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Commentario:2Corinzi 12:7Le prime parole di 2Corinzi 12:7 sono state da alcuni antichi collegate con 2Corinzi 12:5-6; e da questa connessione forzata, è venuta probabilmente la variante che colloca un perciò ( διο) prima dell'«affinchè io m'innalzi». Ci atteniamo al testo ordinario seguito dal Tischendorf, dal Tregelles e da altri critici, come al solo che, senza far violenza alla grammatica, armonizzi col contesto. Paolo ha tanto più ragione di non incoraggiare in altri un'opinione troppo elevata di lui, che Dio stesso ha preso, riguardo al suo servo, delle misure efficaci per tenerlo in costante umiltà. Il και (e) al principio di 2Corinzi 12:7 si può quindi parafrasare: «E, facendo così, non fo che seguire le indicazioni di Dio stesso, il quale ha trovato necessario di mettermi uno stecco nella carne affinchè io non insuperbisca. Ed affinchè, dalla straordinaria grandezza delle rivelazioni, io non sia portato a insuperbire, mi è stato dato uno stecco nella carne, un angelo di Satana per schiaffeggiarmi, acciocchè io non insuperbisca (o: «non m'innalzi di soverchio» oltre il dovuto). Il termine ὑπερβολη indica la grandezza straordinaria, piuttosto che la eccellenza e l'interno valore delle rivelazioni. L'uso del plurale a rivelazioni» mostra che Paolo ne ha ricevute altre molte e gloriose. Mi è stato dato racchiude l'idea del collocare, dove bisogna, una cosa giudicata utile, necessaria. Non dice da chi è stato dato; ma tenendo in mente lo scopo educativo dello stecco, è manifesto che Paolo pensa a Dio, il quale fa concorrere tutte le cose al bene di coloro che lo amano. La parola σκολοψ (scolops) può significare un palo acuminato, ovvero semplicemente uno stecco, una spina che si pianta nelle carni cagionando vivo dolore. Esempi nella LXX: Osea 2:6; Ezechiele 28:24; Numeri 33:55. La carne qui nel suo senso materiale, il corpo. Parlando di stecco nella carne, Paolo allude manifestamente ad una infermità dolorosa, persistente, colla quale Dio gli ricordava la sua naturale debolezza e lo teneva in umiltà. In quella malattia che lo fa soffrire e gli impedisce talvolta di proseguire l'opera sua, egli riconosce l'azione di Satana, come in tutto ciò che è contrario alla felicità dell'uomo e nuoce all'opera di Dio. Si confronti il concetto espresso nel N. T. delle malattie dovute a Satana od agli spiriti che sono «suoi angeli» Matteo 25:41. Il caso poi di un fatto in cui entra l'azione e la malvagia intenzione di Satana, e che ciò nonostante è governato da Dio in modo da servire ai suoi fini superiori e misericordiosi, non è infrequente nella Scrittura. Esodo Giobbe. Lo schiaffeggiare accenna al dolore ed all'umiliazione inflitti a Paolo e fors'anche al ricorrere ad intervalli di quella malattia ch'era cosa ben nota ai lettori, ma che non siamo oggi in grado di determinare con assoluta certezza. Sono da scartare, senz'altro, come non conformi alle indicazioni del testo e del contesto, varie opinioni. Per esempio quella di Lutero che vede nello «stecco nella carne» delle tentazioni spirituali create da malvagi pensieri suggeriti dal maligno; quella di Osiander che vi scorge i rimorsi per le persecuzioni fatte subire ai cristiani da Saulo; quella di Estius che crede trattarsi di appetiti sensuali. Come spiegare, in tal caso, che Paolo avesse cessato di pregare per esser liberato? E come si giustifica l'immagine dello stecco doloroso nella carne? Si confronti pure 1Corinzi 7:7. Non è soddisfacente neppure l'idea di Crisostomo ed altri, che, trattisi cioè delle persecuzioni e delle calunnie degli avversarii, le quali non sempre fanno soffrir la carne. A Paolo poi era stato fin dal principio annunziato che avrebbe da patir molte cose per lo nome del Signore. La maggior parte degli interpreti sono d'accordo nel riconoscere che Paolo allude ad una malattia corporale da cui era occasionalmente tormentato. Solo le opinioni sono molto diverse quando si vuol congetturare sulla natura di quella malattia. C'è chi ha pensato a dolori di capo, a emicranie o ad una eruzione cutanea alla faccia (Godet). Molti moderni sostengono l'ipotesi di attacchi epilettici, facendo valere il fatto che una tale infermità va connessa spesso colle estasi od altri fenomeni simili; ch'essa è umiliante (e si cita perfino Galati 4:14; mettendolo in relazione coll'abitudine superstiziosa degli antichi di sputar sugli epilettici); che uomini celebri vi sono stati soggetti. Non mancano però le obbiezioni contro a codesta ipotesi. L'attacco epilettico non è doloroso e corrisponde male all'immagine di uno stecco piantato nelle carni; l'epilessia, per poco che sia frequente, affievolisce le facoltà mentali, eppure Paolo ha scritto, dopo la seconda ai Corinzi, l'Epistola ai Romani, quelle agli Efesi, ai Colossesi, ecc., che fanno fede della robusta sua tempra intellettuale. Ha mostrato del pari di possedere una fibra corporale capace di sostenere ogni sorta di strapazzi. Le espressioni di Galati 4:14 sono figurate e non risulta che lo stecco nella carne avesse alcuna connessione organica colle rivelazioni celesti. La relazione tra le due cose è di natura morale. Il Ramsay ha di recente sostenuta l'idea che Paolo alluda ad accessi di febbre. Trattandosi di congetture, ci pare più plausibile quella che vede nella malattia di cui soffriva l'Apostolo una forma di oftalmia. Diversi indizii accennano a qualcosa di simile. In Atti 9 si narra che fu accecato dall'apparizione del Signore e che tre giorni dopo caddero come delle scaglie dagli occhi suoi. Paolo soleva dettare le sue lettere e quando scriveva di proprio pugno il carattere era molto alto (Galati 6:11 greco; 2Tessalonicesi 3:17; Romani 16:22). In Atti 23:15 Paolo dichiara, intorno a colui che lo aveva fatto percuotere, in Sinedrio: io non sapeva che fosse sommo sacerdote. Se la sua vista era debole, la cosa spiegasi facilmente. Il passo Galati 4:13-15 allude molto naturalmente ad una oftalmia: «Voi sapete che da principio, io andai ad evangelizzarvi a cagione di una infermità della carne e la vostra prova ch'era nella mia carne, voi non l'aveste in isprezzo nè a schifo, anzi mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù... io vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, voi vi sareste cavati gli occhi per darli a me». Il dolore acuto cagionato dalle oftalmie è noto e viene spesso assomigliato a punture di spilli. È noto del pari il ricorrere periodico di quell'infermità specie dopo strapazzi, freddi, ecc. Dal lato morale, l'oftalmia era bene atta a ricordare a Paolo la propria umana infermità e le antiche violenze del Saulo persecutore fermato presso a Damasco. Riferimenti incrociati:2Corinzi 12:72Co 10:5; 11:20; De 8:14; 17:20; 2Cron 26:16; 32:25,26,31; Dan 5:20; 1Ti 3:6 Dimensione testo: |