplice

1. È stato un maestro di scuola a portarci a Cristo Galati 3:24 Così "Cristo è il fine della Legge per la giustizia" Romani 10:4

2. Ma ci porta a Cristo solo quando ci rivela le nostre imperfezioni e i nostri peccati. "Poiché per mezzo della Legge è la conoscenza del peccato" Romani 3:20 Essa è stata infatti "aggiunta a causa delle trasgressioni" Galati 3:19 La Legge ci mostra la nostra peccaminosità e ci spinge al Salvatore. Così "ci chiude alla fede" Galati 3:23

II L'USO ILLECITO DELLA LEGGE

1. Che ne faccia l'occasione di infinite logomachie, di vane chiacchiere, di "sforzi per la Legge".

2. Cercare la giustificazione mediante l'obbedienza ai suoi precetti

3. Tendere al raggiungimento della santità mediante l'uso della Legge, interpretata non nel suo senso semplice, ma con i significati che le sono imposti dalle allegorizzazioni mistiche e dalla cultura teosofica. Gli erristi di Efeso non erano legalisti farisaici o semplici giudaisti, ma persone che ignoravano la vera natura e il vero disegno della Legge; che si astenevano dalle cose lecite e buone, ed erano tuttavia moralmente corrotti Tito 1:10; Apocalisse 2:9,14,20,24

III FONDAMENTO DELLA DISTINZIONE TRA IL SUO USO LECITO E ILLECITO. "Sapendo questo, che la Legge non è fatta per il giusto, ma per l'empio"

1. La Legge non è fatta per il giusto

1 Ciò non significa che un uomo giusto, cioè un uomo retto con Dio, la cui esperienza ha reso i principi della giustizia abituali in lui, non abbia alcuna relazione con la Legge

a Perché la legge aveva relazione con

a Adamo nell'innocenza, che aveva la Legge scritta nel suo cuore;

b ad Abraamo, che era un uomo giusto;

c a Davide, che era un uomo giusto;

d e a tutti i santi dell'Antico Testamento;

e aveva anche relazione con Gesù Cristo stesso, che fu "fatto sotto la Legge", la stessa "Legge che era nel suo cuore", Salmi 40:8 di cui era "il fine della giustizia", Romani 10:4 perché venne ad adempierla Matteo 5:16

b Perché la Legge ha relazione con i credenti sotto la dispensazione cristiana; poiché questo stesso apostolo impone l'obbligo di obbedire ad essa, specificando sei delle sue promulgazioni Romani 13:8,9; Efesini 6:1 Giacomo dice che i credenti che mostrano rispetto per le persone diventano "trasgressori della Legge". Perciò, quando l'apostolo dice "la Legge non è fatta per il giusto", non intende dire che il giusto non sia più tenuto a obbedirvi. Lui si diletta in esso; Romani 7:25 Se qualcuno dicesse che l'apostolo intende dire che i giusti non hanno bisogno della Legge per guidarli, rispondiamo che potrebbero anche dire che non hanno bisogno della Scrittura per guidarli, poiché la Legge è già nei loro cuori. Come può un uomo giusto conoscere il peccato se non mediante la Legge? "Poiché per mezzo della Legge è la conoscenza del peccato."

2 La sua affermazione ha un aspetto astratto, come il detto di nostro Signore: "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a ravvedimento".

a La Legge non fu fatta a causa di uomini giusti, ma a causa di uomini malvagi. "È stato aggiunto a causa di trasgressioni". È simile all'affermazione dell'apostolo riguardo alle nove grazie dello Spirito: "contro tali non c'è Legge" Galati 5:23 La Legge non condanna, non può condannare, nessuna di queste grazie

b La Legge non è mai stata fatta per l'uomo giusto nel senso in cui è stata fatta per l'uomo ingiusto, per condannarlo; perché l'uomo giusto è redento dalla maledizione della Legge Galati 3:13 La sua punizione non può colpirlo, il suo peso non lo appesantisce, i suoi terrori non lo portano in schiavitù. Al contrario, egli si diletta in esso mentre lo serve. Così, mentre in un certo senso il giusto si compiace in essa e la serve, in un altro senso è "non sotto la Legge, ma sotto la grazia" Romani 6:14 Si può inoltre osservare che se Adamo avesse perseverato nella sua giustizia originale, la Legge del Sinai non sarebbe mai stata data all'uomo. "È stata aggiunta a causa di trasgressioni".

2. La Legge è fatta per i malvagi. Sono descritti secondo le due tavole del Decalogo. Quelli del primo tavolo vanno in coppia

1 Gli illegali e gli indisciplinati. Questi termini descrivono l'opposizione alla Legge: l'una nella sua parte più soggettiva, l'altra nella sua parte più oggettiva; l'uno rappresenta, forse, un'ostilità più passiva, l'altro un'ostilità più attiva alla Legge

2 Gli empi e i peccatori. Questi termini descrivono l'opposizione a Dio: l'uno senza riverenza per lui, l'altro che vive sfidandolo

3 L'empio e il profano. Questi termini descrivono la manifestazione dello spirito malvagio e ateo verso il Nome o le ordinanze di Dio. Toccano la violazione dei primi quattro comandamenti

4 Quelli della seconda tabella in con

a peccati contro il quinto comandamento: "Percuoteri i padri e percuoteri le madri";

b peccati contro il sesto: "uccisori di uomini";

c peccati contro il settimo: "fornicatori, sodomiti";

d peccati contro l'ottavo: "ladri di uomini": questa forma speciale di trasgressione viene scelta perché il furto di un uomo stesso è un reato molto più grave del furto dei suoi beni;

e peccati contro il nono: "per bugiardi, per spergiuri" — l'uno è un grande progresso in enormità sull'altro

f Strano che l'apostolo non elenchi il decimo, che ha operato su di lui in modo così potente Romani 7:7 Forse è stato progettato dal riferimento inclusivo non più a coloro che commettono il peccato, ma ai peccati stessi: "E se c'è qualche altra cosa che è contraria alla sana istruzione, secondo il vangelo della gloria di Dio che è stato affidato alla mia fiducia". Questo linguaggio implica

1 che l'elenco non è progettato per essere esaustivo delle varie forme di male nel verme;

2 che la Legge e il vangelo sono in perfetta armonia riguardo a ciò che è peccato;

3 che il disegno del vangelo è quello di mostrare la gloria della misericordia, della bontà e dell'amore di Dio;

4 che il Vangelo è un prezioso deposito affidato alle mani dell'uomo, da dispensare a beneficio della razza umana. L'apostolo non si ritrasse da tale solenne incarico, ma piuttosto se ne rallegrò. — T.C

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Come conoscere per conoscere, A.V; Legge per la Legge, A.V; indisciplinato per disobbediente, A.V; e peccatori per e per i peccatori, A.V; l'empio per l'empio, la Legge A.V non è fatta per un uomo giusto. È molto meglio rendere nomov, con l'A.V., "la Legge", come ad esempio Romani 2:12-14 . L'intera proposizione si riferisce alla Legge di Mosè, che questi maestri pervertirono e cercarono di imporre ai cristiani, ignorando che la Legge fu fatta non per i giusti, ma per i peccatori. Poiché non è fatto, potremmo rendere non si applica o non è in vigore contro. Keitai con il dativo che segue come RAPC 2Ma 4:11 suggerisce un significato di questo tipo, in qualche modo diverso dal semplice nomov keitai. Questa libertà dei giusti dalla Legge è ciò che San Paolo afferma ovunque: Romani 6:14; 8:2; Galati 2:19; 3:25; 5:18 ,ecc., la Legge è vista non come una santa regola di vita, ma come un sistema di pene, "una Legge di peccato e di morte". Che nomov qui significhi la Legge di Mosè è ulteriormente evidente da ciò, che nell'elenco seguente l'apostolo segue chiaramente l'ordine generale del Decalogo, prendendo prima le offese contro la prima tavola, e poi i peccati contro il quinto, sesto, settimo e nono comandamento confrontano anche Versetto 11 con. Romani 2:16 Illegale ajnomoiv; senza alcun riferimento speciale alla sua etimologia, ma che significa semplicemente "trasgressori", "malvagio", Luca 22:37; Atti 2:23; 2Tessalonicesi 2:8 A.V e molto frequentemente nella LXX Indisciplinato ajnupotaktoiv; insubordinato, che resiste all'autorità legittima. Nella LXX per l'ebraico liylib, 1Samuele 2:12 ,Simmaco e forse Proverbi 16:27 . Nel Nuovo Testamento è peculiare in questo senso delle Epistole pastorali, essendo presente solo qui e in Tito 1:6,10 In Ebrei 2:10 ha il senso classico di "non sottomesso". L'espressa applicazione della parola insi, Tito 1:10 , agli "indisciplinati chiacchieroni della circoncisione", mostra che San Paolo li ha in vista anche qui. Empi e peccatori, per gli empi e i profani. Tutti i termini che implicano offese contro la prima tavola: jAsebe con i parenti ajsebeia e ajsebew sono sempre resi "empio", "empietà", "agire empio"; aJmartwloiv, peccatori, cioè contro Dio; ajnosioiv, empio che si trova solo qui e in 2Timoteo 3:2 nel Nuovo Testamento, ma frequente nella LXX è il contrario di osiov, santo, santo; bebhloiv da cui bebhlow, a profano, Matteo 12:5; Atti 24:6 profano, di persone e cose non consacrate a Dio - peculiare nel Nuovo Testamento delle Epistole pastorali 1 Timoteo 4:7 ; 2 Timoteo 2:16 e Ebrei 12:16 , ma che si trova comunemente nella LXX e nel greco classico. Patralwaiv e mhtralw non sono assassini, ma, come a margine, "percuotevoli, maltrattano il padre e la madre". Entrambe le parole si trovano solo qui nel Nuovo Testamento, ma si trovano in Demostene, Aristofane, ecc. L'allusione qui è tow Esodo 21:15 , dove la parola ebraica per "colpire" è XXX, che non significa necessariamente "colpire a morte" più di quanto non lo faccia ajloa. jAndrofonoiv, uccisori di uomini; che si trova solo qui nel Nuovo Testamento, ma che è usato in RAPC 2Mac 9:28 e negli scrittori classici. Il riferimento è all'Esodo 21:12

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Fornicatori per fornicatori, A.V; abusatori di se stessi con gli uomini per coloro che si contaminano con l'umanità, A.V; falsi giuramenti per spergiuri. A.V; il contrario per quello è il contrario, A.V; il suono per il suono, A.V Pornoiv ajrsenokoitaiv. Quest'ultima parola si trova solo nel Nuovo Testamento qui e in 1Corinzi 6:9 . e da nessun'altra parte; ma il riferimento è torsenov Levitico 18:22 , dove ricorrono le due parole a—e koith, anche se non nella composizione effettiva. jAndrapodistaiv, ladri di uomini; solo qui nel Nuovo Testamento, ma molto comune, con le sue molte forme affini, ajndrapodizein ajndrapodismov, ajndrapodon, ecc., nel greco classico. L'ultima parola si trova una volta nella LXX, cioè in RAPC 3Ma 7:5. Il reato di furto d'uomo è denunciato Esodo 21:16; staiv #Deuteronomio 24:7. Yeu ejpiorkoiv, bugiardi, falsi giuratori. Quest'ultima parola ricorre solo qui nel Nuovo Testamento – il verbo ejpiorkew ina Matteo 5:33 – e due volte nella LXX, dove si trova anche ejpiorki; Rapc Sap 14:25 sono tutti comuni nel greco classico. Il riferimento è tonein Levitico 19:11,12 . L'ordine dei reati, come si è detto, è quello del Decalogo. La sana dottrina. L'articolo è meglio ometterlo, come nell'A V Questa è una delle molte frasi peculiari delle Epistole pastorali. Sebbene il verbo uJgiani ricorra tre volte nel Vangelo di San Luca e una volta in 3Giovanni 1:2 nel suo senso letterale di salute fisica, è solo nelle Epistole pastorali che viene applicato alla dottrina: vedi 1Timoteo 6:3; 2Timoteo 1:13; 4:3; Tito 1:9,13; 2:1,2 ; e annotare. 2Timoteo 4:3

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Il vangelo della gloria per il vangelo glorioso, A,V Il vangelo della gloria del Dio benedetto. La frase, tolion thv doxhv tou makariou Qeou, non può significare, come nell'A.V., "il glorioso vangelo del Dio benedetto", se non con una costruzione molto forzata. Potrebbe significare tre cose:

1 thv doxhv tou Qeou potrebbe essere una perifrasi per "Dio", come Romani 6:4 , o Esodo 24:16,17;33:18; Levitico 9:6,23; Salmi 104:31; 2Corinzi 4:6 ; o come "il Nome del Signore" Proverbi 18:10; Isaia 30:27 ,ecc. e come diciamo noi "la maestà della tua regina", la "grazia del re". O

2 "la gloria di Dio" potrebbe significare Gesù Cristo, che è lo Splendore della gloria di Dio, l'Immagine del Dio invisibile, sul cui volto risplende la gloria di Dio 2Corinzi 4:4,6 O

3 potrebbe significare il vangelo che parla della gloria di Dio, che rivela e proclama la sua gloria, la gloria della sua grazia, Efesini 1:6,12 o forse qui piuttosto la gloria della sua santità, che la "sana dottrina" di San Paolo spingeva ad imitare su tutti i cristiani; vedi 1Timoteo 6:3; 2Corinzi 4:4 "Il vangelo della gloria di Cristo". Il primo o l'ultimo è senza dubbio il vero significato. Il Dio benedetto. Questo andriov, 1Timoteo 6:15 sono gli unici passaggi nel Nuovo Testamento in cui maka benedetto, è un epiteto di Dio. Altrove "beato" è eujloghtov; come ad esempio Marco 14:61 ; kar 2Corinzi 11:31 . Nel greco classico ma è l'epiteto proprio degli dei; makarev Qeoi makariov è di solito parlato di uomini o qualità, e specialmente dei morti felici. Non appare come o perché l'apostolo qui applichi il makariov a Dio. Affidato alla mia fiducia, letteralmente, che mi è stata affidata. Una dichiarazione completamente paolina comp. Romani 1:1,5;2:16; Galati 1:11,12; Efesini 3:1-8 ,ecc

Un vangelo di gloria

"Secondo il glorioso vangelo". Queste sono le parole di un vero entusiasmo. San Paolo si gloriò del Vangelo. Possiamo leggerlo, tuttavia, come nella Versione Riveduta: "Secondo il vangelo della gloria di Dio". In entrambi i casi, la gloria di esso riempie il cuore dell'apostolo di intensa estasi. Nessun buon lavoro viene fatto senza entusiasmo. I grandi artisti italiani – uomini come l'Angelico, Fra Bartolomeo e Michele Angelo – associavano il cielo alla terra nelle loro opere, e lo facevano non per una mera paga, ma per grandi risultati ideali. Cantici anche grandi apostoli e riformatori, come Paolo, Wickliffe e Lutero, erano entusiasti. Ma tutto il sano entusiasmo è ispirato dalla realtà e dalla verità. Alcuni uomini hanno fatto naufragio della religione perché hanno perso la bussola della Parola di Dio; e altri, dipendenti dal solo sentimento , hanno vagato, guidati dall' ignis-fatuus della sola immaginazione

IO , PAOLO VEDE IN SE STESSO CIÒ CHE IL VANGELO PUÒ FARE. "Prendi me", dice; "Ero davanti a un persecutore e ingiurioso". Che cosa potrebbe spiegare un tale cambiamento come quello che si incarna nell'uomo che da Saulo divenne Paolo? Nessuna teoria della dinamica morale può reggere, il che suggerisce che egli si sia elevato verso un cambiamento così grande. Né poteva farlo la Chiesa ebraica di quell'epoca, che era freddamente rituale, sterile e sterile. "Questa parola è fedele, e degna di ogni accettazione, che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; di cui io sono il capo. Ma per questa causa ottenni misericordia, affinché in me per primo Cristo Gesù mostrasse ogni longanimità, come modello per quelli che avrebbero poi poi creduto in lui per la vita eterna". Nessun uomo può essere così ardente riguardo a una cura come colui che ha provato un medico; Nessuno ammira il grande artista tanto quanto colui che ha messo alla prova le proprie deboli forze. Ed ora "ciò che la Legge non poteva fare, in quanto era debole a causa della carne, Dio mandava il proprio Figlio", l'aveva fatto, e lo aveva fatto in Paolo: egli è una prova del vangelo prima di diventare un predicatore di esso

II PAOLO DÀ UN NUOVO SIGNIFICATO ALLA PAROLA "GLORIA". Sulle sue labbra la gloria assume un nuovo significato. Aveva visto le glorie dei Cesari, che innalzavano i loro troni su ecatombe di vite umane e riempivano le loro corti di lussi e concupiscenze illimitati. Circondati da soldati e cortigiane, la loro gloria era nella loro vergogna. Aveva visto le glorie degli architetti, degli scultori e degli artisti ad Atene, a Corinto e a Roma. Ma la gloria di cui parlava era in una vita che si donava, che non era venuta per essere servita, ma per servire, e che sulla croce era morta per i peccati del mondo intero. Era la gloria della bontà, la gloria della compassione, la gloria del sacrificio di sé

III PAOLO SI RALLEGRA DI ANNUNCIARE LA BUONA NOTIZIA DI QUESTA GLORIA. È il glorioso vangelo, o la gloriosa "buona novella" per tutti gli uomini: Greci e Giudei, barbari e Sciti, schiavi e liberi. Come sembra una cosa semplice: "buona notizia!", eppure è la parola che commuove il mondo! Omero viene ricordato, quando gli eroi militari della Grecia vengono dimenticati. Le sincronizzazioni durano più a lungo dei troni. Questa buona notizia era di un Cristo che era morto e risorto, e operava allora nei cuori degli uomini. Paolo visse abbastanza a lungo per fondare Chiese e per mostrare che la croce poteva trasformare gli uomini "dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio". Poteva mostrare loro non solo la radice, ma anche l'albero; non solo il seme, ma il fiore. Era una buona notizia in relazione all'uomo stesso, alla sua storia presente e al suo destino eterno. Il vangelo aveva reso la vita desiderabile e aveva frenato la falsa eutanasia del suicidio romano; e aveva steso un grande cielo di immortalità sopra le teste degli uomini, così che vivere era Cristo, e morire era guadagno. — W.M.S

La natura di Dio

"Del Dio benedetto". Dimostra che il Vangelo viene da Dio e che deve essere benedetto; perché Dio è benedetto in se stesso. La sua natura è la luce, che è sempre bella; e l'amore, che è sempre benefico

QUESTA È UNA DESCRIZIONE DELLA NATURA DIVINA. Non di alcuni degli attributi di quella natura, ma del cuore e del centro di essa. Non l'Onnipotente, l'Onnipresente, l'Onnisciente; ma i Beati! Guardate la natura! Lo studio della sua purezza, della sua armonia, dei suoi squisiti adattamenti di provvidenze e abbondanza ai vari bisogni di tutte le cose viventi, mostrano che Dio non è un Essere di semplice potenza o saggezza, ma Uno le cui opere sono molto buone, Colui che ha voluto che le sue creature condividessero la sua stessa beatitudine

1. Guarda la sua rivelazione. Vogliamo le beatitudini? Il dovere si è trasformato in gioia? Troviamo la via della pace, del riposo e della gioia nell'obbedienza alla sua volontà

2. Guarda il Cristo stesso. Benedetto dentro, in mezzo a tutte le forme esteriori di tentazione e a tutte le resistenze della prova. "Che la mia gioia rimanga in te e che la tua gioia sia piena".

3. Guarda la croce. Aveva lo scopo di fare espiazione, di riconciliare l'uomo con Dio, e così di rinnovare la sua immagine interiore, e di far capire all'uomo che la separazione da Dio era la causa principale di tutta la sua miseria. Il vangelo non è solo una rivelazione di dottrina; è un dispiegamento della natura divina, nella quale possiamo essere trasformati "di gloria in gloria, proprio come per mezzo dello Spirito del Signore".

II QUESTA È L'UNICA RIVELAZIONE DEL VANGELO. Le false religioni danno risalto agli aspetti del potere e si fondono nei dread. Solo il vangelo mostra che Dio è Amore. E rivelando la natura benedetta di Dio in suo Figlio, ci ha mostrato che il male è miseria perché è un'altra natura. La vita senza Dio è morte, morte alla pace, alla purezza, all'armonia, alla santità. Gli uomini lo hanno testimoniato nella loro esperienza. Tutto è vanità a parte lui. Su tutta la vita può essere scritto: "Nihil sine Deo" - "Nulla senza Dio". Cantici Cristo ci condurrà al Padre, ci unirà al Padre e ci trasformerà a somiglianza del Padre, Colui che è il benedetto e unico Potentato, il Re dei re e il Signore dei signori. — W.M.S

Amministratori della verità

"Che è stato affidato alla mia fiducia". Qui Paolo parla del predicatore di questo glorioso vangelo come di un fiduciario. Non è un vangelo di salvezza meramente personale; Non è progettato solo per risvegliare l'ammirazione morale e spirituale per i suoi insegnamenti; né per la cultura della felicità immortale, per quanto ci riguarda solo noi

IO , IL VANGELO È NOSTRO NELLA FIDUCIA. L'acqua è dolce, ma gli altri muoiono di sete. Il cielo aperto è bellissimo, ma altri sono in prigione. La pace è riposante, ma gli altri soffrono. Che cosa pensate delle questioni terrene di amministratori fraudolenti o negligenti? Li consideri tra i peggiori uomini. Come sono stati rovinati nel corso dei lunghi anni i figli e le figlie dei prudenti da amministratori negligenti!

II IL VANGELO INFLUISCE SU TUTTE LE AMMINISTRAZIONI FIDUCIARIE. Il suo spirito è quello di pervadere tutto ciò che abbiamo e siamo. Gli uomini stanno cominciando a capire che la conoscenza, l'abilità, la ricchezza, non devono essere godute solo per la gratificazione personale, ma devono essere usate per l'elevazione e il miglioramento degli altri. Questi saranno, e dovranno sempre essere, "nostri", ma dobbiamo anche guardare "alle cose degli altri". Non recintare il parco della tua vita, ma agisci come amministratore delle sue bellezze e delle sue gioie. I diritti di possesso ci sono, e tuttavia anche le responsabilità del possesso. Guarda Cristo

1. Conosceva il segreto della beatitudine e venne sulla terra per rivelarlo

2. Egli conobbe la grandezza della natura umana, e venne ad abitarla e a restaurarla

3. Conosceva il dominio che il male aveva su di noi, ed è venuto a spezzare le catene

4. Sapeva che il peccato ci separava da Dio, ed è venuto a morire, "il giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio". I nostri capitani in mare sono guardiani della vita e fanno coraggiosamente il loro dovere. I nostri soldati sono depositari dell'onore di una nazione, e non hanno mai fallito nelle grandi crisi della sua vita. E i nostri grandi cittadini-confraternite sono amministratori di ampi fiumi, di beni comuni aperti, della salute e del benessere dei poveri, e si sono sforzati di proteggere i loro interessi. Come cristiani siamo tutti e ciascuno di noi fiduciari del vangelo. Non è un semplice privilegio ecclesiastico; perché, ahimè! gli ecclesiastici sono stati troppo spesso amministratori solo dei loro diritti, o dei diritti delle loro Chiese speciali. Siamo tutti depositari del glorioso vangelo del Dio benedetto, e guai a chiunque di noi si sottragga alle proprie responsabilità o trascuri pigramente la propria fiducia! — W.M.S

12 

Ringrazio e ringrazio A.V e T.R.; colui che mi ha dato la forza, sì, Cristo Gesù nostro Signore per Cristo Gesù nostro Signore, che mi ha dato la forza, A.V; nominandomi al suo servizio per avermi messo nel ministero, A.V ringrazio, ecc. Questo slancio di lode per la misericordia del Signore Gesù Cristo, che lo aveva chiamato al ministero della Parola, è causato dal pensiero, che precede immediatamente, che gli sia stato affidato il Vangelo. Egli nega quindi qualsiasi nozione di merito da parte sua. Questo mi ha permesso ejndunamwsanti. Questo verbo ricorre una sola volta negli Atti degli Apostoli 9:22; tre volte nelle altre Epistole di San Paolo, Romani 4:20; Efesini 6:10; Filippesi 4:13 tre volte nelle Epistole pastorali qui; 2Timoteo 2:1; 4:17 ; e namiv Ebrei 11:31 . Esso denota il dare quel potere peculiare che era il dono dello Spirito Santo, e che era necessario per l'opera di un apostolo per metterlo in grado di rendere testimonianza a Cristo di fronte a un mondo avverso. Questo potere du Cristo lo promise ai suoi apostoli prima della sua ascensione Atti 1:8 San Paolo lo ricevette dopo la sua conversione Atti 9:22 Continuò a detenerlo per tutto il suo apostolato; Filippesi 4:13 ne godeva specialmente all'avvicinarsi del suo martirio 2Timoteo 4:17 Comprendeva la forza della fede, la forza di testimoniare e di predicare, la forza di sopportare e soffrire. L'intero corso di San Paolo è la migliore illustrazione della natura del dunamiv che Cristo gli ha dato, vedi inriv Efesini 3:6 la diaconia, e i dunamiv tutti riuniti come qui. Nominandomi al suo servizio. L'A.V., che mi mette nel ministero, è una traduzione migliore, perché "il ministero" esprime esattamente il particolare tipo di servizio a cui il Signore lo ha nominato vedi il passaggio esattamente parallelo Efesini 3:7 L'assenza dell'articolo è irrilevante Romani 12:7; 1 Corinzi. 2Timoteo 4:11 Per la frase generale, comp. Atti 1Corinzi 12:28 ; oppure, ancora più esattamente per quanto riguarda la grammatica, 1Tessalonicesi 5:9

Versetti 12-18.

L'apostolo

Il carattere dell'apostolo e vero ministro del Vangelo si staglia qui in sorprendente e glorioso contrasto con quello dell'eretico. Chiamati dalla grazia di Dio al ministero della Parola, non auto-nominati; reso possibile dalla grazia di Dio, non confidando nella propria intelligenza; cercando la gloria di Dio e la salvezza delle anime, non mirando alla propria autoesaltazione; L'apostolo e ministro di Cristo si muove su un piano completamente diverso dal leader eretico. Un umile senso della propria indegnità, invece di un'arrogante presunzione; una viva apprensione della misericordia e dell'amore di Dio per la propria anima, invece di una fiducia autosufficiente nel proprio intelletto; una fedele consegna della verità affidatagli, invece di una presuntuosa fabbricazione di nuove dottrine; e una fede e un amore incandescenti, con una crescente apprensione per la gloria delle verità centrali del Vangelo, invece di un vano tentativo di cose nuove, e un prurito per le favole eccitanti, distinguono il vero servo di Cristo dall'eretico pretenzioso con distinzioni inequivocabili. Sarebbe bene per la Chiesa se queste caratteristiche del vero vescovo delle anime fossero più distintamente visibili in tutti i suoi ministri. Questioni, lotte di parole, favole e speculazioni, che tendono a dividere più che a unire, si possono trovare nell'insegnamento e negli scritti di uomini di Chiesa professanti, così come in quelli di eretici dichiarati. Lasciate che "la parola fedele" mantenga il suo posto supremo nel cuore e nell'insegnamento dei ministri della Chiesa, e l'unità e la santità della Chiesa saranno proporzionalmente aumentate. La sua forza di resistere all'eresia sarà aumentata nella stessa misura

Versetti 12, 13.

Eiaculazione di gratitudine per questa alta fiducia

Anche se sembra che si allontani per un momento dai falsi insegnanti, sta ancora portando avanti il suo piano di ispirare Timoteo con una giusta veduta della vera natura e dell'importanza del vangelo

IO L'OGGETTO DEL SUO RINGRAZIAMENTO. "Ringrazio Cristo Gesù nostro Signore, che mi ha permesso, perché mi ha considerato fedele, nominandomi al ministero".

1. Il Signore gli diede forza per la sua opera. "Mi ha permesso". Gli diede tutte le sue capacità intellettuali, tutta la sua capacità di conquistare gli uomini alla verità, tutta la sua fermezza, la sua perseveranza e la sua pazienza nel predicare il Vangelo

2. Il Signore gli diede il suo incarico di sciogliersi al ministero

1 L'apostolo non vi si intromise, né si prese questo onore, né vi fu chiamato dagli uomini

2 Fu il Signore stesso che lo fece ministro; poiché l'apostolo parla del "ministero che ho ricevuto dal Signore Gesù per testimoniare il vangelo della grazia di Dio" Atti 20:24 Il ministero qui significa il servizio più umile, piuttosto che l'apostolato; poiché si riferisce piuttosto al lavoro da fare che alle prerogative del suo ufficio

3 Il Signore lo considerava fedele per l'opera; non che la fedeltà fosse una qualità prevista che divenne il fondamento della sua chiamata all'ufficio, ma che lo considerava fedele perché lo aveva reso tale, poiché parla di se stesso come di "uno che ha ottenuto misericordia dal Signore per essere fedele" 1Corinzi 7:25 La fedeltà deve essere la qualità preminente dell'amministratore di Dio 1Corinzi 4:2

II IL SUO RINGRAZIAMENTO È GRANDEMENTE ACCRESCIUTO DAL PENSIERO DELLA SUA PROFONDA INDEGNITÀ. "Chi era prima un bestemmiatore, un persecutore e un autore di oltraggio". Queste sono parole di amara autoaccusa

1. Era stato un bestemmiatore. Egli stesso parlò male del Nome di Gesù e costrinse gli altri a seguire il suo esempio Atti 26:11 Questo era il peccato più alto che si potesse commettere contro Dio

2. Era stato un persecutore. "Ho perseguitato in questo modo fino alla morte, legando e consegnando in prigione uomini e donne" Atti 22:4 Egli "ha proietato minacce e strage contro i discepoli di Atti 9:1 . Non solo parlava male di Cristo, ma perseguitava Cristo nelle sue membra

3. Era stato un autore di indignazione. Non contento di parole di rimprovero, proruppe in atti di violenza. La sua condotta fu contumace e dannosa in ultimo grado. — T.C

Versetti 12-17.

Digressione personale

SONO GRATO PER ESSERE STATO NOMINATO DA CRISTO AL SUO SERVIZIO. "Ringrazio colui che mi ha dato il potere, sì, Cristo Gesù nostro Signore, perché mi ha considerato fedele, costituendomi al suo servizio". Atti alla fine dell'undicesimo versetto Paolo porta nella sua relazione con il vangelo della gloria del Dio felice. Era un incarico affidato a lui, cioè era il suo grande mestiere quello di trasmettere il messaggio di felicità ai suoi simili. E come Egli è stato reso responsabile, così anche Lui è stato potenziato. Non fu mandato in guerra per le sue accuse. Gli fu fornito tutto ciò che era necessario per l'adempimento dei doveri connessi con il trust. E così non può trattenersi dal volgersi un po' di lato, per riversare la sua anima in gratitudine a colui che lo ha potenziato come gli ha anche dato la fiducia, sì, Cristo Gesù nostro Signore, il grande Capo della Chiesa, dal quale procedono tutte le nomine ministeriali e tutte le qualifiche ministeriali. Ciò che suscitava la sua gratitudine era che Cristo riponeva fiducia in lui nominandolo al suo servizio. Vide che era uno di cui si poteva essere usato e di cui ci si poteva fidare per promuovere il Vangelo; e così gli diede l'incarico e le qualifiche. Essere certi di questo come lo fu Paolo è una grande gioia. Come dovrebbero essere grati i ministri, se hanno qualche prova, nella loro serietà e nei frutti del loro ministero, che non hanno sbagliato la loro chiamata!

II LA CONSIDERAZIONE DELLA SUA VITA PRECEDENTE. "Benché prima fossi un bestemmiatore, un persecutore e un ingiurioso, ma ho ottenuto misericordia, perché l'ho fatto per ignoranza e senza credulità". La gratitudine dell'apostolo fu accresciuta dalla considerazione della sua carriera di persecutore. Era davanti a un bestemmiatore, e il suo parlare malvagio era diretto contro il Nome di Gesù di Nazaret. Era anche un persecutore anche sotto questo aspetto, che costringeva altri a bestemmiare. E si elevò alla piena concezione di un persecutore nel modo tirannico con cui si dedicò all'opera di persecuzione. Atti in questa fase della sua vita era ben lontano dall'essere il ministro di Cristo. Ma pur non avendo mostrato misericordia, ottenne misericordia. C'era questo da dire per lui, che ciò che fece contro Cristo lo fece per ignoranza. Ha agito in base a un'impressione errata. Non è che sapesse che Cristo era il Figlio di Dio, e lo odiasse per le sue credenziali divine, specialmente perché manifestava la bontà divina. Ma era trascinato dallo zelo per la religione ebraica, che, pensava, era molto messa in pericolo dai trionfi del cristianesimo. Non era quindi nel modo più diretto, più deliberato, contro Cristo. E, nella misura in cui non stava gettando via le convinzioni più sacre, era nell'ambito della misericordia. Egli rientrava nell'ambito dell'intercessione del Salvatore dal trono, se dobbiamo considerarla conforme alla Sua intercessione dalla croce, che era in queste parole: "Padre, perdona loro; perché non sanno quello che fanno", parole che trovano eco in Pietro nel suo discorso agli ebrei: "Ed ora, fratelli, io so che l'avete fatto per ignoranza, come hanno fatto anche i vostri capi". Era in uno stato di incredulità che era ignorante. Ciò implicava che non aveva seguito le sue luci come gli altri avevano seguito le loro, non più grandi delle sue. Era stato allontanato dal cristianesimo dalla fiducia nella sua giustizia. E si era ceduto alla disposizione, così naturale per il cuore depravato, a fare un uso tirannico del potere. Egli era perciò il più colpevole, avendo bisogno di pentimento e di perdono, come Pietro proseguì a imprimere agli Ebrei nel discorso appena menzionato: "Pentitevi, perciò, e convertitevi, affinché i vostri peccati siano cancellati".

III LA GRAZIA ABBONDA IN MODO STRAORDINARIO. "E la grazia del Signore nostro abbondò in grandezza della fede e dell'amore che è in Cristo Gesù". In Romani 5 . Paolo dice del peccato che abbondava; Qui la stessa parola è usata di grazia, con un'aggiunta che le conferisce la forza di un superlativo. Egli si sforza di esprimere l'estensione della grazia che nostro Signore ha dovuto fare verso di lui quando egli, un persecutore colpevole, è stato salvato. La sua salvezza è stata accompagnata dalle due grazie, la fede e l'amore. Da miscredente nel cristianesimo divenne un umile credente in esso, predicando persino la fede di cui in precedenza aveva fatto scompiglio. Dall'avere lo spirito del persecutore egli giunse ad avere lo spirito del cristiano, perdonando quelli che lo perseguitavano, e cercando di sottomettere gli uomini, non con la forza, ma con la potenza della verità e dell'esempio cristiano. Di questo amore si dice che esso è in Cristo Gesù, sussistente in lui e da lui determinato nelle sue uscite. Possiamo capire che la sua esperienza di salvezza ha avuto a che fare con la sua eminenza come ministro di Cristo. Lo riempì di profonda gratitudine personale verso il suo Salvatore. Lo spingeva a lavorare, in modo da vendicarsi del male che aveva fatto. Lo rendeva adatto a simpatizzare con gli altri in condizioni come quelle in cui si era trovato lui. E gli permise di comprendere meglio lo spirito dolce e gentile della religione di Cristo, che poteva contrastarlo con il suo sgradevole zelo persecutorio

IV IL VANGELO ATTRAVERSO IL QUALE LA GRAZIA HA OPERATO

1. Attendibilità del vangelo. "Fedele è il detto, e degno di ogni accettazione". Quando fu scritta la nostra Epistola, questo era uno dei detti che passavano per proverbi nei circoli cristiani. Questa formula profana è peculiare delle Epistole pastorali. La prima frase, che ricorre cinque volte, indica la certezza del vangelo. I sedicenti insegnanti della Legge — a quanto pare gli Esseni — si occupavano di favole per le quali non c'era motivo di certezza, e di genealogie o nomi di agenzie intermedie, che si occupavano solo di dispute sui nomi. L'apostolo considera il vangelo come l'incarnazione della certezza. Avventurando le nostre anime immortali sulla verità di questo detto, non si rivelerà un mito, ma una gloriosa realtà. Le

2. La seconda frase, che ricorre due volte, indica il detto come degno di un'accoglienza universale. Che tutti gli uomini lo afferrino come un detto essenzialmente buono, buono per l'intera natura; è solo l'accoglienza che merita

3. Forma particolare in cui viene presentato il vangelo. "Che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori". Questo è il vangelo in tutta semplicità, al quale l'anziano apostolo si aggrappa. L'Unto di Dio per la salvezza ha detto di se stesso: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo". Il mondo deve essere inteso in senso fisico; È la terra, tuttavia, non nella purezza del concepimento, ma la terra come è diventata la dimora congeniale per i peccatori. Non si poteva dire di Cristo, quando era qui, che questa era la sua dimora originale o congeniale. Egli venne nel mondo, venne da un mondo puro, dal Padre, e questo significava un mondo di altissima purezza. E cosa lo ha attirato in questo mondo, con tutta la sua antipatia? Gesù, il Nome che Egli ha fatto suo, il Nome che è al di sopra di ogni nome, indica la sua natura di amore. È nella natura dell'amore trovare uno sbocco congeniale nel risparmio. Ma chi su questa terra Cristo è venuto a salvare? Uomini a cui era stato subito un torto, ai quali potenze sovrumane infliggevano torture senza motivo? È venuto per affermare la loro innocenza contro i loro forti oppressori? No; uomini che erano essi stessi nel torto, che erano ingiusti di Dio, ed erano le cause della loro stessa miseria. Furono i peccatori a trascinare il Salvatore sulla terra. Egli desiderava salvarli dalla loro miseria, da se stessi come cause colpevoli della loro miseria, dalle loro abitudini e compagnie peccaminose, e renderli puri come il cielo da cui era venuto. Nel salvare i peccatori, egli dovette soffrire per i peccatori, nella sua purezza entrare in contatto con la loro impurità ed esporlo al loro odio. Doveva soffrire specialmente nella stanza dei peccatori, in tutta la solitudine di una vita pura e perfetta, calpestando il torchio dell'ira divina contro il peccato

1. Individualizzazione del vangelo. "Di cui io sono il capo." Non era alla testa dei peccatori in questo senso, che una volta aveva raggiunto un punto oltre il quale il peccato non poteva andare in atrocità. Egli non aveva commesso il peccato contro lo Spirito Santo. Non aveva peccato come Giuda, nelle immediate vicinanze di Cristo e con una chiara impressione della sua Divinità. Non era mai stato, nel peccare, oltre il limite della misericordia. Né era in grado di paragonarsi a tutti coloro che avevano ottenuto misericordia e di dire infallibilmente che era il più grande di tutti. Ma egli era a capo dei peccatori nel suo senso della sua totale indegnità senza Cristo. Quell'indegnità la considerava principalmente, possiamo dire, alla luce lurida della sua carriera persecutoria. Era un'autorivelazione così completa che non poté impedirgli di presentarsi davanti alla sua immaginazione quando pensò di vendere. Ma questa autorivelazione non era tutta prima della sua conversione. Sapeva che l'io cercava sempre di mescolarsi con tutto ciò che faceva. Nell'intera scoperta, quindi, di ciò che egli era separato da Cristo, come uno per il quale il vangelo era destinato, egli poté dire in tutta sincerità di sentimento, e senza alcuna diminuzione di veridicità man mano che avanzava nella vita cristiana, ma piuttosto con un aumento, che era a capo della classe dei peccatori

V INCORAGGIAMENTO AI PECCATORI. "Ma per questa causa ho ottenuto misericordia, affinché Gesù Cristo manifesti in me come capo tutta la sua longanimità, per un esempio di quelli che avrebbero poi creduto in lui per la vita eterna". C'era una convenienza in Paolo come capo nell'ottenere misericordia che arrivava anche in un periodo precoce della storia della Chiesa cristiana, per il bene delle generazioni future. Egli era un tipico esempio di ciò che accadde nel suo caso della pienezza della longanimità di Cristo. Per i primi trent'anni della sua vita stava andando nella direzione sbagliata. Mentre si avvicinava alla fine di quel periodo, sembrava abbastanza lontano dal credere nella parte attiva e violenta che aveva preso contro Cristo. Ma Cristo non fece ricadere la sua ostilità sul suo capo, come avrebbe potuto fare. Ma lo trattò con magnanimità, come chi è consapevole della pura intenzione e dell'amore che perdona può fare con il suo nemico. Lo trattò senza fretta, dandogli spazio per l'esperienza, per pensare al comportamento divino e per vedere il suo errore. E, alla fine, Paolo fu costretto a credere, a lode della longanimità di Cristo. Chiunque pensi di essere abbastanza lontano dal credere, nella resistenza alle direttive divine, nell'ostilità offerta a Cristo, Paolo vorrebbe che fosse incoraggiato dal suo esempio a credere in Cristo, il fine certo, di questo credente, che è la vita eterna, o il possesso, fino alle nostre capacità, della beatitudine della vita divina

VI DOSSOLOGIA. "Ora al Re eterno, incorruttibile, invisibile, unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli e eVersetto Amen." L'apostolo conclude la sua digressione personale con una dossologia che è unica nel suo carattere e, possiamo esserne certi, appropriata. Dio è chiamato, come non lo è in nessun altro luogo nelle Scritture, letteralmente "Re dei secoli", cioè Sovrano Controllore dei vasti periodi sotto i quali sono inclusi i secoli e i millenni. Al di fuori di essi, egli stesso nella sua eternità assoluta, egli influenza tutto ciò che avviene in essi. Egli può essere longanime come lo è in Cristo; Non ha bisogno di avere fretta, avendo l'età in cui realizzare i suoi propositi. È anche definito "incorruttibile", come lo è anche in Romani 1:23 ; e "invisibile", come lo è in Colossesi 1:15 e Ebrei 2:2-7 C'è grande difficoltà in tutte le religioni ad elevarsi al di sopra delle nozioni grossolane di Dio. Come puro Spirito gli è negata la corruttibilità e la visibilità che appartengono alla nostra natura corporea. Non è quindi permessa una rappresentazione corporea, o alcuna immagine di lui, che tenda a degradare la nostra concezione di lui. Egli è inoltre chiamato "l'unico Dio", come in 1Timoteo 6:15 è chiamato "l' unico Potentato". Questo sembra essere principalmente diretto contro la religione essena, che investiva i suoi agenti intermedi dei poteri divini della creazione. A Dio, come così esaltato, è attribuito, con una pienezza di espressione, onore e gloria come in Apocalisse 5:13 alle età delle ere su cui si estende l'esistenza divina.

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Anche se ero per chi era, A.V e T.R.; tuttavia, per ma, A.V A bestemmiatore blashmon; applicato, come qui, alle persone, solo in 2Timoteo 3:2 ; applicato alle parole,. Atti 6:11,13 T.R. Il verbo blasfhmein, e il sostantivo blasfhmia, sono molto comuni, sia nel senso di "bestemmiare" che di "insultare" o "insultare". San Paolo era un bestemmiatore perché parlava contro il Nome di Gesù, che da allora aveva scoperto essere un Nome al di sopra di tutti i nomi. Un persecutore diwkthv; solo qui; ma il verbo diwkein è applicato a San Paolo ripetutamente, Atti 9:4,5; 22:4; 26:11 ,ecc., ecc.; e il diwkthv qui si riferisce forse proprio a quella narrazione. Ingiurioso uJbristhv; solo qui andzein, Romani 1:30 , dove è reso "insolente", R.V Il verbo uJbri sia nel Nuovo Testamento che nel greco classico, significa "trattare o maltrattare gli altri con disprezzo", "oltraggiarli e insultarli", non senza violenza personale Matteo 22:6; Luca 18:32; Atti 14:5; 1Tessalonicesi 2:2 L'uJbristhv è colui che tratta gli altri. San Paolo pensava alla propria condotta verso i cristiani, che non solo insultava, ma trattava brutalmente e portava in prigione Atti 8:3;9:1;22:19 Non c'è nessuna parola inglese che renda esattamente uJbristhv

La misericordia del Signore era in contrasto con la sua mancanza di essa

Per quanto grande fosse stato il suo peccato, divenne soggetto della misericordia divina

I LA MISERICORDIA DEL SIGNORE VERSO DI LUI. "Ho ottenuto misericordia".

1. La misericordia includeva il perdono della sua grande malvagità. Era una misericordia non cercata e immeritata

2. Era la misericordia con l'aggiunta della grazia dell'apostolato

II IL FONDAMENTO E LA RAGIONE DI QUESTA MISERICORDIA. "Perché l'ho fatto per ignoranza e incredulità".

1. Il vero fondamento della misericordia non è assolutamente nell'uomo, ma la compassione di Dio stesso Tito 3:5

2. L'apostolo non significa che avesse alcun diritto alla misericordia di Dio, poiché nel versetto successivo si definisce "il capo dei peccatori".

3. Egli non intende sminuire l'enormità della sua colpa, ma la espone, in tutte le circostanze che ne derivano, come non tale da escluderlo dal campo della misericordia, perché non aveva peccato contro le sue convinzioni

Lo fece per ignoranza, ma l'ignoranza non era una scusa dove c'erano i mezzi della conoscenza, e l'incredulità, da cui scaturiva l'ignoranza, non poteva essere accettata come scusa, poiché aveva udito l'affermazione di Stefano. Inoltre, tutti i peccati nascono dall'ignoranza e sono aggravati dall'incredulità

2 Ma egli non peccò volontariamente contro la luce e la coscienza, e così commise il peccato contro lo Spirito Santo

3 Colui che ha compassione dell'ignorante, ha avuto compassione di lui, quando lo ha trovato uno zelota ignorante e accecato. Così furono confermate le parole di Cristo, che ogni peccato contro il Figlio dell'uomo sarà perdonato, purché non ci sia bestemmia contro lo Spirito Matteo 12:31 L'apostolo non aveva deliberatamente annullato il consiglio di Dio, ma si trovava esattamente sullo stesso terreno di quei peccatori convertiti a Pentecoste, che avevano agito "per ignoranza" Atti 3:17 Il peccato era grande in entrambi i casi, ma non era imperdonabile

4 Non c'è nulla nell'affermazione dell'apostolo che giustifichi l'opinione che coloro che non hanno mai sentito parlare di Cristo saranno perdonati a causa della loro ignoranza. Le parole di nostro Signore giustificano l'aspettativa che ci sarà una mitigazione, ma non una remissione, della punizione in tali casi. "Chi non ha saputo e ha commesso cose degne di percosse, sarà battuto con poche percosse" Luca 12:48 Il linguaggio in entrambi i passaggi giustifica giudizi caritatevoli anche riguardo ai persecutori. — T.C

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A.V Abbondò oltremodo uJperepleonase; solo qui nel Nuovo Testamento o altrove eccetto "in Psalterio Salomonis Salmi 5:1-9 , et in fragmento Hermae ap. Fabricium Bibl. Graec., lib. 5. Cap. 1" Schleusuer. Ma la parola è completamente paolina comp. uJperairomai uJperauxanwuJperballw uJperekteinw uJperperisseuw uJperoyow, e altri composti con uJper. È inoltre notevole, per quanto riguarda l'uJper stesso, che delle centocinquantotto volte o giù di lì che ricorre nel Nuovo Testamento, centosei sono nelle Epistole di San Paolo, e dodici nelle Epistole agli Ebrei, e solo quaranta in tutti gli altri libri. Con fede e amore, ecc. La grazia elargita a San Paolo durante e dopo la sua conversione si manifestò nella meravigliosa fede e nell'amore verso Gesù Cristo, in cui egli aveva precedentemente discreduto e insultato, che accompagnò quella grazia meta e ne fu il frutto, e caratterizzò tutta la sua vita dopo la morte

La grazia sovrabbondante del Signore all'apostolo

Ora spiega quanto pienamente ha ricevuto la misericordia di Dio nonostante la sua incredulità

IO , LA MISERICORDIA DEL SIGNORE TRABOCCAVA IN GRAZIA DA PARTE DI DIO. "Ma la grazia del nostro Signore sovrabbondò". La sua salvezza è stata per grazia gratuita. Non aveva fatto nulla per meritarlo, ma piuttosto tutto per perdere il suo diritto su di esso. È stata la grazia prima che lo ha reso cristiano, e poi lo ha reso apostolo

II LA MISERICORDIA DEL SIGNORE TRABOCCAVA DI FEDE E DI AMORE DA PARTE DELL'UOMO. "Con la fede e l'amore che sono in Cristo Gesù".

1. Queste due grazie sono i frutti della grazia. Quando la grazia abbonda, necessariamente abbonderà

2. La fede si oppone alla sua vecchia incredulità. È quella grazia che riceve ogni benedizione da Cristo e gli dà tutta la gloria, portando pace, gioia e conforto nel cuore e terminando con la vita eterna

3. L'amore si oppone alla sua rabbia e crudeltà di un tempo. Ora ha amore per Dio e per l'uomo

4. La sua fede e il suo amore trovano la loro vera sorgente in Gesù Cristo, poiché in lui abita tutta la pienezza. — T.C

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Fedele è il detto, perché questo è un detto fedele, A.V. Fedele è il detto pistogov. Questa formula è peculiare delle epistole pastorali 1 Timoteo 3:1;4:9 ; 2 Timoteo 2:11 ; Tito 3:8 e sembra indicare che c'erano un certo numero di detti concisi, massime, parti di inni o di insegnamento catechetico, correnti nella Chiesa, e forse originati dai detti ispirati dei profeti della Chiesa, ai quali l'apostolo si appella, e ai quali dà la sua sanzione. Quello a cui ci si appella qui sarebbe semplicemente: "Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori". Questo, aggiunge San Paolo, è degno di ogni accettazione, da parte di tutti, e senza alcuna riserva. Accettazione ajpodochv; solo qui andcomai 1Timoteo 4:9 , in connessione con la stessa formula. Il verbo ajpode ricorre in Luca 8:40; Atti 2:41, 15:4, 18:2-9, 24:3, 28:30 . Contiene l'idea di un'accettazione lieta e volontaria, vedi nota su Atti 2:41 Cantici senza dubbio ajpodoch significa anche "accoglienza calorosa". Io sono il capo; rispetto al fatto che era stato "un bestemmiatore, un persecutore e un ingiurioso". Quel grande peccato fu infatti perdonato gratuitamente dalla grazia di Dio, ma non poté mai essere dimenticato da colui che ne era stato colpevole. "Manet alta mente repostum" comp. Efesini 3:8

Il riassunto del Vangelo

Questa affermazione si basa sulla sua esperienza personale della misericordia salvifica di Dio

I LA VERITÀ E LA CERTEZZA DELLA RIVELAZIONE EVANGELICA. "Fedele è la Parola, e degno di ogni accettazione." Cinque volte questa frase ricorre nelle Epistole pastorali. Era una sorta di formula o parola d'ordine delle prime Chiese cristiane

1. La dottrina della salvezza ha diritto a tutto il merito. È certo che Cristo è venuto per salvare i peccatori

2. Deve essere ricevuto da ogni sorta di persone, con cordialità e gioia, come una dottrina adatta alle necessità di tutti gli uomini. Con quale zelo dunque si deve porsi davanti agli uomini!

II LA SOSTANZA DELLA RIVELAZIONE EVANGELICA. "Che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; di cui io sono il capo".

1. Questo linguaggio implica la preesistenza di Cristo. Lasciò la gloria che aveva presso il Padre prima che il mondo fosse Giovanni 16:28

2. Implica che è venuto volontariamente di sua spontanea volontà. È vero che l'amore di Dio si manifesta nell'invio di Gesù, ma l'amore di Cristo si manifesta altrettanto nel suo avvento. Era necessario che venisse al mondo, perché altrimenti non avrebbe potuto soffrire e morire al posto nostro. Il fatto che egli sia venuto come uomo nella pienezza dei tempi implica che la semplice emanazione di potenza spirituale dal cielo non sia stata sufficiente. L'opera di un uomo doveva essere fatta affinché la misericordia di Dio potesse raggiungerci

3. Suggerisce il vero disegno della sua venuta. "Per salvare i peccatori".

1 Ciò implica la rivelazione della volontà di Dio all'uomo

2 L'impetrazione della salvezza attraverso la sofferenza e l'obbedienza di Cristo

3 L'applicazione della salvezza agli oggetti di essa

4 Che i peccatori hanno bisogno di salvezza, e sono perduti senza di essa

5 Che i più grandi peccatori non hanno il diritto di disperare della salvezza – "di cui io sono capo".

a L'apostolo parla di se stesso al presente, non al passato, poiché si sente ancora solo un peccatore credente

b Il linguaggio ricorda le sue frequenti allusioni alle sue persecuzioni della Chiesa di Dio. Dio lo aveva perdonato, ma lui non avrebbe mai potuto perdonare se stesso. Egli si pone in prima fila tra i trasgressori a causa della sua partecipazione alla devastazione della Chiesa

c Il linguaggio implica la sua profonda umiltà. Era un elemento della sua grandezza spirituale il fatto che avesse un tale senso del proprio peccato. Egli si definisce altrove "inferiore al minimo di tutti i santi" Efesini 3:8

d È bene ricordare il nostro peccato in una via di tristezza secondo Dio, come mezzo per mantenerci umili e grati per la ricca grazia del vangelo dispensata a noi. — T.C

16 

Come capo per primo, A.V; possa Gesù Cristo per Gesù Cristo potrebbe, A.V; la sua longanimità per longanimità, A.V; un esempio di per un modello a, A.V; per la vita eterna per la vita eterna, A.V Che in me come capo; piuttosto, come A.V, per primo; cioè sia in ordine di tempo, sia rispetto anche alla grandezza del peccato perdonato. Mostra ejndeixhtai; 2Timoteo 4:14 ,nota tutta la sua longanimità; più propriamente, come Alford, tutta la longanimità; cioè la totalità della longanimità, tutto ciò che era possibile, ogni tipo e grado di longanimità. JO pav con il sostantivo denota il tutto di una cosa: tonta cronon, "il tutto"; Atti 20:18 oJ pav nomov, "tutta la Legge" Galati 5:14 Cantici nei due esempi di Polibio, thv pashv ajlogistiav e thv pashv ajtopiav "la massima irragionevolezza" e "la massima stranezza", la costruzione è esattamente la stessa. Longanimità makroqumia; più letteralmente, longanimità; molto frequente sia nel Nuovo Testamento che nella LXX L'aggettivo makroqumov LXX è una traduzione dell'ebraico μyipa rxq, "lungo", o "lento all'ira", a cui l'opposto è Ëra ojxuqumov LXX, "breve all'ira", cioè frettoloso, passionale. Anche il verbo makroqumew ricorre frequentemente, sia nel Nuovo Testamento che nella LXX: JH ajgaph makroqumei, "La carità soffre". 1Corinzi 13:4 Per un esempio propwsin. La parola ricorre solo nel Nuovo Testamento qui e in 2Timoteo 1:12 ; ma sia esso che il verbo uJpotupow sono buone parole classiche. Il significato di uJpotupwsiv è "uno schizzo" o "contorno", e quindi un "modello". Si dice che questo modello è la proprietà, l'uso di coloro che in futuro dovrebbero credere. Proprio come l'operaio guarda il suo piano, o schema, con il quale deve operare, così quei futuri credenti vedrebbero nei rapporti di Cristo con San Paolo l'esatto modello della longanimità che potrebbero aspettarsi per se stessi. Altri prendono uJpotupwsiv nel senso di "istruzione", ma questo senso non può essere corretto. Credete in lui per la vita eterna. Queste parole stanno insieme. La forza particolare di pisteuein ejp aujtw, "che si trova nel Nuovo Testamento solo qui e Romani 9:33;10:11 ; e 1Pietro 2:6" Huther – distinto dalle altre costruzioni di to pisteuein – è "riposo", "appoggiati" Ellicott. San Paolo afferma così, incidentalmente, che la sua fede si basava su Gesù Cristo nella piena certezza di raggiungere la vita eterna: vedi 1Timoteo 6:12; 2Timoteo 1:1,2

Versetti 16, 17.

L'apostolo, un esempio della longanimità divina per tutte le età

C'era uno scopo economico nella salvezza dell'apostolo Paolo

I L'ESERCIZIO DELLA LONGANIMITÀ DEL SIGNORE VERSO L'APOSTOLO. "Ma per questa causa ho ottenuto misericordia".

1. La misericordia assume la forma della longanimità; poiché il Signore sopportò a lungo le vie di questo feroce persecutore dei santi, quando avrebbe potuto abbreviare la sua carriera nel giudizio

2. Ha preso la forma di una liberazione positiva dalla colpa, dal peccato e dalla morte. Quante volte "la longanimità del Signore è per noi salvezza"! 2Pietro 3:9

II IL DISEGNO DI QUESTA STRAORDINARIA MOSTRA DI MISERICORDIA. "Affinché in me, come il capo Gesù Cristo, manifesti ogni longanimità, come modello per quelli che in seguito avrebbero creduto in lui per la vita eterna".

1. La longanimità è esercitata dal Signore stesso. È lui che viene ferito nelle persecuzioni delle sue membra. "Saulo, Saulo! perché mi perseguiti?" Eppure è lui che mostra misericordia

2. I più grandi persecutori non possono disperare della misericordia. Il Signore resterà a lungo con loro, se per caso si pentiranno e si volgeranno a lui

3. Il caso di Paolo"il capo dei peccatori" dovrebbe incoraggiare i peccatori di ogni classe e genere a esercitare speranza e fiducia nel Signore, così come a venire incontro ai timori di coloro che pensano di aver peccato troppo per giustificare l'aspettativa che il Signore avrà misericordia di loro

4. La fiducia in Gesù Cristo porta necessariamente con sé la vita eterna. A questo scopo non c'è bisogno di nulla se non della fede. "Chi ha il Figlio ha la vita".

III ATTRIBUZIONE DI LODE E GRATITUDINE A DIO PER LA SUA MISERICORDIA

1. Considera i titoli con cui ci si rivolge a Dio. "Ora al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile, l'unico Dio".

1. Egli è il Re dei secoli, poiché il suo regno è chiamato il regno di tutti i Salmi 145:13 perché come Dio, conoscendo la fine fin dal principio, fissa i periodi o gli stadi dello sviluppo attraverso i quali questo mondo è destinato a passare, modellando tutti gli eventi secondo il suo piacere, e facendo cooperare tutte le cose per il bene di coloro che lo amano

2. Incorruttibile, perché "solo lui ha l'immortalità" 1Timoteo 6:16

3. Invisibile, perché nessuno l'ha mai visto, mentre abita in una luce inaccessibile

4. L'unico Dio, in opposizione ai falsi dèi dei pagani, o alle moltitudini degli angeli, dei principati e delle potenze

2. Considera la dossologia. "A lui siano onore e gloria nei secoli dei secoli".

1 Appartengono già a lui solo

2 Apparterranno a lui per tutta l'eternità

3 Il pensiero della suprema sapienza e misericordia e bontà di Dio nel suo caso conduce a questo devoto riconoscimento. — T.C

17 

Incorruttibile per l'immortale, A.V; solo Dio per il solo Dio saggio, A.V e T.R. Il Re eterno. Il greco ha l'insolita frase, tw basilei twn aijwnwn, "il re dei mondi o delle ere", che non si trova altrove nel Nuovo Testamento, ma si trova due volte nella LXX – RAPC Tobia 13:6,10 – e nella Liturgia di San Giacomo, nell'eujchrxewv e altrove. La frase simile, oJ Qeonwn, si trova anche in Ecclesiasto 36:17. In tutti questi passaggi è abbastanza chiaro che la frase è equivalente a aijwniov, Eterno, come titolo del Signore, come innwn Romani 16:26 . Il genitivo twn aijw è qualitativo. In RAPC Tob 13:6 egli è "il Signore della giustizia", cioè il Signore giusto; e "il Re dei secoli", cioè dell'eternità, cioè "il Re eterno", il Re attraverso tutti i secoli. E nel Versetto 10 si dice: "Benedici l'eterno Re", il quale, ne consegue, come Re, "amerà il miserabile eijv pasav tav geneav tou aijwnov"; e poi segue, nel Versetto 12, "Coloro che ti amano saranno benedetti eijv ton aijwna"; e di nuovo nel Versetto 18, "Benedici il Signore, che ha esaltato Gerusalemme eijv pantav touv aijwnav"; e lo stesso concetto è nella frase: su ei= oJ Qeonwn. Satana, d'altra parte. è oJ qeotou, "il dio di questo mondo" confronta tali passaggi come. Salmi 102:24, 104:31, 105:8, 135:13, 145:13 ; e la dossologia nel Padre Nostro, "Tuo è il regno, la potenza e la gloria, eijv, touv aijwnav" Sembra essere, quindi, abbastanza certo che San Paolo stia qui usando una frase ebraica familiare per "eterno" che non ha nulla a che fare con gli eoni gnostici. Forse nell'uso della frase, basileunwn, possiamo rintracciare un contrasto che passa attraverso la mente dello scrittore tra il potere di breve durata di quell'odioso basileuv, Nerone, dal quale la sua vita sarebbe stata presto tolta, e il regno dell'eterno Re comp. 1Timoteo 6:15,16 Incorruttibile ajfqartw; applicato a Dio anche innov Romani 1:23 , dove, come qui, significa "immortale" oJ mo ecwn ajqanasian, 1Timoteo 6:16 non soggetto alla corruzione della morte, proprio come ajfqarsia è accoppiato con "vita" 2Timoteo 1:10 e opposto a "morte" Cantici d'altra parte, fqora significa "morte". fqartov, "corruttibile". Altrove è applicato a una corona, ai morti risuscitati, all' eredità-ante dei santi, al seme della nuova nascita, alla veste di un cuore santo, che nessuna ruggine o tignola corrompe 1Cor 9:25; 15:52; 1Pietro 1:4,23; 3:4 Invisibile ajoratw; come Colossesi 1:15; Ebrei 11:27 Vedi anche Romani 1:20 ; e 1Timoteo 6:16 ,per il senso La parola è usata da Filone di Dio, e della Parola. Qui è specialmente predicato di Dio Padre, secondo ciò che dice nostro Signore; Giovanni 1:18;6:46;14:9 sebbene alcuni dei Padri, niceno e post-niceno, lo predichino anche della Parola o Seconda Persona Ilario, Crisostomo, ecc.. Ma nella Scrittura si parla del Figlio come della Manifestazione, dell'Immagine eijkwn e carakthr del Padre, attraverso il quale il Padre è visto e conosciuto; ajoratov, quindi, si applica al Padre si veda la nota del vescovo Lightfoot su Colossesi 1:15 L'unico Dio. I migliori manoscritti omettono sofw, che sembra essersi insinuato qui da, Romani 16:26 . La costruzione esatta è: "Al Re eterno, l'Immortale, l'Invisibile, l'unico Dio o, 'che solo è Dio' sia l'onore", ecc. Siate onore e gloria. Un po' variate dalle consuete dossologie di San Paolo, vedi Romani 11:36; Galati 1:5; Efesini 3:21 ; e 1Timoteo 6:16 dove do sta da solo, e ha l'articolo.— Ellicott su Galati 1:5 Inxa Romani 2:10 do e timh sono accoppiati insieme, ma applicati all'uomo. Questa interposizione della dossologia è del tutto alla maniera di San Paolo

18 

Il mio figlio per figlio, A.V; per mezzo di essi tu puoi per mezzo di loro il potere, A.V; il bene per un bene, A.V Questo incarico. L'apostolo riprende ora il filo che aveva lasciato cadere al Versetto 4, e affida solennemente a Timoteo la cura episcopale della Chiesa di Efeso, per la quale gli aveva ordinato di fermarsi a Efeso. Tralasciando la lunga digressione in Versetti. 5-17, il senso suona chiaramente così: "Come ti ho pregato di fermarti a Efeso affinché tu potessi ordinare ad alcuni di non insegnare una dottrina diversa, così ora pongo questo ordine nelle tue mani, secondo le profezie che ti additavano, affinché tu possa combattere la buona guerra secondo il loro tenore". Aggiunge quindi che egli affidò questo incarico a Timoteo, non mero motu, ma secondo le indicazioni dirette dello Spirito Santo, attraverso i profeti della Chiesa, che indicavano Timoteo come la persona che doveva combattere quella buona guerra. Le parole, ina strateuh ejn aujtaiv thn kalhan, potrebbero forse dipendere da tasav ejpi se, nel senso che quelle profezie avevano questo scopo nell'indicare Timoteo, cioè che egli avrebbe potuto combattere la buona guerra, che avrebbe potuto essere posto nella difficile posizione di strathgov, e l'ejn aujtaiv segue un po' più naturalmente in questo caso. Ma forse è meglio prenderli come dipendenti dal paratiqemai. Da loro ejn aujtaiv. Qui ejn può essere o la causae efficiens, indicando che con l'influenza di queste profezie Timoteo avrebbe combattuto la buona guerra, o essere equivalente a kata, "secondo" vedi il 'Lessico' di Schleusner

Versetti 18-20.

L'incarico solenne a Timoteo

L'apostolo qui ritorna al dovere di dirigere Timoteo

È NECESSARIO CHE ANCHE I BUONI MINISTRI SIANO RICORDATI DEI LORO DOVERI E DELLE LORO RESPONSABILITÀ. "Ti affido questo incarico, figlio mio Timoteo".

1. L'accusa può aver indirettamente alluso ai comandi già dati, ma si riferisce immediatamente alla buona guerra in cui egli deve combattere come adempimento della sua vocazione

2. Gli è affidato come un deposito prezioso da custodire e custodire. Com'è ansioso l'apostolo che Timoteo sia fedele alla sua posizione e alle sue responsabilità!

II È UNA COSA SOLENNE INVOCARE IL RICORDO DI PROFEZIE O PIE ANTICIPAZIONI IN AIUTO DI UNA DIFFICILE CARRIERA. "Secondo le profezie che ti hanno preceduto, affinché per mezzo di esse tu potessi fare una buona guerra".

1. L'allusione è alle profezie pronunciate probabilmente dai profeti della Chiesa al momento della sua ordinazione, che predicevano il suo zelo e il suo successo futuri. Tali accenni profetici non erano rari nella Chiesa primitiva. Li rintracciamo a Gerusalemme, Atti 11:27,28 ad Antiochia, Atti 13:1 a Corinto, 1Corinzi 14 a Cesarea Atti 21:8-10

2. Tali profezie avrebbero agito con un potere stimolante e autoprotettivo su un temperamento simile a quello di Timoteo, incline, forse, alla dolcezza e alla timidezza. Lo avrebbero incoraggiato in mezzo ai suoi attuali pericoli e prove a Efeso

3. È una cosa seria deludere le speranze dei pii

III LO SCOPO CONTEMPLATO DAL COMANDO COSÌ COME IL SUO OGGETTO IMMEDIATO. "Che per mezzo di loro", cioè in virtù di essi, "tu potessi fare la guerra, una buona guerra". La figura è familiare con l'apostolo Efesini 6:12; 2Corinzi 10:3, 2Timoteo 2:3

1. La vita cristiana, e soprattutto quella di un ministro, è una buona guerra

1. È buono perché è contro il male: il mondo, la carne e il diavolo;

2. perché è finalizzata al bene degli uomini;

3. perché è per un buon fine, la gloria di Dio

4. Deve essere portato avanti

1. sotto Cristo come Capitano; Ebrei 2:10

2. con vigilanza e sobrietà 1Corinzi 16:13; 1Tessalonicesi 5:6

3. con una durezza duratura; 2Timoteo 2:3,10

4. con abnegazione; 1Corinzi 9:25-27

5. con la preghiera Efesini 6:18

LE ARMI IN QUESTA GUERRA SONO LA FEDE E LA BUONA COSCIENZA. "Mantenere la fede e una buona coscienza. Le due cose devono andare insieme, ma la fede deve necessariamente andare prima. Non si può avere una buona coscienza senza fede, né fede nella sua realtà senza una buona coscienza. Ci deve essere fede nel tuo insegnamento, coscienza nelle tue azioni

1. Fede. C'è "lo scudo della fede". Non è la mera dottrina della fede, ma la grazia della fede. È con questa fede che vinciamo

1 il mondo; 1Giovanni 5:4,5

2 la carne; Galati 5:24

3 il diavolo; 1Giovanni 2:14

4 tutto ciò che si esalta; 2Corinzi 10:5

5 la morte e la tomba 1Corinzi 15:54,55

Una semplice credenza intellettuale non potrebbe produrre tali risultati, perché "i diavoli credono e tremano".

2. Una buona coscienza

1 È buono perché è asperso con il sangue di Cristo Ebrei 9:14

2 Perché aiuta a mantenere la fede nella purezza 1Timoteo 3:9

3 I cristiani dovrebbero cercare l'approvazione della loro coscienza in ogni cosa Atti 24:16

4 La sua testimonianza dovrebbe essere fonte di gioia 2Corinzi 1:12; 1Giovanni 3:21

5 I ministri devono sempre raccomandarsi alla coscienza del loro popolo 2Corinzi 4:2

V IL DOLOROSO NAUFRAGIO DELLA COSCIENZA. "Che alcuni, avendo deposto riguardo alla fede, hanno fatto naufragio". La figura è nautica. Quando il carico o la zavorra di una buona coscienza viene gettato in mare, la nave diventa ingovernabile e naufraga facilmente. "Alcuni" a Efeso soffocarono risolutamente gli ammonimenti della coscienza, e così trasformarono la fede in una mera questione di speculazione, senza alcuna influenza sulla loro pratica

1. Queste persone hanno fatto naufragio della dottrina della fede; poiché sostenevano che la risurrezione è già passata 2Timoteo 2:18

2. Se hanno fatto naufragio della grazia della fede, potrebbe non essere stato un naufragio totale; poiché la disciplina imposta loro dall'apostolo era per la salvezza dello spirito, "non per la distruzione della carne" 2Corinzi 5:5

3. Il metodo dell'apostolo di trattare con questi cavalieri. "Di cui Imeo calpestò Alessandro; che ho consegnato a Satana, affinché sia loro insegnato a non bestemmiare".

1 Imeneo era quasi certamente lo stesso che si opponeva a una futura risurrezione; 2Timoteo 2:17 e Alessandro era probabilmente, ma non così certamente, lo stesso Alessandro il ramaio, 2Timoteo 4:14 che era un risoluto nemico personale dell'apostolo

2 L'apostolo li consegnò a Satana, che sembra aver incluso

a una scomunica solenne dalla Chiesa, effettuata senza dubbio dalla Chiesa per ordine dell'apostolo;

b l'inflizione di malattie fisiche. Casi dell'esercizio di questo terribile potere apostolico sono quelli di Anania e Saffira, di Elima e della persona incestuosa di Corinto

3 Non era una sentenza irrevocabile, perché la sua remissione dipendeva dal ritorno dei trasgressori alla fede e al pentimento. "Affinché siano ammaestrati mediante il castigo a non bestemmiare". Il progetto era il recupero dei trasgressori; ma né questa Epistola né la successiva gettano alcuna luce sull'effetto finale della severa disciplina inflitta dall'apostolo. — T.C

Versetti 18-20.

Ricorrenza a Timoteo

1. L'accusa. "Ti affido questo incarico, figlio mio Timoteo, secondo le profezie che ti hanno preceduto, affinché per mezzo di esse tu possa combattere la buona guerra; mantenendo la fede e una buona coscienza". Il riferimento sembra risalire al Versetto 3, che, seppur distante, è l'unica carica che è stata definita, vale a dire. l'incarico fu dato a Timoteo, di ordinare a certi uomini di non insegnare una dottrina diversa, né di prestare attenzione a favole e genealogie infinite. Ciò comportò il suo entrare in contatto con questi uomini, e così viene naturalmente introdotta l'idea della guerra, Egli doveva cogliere la sua opportunità a Efeso di combattere la buona guerra. "Cavalierato" è la parola di Lutero, e il suggerimento è l'intero servizio in guerra che è richiesto a un buon cavaliere cristiano, come egli vorrebbe che fosse il giovane Timoteo. È la buona guerra; poiché non si tratta di una semplice storia d'amore, ma di una guerra contro tutte le forme di peccato, una guerra nel nome del Salvatore e con il Suo vangelo, e una guerra che ha la promessa di successo. Per richiamare le qualità cavalleresche di Timoteo, Paolo richiama le profezie che lo precedettero. Questi erano fondati sulle buone speranze che egli suscitava negli uomini buoni, quando cominciava a mostrare le sue qualità; Non deve deludere queste buone speranze. Come profezie, o pronunciate sotto l'ispirazione dello Spirito prima o al momento della sua introduzione nell'ufficio, dovevano essere prese come un'indicazione divina che egli stava per svolgere il suo lavoro appropriato. Potrebbero anche, possiamo credere, indicare il duro lavoro che, da buon cavaliere, non avrebbe avuto paura di affrontare. Così, usando le profezie, esse sarebbero state per lui un aiuto divino; sarebbero stati come l'amore di cui era vestito. Specialmente, però, in vista di ciò che seguirà, l'apostolo avrebbe fatto capire in lui l'importanza di mantenere fede e una buona coscienza. Le profezie, espressioni di buona opinione, sono utili solo nella misura in cui ci aiutano ad afferrare con fede la grande Fonte di forza, nella quale sola possiamo mostrare tutta l'attività e la resistenza dei cavalieri. Sono anche utili, solo se non permettiamo loro di sedurci a separarci da una buona coscienza, dal nostro io migliore, quel controllo interiore che di momento in momento ci indica il nostro dovere, e nella cui approvazione possiamo sentire di avere l'approvazione di Dio

2. Attenzione. "Alcuni, avendoli cacciati di dosso, fecero naufragio riguardo alla fede: tra i quali Imeneo e Alessandro; che ho consegnato a Satana, affinché sia loro insegnato a non bestemmiare". Per l'avvertimento di Timoteo, Paolo addita gli eretici. Invece di mantenere la fede e la buona coscienza, questi allontanano da loro, come gli uomini, con una certa violenza, mettono via qualcosa di sgradevole. Misero da parte il loro più vero amico, come farebbero con un creditore fastidioso. Il risultato fu che fecero naufragare la loro fede. Gettando via tutto ciò che era necessario per guidarli, tutto ciò che serviva da carta, bussola, timone, fecero naufragio riguardo alla fede in Cristo, venendo così a mancare della vita eterna. Che disastro, specialmente per coloro che sembravano iniziare bene il viaggio della vita! L'insegnamento dell'apostolo è suggestivo riguardo alle cause dell'eresia. "Come l'incredulità porta quasi sempre a un'immoralità più grossolana o più raffinata, così non di rado inizia da un terreno immorale, almeno quando la fede esisteva prima di Romani 1:21 Questa è una profonda verità mentale; perché è fin troppo comune rappresentare la fede o l'infedeltà come una questione di opinione astratta". La serietà nella vita porta a un'opinione corretta, Giovanni 7:17 ,mentre l'indifferenza morale fa sì che il Nostro interesse sia dubitare. Le eresie hanno una genesi morale segreta che un giorno sarà resa chiara. Qui sono menzionati due eretici notevoli: Imeneo e Alessandro. In 2Timoteo 2:17 Imeneo è associato a Fileto in questo, che il loro insegnamento mangiava come un cancro. Lui e Alessandro, non il ramaio di 2Timoteo 4:14 , sono qui indicati come se fossero stati consegnati a Satana. Questo sembra un linguaggio forte a noi che non abbiamo nulla che ci impressioni nella forma di tale disciplina apostolica nel nostro tempo. È giustamente considerato come "una forma di scomunica cristiana, che dichiara che la persona è ridotta allo stato di pagano, accompagnata dall'inflizione autorevole di malattie fisiche o morte". In questo caso l'inflizione della punizione era in vista della riforma. Non c'era nulla che impedisse loro di essere accolti di nuovo nella Chiesa cristiana. La loro libertà vigilata non era terminata; C'era motivo di trattare ulteriormente, e ciò che era adatto al loro caso era il duro. cui si fa riferimento. Meglio che gli uomini siano scomunicati - potere di cui la Chiesa è ancora investita - meglio che gli uomini siano colpiti da malattie, piuttosto che rimangano in uno stato di indifferenza religiosa o siano diffusori di errore.

19 

Cacciati da loro per essere messi via, A.V; fatti naufragio riguardo alla fede, perché riguardo alla fede hanno fatto naufragio, A.V. Cacciati da loro. L'aggiunta "da loro" ha lo scopo di dare la forza della voce media come inqomai Atti 7:39 , A.V Il verbo ajpw ricorre Atti 7:27,39; Romani 11:1,2 . È un'espressione forte, che qui implica la resistenza volontaria alla voce della coscienza. La forma ajpwqe-eomai si trova in Atti 13:46 , e frequentemente nella LXX che hn si applica solo alla buona coscienza. Da qui l'importante lezione che le deviazioni dalla vera fede sono precedute da violazioni della coscienza. Il modo più sicuro per mantenere una fede pura è quello di mantenere una coscienza buona e tenera comp. 1Timoteo 2:9; Giovanni 7:17 La fede. Non è affatto certo che hJ pistiv qui significhi "la fede" piuttosto che "fede" soggettività. Sia la grammatica che il senso ammettono ugualmente la traduzione "fede", riferendosi ai diademi precedenti. Per la frase, peri thstin, "rispetto a", comp. 1Timoteo 6:4; 2Timoteo 2:18; Tito 2:7

OMELIE DI R. FINLAYSON

versetto 19.

Relitto umano

"Alcuni hanno fatto naufragio". Le parole suonano in modo diverso per uomini diversi. Il linguaggio è una "parola-immagine", e dobbiamo vedere i fatti prima di capire la parola. Paolo sceglie una metafora applicata al personaggio, che è così terribile se applicata ai disastri in mare. Molte belle imbarcazioni hanno catturato lo sguardo degli spettatori ammirati mentre spiegavano le vele alla brezza favorevole e solcavano le acque come una cosa di vita. Ma, su un'altra riva, le sue travi tremanti e la sua prua spezzata sono state spazzate via come il relitto di una nave un tempo valorosa, il suo nome mezzo deturpato è l'unica testimonianza del suo destino. Cantici Paolo aveva visto uomini naufragare a causa dell'autoindulgenza, del vizio e della follia. Paolo associava la perdita di carattere alla perdita di fede. "Mantenere la fede e una buona coscienza; che alcuni, avendo sparso lanugine, hanno fatto naufragio".

A VOLTE IL NAUFRAGIO ARRIVA PROPRIO ALL'INIZIO DEL VIAGGIO. La nave lascia appena il fiume che si incaglia. C'è stata troppa fiducia in se stessi, e il Pilota Divino non ha avuto la nave in mano

II NAUFRAGIO A VOLTE AVVIENE ALLA FINE DEL VIAGGIO, quando la nave è quasi a casa, quando dalla testa d'albero la terra era quasi in vista. Ma l'orologio non è stato conservato. Nel viaggio della vita possiamo avere la croce sulla bandiera, e la carta in cabina, e la bussola sul ponte; ma noi dormiamo, come gli altri, e naufraghiamo con la terra quasi in vista

IL NAUFRAGIO COLPISCE GLI ELEMENTI PIÙ ELEVATI DEL NOSTRO ESSERE. "Una buona coscienza", il pasto più dolce a cui un uomo si sia mai seduto! La musica più sublime, che nessun Beethoven o Mendelssohn può avvicinare! L'eredità più nobile per la quale un Mosè avrebbe potuto sacrificare l'Egitto! Una coscienza purificata dal sangue di Cristo, illuminata dalla Parola di Dio e vivificata dallo Spirito Santo. "Una buona coscienza!" La ricchezza non può comprarla, l'invidia non può rubarla, la povertà non può nuocerla e nient'altro che il peccato può privarla della sua corona. È la forza della sopportazione del confessore, la lucentezza del volto del sofferente, la pace del cuore del martire. "Una buona coscienza". Naufragate e tutto sarà perduto, e il sole del firmamento morale tramonterà nelle tenebre.

20 

Consegnato per aver consegnato, A.V; potrebbe essere insegnato per può imparare, A.V Imeneo; probabilmente lo stesso che è menzionato 2Timoteo 2:17,18 , come sostenere una dottrina eretica riguardante la risurrezione, contro il rovesciamento della fede di alcuni. È un nome non comune, anche se portato da un vescovo di Alessandria nel secondo secolo e da un vescovo di Gerusalemme nel terzo. Alessandro; senza dubbio lo stesso di "Alessandro il ramaio" di 2Timoteo 4:14 . Ho consegnato a Satana. I passaggi della Scrittura che gettano luce su questa difficile frase sono, principalmente, i seguenti: il passaggio quasi identico, 1 Corinzi Giobbe 1:12;2:6,7; Luca 13:10; Atti 5:5,10;10:38;13:11; 1Corinzi 11:30; 2Corinzi 12:7 ; e, Ebrei 2:14 . Mettendo insieme queste cose, sembra che la malattia, l'infermità fisica e la morte siano, entro certi limiti, in potere di Satana. E che gli apostoli furono in grado, nelle occasioni opportune, di consegnare i membri della Chiesa a questo potere di Satana, affinché mediante tale disciplina "lo spirito potesse essere salvato". Nel caso di Imeneo e di Alessandro, come in quello della persona incestuosa a Corinto, la punizione avvenne in seguito a questa consegna a Satana sembrerebbe essere stata breve o la morte, ma nella facilità dei primi due non ebbe l'effetto di portarli a un vero pentimento. Potrebbe essere insegnato paideuqwsi; cioè con la correzione e la punizione, come si insegnano ai bambini Ebrei 12:6-8 La metafora nella parola kolafizein 2Corinzi 12:7 è simile

Commentario del Nuovo Testamento:

1Timoteo 1

1 

IL SALUTO

1Timoteo 1:1-2.

Il breve preambolo contiene i tre elementi soliti a trovarsi nelle altre lettere di Paolo, secondo l'uso epistolare antico, cioè:

a) la designazione dell'autore della lettera;

b) la designazione del destinatario;

c) il saluto che l'autore gli rivolge.

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per ordine di Dio, Salvator nostro, e di Cristo Gesù nostra speranza.

Si è trovato strano che Paolo, scrivendo ad un suo giovane collaboratore, mentovi, in modo così esplicito, il proprio ufficio apostolico. Ma la lettera a Timoteo, per quanto individuale, non è però di carattere privato, come quella a Filemone. Paolo la scrive in adempimento del suo ufficio apostolico, ad uno ch'egli ha delegato a reggere, per un tempo, la chiesa di Efeso, e vi tratta, non di cose private, ma del modo di condurre la chiesa di Dio. "Non l'amico all'amico, nè il maestro al discepolo, scrive, ma l'apostolo rivestito di autorità al suo delegato" (Beck).

Parlando della sua vocazione, in altre Epistole, Paolo si dice apostolo "per la volontà di Dio" mentre qui e nell'Epistola a Tito adopera l'espressione più forte: secondo l'ordine, od il comandamento di Dio. L'ordine è l'espressione della volontà. Nelle narrazioni della chiamata di Paolo in Atti 9:22,26. troviamo delle parole che ricordano quella della nostra Epistola: "Va' a Damasco, e quivi ti si parlerà di tutto ciò che ti è ordinato di fare" Atti 22:10. L'epiteto di Salvatore dato a Dio ritorna in 1Timoteo 2:3-4; 4:10; Tito 1:3; 2:10; 3:4; Giuda 1:25; Luca 1:47 nel Cantico di Maria. La versione dei LXX lo contiene varie volte. Dio è salvatore non solo perchè conserva e protegge; ma perchè Egli è l'iniziatore della salvazione ed il compitore di essa per mezzo di Cristo. Nel passo di S. Giuda si legge: "a Dio solo, salvator nostro per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore". Se in altri scritti di Paolo il titolo di Salvatore è riservato a Cristo, l'idea che Dio è il primo autore della salvazione vi si trova espressa in varie guise. "Tutte le cose procedono da Dio, il quale ci ha riconciliati con sè per mezzo di Cristo... Dio era in Cristo riconciliando il mondo con sè..." 2Corinzi 5:18-19; cfr. Romani 5:8; 8:28-39; Efesini 2:1-8; Giovanni 3:16.

L'ordine divino che chiama Paolo all'apostolato procede ugualmente da Dio Padre e dal suo Figliuolo Gesù Cristo o, più precisamente, procede da Dio per mezzo di Cristo ch'è il rivelatore e l'agente di Dio. Cristo è chiamato la nostra speranza come in Efesini 2:14 è chiamato la "nostra pace", non solo perchè egli ha posto in luce, nel suo insegnamento e nella sua persona stessa, la gloriosa speranza dei figli di Dio, "la vita e l'immortalità" 2Timoteo 1:10; ma soprattutto perchè, colla sua morte espiatoria, colla sua risurrezione ed ascensione, col suo regno alla destra del Padre, egli è il fondamento saldo, la garanzia della speranza cristiana. Se Cristo non fosse risuscitato, vana sarebbe la nostra fede, saremmo ancora nei nostri peccati e coloro che sono morti in Cristo sarebbero perduti. Ma ora, Cristo è risuscitato dai morti, primizie di coloro che dormono 1Corinzi 15:16-22. Cristo nei credenti è, per loro, "la speranza della gloria", come dice Paolo stesso Colossesi 1:27. Uniti a lui, per fede, muoiono con lui al peccato, risuscitano con lui a vita nuova e con lui regneranno. In vari passi Cristo è presentato pure come l'oggetto della speranza. "Esser sempre col Signore", partir dal corpo "per andare ad abitar col Signore" è l'aspettazione suprema dei fedeli; bramano perciò "di partire e d'essere con Cristo", perché ciò è, per loro, meglio assai 1Tessalonicesi 4:17; 2Corinzi 5:8; Filippesi 1:23. Quando apparirà saranno simili a lui perchè lo vedranno qual egli è 1Giovanni 3:2. Nel pensiero di Dio Salvatore e di Cristo speranza nostra dovea l'apostolo "trovare il conforto di cui abbisognava il suo cuore, allorché giunto allo scorcio della vita, stanco del suo correre e faticare e soffrire, non potea se non sospirare dietro alla liberazione finale" (Bonnet).

2 A Timoteo [mio] figlio genuino nella fede.

Per i dati biografici relativi a Timoteo vedasi l'Introduzione. Paolo lo chiama suo figlio perch'egli era stato l'istrumento di cui Dio si era servito per la conversione del giovane Listrese nel corso del primo gran viaggio missionario. In fede indica il dominio nel quale Paolo può dirsi padre di Timoteo: il dominio della vita spirituale per opposizione a quello della vita psichica e fisica (cfr. Tito 1:4). Paolo l'avea "generato in Cristo Gesù mediante l'Evangelo" 1Corinzi 4:15 e lo chiama genuino, ch'è l'opposto di spurio, per la certezza ch'egli ha della sincerità e realtà della fede di lui 2Timoteo 1:5. Lo chiama nella 1Corinzi 4:17 il "suo figlio diletto e fedele nel Signore" e nell'Epistola ai Filippesi 2:19-23 dice: "Non ho nessuno d'animo pari al suo... tutti cercano il proprio non quello di Cristo...; egli ha servito con me nell'Evangelo come un figlio serve al padre..." Oramai l'apostolo aveva veduti molti discepoli della prima ora allontanarsi o raffreddarsi; Timoteo non ha mutato ed a Paolo è dolce il poter riporre intera la sua fiducia in lui.

Grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù nostro Signore.

Al saluto ordinario implorante grazia e pace sui destinatari delle sue lettere, Paolo aggiunge qui, come 2Timoteo 1:2 (cfr. 2Giovanni 3. e Giuda 2), la parola misericordia. 'Grazia' indica, in modo generale, ogni favore di Dio al peccatore; 'misericordia' è la compassione verso chi trovasi in necessità, in debolezza, in prove speciali. "Il cielo s'è fatto oscuro e minaccia tempesta; il compito dei conduttori della Chiesa diventa sempre più grave; hanno bisogno, non solo della pace divina, ma di tutte le tenerezze della celeste compassione" (Godet). 'Pace' è la calma dell'anima derivante dalla certezza della grazia e della misericordia di Dio in Cristo. Dice Oosterzee: "Possiam chiamar la grazia il sommo bene per il colpevole; la misericordia per il sofferente e la pace per il travagliato discepolo del Signore". Questa tirade armonica comprende tutte le benedizioni spirituali che il cristiano deve domandare per sè e per i suoi fratelli.

AMMAESTRAMENTI

1. Quando Paolo considera l'ufficio apostolico cui Dio lo ha chiamato confrontandolo con quel ch'egli era stato prima della sua conversione, egli lo considera come una grazia insigne. "Io sono il minimo degli apostoli, egli scrive, non son degno d'esser chiamato apostolo, perchè ho perseguitata la chiesa di Dio. Ma per la grazia di Dio sono quel che sono" 1Corinzi 15:9. Ma quando si trova di fronte ad avversari che mettono in dubbio la legittimità del suo apostolato, egli insiste sul fatto dell'essere egli apostolo non per volontà d'uomini ma per volontà di Dio (Galati Cor.). Verso la fine della carriera, allorquando si moltiplicano gli attacchi e le insidie contro all'Evangelo, egli si considera volentieri come il soldato che ubbidisce all'ordine del suo celeste Capitano. Di fronte a situazioni gravi, a doveri penosi, od a pericoli, c'è un conforto nella certezza che siamo al posto ove il comando di Dio ci ha collocati avvenga quel che può.

2. Essere agli ordini di Dio onnipotente, sapientissimo e santo, rende l'ubbidienza doverosa sempre; ma la rende dolce il sapere che Colui che ordina è il Dio Salvatore per mezzo di Cristo ch'è la nostra speranza. Il giogo di Colui ch'è salvezza e speranza nostra non può esserci grave; l'amor riconoscente lo farà lieve. Salvezza certa procedente da Dio, speranza sicura e gloriosa fondata su Cristo e da lui garantita, possono sole dare pace ed allegrezza all'anima. Esser "senza Dio e senza speranza" è tal misero stato che spegne ogni entusiasmo e fuga dal cuore ogni canto.

3. La relazione spirituale formata tra due creature umane dalla comunanza di fede è più profonda e duratura di qualunque altra, perchè è unione di spiriti e non di corpi, è unione che ha principio sulla terra, ma non termina colla morte fisica. Paolo e Timoteo sono uniti in Dio per sempre. Essi ci mostrano quanto amorevoli possano essere le relazioni tra padre e figlio spirituali; quanto proficua sia l'amicizia fra due cristiani anche separati dall'età o dal temperamento, che si completano e si aiutano a vicenda. Ci fanno del pari intendere quanto savia cosa sia il collocare gli operai più giovani ed inesperti accanto ai più provetti onde possano dall'esempio e dai consigli di questi apprendere a reggere, come si conviene, una chiesa. Gli antichi Valdesi, seguendo l'esempio di Cristo, mandavano i loro missionari a due a due, accoppiando al "regidor" più anziano un coadiutore più giovane.

4. I ministri al par degli altri credenti, anzi più degli altri, hanno bisogno di grazia, di misericordia e di pace da Dio Padre e dal Signor Gesù Cristo. Le devono implorar essi stessi e le devono, su loro, implorare i fedeli.

3 

PARTE PRIMA

ISTRUZIONI CIRCA I DOTTORI GIUDEO-GNOSTICI

1Timoteo 1:3-20

Nel suo discorso agli anziani d'Efeso, in Mileto (anno 59), Paolo aveva lor raccomandato di badare a se stessi ed a tutto il gregge sul quale lo Spirito Santo li avea stabiliti sorveglianti per pascere la chiesa di Dio; e, come motivo speciale di vigilanza, avea soggiunto: "Io so che dopo la mia dipartenza entreranno fra voi lupi rapaci che non risparmieranno la greggia e d'infra voi stessi sorgeranno degli uomini che diranno cose storte per trarre dietro a sè i discepoli" Atti 20:29-30. Quando Paolo, dopo un'assenza di almeno cinque anni potè rivedere Efeso (o per lo meno l'Asia proconsolare) egli dovette costatare che la sua previsione si era avverata e che la chiesa della capitale asiatica cominciava ad essere travagliata da insegnamenti destituiti di verità e di pratica utilità religiosa. A tener lontani i pericoli derivanti da siffatto insegnamento, Paolo ha esortato Timoteo a rimanere in Efeso alla testa della chiesa e su quel punto, prima che su altri, egli vuol dare istruzioni al suo delegato.

In 1Timoteo 1:3-7 abbiamo l'ingiunzione che Timoteo deve fare ai sedicenti dottori della legge che insegnano cosa diversa dal Vangelo.

In 1Timoteo 1:8-11 Paolo accenna al retto uso da farsi della legge.

In 1Timoteo 1:12-17 a mo' di contrapposizione all'insegnamento frivolo dei dottori efesini, l'apostolo ricorda il glorioso Evangelo della grazia a lui affidato e di cui, per il primo, ha sperimentato la salutare efficacia.

Infine, in 1Timoteo 1:18-20, Paolo invita Timoteo, chiamato anch'esso ad esser banditore del Vangelo, a combattere la buona guerra con retta coscienza.

L'ingiunzione ai sedicenti dottori della legge: 1Timoteo 1:3-7.

Io ti esortai, quando mi recai in Macedonia, a rimanere in Efeso, affinchè tu ingiunga a taluni di non insegnare una dottrina diversa.

La frase greca principia con un Siccome io ti esortai..., e dovrebbe terminarsi con un Così ti esorto a fare anche ora. Ma Paolo, sospinto dalla foga dei pensieri, la lascia incompiuta. L'intento suo nello scrivere a Timoteo è di ribadire e completare le istruzioni date a voce al suo giovane collaboratore affinchè la lettera, oltre al servirgli di guida, lo accrediti presso alla chiesa qual delegato dell'apostolo e presti alle istruzioni in essa contenute la necessaria autorità. Stando al senso più piano della frase, Paolo ha dovuto trovarsi con Timoteo in Efeso; ma non potendo fermarsi abbastanza per dare alla chiesa le cure che lo stato di essa richiedeva, egli partì per la Macedonia ove lo chiamavano necessità a noi non note; ma insistè presso il suo figlio genuino sulla necessità ch'ei rimanesse indietro a reggere la chiesa di Efeso. Come osservammo nell'Introduzione, la situazione storica qui supposta non corrisponde con quella descritta Atti 20:1. Allora, Paolo partì bensì solo da Efeso per la Macedonia, ma invece di lasciare indietro Timoteo, ei lo aveva mandato innanzi Atti 19:22 ed infatti colà lo troviamo, poco appresso con Paolo 2Corinzi 1:1. Invece di pensare ad un prossimo ritorno in Efeso (cfr. 1Timoteo 3:14), egli aveva allora in animo di recarsi a Gerusalemme e poi in Occidente. Inoltre, nel discorso tenuto agli anziani d'Efeso nel 59, egli accenna all'invasione di dottrine malsane come a cosa futura, non presente E se non corrisponde alla fine del soggiorno di Paolo in Efeso, la situazione storica presupposta dal v. 3 risponderà meno ancora ad una ipotetica assenza di Paolo nel corso dei tre anni ch'egli afferma di aver consacrati alla fondazione ed allo sviluppo della chiesa efesina Atti 20:31. L'Epistola ci pone di fronte ad una chiesa che non è più nel periodo di fondazione. In mancanza di dati positivi, è assai più verosimile l'ipotesi secondo la quale Paolo, liberato da una prima prigionia romana, si sarebbe, secondo l'intenzione manifestatane nelle Epistole della cattività Filippesi 1:25; 2:24; Filemone 22, recato in Oriente per raffermar le chiese, riservando a più tardi la progettata missione in Ispagna. Nel corso del viaggio in Oriente egli avrebbe toccato Creta, poi l'Asia proconsolare, quindi la Macedonia ove avrebbe redatte le istruzioni destinate a Tito ed a Timoteo (prima Ep.).

Il primo dovere di Timoteo in Efeso era di procacciare che la chiesa fosse nudrita di sana dottrina; quindi dovea bandire l'insegnamento di certe persone di cui Paolo aveva avuto notizia e che si scostava dalla verità. L'apostolo si serve qui di una parola coniata per casi simili e che non s'incontra se non in 1Timoteo 6:3, per quanto se ne trovino di analoghe in Tito 2:3, 2Corinzi 6:14. Il composto ετεροδιδασκαλειν significa insegnare diversamente o dare un insegnamento diverso, e s'intende diverso, non per il modo soltanto, ma per la sostanza, da quello che Paolo avea dato alla chiesa, e ch'egli chiama la sana dottrina. "Se alcuno insegna diversamente, dice egli a 1Timoteo 6:3, e non si attiene alle sane parole del Signor nostro G. C. e alla dottrina ch'è secondo pietà, è gonfio, non sapendo nulla, ma languendo intorno a questioni e dispute di parole". A costoro Timoteo deve, coll'autorità dell'ufficio ch'egli copre, ingiungere di mutar strada.

4 La tendenza dell'insegnamento in questione è indicata dalle parole che seguono:

e di non attendere a favole e genealogie senza fine, le quali mettono innanzi delle questioni curiose anzichè la dispensazione di Dio ch'è in fede.

Cosa sono questi miti o favole, e queste genealogie senza fine? Che fossero di provenienza giudaica appare abbastanza certo. Coloro che ne erano gli spacciatori in Efeso si vantano dottori della legge mosaica 1Timoteo 1:6. In Tito 3:14 si parla di "favole giudaiche" (cfr. 1Timoteo 3:9) e non c'è ragione di credere che le "favole" dell'Epistola a Tito fossero diverse da quelle della 1Timoteo, tanto più che hanno gli stessi caratteri: sono "profane e da vecchiarelle" 1Timoteo 4:7 "ciancie" 1Timoteo 1:6 "favole composte artificiosamente" 2Pietro 1:16 per opposizione alla verità, ai fatti storicamente attestati. Si trattava verosimilmente di leggende del genere di quelle che si leggono nel Talmud, o nei Vangeli apocrifi intorno alla nascita, all'infanzia, alla discesa agli inferi di Gesù. Nelle genealogie senza fine s'è veduta un'allusione alla passione giudaica delle genealogie dei personaggi celebri, od ancora un'allusione alla smania di trovar dei sensi allegorici nelle genealogie registrate nell'Antico Testamento. Solo non s'intende bene perchè si chiamerebbero "senza fine". Fin dai tempi d'Ireneo e di Tertulliano vi si è scorta un'allusione alle serie delle successive emanazioni degli spiriti dalla divinità, immaginate dai sistemi gnostici del II e III secolo. Ma quei sistemi erano avversi al giudaismo e non furono svolti che in tempi posteriori. Altri hanno pensato alle genealogie degli ordini diversi degli angeli di cui si occupavano i libri segreti degli Esseni ed alle quali parrebbe alludere il passo Colossesi 2:18. È difficile, allo stato attuale delle ricerche, il decidere di che sorta precisamente fossero queste genealogie. Probabilmente si trattava di speculazioni senza limite e senza freno, non fondate nè sulla ragione nè sulla rivelazione, campate in aria da menti giudaiche avide di spaziare nei campi dell'ignoto o di dare al problema dell'origine delle cose delle soluzioni nuove. I primi tentativi gnostici si connettono d'altronde al giudaismo decadente. Un tale insegnamento, privo di ogni base sicura e di pratica utilità non faceva che mettere innanzi alle menti dei fedeli delle questioni o ricerche curiose ( εκζητησεις è la lezione dei Codd. alef A, accettata dalle edizioni critiche), invece di rivolgere tutta la loro attenzione sulla dispensazione di Dio ch'è in fede. Tale il senso del testo emendato il quale invece di οικοδυμην (edificazione) legge οικονομιαν (dispensazione). Vero è che il greco economia significa pure "amministrazione"; per cui alcuni l'intendono qui dell'amministrazione dei misteri di Dio affidata ai ministri del Vangelo 1Corinzi 4:1-2; 9:17; Efesini 3:2; Colossesi 1:25; Tito 1:7; 1Pietro 4:10. Il parlar di favole e di genealogie non è un mostrarsi fedeli economi di Dio. Tuttavia, il verbo παρεχειν (fornire, presentare) mal si adatta a un tal senso. Meglio quindi intendere l'economia di Dio della dispensazione di cui Dio è l'autore, e che abbraccia il disegno eterno della salvezza, i mezzi da Dio disposti per effettuarla nella persona e nell'opera di Cristo, nonchè le condizioni morali da cui è fatta dipender la salvazione. (Cfr. Efesini 3:9-10). Chi pasce le anime di favolose speculazioni mette innanzi a loro delle questioni curiose, materia di dispute, senza efficacia salutare, invece di esporre loro il disegno di Dio per la salvazione, disegno ch'è divenuto realtà certa in Cristo e che, accettato con fede, è potenza di Dio a salvezza. La dispensazione di Dio è in fede perchè basata sulla fede come condizione morale della sua efficacia. Siamo salvati per la grazia di Dio in Cristo; ma per mezzo della fede che si appropria il dono di Dio.

5 Ora il fine di questa ingiunzione è una carità procedente da un cuor puro, da una buona coscienza e da una fede non finta.

La voce παραγγελια che rendiamo "ingiunzione" è da altri tradotta con termine più generico: "comandamento" e applicata sia alla legge mosaica di cui Paolo scrive: "L'adempimento della legge è l'amore" Romani 13:10, sia all'insegnamento morale del Vangelo che ha per norma suprema l'amore. Ma il termine qui usato designa sempre nel N.T. un ordine, una ingiunzione definita come a 1Timoteo 1:18 e questo in armonia col senso costante, anche nelle Epistole pastorali, del verbo da cui deriva (Atti 5:28; 16:24; 1Tessalonicesi 4:2; 1Timoteo 1:18. Cfr. 1Timoteo 1:3; 4:11; 5:7; 6:13,17). È da notare inoltre che l'ingiunzione del nostro versetto non fa che riprendere l'"ingiungere" di 1Timoteo 1:3 e che 1Timoteo 1:18 vi alluderà nuovamente: "Questa ingiunzione io ti faccio..." Paolo vuol dunque dire: Il fine cui mira l'ingiunzione che tu devi fare a coloro che danno un insegnamento non sano è un fine alto e pratico, affatto opposto al risultato del loro insegnamento. Si tratta non solo di porre fine a vane dispute, ma di ricondurre tutti sulla via regale della verità che li menerà al più alto ideale della vita cristiana, l'amore ch'è il "legame della perfezione". A nessun fine più elevato può mirare il ministro del Vangelo, nelle sue fatiche, che a quello di suscitare e di nutrire nei cuori il vero amore cristiano. Ma l'amore genuino verso Dio e verso il prossimo non nasce e non si sviluppa se non in un terreno adatto. Deve procedere da ( εκ) un cuor puro, mondo di motivi egoistici e di passioni carnali, rinnovato dallo Spirito di vita. Se non è purificato il cuore ch'è la fonte della vita, come sarà puro e sincero l'amore che ne deve sgorgare? Deve procedere da una buona coscienza il che, nelle Epistole pastorali, non significa tanto una coscienza liberata dal peso delle colpe passate, per fede nel sangue di Cristo Ebrei 9:14; 10:2; ma piuttosto una coscienza retta, conscia della rettitudine e sincerità con cui si sforza di praticare il bene conosciuto e di fuggire il male (Cfr. 1Timoteo 1:19; 3:9; 4:2; 2Timoteo 1:3; Tito 1:15). L'amor cristiano non può mantenersi e crescere che nell'atmosfera ossigenata della rettitudine e della santità. Dov'è interna duplicità, mancanza di onestà morale, esso intisichisce. Deve procedere da una fede non finta, sincera, che unisce l'anima al Dio dell'Evangelo ch'è Dio di amore e di santità. Una fede non reale e viva, non ha potere vitale; è fede morta e quindi non è di quella che manifesta la propria energia per mezzo dell'amore Galati 5:6. Per la fede in Cristo è stata una volta recata pace alla coscienza e rinnovato il cuore; lo sforzo costante del cristiano deve tendere a mantenere senza offesa la coscienza e puro il cuore affinchè sopra un albero sano possa maturare il frutto dell'amor cristiano. Dove cotesto sforzo manca, la vita spirituale non si svolge normalmente.

6 Dalle quali cose alcuni, avendo deviato, si sono volti alle ciancie.

Il verbo che rendiamo, col Martini, deviare da, significa fallire il segno, la meta, ed in senso più largo perderla di vista, allontanarsene, uscire dalla via che conduce al fine 1Timoteo 6:21; 2Timoteo 2:18 .Chi perde di vista la meta suprema della vita cristiana e si scosta dalla via che vi conduce, trascurando la purità del cuore, la rettitudine della coscienza, la sincerità della fede, prenderà facilmente quella del vano parlare, delle ciancie intorno a questioni curiose, senza utilità pratica, che trastullano la mente, e non esigono sforzo morale di santificazione. Tale era il caso di alcuni efesini.

7 Volendo essere dottori della legge, [e] non intendendo nè le cose che dicono, nè le cose intorno alle quali fanno delle grandi affermazioni.

Coloro che in Efeso si scostavano dalla dottrina apostolica si spacciavano per dottori della legge di Mosè, ma senza possederne i requisiti. Non risulta che volessero come i giudaizzanti di Antiochia o di Galazia fare dell'osservanza della legge la condizione della salvezza, ma essi davano della legge, del Pentateuco e forse dell'A.T. intero, delle spiegazioni strambe, di cui non misuravano neppure essi la portata; affermavano come certe delle cose nate nel loro cervello e che neppure intendevano. Di coloro che mettono le loro speculazioni al posto della rivelazione del Signore, Paolo dice a 1Timoteo 6:3 che sono "gonfi di vanità e non sanno nulla" qualificando falsa la loro vantata scienza. Il buon dottore, osserva il Bengel, deve in pari tempo intendere ciò ch'egli insegna ed esserne certo.

AMMAESTRAMENTI

1. Per il bene della Chiesa il ministro può essere chiamato ad accettare un compito dinanzi al quale ei trema, sentendosi debole: un compito che richiede da lui il sacrificio di molte cose preziose e care come potevano essere al giovane Timoteo la società del suo padre spirituale.

2. La Chiesa cristiana è nata dalla predicazione della verità evangelica; la professione, la difesa e lo spargimento della verità nel mondo sono la ragione della sua esistenza. Una chiesa che non avesse un credo positivo come bandiera cesserebbe dall'essere una società religiosa e verrebbe a confondersi colla società civile. Gli apostoli intesero la chiesa come società dei credenti nell'Evangelo; quindi non tollerarono nel suo seno l'assoluta libertà d'insegnamento: la libertà di affermare e di negare, di alterare e di mutilare l'Evangelo del Signore. La norma dell'insegnamento nella Chiesa cristiana è l'insegnamento apostolico; chi lo altera nelle cose essenziali non ha più il diritto d'insegnare nella chiesa e neanche di farne parte. Certo non dev'essere perseguitato; poichè la persecuzione è la negazione dello spirito del cristianesimo; ma dev'essere corretto e, se persevera nell'errore, escluso dalla società ch'è sostegno e colonna della verità nel mondo. E questa lotta contro l'errore che principiò fin dai tempi della chiesa primitiva, ha da proseguirsi attraverso tutti i tempi, poichè l'errore assume sempre nuove forme ed adopera nuovi metodi. Non basta esere nel vero ed insegnarlo; bisogna ancora combattere l'errore ch'è corruzione o negazione della verità.

3. Fin dal principio, troviamo la tendenza a tralasciar le cose essenziali del Vangelo per quelle secondarie; a trascurar le cose certe per andar dietro alle speculazioni curiose su cose incerte; a lasciar la verità salutare che nutre e santifica le anime per pascere sè stesso e gli altri di cose che non hanno nè certezza, nè pratica utilità, nè virtù santificante. Ora il ministro non è chiamato a pascer le anime di vento, di speculazioni umane, di favole e leggende, di dispute su questioni dubbiose o secondarie; di devozioncelle e di riti; ma è chiamato ad annunziare la dispensazione di Dio in Cristo per la salvazione dell'uomo perduto e a persuader gli uomini ad accettarla e a ritenerla con fede e buona coscienza. Così facendo egli indirizzerà i credenti all'ideale verso cui devono tendere: all'amor di Dio e del prossimo.

4. L'amore di Dio e del prossimo è il frutto più squisito del cristianesimo; ma la nozione di questa suprema virtù è stata non poco alterata così da venir alle volte identificata coll'elemosina e alle volte con la bonaria condiscendenza che sorride al male. Tale non è il concetto apostolico. L'amor cristiano ha la sua radice in una fede sincera, il terreno ove cresce, è un cuore puro e l'atmosfera ove si fortifica è la rettitudine di una onesta coscienza. Il modello perfetto di esso è il Cristo in cui si riflette l'immagine del Dio ch'è ad un tempo amore e santità.

5. "È cosa fin troppo comune che s'introducano nel ministerio uomini che sono ignoranti delle cose di cui devono parlare, che non intendono nè quel che dicono nè quel che danno per certo. Con una tale sapiente ignoranza, edificheranno per davvero i loro uditori!" (Henry).

8 L'uso legittimo della legge: 1Timoteo 1:8-11.

I maestri d'errore in Efeso si danno come dottori della legge. Nel combatterli, Paolo non se la prende colla legge, bensì coll'uso che costoro ne fanno. Ribadendo uno dei principi che ha insegnato ai Galati ed ai Romani, egli afferma la bontà intrinseca della legge. "La legge è santa ed il comandamento è santo e giusto e buono" Romani 7:7-12. L'Evangelo non rinnega il contenuto morale della legge; Cristo non è venuto ad annullarla bensì a compierla. Ma non ogni uso che si fa della legge risponde all'intento che Dio ebbe nel darla.

Or noi sappiamo

noi credenti, ammaestrati come siamo dallo Spirito e dall'esperienza,

che la legge è buona se uno ne fa un uso legittimo.

Si tratta qui della legge di Mosè. Buona in sè, essa poteva essere adoperata in modo non conforme alla volontà di Dio, al piano divino della salvazione di cui fa parte. La si può considerare come un privilegio che mette al sicuro dal giudicio di Dio chi la possiede, anche se la trasgredisce. Così facevano i Giudei in genere, secondo Romani 2:17. La si può adoperare, come facevano i Farisei zelanti dell'osservanza esterna di essa, per stabilire la propria giustizia. La si può adoperare come facevano i giudaizzanti di Antiochia, di Gerusalemme, di Galazia, quale codice la cui osservanza è condizione assoluta di salvazione anche per chi ha creduto nella grazia di Cristo. Ella è posta allora accanto alla grazia sebbene grazia e legge si escludano a vicenda, considerati come mezzi di salvazione. Cotesti sono usi non legittimi, non conformi alla natura della legge ed al fine assegnatole da Dio. A questi ci sarebbe da aggiungere l'uso che ne facevano i giudeo-gnostici di Efeso se lo conoscessimo sicuramente. Ne davano essi una erronea interpretazione? Vi scoprivano essi chi sa quali segreti, allegorizzando? Certo si è che la lor tendenza li portava a farne oggetto di fantastiche speculazioni, non a volgerla ad un uso pratico e moralmente utile. Perciò Paolo stima necessario ricordare di passata il principio fondamentale cui deve ispirarsi chiunque voglia fare un retto uso della legge.

9 Sapendo questo che al giusto non è posta legge, bensì agl'iniqui...

La frase è suscettibile di un senso generico come nella traduzione che ne diamo o di uno più speciale come nella versione Diodati: "la legge non è posta al giusto". Alla mancanza dell'articolo davanti a un termine usuale come quello di legge non si può dare importanza; ma la disposizione delle parole è in favore del senso più generale che d'altronde trova la sua principale illustrazione concreta nella legge mosaica. Come tutte le leggi, essa non è fatta per chi è giusto. Che cosa s'intende qui per giusto? In senso generico, giusto è colui che pratica la giustizia. Ma Paolo chiama giusto il credente che, per la fede in Cristo è stato giustificato, ritenuto giusto in virtù della sua unione con Cristo per la quale è morto legalmente con Cristo ed è risorto con lui. Ma chi è unito a Cristo non è soltanto giusto per imputazione di giustizia. Risorto a vita nuova, diventa giusto per una crescente conformità alla volontà di Dio. La giustificazione è la base della santificazione. Il giusto qui sarebbe dunque il credente giustificato per fede e rinnovato moralmente dallo Spirito. Molti interpreti si attengono però a quest'ultimo concetto solamente. "In quest'ordine d'idee, scrive il Reuss, il giusto è l'uomo rigenerato; colui nel quale si è prodotta una vita nuova per l'azione dello Spirito di Dio, e che, per governarsi, non ha più bisogno d'un comandamento venuto dal di fuori e formulato in un Codice composto d'articoli più o meno numerosi. Un simil codice risponde invece perfettamente al bisogno là dove l'uomo è ancora dominato dalle sue cattive inclinazioni che lo conducono sempre a trasgredire i comandamenti di Dio... Dove s'incontrano vizi e delitti come quelli enumerati nei vv. 9 e 10, sarà bene predicar la legge ed insistere sulle minaccie ch'essa pronunzia". Il pensiero qui formulato dall'apostolo è in perfetta armonia coll'insegnamento da lui dato ai Galati ed ai Romani. In Cristo il credente è morto alla legge; quindi non è più "sotto la legge, ma sotto la grazia" Romani 6:7. La legge è stata il pedagogo ed il tutore del popolo di Dio, aspettando Cristo. Ma venuto Lui, i fedeli non sono più sotto tutela; entrano nello stato dei figli retti dallo Spirito del loro Padre. Galati 5:18: "Se siete condotti dallo Spirito non siete sotto la legge...". I credenti retti dallo Spirito hanno nella loro nuova natura la norma della loro vita; la legge è scritta nei loro cuori ed è quindi legge della libertà, come la chiama S. Giacomo. La legge esterna è destinata invece a chi vive ancor nel male,

agli iniqui ed insubordinati.

L'enumerazione che segue è intesa a dare forma concreta e quindi più evidente al pensiero. Essa non è completa, nè disposta in ordine strettamente sistematico, sebbene le prime tre paia di nomi abbiano carattere più generico e si riferiscano alla prima tavola del Decalogo; mentre le otto parole che seguono, designano trasgressioni estreme di cinque comandamenti della seconda tavola presi nell'ordine loro. Il greco vale propriamente senza legge, ma si applica per lo più a chi non si cura della legge di Dio e praticamente vive come se non esistesse: Parliamo anche noi di gente "senza fede nè legge". Il secondo termine completa il primo; chi è un senza-legge è, con ciò stesso, un ribelle ad ogni autorità legittima, cominciando da quella di Dio. "Ni Dieu ni maître" è il motto di chi non riconosce freno alle proprie passioni.

agli empi e peccatori

che non hanno di fronte a Dio alcun sentimento di pia riverenza e di adorazione e tali si manifestano nelle parole e negli atti che sono contrarii all'ideale tracciato all'uomo dalla volontà di Dio.

agli irreligiosi e profani,

per cui non c'è nulla di santo, nè di sacro, essendo essi contaminati di mente e di cuore. A tutti costoro la legge coi suoi comandamenti ricorda il diritto del Dio vivente al culto ed alla ubbidienza della sua creatura.

Ai percotitori di padri e madri.

Non è necessario il dare alle due parole greche adoperate il senso più grave di parricidi e matricidi; non essendo un tal delitto neppur mentovato nella legge mosaica, mentre si prevede il caso di trasgressori del 5° comandamento che maledicano o percuotano i genitori, incorrendo nella pena di morte Esodo 21:17,15.

agli omicidi

Cfr. il 6° comandamento.

10 ai fornicatori, a coloro che usano coi maschi.

I primi trasgrediscono l'ordine divino che stabilisce il legittimo connubio del matrimonio e lo vuole inviolato; i secondi detti anche sodomiti escono perfino dall'ordine di natura. Cfr. Romani 1:27.

ai rabatori d'uomini

che sono condannati dall'8° comandamento. Rubano non gli averi altrui soltanto, ma la persona stessa dei loro simili per farne traffico, dannandola a schiavitù. Esodo 21:16; Deuteronomio 24:7.

ai bugiardi, agli spergiuri

che violano in modi diversi la legge della verità sancita dal 9° precetto del Decalogo.

e se vi è alcun'altra cosa che sia contraria alla sana dottrina.

I peccatori designati a mo' di esempi son lungi dal rappresentare tutte le forme del male. Non sono state indicate se non le più gravi fra quelle che son visibili; ma dei sentimenti del cuore cui si riferisce il 10° comandamento non si fa neppur parola. La legge dunque è fatta per denunziare e condannare ogni specie di male morale. Essa da, con ciò, all'uomo la conoscenza del peccato; ne rivela la potenza maligna e le funeste conseguenze, scuotendo la coscienza e facendo sentire il bisogno della liberazione. Ma questa liberazione la legge è impotente a darla. Essa non salva; accusa solo e condanna chiunque vive in modo contrario alla sana dottrina cioè all'insegnamento che rispecchia la verità divina nella sua purezza, che non è inquinato da alcun elemento di errore. L'errore è il virus che vizia il sangue della verità, il quale quando scorra caldo e puro nell'organismo morale dell'uomo vi svolge una vita ed un'attività normali e rigogliose. Verità e vita santa vanno insieme, come l'errore e la corruzione. L'espressione è particolare alle Epistole pastorali. Cfr. 1Timoteo 6:3; 2Timoteo 1:13; 4:3; Tito 1:9,13; 2:1-2. Si è notato che Luca il medico, compagno di Paolo, l'adopera varie volte nel suo Vangelo. In un tempo in cui l'errore, sotto varie forme, cominciava ad inquinare insieme l'insegnamento religioso e la vita, questa locuzione esprimeva bene il concetto di una dottrina pura e forte come la verità, produttrice nell'uomo di santità morale.

11 [E ciò] secondo l'evangelo della gloria del beato Iddio, il quale mi è stato affidato.

Il κατα (secondo) non si può riannodare che al pensiero generale espresso in 1Timoteo 1:8-10 sull'uso legittimo della legge mosaica. Ch'essa non sia destinata al cristiano, ma a chi vive ancor nei suoi peccati, ecco quello ch'è conforme all'Evangelo predicato da Paolo da Gerusalemme fino a Roma. Egli, l'apostolo delle genti, è stato chiamato ad essere più di altri l'apostolo della libertà cristiana e a difenderla in Antiochia, in Gerusalemme, nella Galazia e dovunque ella era manomessa dai giudaizzanti. Nelle parole con cui caratterizza l'evangelo da lui annunziato, si sente palpitare l'entusiasmo col quale egli ha proclamato la superiorità del Vangelo sull'economia preparatoria della legge. Evangelo della gloria... non è lo stesso che glorioso evangelo. Può significare l'evangelo che apre dinanzi ai credenti la prospettiva della gloria che Dio tiene in serbo per loro (Cfr. Romani 5:2; Tito 8:13). Ovvero, l'evangelo che rivela la gloria del beato Iddio, l'evangelo in cui rifulgono le gloriose perfezioni di Dio: la sua sapienza, la sua potenza, la sua santità e sopra tutte l'amore infinito che salva dei ribelli 2Corinzi 4:4; Romani 5:8. L'Iddio ch'è, nella sua perfezione, beato, ha voluto far partecipi della sua beatitudine delle creature perdute e misere. Questo Evangelo divino è quello ch'è solo capace di rigenerare, di santificare l'uomo, sostituendo alla lettera che uccide, la potenza dello Spirito che vivifica; affrancando l'uomo "dalla legge del peccato e della morte", coll'impiantare nel suo cuore "la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù" Romani 8:2. Questo è l'Evangelo ch'è stato affidato a Paolo, ch'egli ha proclamato in Efeso per tre anni consecutivi, ed al quale ora i sedicenti dottori d'Efeso sostituiscono le loro speculazioni e favole!

AMMAESTRAMENTI

1. Di molte cose buone in sè, si può fare un uso errato quando non se ne intenda la natura ed il fine. Così della legge mosaica la quale è parte importante delle divine dispensazioni intese a preparar l'avvento del Messia; che, nella sua parte rituale, è ombra di futuri beni; e, nel suo contenuto morale essenziale, è conforme alla sana dottrina evangelica. Essa non è quindi da disprezzare o da rigettare; ma neppure dev'essere presentata come il padrone sotto al quale si trovano i figli di Dio o come il codice sul quale devono regolare la propria vita. Gesù ne ha segnalato le imperfezioni derivanti dal fatto ch'essa dovea essere lo statuto religioso, morale e civile d'un popolo particolare, nel corso di un dato periodo della storia. Paolo ha spiegato il fine pedagogico cui dovea servire come dispensazione transitoria, in attesa della venuta del Salvatore. Essa può, anche ora, dare al peccatore inconvertito la conoscenza del suo peccato ponendo la di lui vita a riscontro dei comandamenti di Dio; può farlo tremare dinanzi alla condanna incorsa, ma il suo ministerio resta un ministerio di morte. Ella uccide, mentre solo la grazia di Dio in Cristo ristora e vivifica. Può servire a mostrare all'uomo che s'illude, l'impossibilità in cui egli è di giustificarsi davanti a Dio colle proprie opere. Così l'adoperò Gesù col dottore che volea giustificarsi, o col giovane ricco attaccato sopra ogni cosa ai suoi beni Luca 10:28; 18:20. Ma il perdono delle avvenute trasgressioni e la potenza vitale che ci affranca dalla schiavitù del male trovansi in Cristo e nello Spirito suo di vita e di santità. La legge non è fatta per il cristiano giustificato e moralmente rinnovato. Come norma di vita, egli ne ha una superiore, più comprensiva e più perfetta, nel "nuovo comandamento" dato da Cristo e illustrato dal di lui esempio. Riguardo ai moventi che lo spingono a praticar la volontà del Padre, quelli fornitigli dall'amor di Dio in Cristo sono più efficaci delle promesse o delle minaccie contenute nella legge. E quanto alla forza interna, la legge non ne dava alcuna, mentre nella comunione col Signor Gesù, il credente è fatto partecipe della vita sua, dello Spirito e delle energie divine che lo trasformano di gloria in gloria. Non delle stampelle della legge ha bisogno, bensì di abbandonarsi interamente alla guida dello Spirito camminando per lo Spirito, come per esso è stato chiamato alla vita. Galati 5; Romani 8. I dottori di Efeso facevano della legge il punto di partenza di chi sa quali fantastiche speculazioni; molti critici dell'oggi fanno del Pentateuco il corpo vile su cui esercitare il loro talento anatomico e la loro fantasia feconda d'ipotesi sul modo in cui è stato formato. Il risultato pratico non è diverso da quello ottenuto dai dottori d'Efeso.

2. Chi voglia scuoter le coscienze e convincer di peccato non deve limitarsi a denunziare con frasi generiche il peccato umano; ma deve chiamare le cose per il loro nome come fa qui ed altrove l'apostolo, enumerando vizii e delitti senza falsi riguardi. Cfr. Romani 1-2.

3. I cieli e la terra proclamano la gloria di Dio; la proclamano la coscienza e la legge del Sinai; ma la gloria delle perfezioni di Dio risplende pienamente soltanto nell'Evangelo della salvazione. Ivi risuona dovunque la grande verità che Dio è amore non meno che santità; che l'Iddio beato nella sua perfezione, vuol beate le sue creature. La gloria di Dio risplende nella, faccia di Gesù Salvatore 2Corinzi 4. Grande è il privilegio di chi ha conosciuto l'Evangelo, più grande ancora quello di chi n'è fedele banditore al mondo.

12 L'Evangelo della salvazione affidato a Paolo, l'antico persecutore: 1Timoteo 1:12-17.

Questa sezione si cita da taluni come una prova della mancanza di connessione logica tra le varie parti dell'Epistola e se ne trae la conclusione o che l'Epistola non è di Paolo o ch'essa è fatta di frammenti di scritti varii dell'apostolo cuciti insieme da un raccoglitore posteriore. Vedasi in proposito l'Introduzione. Se il nesso con quel che precede non è indicato esplicitamente, ciò non vuol dire ch'esso non esista. Timoteo è stato lasciato in una chiesa fondata da Paolo, in seno alla quale l'apostolo ha lavorato, coi suoi compagni, per ben tre anni esponendo l'intero consiglio di Dio per la salvazione. Ora questa chiesa è distolta dalla sana dottrina, dalla "dispensazione di Dio ch'è in fede", da taluni dottori che la vorrebbero pascere di favole e di fantastiche elucubrazioni sulla legge mosaica. Non è egli naturale, logico, che quell'Evangelo glorioso che gli è stato affidato e ch'egli ha portato da Gerusalemme fino a Roma, Paolo ne esalti la superiorità, la salutare efficacia? Niuno poteva farlo meglio di lui che aveva sperimentato in sè la grandezza della grazia di Dio e l'avea veduta all'opera in tanti luoghi durante la sua carriera. Lungi dal vergognarsi dell'Evangelo di Dio, egli rende grazie al Signore di averlo scelto lui, già persecutore della Chiesa, per essere nel mondo il testimone e l'araldo della salvazione. Il suo entusiasmo, la sua profonda convinzione, il suo zelo per la purezza del Vangelo affidatogli, egli li vuol trasfondere nel suo figlio spirituale chiamato a lottare contro l'insegnamento vacuo e pretenzioso dei dottori d'Efeso. Nel contrasto adunque tra l'insegnamento infiltrato dai novatori e l'Evangelo apostolico sul quale è stata fondata la chiesa, sta il nesso di questo brano con quanto precede

Io rendo grazie a colui che mi ha ripieno di forza, a Cristo Gesù nostro Signore.

Il testo ord. comincia con un e ( και) che manca nei migliori codici. L'Evangelo in cui splende la gloria del beato Iddio è stato affidato a lui debole ed indegno; di un tanto favore ei rende grazie a Cristo che lo ha ripieno di forza, e s'intende non del solo potere di compiere dei miracoli, nè della sola potenza spiegata nella di lui conversione, ma di tutte le attitudini e capacità, di tutti i doni straordinarii, di tutte le forze spirituali di fede, di amore, di pazienza, somministratigli dal principio del suo apostolato e sino ad ora. Cfr. Atti 9:22; Efesi 6:10; Filippesi 4:13; 2Timoteo 2:1; 4:17. Egli sa che per la grazia di Dio egli è quel che è 1Corinzi 15:10 e che la sua capacità viene da Cristo, il Mediatore ed il dispensatore della grazia.

perchè egli mi ha reputato fedele, stabilendo nel ministero me che, per lo innanzi, ero stato bestemmiatore e persecutore ed oltraggiatore.

Attraverso la carriera ormai quasi trascorsa, Paolo risale fino alla chiamata iniziale ricevuta sulla via di Damasco. Conta, non come merito, ma come privilegio grande quello d'essere stato dal Signore giudicato leale, degno di fiducia, così da vedersi affidato il gran deposito dell'Evangelo. Nel Fariseo ardente e persecutore il Signore ha scorto un'anima sincera e leale; gli ha quindi non solo fatto grazia ma gli ha affidato il ministero apostolico, quel ministerio di cui Paolo diceva agli anziani d'Efeso: "Non tengo per nulla preziosa la mia vita quando si tratti di compiere la mia corsa ed il ministerio che ho ricevuto dal Signor Gesù per rendere testimonianza dell'Evangelo della grazia di Dio" Atti 20:24.

13 La fiducia mostratagli nell'affidargli un incarico di tanta importanza appare a Paolo tanto più notevole, quando pensa alla condotta sua di prima, di fronte al Messia ed alla Chiesa cristiana. Egli è stato bestemmiatore contro a Cristo da lui creduto un impostore talchè contro al nome di Gesù di Nazaret si era proposto di agire in molte guise Atti 26:9. Egli è stato persecutore dei cristiani, incarcerandoli, facendoli flagellare nelle sinagoghe per farli apostatare, dando la sua approvazione a chi li metteva a morte. Egli è stato oltraggiatore quando alle parole ed agli atti violenti ha unito l'insolenza arrogante e beffarda di chi trionfa, ed opprime colla forza. Per es. quando, coi castighi corporali, costringeva i cristiani a bestemmiare Atti 26:11. Cfr. l'atto dei soldati romani verso il Cristo quando lo rivestono delle insegne imperiali. Paolo non adopera eufemismi nel descrivere la sua condotta passata.

Ma misericordia mi è stata fatta, perchè lo feci per ignoranza, non avendo la fede.

L'ignoranza relativa in cui era Saulo sul carattere peccaminoso dei suoi atti, sul vero essere di Gesù e dei cristiani, è quella che rese possibile il suo pentimento ed il perdono concesso dalla divina misericordia. Gesù avea detto che ogni peccato ed ogni bestemmia sarebbero perdonati agli uomini; che a chi avrebbe parlato contro al Figliuol dell'uomo sarebbe perdonato, ma non a chi parlasse o bestemmiasse contro allo Spirito Santo, a chi resistesse volontariamente e ostinatamente alla verità conosciuta Matteo 12:31-32. Sulla croce egli domandò al Padre di perdonare i suoi uccisori perchè non sapevano quel che facevano Luca 23:34 e Pietro Atti 3:17 riconosce come attenuante al peccato dei Giudei la loro ignoranza: "Ora, fratelli, io so che l'avete fatto per ignoranza, come anche i vostri rettori". Cfr. Atti 17:30. Una tale ignoranza andava congiunta allo stato d'incredulità in cui si trovava il persecutore. Salvo nel caso estremo di una volontaria resistenza alla verità conosciuta, ignoranza ed incredulità si danno la mano, come la conoscenza e la fede che si aiutano a vicenda. Senza conoscenza della verità non c'è fede e d'altra parte la fede apre il cuore e la mente a una conoscenza più profonda della verità. C'era colpa nell'incredulità di Paolo che ricalcitrava contro agli stimoli, ma la sua colpa aveva un'attenuante nella ignoranza in cui era riguardo a Cristo.

14 Ma la grazia del nostro Signore è soprabbondata, con la fede e la carità ch'è in Cristo Gesù.

Era abbondato il peccato del persecutore, ma la grazia di Cristo è stata più abbondante ancora ed ha ricoperto il peccato. (Cfr. Romani 5:20). Essa ha recato anzitutto il perdono completo, ma è stata accompagnata da ( μετα) altre benedizioni. Nel farlo partecipe dello Spirito di grazia, Cristo ha arricchito di fede colui che già era incredulo dichiarato; ha arricchito di amore o di carità, colui che prima sbuffava minacce e morte contro ai fratelli. L'ha ripieno di fede in Dio e nelle sue promesse in Cristo e nella sua compiuta salvazione; l'ha ripieno di amore per i fratelli già odiati e per tutti gli uomini di un amore fondato in Cristo Gesù, avente cioè nella comunione con lui la sua sorgente. Quale ricchezza di fede e di amore devoto fino al sacrificio abbia posseduto l'apostolo, lo dimostrano i suoi scritti e la sua vita intera.

15 L'abbondanza della grazia da lui sperimentata, conduce Paolo a proclamare come assolutamente certa una verità cardinale del Vangelo.

Certa è questa parola e degna d'essere pienamente ricevuta, che Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare dei peccatori, fra i quali io sono il primo.

"Certa è questa parola" è formula frequente nelle Pastorali. Cfr. 1Timoteo 4:9; 3:1; 2Timoteo 2:11; Tito 3:8. La si considera da molti come usata per citare degli articoli di fede comunemente riconosciuti; ma di ciò non esiste prova alcuna, nè le parole connesse altrove con questa formola di asseveranza possono considerarsi come dei detti correnti. Come l'"in verità" di Gesù, serve a rilevare in modo solenne l'assoluta certezza della verità cui si riferisce. Il greco dice propriamente fedele... ossia fede degna, degna di completa fiducia perchè rispondente alla verità, è la parola, vale a dire la sentenza che sta per essere enunciata. A ribadirne la certezza aggiunge ch'è "meritevole di piena accettazione" (vers. Revel). Tutti la possono ricevere nel cuore con piena fede senza ombra di esitazione o di dubbio. Cristo Gesù è venuto nel mondo, con ciò si proclama la preesistenza del Figliuol di Dio ed il fatto storico della, di lui incarnazione. Il Verbo è divenuto carne ed è abitato fra noi ed è stata contemplata la sua gloria Giovanni 1:14; 16:28,32. Risulta dal Vangelo di Giovanni che Gesù adoperava spesso una tale espressione. Sebbene non sia da far troppo caso della mancanza dell'articolo davanti ad una parola usuale come ἁμαρτωλους (peccatori), però trattandosi di mettere in rilievo il fatto che il Figliuol dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò ch'era perito, per chiamare a pentimento non dei giusti ma dei peccatori che la legge accusa e condanna, è meglio tradurre qui dei peccatori. Fra questi, Paolo si considera il primo non in ordine di tempo, ma per la gravità del suo peccato, tenendo conto della conoscenza avuta e della condotta sua violenta di fronte a Cristo ed alla sua Chiesa. Paolo si confessa tale non per falsa umiltà, ma perchè, nel sentimento di orrore che gl'ispira attualmente la sua vita di persecutore, egli si considera tale veramente. Egli ignora d'altronde il giudicio che Dio ha portato sul suo peccato paragonato a quello di altri peccatori. Il ricordo del suo passato lo ha tenuto sempre in profonda umiltà. Egli si chiama altrove "il minino degli apostoli, non pur degno d'esser chiamato apostolo" 1Corinzi 15:9 si chiama "il minimo di tutti i santi" Efesini 3:8 e qui "il primo dei peccatori". Un così vivo senso del proprio peccato lo disponeva ad esser paziente verso gli altri, a giudicarli caritatevolmente, a non disperar della possibilità della salvezza dei maggiori trasgressori. Egli infatti riconosce nella propria salvezza un fine speciale di Dio che ha voluto, in lui, dare al mondo un esempio tipico e cospicuo della infinita grandezza della sua grazia.

16 Ma per questo mi è stata fatta misericordia, acciocchè in me, per il primo, Cristo Gesù mostrasse tutta quanta la sua longanimità, per farmi servir d'esempio a coloro che sarebbero per credere la lui, a vita eterna.

"Per questo", per questa ragione, viene a dire: "a questo fine". Paolo non è stato alla lettera il primo dei credenti in ordine di tempo; ma lo è stato di fronte a quei milioni che han creduto dopo di lui ed ai quali ha servito d'incoraggiamento la dimostrazione avvenuta nel caso suo della longanimità di Cristo. In lui è apparsa in tutta la sua estensione, poichè invece di fulminare quell'insolente giovane persecutore, il Signore pazientò; più che questo, lo trasse a salvamento rivelandosi a lui con una personale apparizione e facendone poi un suo apostolo. Così Paolo è divenuto, sulla soglia dell'economia evangelica, un saggio della potenza della grazia, un modello, un esempio tipico ( ὑποτυπωσις) da cui altri credenti han potuto trarre norma ed istruzione nelle generazioni susseguenti. Il gran giorno soltanto rivelerà in quante persone ed in quanti modi sia stato raggiunto, nel corso dei secoli, il fine speciale che Dio si era proposto nella conversione di Saulo. Certo si è che Paolo non ha mancato nel corso dell'opera sua missionaria di narrare dovunque la storia della propria conversione. Dice lett. "che sarebbero per credere su di lui" ( επ' αυτω) cioè per poggiare su di lui, come sopra una roccia incrollabile, la loro fede. A vita eterna torna a dire: in vista della vita eterna, per giungere ad essa, per ottenerla in tutta la sua finale pienezza. Il fine cui mira la fede e la mèta alla quale conduce è la salvezza.

17 Or al re dei secoli, incorruttibile, invisibile, solo Dio, siano onore e gloria, nei secoli dei secoli. Amen.

Al pensiero di quanto Dio avea fatto per lui e per mezzo di lui; al pensiero di quanto sarebbe per fare per tutti i credenti avvenire, Paolo esce in una dossologia in cui dà gloria al Dio di perfezione, fonte di ogni grazia. Lo celebra come re dei secoli, cioè come sedente sovrano sopra tutti i periodi successivi della storia, non limitato dal tempo perchè eterno, capace quindi di condurre a compimento, nel corso lento dei secoli, i suoi disegni misericordiosi e di far giungere i suoi alla vita imperitura e perfetta. Altri traduce "re dei mondi" o dell'universo, dando alla parola αιωνες (secoli) il senso che ha in Ebrei 1:2; ma siccome ha significato temporale nel v. che precede (vita aionios) e alla fine di questo, non è possibile dartene qui uno diverso. Celebra Dio come incorruttibile, parola più comprensiva di "immortale" (Cfr. 1Timoteo 6:16), sebbene esprimente idea analoga. Dio non è soggetto, come l'uomo e le altre creature Romani 1:23, a mutamento, nè a decadimento, nè a morte. Essendo spirito, Egli è invisibile (Cfr. 1Timoteo 6:16; Colossesi 1:15; Giovanni 1:18). Egli è solo Dio. Così il testo emendato secondo i codici antichi. Nella perfezione della sua essenza trina ed una Dio è, di fronte a tutti gli esseri esistenti, il solo Ente assoluto e sovrano da cui procede ogni dono eccellente ed a cui spetta l'onore e la gloria in eterno.

AMMAESTRAMENTI

1. Paolo ragiona, in questa sezione, dell'apostolato ch'è la più alta forma del ministerio evangelico; ma sono applicabili al ministerio in genere le cose qui dette di sè dall'apostolo. È Cristo che stabilisce uno nel ministero, chiamandolo, fornendolo dei doni voluti, riempiendolo delle forze morali e spirituali necessarie. Gli uomini non possono che riconoscere la vocazione e i doni del Capo supremo della Chiesa. L'ufficio del ministro è un servizio, una "diaconia", anche quando include il reggere una chiesa; ed è in pari tempo un incarico di fiducia che onora colui che lo riceve, ma che gli crea una grave responsabilità e gli impone il dovere di mostrarsi fedele dispensatore di Dio. Paolo sente tutta la importanza dell'ufficio ma è in pari tempo riconoscente al Signore della fiducia riposta in lui. Chi dev'essere banditore agli altri della misericordia di Dio in Cristo deve primieramente averne sperimentata in sè l'efficacia. Così soltanto potrà dirsi testimone di quel ch'egli annunzia e proclamarne l'assoluta certezza.

2. Dio si compiace di, glorificare la sua grazia sovrana nel chiamare talvolta i più grandi peccatori ai più alti incarichi nella sua Chiesa, onde far vedere che non c'è profondità cui la grazia non possa scendere, nè altezza cui ella non possa innalzare. Nemici accaniti del Vangelo ne sono spesso divenuti i più strenui difensori. Da cotali esempi più cospicui, conce da tutte le manifestazioni della grazia nel corso della storia della Chiesa, devono i fedeli trarre incoraggiamento per sè ed incitamento a non disperare della salvezza di chi ne sembra più lontano. Dovunque l'ignoranza relativa della verità tiene aperto l'adito al pentimento, c'è luogo a sperare. L'incredulità sincera, qualunque ne sia la causa, è talvolta molto vicina alla fede. Solo allorquando il peccato assume la forma più grave di resistenza volontaria alla luce dello Spirito, diventa "peccato a morte" per il quale resta inutile il pregare 1Giovanni 5:16-17; Ebrei 6:1-8.

3. Il ricordo dei peccati passati tenne Paolo in umiltà per tutta la vita, rese più intensa la sua gratitudine verso Colui che gli avea concessa grazia ed apostolato, aggiunse un potente motivo alla consacrazione di lui all'opera del Signore, lo indusse ad usare verso gli altri di quella carità che crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa, si fa tutto a tutti per salvarne del tutto alcuni. Non dovrà il ricordo dei falli passati e della grazia ricevuta produrre frutti analoghi in ciascun fedele?

4. Quanto breve e quanto chiaro e semplice li sunto del Vangelo contenuto in quest'unica frase: "G. C. è venuto nel mondo per salvare dei peccatori". Eppur quanto ricca di grandi e confortanti verità, rese assolutamente certe dall'esperienza d'innumerevoli peccatori salvati! Oosterzee chiama questo un Evangelo nel Vangelo, come lo sono le dichiarazioni simili in Giovanni 3:16; 1Giovanni 4:9-10. "L'Evangelo è una Buona Novella per i peccatori perduti; questo è tutto, ma questo basta". Chi non vede nel Vangelo che una sublime dottrina, una morale elevata, una teoria, sociale, un fenomeno religioso degno di studio ecc., non ha compreso l'Evangelo del Cristo e dei suoi apostoli. Per apprezzar l'Evangelo della salvazione, bisogna non aver del proprio peccato una nozione ed un sentimento superficiali.

5. "Se la conversione d'un Paolo diede occasione ad una così alta dossologia (com'è quella di 1Timoteo 1:17), quanto più alto dovrà echeggiare il cantico di riconoscenza dei redenti quando sarà giunto il compimento del Regno di Dio e saranno manifeste a tutti i santi le vie meravigliose per le quali Dio ha tratto a conversione i molti milioni dei riscattati" (Oosterzee).

18 Come Timoteo deve guerreggiare la buona guerra: 1Timoteo 1:18-20.

Ti faccio questa ingiunzione, o Timoteo figliuol mio, in armonia colle profezie dianzi pronunziate su te.

Questa breve sezione chiude la prima parte dell'Epistola e si riannoda con 1Timoteo 1:3-7. Essa contiene incoraggiamenti e direzioni sul modo in cui Timoteo deve adempiere l'incarico ricevuto. Come si è notato a 1Timoteo 1:5, l'ingiunzione fatta a Timoteo non è altra che quella di 1Timoteo 1:3,5 per la quale Timoteo avea ricevuto l'incarico di combattere i falsi dottori d'Efeso che sostituivano le loro vane speculazioni all'Evangelo della salvezza. Anche qui, d'altronde, torna sulla necessità della buona coscienza e su coloro che ne fanno getto. Il rendere come fa il Reuss: "Ecco la predicazione che io ti raccomando" non risponde nè al senso della parola παραγγελια nè al contesto. Dice lett.: Ecco l'ingiunzione ch'io ti pongo dinanzi, o ti affido, perchè l'ordine dell'apostolo conteneva un incarico, un compito da eseguire, affidato allo zelo ed alla fedeltà di Timoteo. Questo incarico, per quanto potesse ripugnare alla naturale timidità di Timoteo, era perfettamente conforme a quello che, anni prima, delle voci profetiche avevano dichiarato di lui, annunziando ch'egli sarebbe un buon soldato di G. C. per combattere la santa guerra della verità. Queste profezie Paolo gliele ricorda ora affin d'incuorarlo a mostrarsi all'altezza del compito assegnatogli da Dio. Dice profezie e vuol dire dichiarazioni di profeti mossi dallo Spirito e non semplici speranze od augurii espressi in una data occasione. È chiaro poi che non si tratta di profezie contenute nell'Antico Test. (Beck, Knoke); ma di dichiarazioni di persone aventi il dono di profezia ch'era uno dei carismi più frequenti e più utili concessi alle chiese primitive (Cfr. 1Corinzi 12:14; Atti 13:1; 11:28; 20:23; Efesini 4:11; 1Giovanni 4:1-4). In quale occasione fossero state pronunziate queste profezie intorno a Timoteo non è detto qui, ma si può arguire dai passi paralleli ove si allude alla sua consacrazione al ministerio per parte di Paolo e degli anziani di Listra. In 1Timoteo 4:14 si legge: "Non trascurare il dono ch'è in te, il qual ti fu dato, per profezia, insieme con l'imposizione delle mani del presbiterio" e Cfr. 2Timoteo 1:6.

acciocchè tu guerreggi, in virtù d'esse, la buona guerra.

Ad uno ch'era stato preconizzato quale soldato di Cristo, Paolo affida un posto di combattimento, affinchè ricordandosi delle profezie fatte di lui e traendone coraggio, egli combatta da valoroso la buona guerra, cioè la guerra per la difesa della verità evangelica contro tutti gli errori che l'adulterano; guerra che va combattuta sotto la guida del supremo Duce Cristo, con armi che non siano carnali ma spirituali e degne dell'Evangelo, con perseveranza e abnegazione. Nota il Reuss che i termini militari qui usati ricordano una delle allegorie più familiari all'apostolo Paolo cui piace di paragonare la carriera cristiana in genere, e più specialmente la carriera apostolica, a un servizio militare. E cita in appoggio Romani 13:12; 2Corinzi 10:5; 1Timoteo 5:8; 6:12; Efesini 6:11 e segg.; 2Timoteo 2:3; 4:7-8. L'osservazione è giusta, ma quadra male colla tesi dell'inautenticità dell'Epistola sostenuta da quel critico. Per compiere fedelmente il suo dovere di soldato della verità, ci sono delle condizioni morali da adempiere. Come il soldato ordinario deve sottoporsi a certi esercizi, ad un dato regime e a una speciale disciplina, per esser in grado di far la guerra, così deve Timoteo aver fede e buona coscienza.

19 avendo fede e buona coscienza della quale avendo alcuni fatto getto, hanno fatto naufragio in quanto alla fede.

Senza fede nella verità del Vangelo, nel Cristo vivente e potente da condurre i suoi alla vittoria finale, mancherebbe a Timoteo l'impulso morale all'azione. Ma la fede non si può conservar sana e robusta se non va unita a buona coscienza. Cfr. 1Timoteo 1:5; 3:9 "serbando il misterio della fede in pura coscienza"; 1Timoteo 6:10. Chi getta via la buona coscienza, cioè chi non ubbidisce alla voce della coscienza, anzi l'offende e pone in non cale, giunge per morale necessità a far naufragio anche in quanto concerne la fede. In relazione coll'immagine della nave che naufraga, sembra naturale ammettere che la buona coscienza sia paragonata alla zavorra che tiene la nave in equilibrio e la preserva dall'esser capovolta o lanciata dai venti contro agli scogli. Chi considera la coscienza come un monitore inutile o molesto e non si cura della sua approvazione, vedrà presto oscurarsi la sua vita spirituale; il peccato tollerato contro la coscienza intercetterà la luce del glorioso Evangelo e le tenebre dell'errore e dell'incredulità riprenderanno il posto della fede. "L'incredulità, nota Oosterzee, non è affatto, per il nostro apostolo, una cosa teoretica, ma è cosa pratica intimamente connessa collo stato interno della vita morale". Su questo aveva insistito ripetutamente il Signor Gesù, il quale assomiglia la funzione della coscienza nell'essere morale a quella dell'occhio rispetto al corpo. Se si potesse investigare la genesi vera, intima delle eresie che hanno funestata la Chiesa e degli errori che seducono tanti al giorno d'oggi, si troverebbe quasi sempre alla radice una causa di natura morale. Cfr. Romani 1:18 e segg. Come esempi che confermano la verità enunziata e devono servir di pratico ammonimento a Timoteo, Paolo cita il caso di due individui ben noti allora, ma di cui non sappiamo gran cosa.

20 Fra questi sono Imeneo ed Alessandro, i quali ho dato in man di Satana affinchè siano dal castigo ammaestrati a non bestemmiare.

Un Imeneo è mentovato con Filete in 2Timoteo 2:17 come uomo che si è sviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta e che sovverte la fede di alcuni. Si tratta probabilmente dello stesso personaggio. Un Alessandro, fabbro di professione, è nominato in 2Timoteo 4:14 come avendo fatto molto male a Paolo e da cui Timoteo deve guardarsi; ma ignoriamo se sia da identificare coll'eretico sottoposto a disciplina da Paolo. Cfr. anche Atti 19:33. Si tratta ad ogni modo di due persone la cui vita morale disordinata avea fatto naufragar la fede cristiana e che Paolo avea dovuto dare in man di Satana. L'espressione esclusivamente paulina si ritrova 1Corinzi 5:5 ove trattasi di un incestuoso "dato in man di Satana per la distruzione della carne acciocchè lo spirito sia salvato..." Come abbiamo notato in quel luogo, si tratta di una pena disciplinare più grave della scomunica, di pena inflitta dai soli apostoli, e includente una sofferenza corporale destinata a produrre il ravvedimento del colpevole. Cfr. il caso di Elima colpito di cecità e quello di Anania e Saffira Atti 5; 13:11. Satana è lasciato libero di far soffrir chi gli è consegnato e, così facendo, egli mira ad allontanarlo da Dio; ma la sofferenza può essere anche strumento per far rientrare in sè un figlio fuorviato. L'effetto morale di essa dipende dal modo in cui è ricevuta. Lo scopo che Paolo aveva in vista nel ricorrere ad una misura disciplinare così grave, era la correzione dei due traviati che dovevano essere dal castigo ammaestrati a non bestemmiare. Il verbo παιδευω significa talvolta istruire, ma più spesso insegnare una cosa per via di castigo. Cfr. Ebrei 12 ove si parla della disciplina paterna di Dio ( παιδεια) e cfr. 1Corinzi 11:32; 2Corinzi 6:9; Apocalisse 3:9. Quanto al "bestemmiare" di Imeneo ed Alessandro, tutto porta a credere che fosse rivolto contro a Cristo o contro a Dio e che non si riducesse, come pensano alcuni, a delle calunnie lanciate contro Paolo.

AMMAESTRAMENTI

1. Quando si è impegnati nelle lotte della vita, e specialmente nelle lotte per la causa del Vangelo, è di gran conforto la certezza che siamo al posto assegnatoci da Dio. Sono perciò preziosi tutti i fatti che hanno contribuito a darci quella certezza. Non ci saranno state sulla soglia della nostra carriera delle dichiarazioni profetiche come per Timoteo; ma le direzioni provvidenziali, i consigli, gli incoraggiamenti di persone autorevoli, le speranze manifestate, i nostri proprii presentimenti e desiderii, tutto quel che ha potuto concorrere ad additarci la nostra via, è ricordo confortante in mezzo alle difficoltà. Solo quell'ideale che brillava sul nostro orizzonte e che altri pure ci additava, dobbiamo non perderlo di vista e ricordando i primi entusiasmi ed i santi impegni assunti, cercare di tradurlo in atto nella nostra vita.

2. La vita cristiana è spesso presentata come un combattimento che dura quanto la vita. Lo è in particolare la vita di un vero servo del Signore nell'opera del Vangelo, soprattutto in tempi in cui l'errore alza il capo e si mostra più astuto ed audace. C'è senza dubbio una smania di battagliare ch'è riprovevole; ma vi è del pari un falso amor di pace contro al quale deve stare in guardia il giovane servo di Cristo. (Da Oosterzee).

3. L'intimo ed indissolubile legame che esiste tra fede e buona coscienza, tra la vita religiosa e la vita morale, è un fatto di alta importanza. Paolo vi insiste spesso. L'errore non è affare della mente solamente; se questa è incapace di contemplare la verità, è perchè ella è oscurata dall'errare del cuore e della volontà Romani 1; se l'occhio è malato, la sua malattia si connette collo stato generale dell'organismo. La vita interna dell'uomo è una e non si può dividere in compartimenti indipendenti gli uni dagli altri. Colui che ama Dio lo conosce veramente; e chi è retto e sincero nell'ubbidire alla verità conosciuta, vede crescere la sua capacità di conoscere. A chi ha sarà dato. Il Signor Gesù attribuiva l'incredulità dei Giudei al loro corrotto stato morale. I fatti dell'esperienza e della storia confermano largamente la verità dell'avvertimento dato da Paolo. Le eresie nascono per lo più da deviazioni morali. Il naufragio della fede è spesso preceduto dal getto fatto della buona coscienza. Da ciò la necessità di mantener la propria coscienza senza offesa. La caduta di molti già credenti deve servirci di ammonimento a scansar le cause che hanno cagionata la loro caduta.

4. Dal procedere di Paolo nel caso di Imeneo ed Alessandro, desumiamo qualche insegnamento relativo alla disciplina ecclesiastica.

a) Devono esservi sottoposti non solo coloro che cadono o vivono in qualche grave peccato, ma coloro che rinnegano le verità essenziali del Vangelo, siano essi laici o ministri. La Chiesa dev'essere colonna e sostegno della verità e non può considerar come suoi membri coloro che rinnegano la verità.

b) Il mezzo da adoperare dopo gli avvertimenti, è l'espulsione dalla fratellanza cristiana. Se nei tempi apostolici Dio aggiungeva, in taluni casi, un qualche castigo corporale, come può farlo anche oggi quando rimonda i tralci sterili, ciò non autorizza la Chiesa ad adoperare mezzi che ripugnano allo spirito cristiano. Le carceri, le tanaglie ed i roghi non hanno che fare colla disciplina cristiana.

c) Il fine cui mira la disciplina è il ravvedimento del fratello fuorviato.

5. Per S. Paolo, come per gli Apostoli, come per il Signor Gesù, Satana non è un mito o una figura rettorica, o una personificazione del male; ma è una personalità vivente ed operante per il male dei fedeli. Ma il suo potere è però limitato dal governo di Dio il quale può perfino volgere al bene quel che Satana disegna per il male. In Cristo i credenti possono essere vittoriosi del grande loro avversario.

Riferimenti incrociati:

1Timoteo 1

1 Rom 1:1; 1Co 1:1
1Ti 2:7; At 9:15; 26:16-18; 1Co 9:17; Ga 1:1,11; 2Ti 1:11; Tit 1:3
1Ti 2:3; 4:10; Sal 106:21; Is 12:2; 43:3,11; 45:15,21; 49:26; 60:16; 63:8; Os 13:4; Lu 1:47; 2:11; 2Ti 1:10; Tit 1:3; 2:10,13; 3:4,6; 2P 1:1; 1G 4:14; Giuda 1:25
Rom 15:12,13; Col 1:27; 2Te 2:16; 1P 1:3,21

2 At 16:1-3; 1Te 3:2
1Ti 1:18; 1Co 4:14-17; Fili 2:19-22; 2Ti 1:2; 2:1; Tit 1:4
Rom 1:7; Ga 1:3; 2Ti 1:2; Tit 1:4; 1P 1:2

3 At 19:1-10
At 20:1-3; Fili 2:24
1Ti 4:6,11; 5:7; 6:3,10,17; Ga 1:6,7; Ef 4:14; Col 2:6-11; Tit 1:9-11; 2G 1:7,9,10; Ap 2:1,2,14,20

4 1Ti 4:7; 6:4,20; 2Ti 2:14,16-18; 4:4; Tit 1:14; 2P 1:16
Tit 3:9
1Ti 6:4,5; 2Ti 2:22
1Ti 3:16; 6:3,11; 2Co 1:12; 7:9,10; Ef 4:12-16; Tit 1:1; Eb 13:9

5 Rom 10:4; 13:8-10; Ga 5:13,14,22; 1G 4:7-14
Mar 12:28-34; Rom 14:15; 1Co 8:1-3; 13:1-13; 14:1; 1P 4:8; 2P 1:7
Sal 24:4; 51:10; Ger 4:14; Mat 5:8; 12:35; At 15:9; 2Ti 2:22; Giac 4:8; 1P 1:22; 1G 3:3
1Ti 1:19; 3:9; At 23:1; 24:16; Rom 9:1; 2Co 1:12; 2Ti 1:3; Tit 1:15; Eb 9:14; 10:22; 13:18; 1P 3:16,21
Ga 5:6; 2Ti 1:5; Eb 11:5,6; 1G 3:23

6 1Ti 6:21; 2Ti 2:18; 1Ti 4:10
1Ti 5:15; 6:4,5,20; 2Ti 2:23,24; Tit 1:10; 3:9

7 At 15:1; Rom 2:19-21; Ga 3:2,5; 4:21; 5:3,4; Tit 1:10,11
1Ti 6:4; Is 29:13,14; Ger 8:8,9; Mat 15:14; 21:27; 23:16-24; Giov 3:9,10; 9:40,41; Rom 1:22; 2Ti 3:7; 2P 2:12

8 De 4:6-8; Ne 9:13; Sal 19:7-10; 119:96-105,127,128; Rom 7:12,13,16; 7:18,22; 12:2; Ga 3:21
2Ti 2:5

9 Rom 4:13; 5:20; 6:14; Ga 3:10-14,19; 5:23
2Te 2:8
Rom 1:30; Tit 1:16; 3:3; Eb 11:31; 1P 2:7; 3:20
1P 4:18
Ger 23:11; Ez 21:25; Eb 12:16
Lev 20:9; De 27:16; 2Sa 16:11; 17:1-4; 2Re 19:37; 2Cron 32:21; Prov 20:20; 28:24; 30:11,17; Mat 10:21
Ge 9:5,6; Eso 20:13; 21:14; Nu 35:30-33; De 21:6-9; Prov 28:17; Ga 5:21; Ap 21:8; 22:15

10 Mar 7:21,22; 1Co 6:9,10; Ga 5:19-21; Ef 5:3-6; Eb 13:4
Ge 19:5; Lev 18:22; 20:13; Rom 1:26; Giuda 1:7
Ge 37:27; 40:15; Eso 21:16; De 24:7; Ap 18:13
Giov 8:44; Ap 21:8,27; 22:15
Eso 20:7; Ez 17:16-19; Os 4:1,2; 10:4; Zac 5:4; 8:17; Mal 3:5; Mat 5:33-37
1Ti 6:3; 2Ti 1:13; 4:3; Tit 1:9; 2:1

11 Rom 2:16
Sal 138:2; Lu 2:10,11,14; 2Co 3:8-11; 4:4,6; Ef 1:6,12; 2:7; 3:10; 1P 1:11,12
1Ti 6:15
1Ti 2:7; 6:20; 1Co 4:1,2; 9:17; 2Co 5:18-20; Ga 2:7; Col 1:25; 1Te 2:4; 2Ti 1:11,14; 2:2; Tit 1:3

12 Giov 5:23; Fili 2:11; Ap 5:9-14; 7:10-12
1Co 15:10; 2Co 3:5,6; 4:1; 12:9,10; Fili 4:13; 2Ti 4:17
At 16:15; 1Co 7:25
1Ti 1:11; At 9:15; Col 1:25

13 At 8:3; 9:1,5,13; 22:4; 26:9-11; 1Co 15:9; Ga 1:13; Fili 3:6
1Ti 1:16; Os 2:23; Rom 5:20,21; 11:30,31; Eb 4:16; 1P 2:10
Nu 15:30; Lu 12:47; 23:34; Giov 9:39-41; At 3:17; 26:9; Eb 6:4-8; 10:26-29; 2P 2:21,22

14 At 15:11; Rom 16:20; 2Co 8:9; 13:14; Ap 22:21
Eso 34:6; Is 55:6,7; Rom 5:15-20; 1Co 15:10; Ef 1:7,8; 1P 1:3
Lu 7:47-50; 1Te 5:8; 2Ti 1:13; 1G 4:10

15 1Ti 1:19; 3:1; 4:9; 2Ti 2:11; Tit 3:8; Ap 21:5; 22:6
Giov 1:12; 3:16,17,36; At 11:1,18; 1G 5:11
Mat 1:21; 9:13; 18:11; 20:28; Mar 2:17; Lu 5:32; 19:10; Giov 1:29; 12:47; At 3:26; Rom 3:24-26; 5:6,8-10; Eb 7:25; 1G 3:5,8; 4:9,10; Ap 5:9
1Ti 1:13; Giob 42:6; Ez 16:63; 36:31,32; 1Co 15:9; Ef 3:8

16 Nu 23:3; Sal 25:11; Is 1:18; 43:25; Ef 1:6,12; 2:7; 2Te 1:10
1Ti 1:13; 2Co 4:1
Eso 34:8; Rom 2:4,5; 1P 3:20; 2P 3:9,15
2Cron 33:9-13,19; Is 55:7; Lu 7:47; 15:10; 18:13,14; 19:7-9; 23:43; Giov 6:37; At 13:39; Rom 5:20; 15:4; Eb 7:25
Giov 3:15,16,36; 5:24; 6:40,54; 20:31; Rom 5:21; 6:23; 1G 5:11,12

17 1Ti 6:15,16; Sal 10:16; 45:1,6; 47:6-8; 90:2; 145:13; Ger 10:10; Dan 2:44; 7:14; Mic 5:2; Mal 1:14; Mat 6:13; 25:34; Rom 1:23; Eb 1:8-13; Ap 17:14; 19:16
Giov 1:18; Rom 1:20; Col 1:15; Eb 11:27; 1G 4:12
Rom 16:27; Giuda 1:25
1Cron 29:11; Ne 9:5; Sal 41:13; 57:11; 72:18,19; 106:48; Dan 4:34,37; Ef 3:20,21; 1P 5:11; 2P 3:18; Ap 4:8-11; 5:9-14; 7:12; 19:1,6
Mat 6:13; 28:20

18 1Ti 1:11,12; 4:14; 6:13,14,20; 2Ti 2:2; 4:1-3
1Ti 1:2; Fili 2:22; 2Ti 1:2; 2:1; Tit 1:4; File 1:10
1Ti 4:4
1Ti 6:12; 2Co 10:3,4; Ef 6:12-18; 2Ti 2:3-5; 4:7

19 1Ti 1:5; 3:9; Tit 1:9; Eb 3:14; 1P 3:15,16; Ap 3:3,8,10
Fili 3:18,19; 2Ti 3:1-6; 2P 2:1-3,12-22; Giuda 1:10-13
1Ti 4:1,2; 1Co 11:19; Ga 1:6-8; 5:4; 2Ti 4:4; Eb 6:4-6; 1G 2:19
1Ti 6:9; Mat 6:27

20 2Ti 2:17
At 19:33; 2Ti 2:14; 4:14,15
Mat 18:17; 1Co 5:4,5; 2Co 10:6; 13:10
1Co 11:32; 2Te 3:15; Ap 3:19
At 13:45; 2Ti 3:2; Ap 13:1,5,6

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