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Commentario:Romani 1:9Poichè Iddio, al quale servo nello spirito mio annunziando l'Evangelo del suo Figliuolo, mi è testimone ch'io non resto dal far menzione di voi in tutte le mie preghiere, Lett. sempre nelle mie preghiere Quest'ultima clausola viene da molti connessa col verbo che segue: «chiedendo in tutte le mie preghiere». La riconoscenza che Paolo spande innanzi a Dio è sentimento intimo, la cui sincerità non può venir costatata dall'uomo, ma di cui è testimone Colui che investiga i cuori. Perciò l'Apostolo fa solenne appello (cfr. 2Corinzi 1:23; Filippesi 1:8) all'Iddio al quale egli ministri, non esternamente soltanto, ma dal più profondo dell'essere suo: lo spirito (cfr. Giovanni 4:24; Efesini 5:19); al quale ministra consacrando tutto sè stesso alla predicazione dell'Evangelo che ha per centro il Figlio di Dio. L'uso della parola λατρευειν (servire, ministrare) sta ad indicare che, per lui, l'apostolato è una specie di sacerdozio (cfr. Romani 15:16) e la predicazione del Vangelo un atto di culto, Dio che scruta il suo servo sa ch'egli non cessa di far menzione di loro nelle sue preghiere; e ciò, non solo per render grazie, ma per chieder nuove benedizioni. Riferimenti incrociati:Romani 1:9Rom 9:1; Giob 16:19; 2Co 1:23; 11:10,11,31; Ga 1:20; Fili 1:8; 1Te 2:5-10; 1Ti 2:7 Dimensione testo: |