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Commentario:Romani 7:25Al momento però, in cui descrive questa lotta dell'uomo col peccato, e manda il suo grido di dolore, Paolo già conosce, da molti anni, il Liberatore ed, ha sperimentata la potenza dello Spirito. Perciò, il ricordo della miseria da cui lo ha tratto la grazia di Dio, lo fa prorompere in un grido di riconoscenza che è un'anticipazione su quanto esporrà in Romani 8: io rendo grazie a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Da lui infatti, è proceduta la potenza salutare. Egli offre il suo ringraziamento per mezzo di Gesù Cristo, perch'egli è stato e rimane il Mediatore che agli uomini reca salvazione, e a Dio presenta l'adorazione delle creature salvate. Il Cod. Vaticano, invece di rendo grazie, porta: Grazie siano rese a Dio... , lezione adottata da Tisch. Nestle, W.-H., ecc., come più probabile, sebbene meno appoggiata. Il Romani 7:25 riassume e chiude il quadro che Paolo ha tracciato del dualismo morale esistente nell'uomo. Ecco, viene egli a dire, qual'è, in breve, la testimonianza, della mia propria esperienza morale, come uomo posto sotto l'influenza della legge di Dio, ma prima dell'intervento della grazia liberatrice: La legge è santa e buona, io stesso sono costretto a riconoscerlo colla mia mente, col mio interno senso morale che ne accetta gli obblighi. Così adunque, io stesso, colla mente, servo alla legge di Dio, le rendo omaggio, mi diletto in essa, faccio sforzi per osservarla. Se non ci riesco la colpa non è della legge, ma di me, che, colla carne, colla mia natura corrotta, servo alla legge del peccato. In teoria sto pel bene, ma in pratica, lasciato alle sole mie forze, sono schiavo del male. RIFLESSIONI 1. Una conoscenza estesa ed esatta della legge morale, una sana educazione possono non dare quei risultati che se ne attendono. Questo non vuol dire che si debba preferire l'ignoranza all'istruzione; ma ci deve ricordare che la conoscenza non basta a rinnovare il cuore e la volontà. Or «dal cuore procedono le fonti della vita». Chi non vede nel Vangelo che un codice più perfetto di morale, ed in Cristo che un dottore ed un modello, si trova di fronte a un ideale altissimo, in posizione più disperata del Giudeo che si accingeva, da solo, ad osservare la legge di Mosè. Abbiamo bisogno di forza, ancor più che la conoscenza, nella lotta contro il male. Gesù è quello che, mentre, dà l'ordine: «Lèvati e cammina», ne somministra la capacità. «Da quod jubes, et jube quod vis», era la profonda preghiera di S. Agostino. 2. Il colpo di morte, alla illusione ed alla boria farisaica di chi si crede giusto, basta a darlo uno sguardo attento alle prescrizioni della legge. Come può un uomo pretendere che esser in regola colla legge, quando si pone dinanzi ad un comandamento che si riferisca manifestamente alle disposizioni interne, come ad esempio: Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta, l'anima tua e con tutte le forze tue? La; concupiscenza è un moto interno; ma, secondo l'insegnamento di Paolo, che riproduce quello di Cristo Matteo 5:28, essa è peccato. Misurato a questa stregua, chi può dirsi puro? 3. L'essere in uno stato d'impotenza morale non sopprime la responsabilità. Il sentir l'obbligo del bene, il contemplarne la bellezza, mentre, uno si sente incapace, di realizzarlo, è la maggiore delle miserie umane, e dovrebbe spingere gli uomini a riguardare al secondo Adamo come al grande Liberatore. 4. Chi ha provato il peso della colpa, gusta con maggior riconoscenza il perdono. Valga l'esempio della, peccatrice penitente Luca 7:36-50. Parimente, chi ha sentito tutto il peso delle catene del peccato, prova maggior riconoscenza verso la grazia di Dio che, lo mette in possesso della, libertà dei figli. 5. Prima, di entrare nello stato di grazia di cui parlerà in Romani 8, Paolo avea trascorso, a Tarso, una infanzia e una giovinezza di relativa innocenza, gaia, ed incosciente, durante la quale egli «viveva» stimandosi in regola con Dio, perché ignorava ancora le serie lotte morali. Ma la grazia preveniente di Dio che lo destinava ad essere uno strumento eletto di salvezza, gli fece fare, col volgere degli anni, l'esperienza del conflitto tra l'obbligazione morale imposta dalla coscienza, meglio illuminata e le inclinazioni e passioni malvage del cuore. L'ultima parte di Romani 7 in cui l'antico Fariseo ci fa penetrare nella sua storia intima prima della sua conversione, ci mostra quale lotta, tragica e dolorosa si andasse svolgendo nell'anima di Saulo a misura ch'egli comprendeva meglio le esigenze spirituali della Legge e la sua propria impotenza morale di fronte ad esso. Mentre la sua vita esteriore era irreprensibile di fronte alle esigenze più esterne della legge, l'uomo interno si dibatteva in una lotta impari col peccato e gemeva della sua schiavitù e sospirava dietro il perdono e la liberazione. Così, sotto l'azione dello Spirito di Dio, la legge andava diventando per Saulo un pedagogo per condurlo a Cristo. Se l'apparizione di Cristo sulla via di Damasco fu l'atto decisivo che determinò la conversione di Saulo, non dobbiamo dimenticare ch'essa fu preceduta da una lenta preparazione interna che ha potuto durare degli anni. 6. Questa sezione è stata oggetto di controversie tra coloro che vi scorgono la pittura dello stato morale del cristiano e coloro che vi vedono quella dell'uomo non rigenerato. Mentre crediamo che Paolo dipinga sè stesso nello stato in cui si è trovato «sotto alla legge», e non «sotto alla grazia», riconosciamo che una consimile lotta si prosegue nella esperienza dei cristiani, i quali però conoscono e sperimentano, nella misura della loro unione più o meno intima con Cristo, la sua potenza liberatrice. «L'Apostolo, osserva il Godet, sente profondamente che il giorno in cui gli accadesse di separarsi da Cristo, egli ritornerebbe quel giudeo legale che lotta invano contro al peccato, colle proprie forze, e che tosto è vinto dall'istinto carnale. Quel ch'egli dipinge adunque è la natura umana alle prese colla legge santa, ovunque questi due avversari s'incontrino, senza che tra di loro s'interponga la grazia del Vangelo. Ciò serve all'analogia tra questo quadro ed una moltitudine di esperienze fatte dai cristiani: analogia che ha indotto in errore tanti e si eccellenti interpreti. Come avviene egli al Cristiano di non più trovar nel Vangelo che una legge e una legge più grave ancora, di quella del Sinai (perchè più profonda)?... Semplicemente per il fatto ch'egli ha lasciato allentarsi il legame tra Cristo ed il proprio cuore e si trova così, solo di fronte alle esigenze del Vangelo, come il Giudeo legale di fronte a quelle della legge. È egli da stupire se fa allora le stesse esperienze, ed anche delle più penose di quello?... Il legame tra l'anima e Cristo, per, il quale siam, divenuti i suoi tralci, si allenta non appena noi cessiamo di mantenerlo e stringerlo attivamente. Principia, a rompersi ad ogni atto d'infedeltà non perdonata». Riferimenti incrociati:Romani 7:25Rom 6:14,17; Sal 107:15,16; 116:16,17; Is 12:1; 49:9,13; Mat 1:21; 1Co 15:57; 2Co 9:15; 12:9,10; Ef 5:20; Fili 3:3; 4:6; Col 3:17; 1P 2:5,9 Dimensione testo: |