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Giovanni 141 CAPO 14 - ANALISI 1. Del posto che questo capitolo occupa, in rapporto coi discorsi che lo precedono, e con quelli che lo seguono. Non pochi critici, fondandosi sulle ultime parole di questo capitolo: "Levatevi, andiamocene di qui", dividono in due discorsi il contenuto dei cap. 14 a 16, considerando il cap. 14 come un discorso da sé, pronunziato nella stanza della cena pasquale, mentre i due seguenti conterrebbero un discorso detto da Gesù sulla via del Ghetsemane. Le obbiezioni contro una divisione siffatta sono gravi. È affatto improbabile che un discorso così importante e solenne come quello dei capitoli Giovanni 15:1-27; 16:1-33, e la preghiera che seguì Giovanni 17:1-26, sieno stati da Gesù pronunziati nelle strade di Gerusalemme. Di più le prime parole di Giovanni 18 fissano a dopo la preghiera sacerdotale l'uscita di Gesù e dei suoi discepoli dalla sala in cui avevano celebrato la Pasqua. Altri considerano questo discorso di Gesù come cominciato in Giovanni 13:31, e terminato col cap. Giovanni 16. Che quanto vien ricordato da Giovanni 13:31 a Giovanni 17 sia stato detto dinanzi ai discepoli nella stanza della Cena è l'opinione comune e, secondo noi, giustissima dei critici; ma è chiaro che, dopo avere esposto il tradimento di Giuda, e ammonito Pietro del pericolo che lo minacciava, il Signore chiuse la prima parte del suo discorso, principiandone poco dopo, con le prime parole di questo capitolo, uno nuovo rivolto a tutti i discepoli. Parlando di questo discorso nel suo insieme, Tholuck osserva: "Abbiam qui un tuono infantile, uno sviluppo naturale e spesso represso del pensiero, che nessun uomo avrebbe mai potuto inventare. In tutto questo Vangelo, il parlar di Cristo non raggiunse mai una semplicità così perfetta un carattere così adattato alla mente dei discepoli, come in questo caso. Come dice Lutero, egli parla come uno che vuole, incantare e vincere i semplici. "D'altra parte, Plummer, confrontando questo discorso con quelli così lucidi e chiari, che ci vengono ricordati dai Sinottici, dice: "Non vedo come sia possibile non dire che questo discorso, quale ci vien riferito da Giovanni, è di costruzione alquanto intricata. I diversi soggetti toccati da Gesù non restano separati, ma si incrociano del continuo l'uno coll'altro. I soggetti della fine già sono accennati al principio, e quelli toccati prima si ripresentano nuovamente cogli ultimi". 2. Dello scopo di Cristo in questo capitolo. Gesù volle senza dubbio consolare e confortare i suoi discepoli, già scoraggiati dall'annunzio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro, in vista della prossima loro separazione. Questo scopo, egli non lo perde mai di vista in tutto questo capitolo; le domande fatte liberamente dai discepoli fanno sorgere molti e, vari argomenti di conversazione che il Signore, con infinita sapienza, connette al suo discorso, per produrre l'effetto che desiderava. 3. Degli argomenti di conforto che Gesù mette in questo capitolo dinanzi ai suoi discepoli. Hengstenberg ne conta sette, enumerati qui in modo più conciso che egli non faccia: 1. Pei discepoli di Cristo il cielo è una possessione assicurata Giovanni 14:2-3; 2. In Cristo essi hanno una via infallibile al Padre Giovanni 14:4-11; 3. Non devono temere che l'opera di Cristo cessi colla, sua partenza Giovanni 14:12-14; 4. Nella sua assenza ne farà appo loro le veci lo Spirito Santo Giovanni 14:15-17; 5. Egli non abbandona i suoi per sempre, ma tornerà per prenderli con sé Giovanni 14:18-24; 6. Lo Spirito insegnerà i discepoli, e verrà in aiuto alla loro ignoranza e alla loro mancanza d'intendimento, per tutto il tempo in cui saranno soli Giovanni 14:25-26; 7. Finalmente Gesù lascia loro la sua pace che li conforterà durante tutta la sua assenza Giovanni 14:27. Giovanni 14:1-31. DISCORSO RIVOLTO DA CRISTO AI SUOI DISCEPOLI, DOPO LA ISTITUZIONE DELLA SANTA CENA 1. Il vostro cuore non sia turbato; Consentono tutti i commentatori che il discorso contenuto in questo capitolo fu pronunziato da Gesù, mentre egli e i discepoli stavano tuttora a tavola, dopo mangiata la Pasqua. Il cuore dei discepoli era pieno di incertezza e di perturbazione, sia per quanto era stato predetto di due di loro, sia soprattutto per quanto Gesù aveva detto della prossima sua partenza, e della impossibilità in cui trovavansi di seguitarlo Giovanni 14:5; 16:5-6. Questa dichiarazione di Gesù distruggeva di sana pianta tutte le loro speranze carnali. Leggendo i loro pensieri, e dimenticando sé stesso, nella bontà del suo cuore, il Signore comincia questo discorso con parole che corrispondono mirabilmente ai loro bisogni. Li invita a cacciare in bando i timori che li agitano e ad ascoltare quanto l'amor suo lo spinge a dir loro, affinché posseggano il loro cuore in pace, "Il vostro cuore", "al singolare, il cuore di ognuno di voi", "non sia turbato. Consolanti parole! A quanti cuori afflitti e disperati non hanno esse recato conforto, da quella sera in cui caddero per la prima volta dalle labbra del Maestro? voi credete in Dio, credete ancora in me, Queste parole si possono tradurre in vari modi; ma prima di parlar di ciò è bene richiamare l'attenzione su quanto dice Wordsworth, citato da Ryle, che cioè il verbo "credere", seguito da una preposizione e dall'accusativo, non è mai applicato nel Nuovo Testamento ad altri che a Dio. Qualunque sia adunque la traduzione che venga preferita, non si deve dimenticare che, con queste parole, il Signore ci si presenta come perfettamente uguale col Padre, come una persona divina. In quattro maniere, tutte grammaticalmente corrette, possono leggersi queste parole di Gesù: 1. Come due imperativi: "Credete in Dio; credete pure in me" Questa interpretazione gode il sostegno di Crisostomo e di non pochi Padri greci e latini, di Lampe, Bengel,; Deuteronomio Wette, Lucke, Tholuck, Meyer, Stier, Alford, Westcott, Milligan e Moulton. Ad essa però obietta Olshausen:, Essa mette le parole "in me" in una posizione alquanto strana, perché, se il secondo fosse esso pure un imperativo, queste parole dovrebbero seguirlo, anziché precederlo. Di più la fede in Cristo non è mai aggiunta alla fede in Dio; ma l'oggetto della fede è Dio in Cristo. 2. Come due indicativi: "Voi credete in Dio, e credete pure in me". E questa l'interpretazione messa innanzi da Lutero; ma ci sembra mancare di forza argomentativa. 3. Come un imperativo seguito da un indicativo, intendendo quest'ultimo per ottenere un senso soddisfacente, al futuro: "Credete in Dio, e allora crederete pure in me". A questa interpretazione sembra propendere Olshausen; ma è poco naturale, e di più asserisce cosa che non è necessariamente vera. 4. Come un indicativo seguito da un imperativo: "Voi credete in Dio, credete altresì in me. Traducono così la Volgata, Diodati, Maldonato, Erasmo, Calvino Beza, Cranmer, Brown, Webster e Wilkinson, Ryle, Jacobus. Preferiamo anche noi questa lezione, perché esprime più chiaramente il senso naturale delle parole di Cristo, e corrisponde più esattamente allo stato morale dei discepoli: Gesù sapeva che, da quei Giudei religiosi che erano, già credevano in Jehova, come nell'Iddio del Patto, e che una tal fede era la base di tutta la loro vita e di tutte le loro speranze religiose; ed ora domanda loro di credere pure in lui, come uguale al Padre, come vero Dio, abbenché in forma umana e in procinto di soffrire la morte, e di affidarsi alle sue cure colla fiducia medesima colla quale confidavano in Dio. PASSI PARALLELI Giovanni 14:27-28; 11:33 Giovanni 12:27; 16:3,6,22-23; Giobbe 21:4-6; 23:15-16; Salmi 42:5-6,8-11; 43:5 Salmi 77:2-3,10; Isaia 43:1-2; Geremia 8:18; Lamentazioni 3:17-23; 2Corinzi 2:7; 4:8-10 2Corinzi 12:9-10; 1Tessalonicesi 3:3-4; 2Tessalonicesi 2:2; Ebrei 12:12-13 Giovanni 5:23; 6:40; 11:25-27; 12:44; 13:19; Isaia 12:2-3; 26:3; Atti 3:15-16 Efesini 1:12-13,15; 3:14-17; 1Pietro 1:21; 1Giovanni 2:23-24; 5:10-12 2 2. Nella casa del Padre mio vi son molte stanze; Non dobbiamo supporre, come fanno alcuni, che la casa, di cui è qui parlato sia l'universo. Essa è dove la presenza stessa di Cristo è visibile per sempre, ed egli, anche con un corpo spirituale, non può esser presente al tempo stesso nell'universo intero. Il senso esatto di questa parola si può derivare confrontando questo passo con 2Corinzi 5:1, il solo passo del Nuovo Testamento dove la troviamo in senso metaforico, e dove ci vien parlato di "una casa fatta senza opera di mano, eterna nei cieli. Era familiare ai Giudei l'idea dei cieli come dimora di Dio. Il vocabolo significa più che "stanze", e cioè delle dimore stabili, certe e durevoli, come si vede dall'uso della medesima parola in Giovanni 14:23, il solo altro passo dove la si trovi, e dall'aggettivo che ne deriva, e che in Ebrei 13:14 descrive la natura mutevole della nostra dimora terrestre: "Perciocché noi non abbiam qui una città stabile". "Le molte stanze" non si riferiscono a vari gradi di gloria, che verrebbero conferiti ai credenti nel mondo celeste, come suppongono alcuni, benché questa verità sia stata insegnata dal Signore, per mezzo di parabole e in modo diretto e dommatico da Paolo 1Corinzi 15:40-42; essa è qui tanto estranea al contesto, che non si può ammettere che fosse presente alla mente di Gesù. Queste parole non giustificano neppure l'idea di certi moderni novatori, che nel cielo vi sarà perfetta tolleranza di ogni sorta di credo e di religione, poiché il Signore parla qui per il conforto speciale di quelli che avranno ricevuta la sua dottrina. Esse si riferiscono piuttosto alla estensione della casa del Padre, nella quale vi sarà posto per tutti i redenti, per quanto grande ne sia il numero. Quella casa non sarà mai troppo piena, né troppo stretta, come erano le case di Gerusalemme, nelle quali alloggiavano, in quei giorni stessi, i pellegrini accorsi alla festa. se no, io ve l'avrei detto; Il Signore conosceva le speranze carnali dei suoi discepoli di partecipare alla potenza ed alla gloria di un regno messianico terreno Marco 10:37; Luca 22:24; ma, pur condannando quei sogni ambiziosi Matteo 18:2-4; Marco 9:34-37; Luca 22:25-26, egli lasciava loro sperare un regno, nel quale sarebbero sempre con lui, e godrebbero i primi posti Matteo 20:27; Luca 22:28,30. Le parole dette poco prima a Pietro: "Là ove io vo, tu non puoi ora seguitarmi" Giovanni 13:36, potevano apparir contrarie a simili speranze; epperciò il Signore si affretta ad accertarli, che, se le loro speranze fossero state infondate, da lungo tempo già egli li avrebbe disingannati. Egli era sempre stato aperto nelle sue comunicazioni con loro, e non avrebbe certo nascosto loro la verità fino all'ultimo momento. Questa assicurazione di Gesù è tale da generare la più completa fiducia in lui nella mente dei discepoli, e questa pare la spiegazione più naturale e più soddisfacente di questa clausola. io vo ad apparecchiarvi il luogo. Nel Textus Receptus "io vo" comincia una nuova clausola connessa alla precedente, ma indipendente da essa. Uno studio più accurato dei manoscritti non lascia dubbio alcuno che la congiunzione "che, perché" dovrebbe precedere il verbo, e in conseguenza di questa scoperta sono state proposte le spiegazioni seguenti dell'ultima parte di questo versetto: 1. "Se non fosse così, vi avrei detto che io vo ad apparecchiarvi il posto". 2. Interrogativamente: "Se così non fosse, vi avrei io detto che vo ad apparecchiarvi il posto?" quasiché il Signore alludesse a qualche parola sua che non ci è stata riferita. 3. Ma la più soddisfacente spiegazione è: "Non dubitate che vi sia un posto per ciascuno di voi nella casa del mio Padre, imperocché io me ne vado appunto per prepararvelo". Queste ultime parole del versetto ci dànno adunque una nuova ragione di conforto e di pace, perché ci insegnano che Gesù è entrato nel cielo come nostro precursore Ebrei 6:20, "prima per stabilire il nostro diritto ad entrarvi; in secondo luogo per prenderne possesso a nome nostro, e finalmente per condurvici un giorno" (Brown). PASSI PARALLELI 2Corinzi 5:1; Ebrei 11:10,14-16; 13:14; Apocalisse 3:12,21; 21:10-27 Giovanni 12:25-26; 16:4; Luca 14:26-33; Atti 9:16; 1Tessalonicesi 3:3-4; 5:9; 2Tessalonicesi 1:4-10 Tito 1:2; Apocalisse 1:5 Giovanni 13:33,36; 17:24; Ebrei 6:20; 9:8,23-26; 11:16; Apocalisse 21:2 3 3. E quando io sarò andato, e vi avrò apparecchiato il luogo, verrò di nuovo, e vi accoglierò appresso di me, Alford ci avverte che la congiunzione "se", colla quale comincia questo versetto, non, ha mai, né quì né altrove, il senso di quando. Il "se non implica dubbio, più che non lo faccia il quando"; ma viene impiegato perché si tratta qui del risultato non della data della partenza di Gesù. Il fatto che Cristo andava a preparare un posto pei suoi discepoli implicava il suo ritorno dopo avere adempiuto quell'opera; ma in questo versetto egli ce ne dà assicurazione accertandoci che lo scopo suo supremo è di "accoglierci appresso di sé". Questo ritorno di Cristo, nel senso più alto e più stretto della parola, s'intende della seconda sua venuta personale, all'ultimo giorno, quando quelli che saranno nelle loro tombe, e quelli che si troveranno tuttora in vita, "saranno rapiti nelle nuvole, per esser sempre col Signore" 1Tessalonicesi 4:17-18; ma s'intende pure, in un senso secondario, del momento in cui ogni credente si spoglia di questo tabernacolo mortale per addormentarsi in Gesù e andare ad essere presente col Signore. Però, né nell'uno né nell'altro di quei due sensi ora il suo ritorno calcolato a recare conforto e consolazione ai suoi discepoli nella solitudine e nell'abbandono in cui egli stava per lasciarli; epperciò devono cercarsi altri adempimenti di quella promessa. Nel caso loro, egli tornò primieramente ad essi mediante la risurrezione; quindi mediante il dono dello Spirito Santo Giovanni 14:18. A ciò si obbietta che quando Gesù disse: "Verrò di nuovo", subito aggiunse: e vi accoglierò appresso di me; ma la prima di queste due frasi è al presente, e dovrebbesi letteralmente tradurre: "vengo di nuovo", il che è una dichiarazione della continua sua presenza in mezzo a loro; mentre "vi accoglierò appresso di me" è al futuro, e si deve intendere della completa unione dei fedeli col loro Signore, unione che comincia in questa vita, farà alla morte un passo avanti, e sarà completa e perfetta quando egli tornerà in sulla terra. "Questo", dice Alford, "è cominciato alla conversione, è continuato nella vita spirituale Giovanni 14:23; 16:22, mediante la nostra propria preparazione ad occupare il posto preparatoci; progredisce, quando la morte ci chiama ad uno ad uno per andare a Lui Filippesi 1:23, e sarà appieno compiuto, quando egli tornerà in gloria, e noi saremo per sempre col Signore 1Tessalonicesi 4:17, nello stato perfetto della risurrezione". acciocché dove io sono, siate ancora voi. Nessuno avrebbe potuto parlar così, se già non fosse stato in quel momento nel posto di cui vien qui parlato, ed è precisamente quello il linguaggio che doveva naturalmente usare Colui che è al tempo stesso Dio ed uomo, parlando in quanto alla sua natura umana di andare al Padre; mentre che, per quanto spetta alla sua natura divina, egli è già col Padre. Qui v'ha conforto sicuro per gli apostoli, e per quanti, al pari di loro, sono veri seguaci di Cristo. Egli non verrà loro meno, ma sarà mai sempre il centro e la fonte della loro gioia e della loro gloria. PASSI PARALLELI Giovanni 14:18-23,28; 12:26; 17:24; Matteo 25:32-34; Atti 1:11; 7:59-60; Romani 8:17 2Corinzi 5:6-8; Filippesi 1:23; 1Tessalonicesi 4:16-17; 2Tessalonicesi 1:12; 2:1; 2Timoteo 2:12; Ebrei 9:28 1Giovanni 3:2-3; Apocalisse 3:21; 21:22-23; 22:3-5 Giovanni 14:4-12 4 4. Voi sapete ove io vo, e sapete anche la via. Credono molti che, con queste parole, il Signore voglia semplicemente richiamare alla memoria dei discepoli delle istruzioni date loro in altra occasione, ed eccitarli ad ulteriori ricerche sul medesimo soggetto, nel modo stesso che comunemente si usa dire: "Sapete, se vi ricordate, se vi pensate, ecc.". Questo è vero senza dubbio; al tempo stesso non toglie che queste parole di Gesù contengano una affermazione positiva. Imperocché il Signore aveva pure allora dichiarato che tornava al Padre suo, e spesso, verso la fine del suo ministero, si era sforzato di far loro comprendere che a quel suo destino egli non poteva giungere, se non per la via delle sofferenze e della morte Giovanni 10:9,11; Matteo 16:21; 20:18-19; Luca 9:22; 18:31-32, dimodoché se ancora rimanevano ignoranti su quei punti, ciò provava fino a qual segno il loro intelletto fosse tuttora ottenebrato. PASSI PARALLELI Giovanni 14:2,28; 13:3; 16:28; Luca 24:26 Giovanni 3:16-17,36; 6:40,68-69; 10:9; 12:26 5 5. Toma gli disse: Signore, noi non sappiamo ove tu vai; come dunque possiamo saper la via? Vi sono uomini di mente così corta, o di carattere così sospettoso, che delle verità lampanti per altri offrono ad essi delle difficoltà insormontabili, dimodoché le spiegazioni e le dimostrazioni si devono nel caso loro spingere proprio fino all'estremo. Toma, "Didimo", era un tale uomo, e lo prova il modo nel quale ricevette le buone nuove della risurrezione del Signore, quando gli furono annunziate dai suoi compagni Giovanni 20:25-28. Quel medesimo carattere dubitativo e sospettoso si rivela in queste sue parole. Non intendendo quello che il Signore aveva detto, non vedendo ragione alcuna perché egli li dovesse lasciare, Toma nega ricisamente, anche a nome degli altri discepoli, di sapere ove Gesù sen vada, e domanda in che modo adunque ne potevano sapere la via. Ma non lo dobbiamo giudicar troppo severamente; egli parlava in mezzo ad un gran turbamento di spirito, imperocché l'amor suo per il suo Maestro era profondo e sincero Giovanni 11:16; 20:28. Quando le passioni e gli affetti sono vivamente commossi, la lingua dell'uomo lo tradisce, ed egli parla come non dovrebbe parlare. PASSI PARALLELI Giovanni 20:25-28 Giovanni 15:12; Marco 8:17-18; 9:19; Luca 24:25; Ebrei 5:11-12 6 6. Gesù gli disse: io son LA VIA, Può essere, come credono alcuni, che le parole di Gesù in Giovanni 14:4 avessero per scopo di incoraggiare gli apostoli a fargli note le loro difficoltà, o di scoprire, dalla loro risposta fino a qual punto avevano inteso le verità che egli era andato rivelando. Ed invero vediamo che, senza fare a Toma il minimo rimprovero per la sua ignoranza spirituale, si accinge a dar loro nuove istruzioni. Alla "casa del Padre" sostituisce in questo versetto il Padre medesimo, come l'oggetto finale del suo e loro andare, e dichiara di essere egli medesimo la sola ed unica via per la quale l'uomo peccatore possa avere accesso appo Dio. La stessa cosa già egli aveva dichiarata, quando disse: "Io son la porta; se alcuno entra per me, sarà salvato" ecc. Giovanni 10:9. LA VERITÀ cioè la realtà incarnata di tutto ciò che troveremo nel Padre, allorquando, per Cristo, giungeremo a Lui: "conciossiaché in lui abiti corporalmente tutta la pienezza della Deità" Colossesi 2:9. e LA VITA; Ossia la potenza vitale di quanto procede da Dio, perché "questo è il vero Dio e la vita eterna" 1Giovanni 5:20. niuno viene al Padre se non per me. Godet, seguendo l'opinione di Agostino, considera la verità e la vita come delle spiegazioni della via, "Gesù la spiega egli medesimo", dice egli, "aggiungendo a quella espressione figurativa i due termini che ne dànno senza immagini il significato: la verità e la vita. La verità è Dio rivelato nella sua essenza, vale a dire nella sua santità e nell'amor suo Giovanni 14:9-10; la vita è Dio comunicato all'anima, per recarle una santa energia ed una perfetta felicità Giovanni 14:23. E siccome egli è in Gesù che si opera quella rivelazione e quella comunicazione di Dio all'anima, egli è pure per mezzo di Gesù che l'anima viene al Padre, e ritrova l'entrata alla casa paterna". Di questi tre titoli che egli si dà, Gesù spiega il primo LA VIA; non già che sia più importante degli altri due, ma perché l'intervento o la mediazione fra Dio e l'uomo è la caratteristica distintiva del Cristianesimo. "Con questo versetto, il Signore c'insegna non solo che egli è, la via che conduce alla casa del Padre nostro nei cieli, ma pure che non vi è altra via, e che l'uomo deve entrare in cielo mediante la espiazione da Cristo compiuta, o non entrarvi mai. Questa sua dichiarazione ci fornisce pure un validissimo argomento contro la nozione moderna che tutte le religioni purché sieno sinceramente professate, conducono ugualmente gli uomini in cielo, sieno essi pagani, maomettani, giudei o cristiani, e che l'amor paterno di Dio è così grande che alla fine egli salverà tutti, di qualunque setta, qualità o carattere" (Ryle). Colui che è la verità dichiara nel modo più riciso: "Niuno viene al Padre, se non per me". PASSI PARALLELI Giovanni 10:9; Isaia 35:8-9; Matteo 11:27; Atti 4:12; Romani 5:2; Efesini 2:18; Ebrei 7:25 Ebrei 9:8; 10:19-22; 1Pietro 1:21 Giovanni 1:14,17; 8:32; 15:1; 18:37; Romani 15:8-9; 2Corinzi 1:19-20; Colossesi 2:9,17 1Giovanni 1:8; 5:6,20; Apocalisse 1:5; 3:7,14; 19:11 Giovanni 14:19; 1:4; 5:21,25-29; 6:33,51,57,68; 8:51; 10:28; 11:25-26; 17:2-3 Atti 3:15; Romani 5:21; 1Corinzi 15:45; Colossesi 3:4; 1Giovanni 1:1-2; 5:11-12; Apocalisse 22:1,17 Giovanni 10:7,9; Atti 4:12; Romani 15:16; 1Pietro 2:4; 3:18; 1Giovanni 2:23; 2Giovanni 9; Apocalisse 5:8-9 Apocalisse 7:9-17; 13:7-8; 20:15 7 7. Se voi mi aveste conosciuto, conoscereste anche il Padre; La vera lezione nel greco è "il mio Padre". Il significato di questa dichiarazione di Gesù ci sembra essere che, quando un uomo è giunto ad una conoscenza illuminata e salutare di Cristo, della sua natura divina e della sua missione messianica, egli trovasi in possesso pure della conoscenza del Padre suo, imperocché il Padre si conosce nel Figlio ed in lui solo Giovanni 1:18. Il Signore dichiara, riguardo a questi discepoli, che ad onta delle successive rivelazioni che aveva loro date di sé medesimo, dal principio del suo ministero in poi, essi ancora non erano giunti ad una piena e perfetta conoscenza di lui, qual vero Dio in forma umana, altrimenti avrebbero anche del Padre una certa e sicura conoscenza, e non gli avrebbero domandato dove egli andava. e fin da ora lo conoscete, e lo avete veduto. Il tempo qui indicato non è quello della partenza di Giuda Giovanni 13:19, come asseriscono taluni, né quello della Pentecoste, anticipatamente mentovata, secondo l'idea di altri, bensì quello che le parole: letteralmente significano, cioè che da quel momento in poi, specialmente dopo la dichiarazione di Giovanni 14:6, essi non solo per mezzo suo conoscevano il Padre, ma persino lo avevano veduto, non già nella sua essenza, perché quella "niun uomo ha veduta, né può vedere" 1Timoteo 6:16, ma contemplando la persona del Signor Gesù, "il quale è lo splendore della gloria, e il carattere della sussistenza d'esso" Ebrei 1:3. Come in Giovanni 14:4, è probabile che con queste parole il Signore intendesse provocare le domande dei suoi discepoli, suscitando in loro il desiderio di saperne di più. PASSI PARALLELI Giovanni 14:9-10,20; 1:18; 8:19; 15:24; 16:3; 17:3,21,23; Matteo 11:27; Luca 10:22 2Corinzi 4:6; Colossesi 1:15-17; 2:2-3; Ebrei 1:3 Giovanni 14:16-20; 16:13-16; 17:6,8,26 8 8. Filippo gli disse: Signore, mostraci il Padre, e ciò ci basta. La stessa debolezza di fede, la stessa mancanza di discernimento spirituale che già abbiam viste in Toma, si manifestano ora in Filippo, relativamente ad un altro punto. In Giovanni 14:8 il Signore avea dichiarato che i discepoli aveano in lui veduto il Padre, "conciossiaché in lui abiti corporalmente tutta la pienezza della Deità" Colossesi 2:9; ma Filippo non arriva a comprenderlo, e pensando probabilmente alle rivelazioni che erano state concesse a Mosè e ad Elia sul Monte Horeb Esodo 33:10-23; 1Re 19:9-12, domanda che a lui ed ai suoi compagni venga pure accordata qualche visione consimile del Padre. PASSI PARALLELI Giovanni 1:43-46; 6:5-7; 12:21-22 Giovanni 16:25; Esodo 33:18-23; 34:5-7; Giobbe 33:26; Salmi 17:15; 63:2; Matteo 5:8 Apocalisse 22:3-5 9 9. Gesù gli disse: Cotanto tempo sono io già con voi, e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Queste son parole di maraviglia e di dolore ad un tempo, per il poco effetto delle lunghe relazioni spirituali di Cristo con quel suo discepolo. Filippo era stato uno dei primi fra i dodici a credere in Gesù Giovanni 1:43, e il Signore non fa qui allusione a nessuna parola sua speciale, come sarebbe quella di Giovanni 10:30, bensì alle occasioni che essi avevano avuto di conoscerlo durante quei tre anni e mezzo del suo ministerio, e di penetrare il suo carattere e l'intima sua relazione colla divinità. I Vangeli ci provano in molti modi quanto poco i discepoli comprendessero quella vita di cui aveano il privilegio di essere testimoni, e il candore con cui questo ci vien fatto conoscere rafforza la nostra fiducia negli Evangelisti. In certi momenti, i discepoli sembrano essere stati sul punto di scoprire chi era Gesù Matteo 14:33; 16:16; ma la loro mente non fu appieno illuminata che il giorno della Pentecoste. chi mi ha veduto ha veduto il Padre; Egli era "Iddio manifestato in carne" 1Timoteo 3:16, e l'unione fra le persone della Trinità è così intima, che chi contempla il Figlio conosce tutto quello che si può vedere e conoscere del Padre, poiché egli è la manifestazione incarnata della divinità. come dunque dici tu: mostraci il Padre? Questa domanda contiene per Filippo un dolce rimprovero: "Che vuoi dire domandando di vedere il Padre? Come deve esser limitata la tua conoscenza per fare una simile domanda! Questa domanda di Filippo, quasiché Dio potesse esser visto coll'occhio della carne, non era altro che il frutto della incredulità naturale del cuore umano, ed era del tutto indegna di un apostolo. Era la stessa sfida che già i Giudei avevano lanciata a Gesù Giovanni 8:19. "L'affannarsi per scoprire cose impossibili a conoscersi", dice Brown, "non può avere altro esito che il disinganno. Egli è per questo che Gesù rimanda Filippo ed insieme a lui tutti quelli che sprecano le loro facoltà intellettuali in consimili vane ricerche, a Colui in cui è piaciuto al Padre, che abiti tutta la pienezza Colossesi 1:19". PASSI PARALLELI Marco 9:19 Giovanni 14:7,20; 12:45; Colossesi 1:15; Filippesi 2:6; Ebrei 1:3 Genesi 26:9; Salmi 11:1; Geremia 2:23; Luca 12:56; 1Corinzi 15:12 10 10. Non credi tu che io son nel Padre, e che il Padre è in me? Continua qui il rimprovero rivolto dal Signore a Filippo, non tanto per la sua ignoranza spirituale, quanto per la incredulità che manifesta la sua domanda, riguardo alle cose che il Maestro aveva insegnate ai suoi, discepoli. Una volta almeno Gesù aveva pubblicamente proclamato: "Il Padre è in me, ed io sono in lui" Giovanni 10:38, e le prime parole di questo versetto sembrano indicare che il Signore aveva spesso insegnato quella dottrina ai suoi discepoli; indi la forma della sua domanda: Non credi tu in una tale reciproca comunione? le parole che io vi ragiono, non le ragiono da me stesso; (si omette l'e che non si trova nel greco) il Padre, che dimora in me, è quello che fa le opere. Il Signore dichiara che il suo insegnamento, dal principio alla fine, non ha origine da lui, e che le sue opere non sono compiute indipendentemente dal Padre; così l'uno come le altre procedono dal Padre, il quale del continuo dimora, in lui. La costruzione è elittica, e Ryle la spiega così: Le parole che io vi rivolgo, non le parlo indipendentemente dal Padre, e l'opere che io fo non le compio indipendentemente da lui. Il Padre, che dimora in me, parla in me, ed opera in me. Le mie parole mi furono date, le mie opere mi furono assegnate negli eterni consigli della divinità. Quel che io dico, il Padre lo dice; quello che io opero, il Padre lo opera. Io ed il Padre siamo una stessa cosa. "Potrebbe mai il Signore dichiarare più apertamente la sua uguaglianza con Dio? È degno di nota però, che, ad onta di queste sue dichiarazioni, il Signore mai sempre proclamò la sua indipendenza e la sua assoluta autorità. Insegnava dicendo. "Io vi dico"; e i suoi miracoli li compieva nel proprio nome, non in quello del Padre. Le dichiarazioni che egli fa qui ed altrove, riguardo alle sue parole ed alle sue opere, come essendo opere e parole del Padre stesso, non si, possono conciliare coll'assoluta indipendenza di Gesù, se non coll'ammettere la sua essenziale e divina unione col Padre. PASSI PARALLELI Giovanni 14:20; 1:1-3; 10:30,38; 11:26; 17:21-23; 1Giovanni 5:7 Giovanni 3:32-34; 5:19; 6:38-40; 7:16,28-29; 8:28,38,40; 12:49; 17:8 Salmi 68:16-18; 2Corinzi 5:19; Colossesi 1:19; 2:9 Giovanni 5:17; Atti 10:38 11 11. Credetemi ch'io son nel Padre, e che il Padre è in me; se no, credetemi per esse opere. Fin qui Gesù avea parlato a Filippo; si volge ora a tutti gli apostoli, e ordina loro, per l'esperienza che hanno potuto acquistare della sua veracità e della sua conoscenza delle cose di Dio, di accettare e di ritenere fermamente la dottrina che egli aveva pure allora proclamata, della immanenza del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre, e ciò sulla sola sua parola. Ma se a tanto non poteva alzarsi la fede loro, ricevano almeno quella verità, in forza delle sue opere miracolose, poiché esse erano state di tal natura, che nessuno le avrebbe potute compiere da sé, e senza l'aiuto del Padre. Se non vogliono accettar la sua parola, egli scende un gradino di più verso di essi, ed offre loro quella medesima inoppugnabile testimonianza dei suoi miracoli, che già aveva offerta ai Giudei Giovanni 10:37-38. "Può qualunque cosa mostrar più chiaramente che Cristo rivendicava per i suoi miracoli un carattere più elevato che non avessero quelli dei profeti e degli apostoli? Eppure questo carattere superiore non consisteva nelle opere stesse, ma nel modo di compierle" (Brown). PASSI PARALLELI Giovanni 5:36; 10:25,32,38; 12:38-40; Matteo 11:4-5; Luca 7:21-23; Atti 2:22; Ebrei 2:4 12 12. In verità, in verità, Segue una grande ed importante dottrina, che Gesù proclama per confortare sempre maggiormente i suoi discepoli, facendola precedere dalla solenne formula che egli usava in tali circostanze. io vi dico, che chi crede in me farà anch'egli le opere le quali io fo; Il Salvatore parla qui di quei miracoli, che, nel corso del suo ministerio terreno, egli aveva compiuti, in prova della sua divina missione; ed egli assicura i suoi discepoli che, per la fede in lui, essi riceverebbero, dopo la sua partenza, il potere di compierne essi pure. In Marco 16:17-18, quel potere vien conferito agli apostoli con queste parole: "Cacceranno i demoni nel mio nome; parleranno nuovi linguaggi; torranno via i serpenti; e avvegnaché abbiano bevuta alcuna cosa mortifera, quella non farà loro alcun nocimento; metteranno le mani sopra gl'infermi, ed essi staranno bene". E benché i fatti degli apostoli, quali ci sono riferiti nella Scrittura, sieno molto brevi, e vertano specialmente sull'opera di due di loro, abbondano le prove dell'adempimento di questa promessa del Signore, inverso essi tutti Atti 2:4; 5:12, e più specialmente riguardo a Pietro e Giovanni Atti 3:4, a Pietro, Giovanni e Filippo Atti 8:7, 15-17, a Pietro solo Atti 5:3-10, 15-16; 9:34,40-41, e finalmente riguardo a Paolo Atti 19:6,11-12; 28:8. Gli Atti apostolici provano pure che questi doni miracolosi non erano limitati ai soli apostoli, ma li ricevettero purè molti credenti per mezzo degli apostoli stessi. Sembrano però aver cessato colla prima generazione dei cristiani, senza dubbio perché il Vangelo aveva allora preso radice in sulla terra, e i mezzi umani, aiutati dallo Spirito Santo, bastavano a diffonderlo sempre più largamente. Ed invero, i miracoli più non sarebbero stati miracoli, se fossero divenuti cosa abituale nella Chiesa. Perciò la teoria di Irving e dei suoi seguaci, che la Chiesa possederebbe tuttora quei doni miracolosi, se solo i cristiani avessero fede sufficiente per esercitarli, ci sembra una interpretazione forzata di questo testo. anzi ne farà delle maggiori di queste, Non dobbiam credere che le opere dei discepoli dovessero superare quelle del Maestro, in quanto a numero od a grandezza, perché ciò sarebbe stato impossibile. Qual miracolo operato dall'uomo potrebbe superare quel che consistette nel render la vita ad un morto, o nel cibare con pochi pani parecchie migliaia di persone? L'aggettivo "maggiori" indica la natura più elevata delle opere che ai discepoli verrebbe dato di compiere, e gli effetti più duraturi di quelli sopra gli uomini. Di questa promessa l'adempimento si ebbe nei miracoli morali e spirituali che seguirono la predicazione degli apostoli dopo la Pentecoste; è indubitabile infatti che, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, gli apostoli convertirono molte più anime, che il Signore stesso non avesse, mai fatto. Ma la promessa non è limitata agli apostoli; è fatta a "chi crede in me"; epperciò, se la prima Pentecoste cristiana ce ne presenta il primo adempimento, essa venne adempiuta di poi in ogni grande vittoria morale e spirituale, nella sconfitta del Giudaismo e del Paganesimo, nell'impianto della Chiesa di Cristo in mezzo a tutte le nazioni, e in ogni risveglio spirituale, che sia mai accaduto in seno alla cristianità. E promessa tuttora vigente, per l'incoraggiamento di quanti tuttodì spendono le forze loro per la conversione degli uomini, nei "luoghi tenebrosi della terra che son ripieni di ricetti di violenza" Salmi 74:20. perciocché io me ne vo al Padre. Queste parole meritano un'attenzione speciale, perché ci indicano la sorgente dalla quale procede la forza di compiere quelle, opere maggiori. "Esse non dovevano essere il risultato della sola opera indipendente dei discepoli in sulla terra; bensì quello della forza ognor crescente che il loro Signore spargerebbe su di essi, in conseguenza della sua ascensione; imperocché, anche seduto "alla destra della Potenza" Matteo 26:64, egli sarebbe stato con loro per dar loro forza e coraggio. L'effusione dello Spirito Santo, per l'opera unita del Padre e del Figlio, in seguito al ritorno del Figlio nella gloria del Padre, ecco la causa della grandezza e degli effetti durevoli del ministerio apostolico. Dobbiamo ricordarci che vi fu un nesso immediato e misterioso fra il ritorno del Signore nel cielo e la discesa dello Spirito in sulla terra, e in Giovanni 16:7, Gesù dichiara che se non tornava al Padre, i discepoli non potevano ricevere lo Spirito Santo. PASSI PARALLELI Matteo 21:21; Marco 11:13; 16:17; Luca 10:17-19; Atti 3:6-8; 4:9-12,16,33; 8:7 Atti 9:34,40; 16:18; 1Corinzi 12:10-11 Atti 2:4-11,41; 4:4; 5:15; 6:7; 10:46; 19:12; Romani 15:19 Giovanni 14:28; 7:39; 16:7; Atti 2:33 Giovanni 14:13-14 13 13. E ogni cosa che voi avrete chiesta, nel nome mio, quella farò; acciocché il Padre sia glorificato nel Figliuolo. La prima clausola di questo versetto si può unire al precedente, nel qual caso "ogni cosa" che ai discepoli era lecito domandare, si limiterebbe alle "opere maggiori" di cui tratta Giovanni 14:12 e che si appartengono al regno, di Dio; ovvero si può considerarla come una proposizione nuova ed indipendente, che fa fare un passo avanti ai nostri pensieri. Preferiamo la seconda alternativa, come quella che, senza escludere la prima, apre un campo molto più vasto per l'adempimento di questa promessa. Il Nuovo Testamento limita in due modi la sfera delle nostre preghiere, e i soggetti che ci è lecito di portare dinanzi a Dio. In 1Giovanni 5:14 leggiamo che le cose che noi domandiamo devono essere "secondo la sua volontà: e quì il Signore ci dice che dobbiamo pregare nel suo nome". La persona cui le nostre preghiere vanno rivolte è Dio Padre, come Gesù lo dichiara in Giovanni 15:16; 16:23, e lo sottintende anche qui. In questo versetto il Signore rivela ai suoi discepoli i suoi rapporti con loro, e col Padre, non solo come essendo il gran Mediatore Dio in natura umana per il quale essi hanno ad ogni tempo accesso appo Dio, ma pure come essendo uno col Padre Capo e Signore del Regno di Dio, e colui per il quale le nostre preghiere ricevono l'esaudimento, e viene provveduto ad ogni nostro bisogno. I sensi dati alle parole: "nel nome mio" sono più numerosi che convincenti. Quelli che, come Godet, considerano questo versetto come una continuazione di Giovanni 14:12, dànno a quelle parole il senso di: "al posto mio", o "a pro di me", quasiché i discepoli fossero i rappresentanti di Cristo stesso, domandando in favor suo le cose che appartengono al suo regno in terra. Crisostomo le intende nel senso di: "pregando in nome mio"; Meyer: "nell'elemento della mia vita"; Stier: "appellandovene a me"; Westcott: "come essendo una stessa cosa con me, come io sono una medesima cosa con voi. "Ma il senso che la semplice lettura del versetto suggerisce come più naturale si è che dobbiamo presentare le nostre domande a Dio, "sieno esse personali od abbiano per oggetto il regno di Cristo in generale", per i meriti di Cristo, nostro Salvatore, e nostro Sommo Sacerdote, colla piena certezza, che Cristo farà quanto chiediamo, pur che sia per il nostro bene e per la gloria di Dio. Tenendo in mente le condizioni mentovate più sopra, troveremo che l'importanza di questa promessa consiste nell'esser d'essa illimitata. Di qualunque aiuto o forza, o consiglio i fedeli abbisognino, lo domandino in nome di Cristo, e l'otterranno. Di più Gesù dichiara, che essendo egli lo strumento di tutte quante le opere divine, esaudirà le nostre preghiere in modo che la grazia di Dio e la sua potenza ne ricevano gloria sempre maggiore. La gloria di Dio invero è il solo limite imposto alle preghiere dell'uomo. PASSI PARALLELI Giovanni 15:7,16; 16:23,26; Matteo 7:7; 21:22; Marco 11:24; Luca 11:9; Efesini 3:20 Giacomo 1:5; 5:16; 1Giovanni 3:22; 5:14 Giovanni 14:6; Efesini 2:18; 3:12,14,21; Colossesi 3:17; Ebrei 4:15; 7:25; 13:15; 1Pietro 2:5 Giovanni 14:14; 4:10,14; 5:19; 7:37; 10:30; 16:7; 2Corinzi 12:8-10; Filippesi 4:13 Giovanni 12:44; 13:31; 17:4-5; Filippesi 2:9-11 14 14. Se voi chiedete cosa alcuna nel nome mio, io la farò. In questo versetto il Signore ripete, come solenne promessa, quello che prima aveva detto solo incidentalmente e la fortifica sostituendo l'enfatico, "io", a "questo", di Giovanni 14:13 "Io, che non vi ho ingannati mai, e che sarò tosto investito della onnipotenza insieme col Padre, vi prometto di far questo." Tali parole ci accertano che Gesù ode le nostre preghiere; parrebbe dunque naturale rivolgerle a lui, che è uno col Padre, non meno che al Padre medesimo. "Non può punto provarsi", dice Stier, che la preghiera dei discepoli dovesse venir rivolta esclusivamente al Padre. Le prime preghiere fatte dopo l'Ascensione, sono indirizzate al Figlio, e i discepoli erano conosciuti come quelli che invocavano il suo nome. "In questi due versetti, il Signore si presenta a noi non solo come colui che conosce tutto ciò che i suoi discepoli in terra versano nel cuore del loro Padre celeste, ma pure come l'autorevole dispensatore di tutte le benedizioni che la preghiera fa scendere dal cielo, vale a dire come Colui che esaudisce la preghiera. Non è possibile spiegare una tale affermazione di Gesù, fuorché riconoscendolo come essenzialmente uguale al Padre" (Brown). 15 15. Se voi mi amate, osservate i miei comandamenti. Gesù sta per annunziare ai suoi discepoli un nuovo e potente motivo di conforto: egli manderà loro un amico, che prenderà appresso di essi il posto suo, e questo amico non li abbandonerà mai più. Il precetto contenuto in questo versetto, ben lungi dal non aver nesso alcuno con quanto precede e con quanto vien dopo, ha precisamente per scopo di indicare la condizione richiesta per ricevere e per godere senza interruzione il Paracleto di cui Gesù sta per parlare. Quella condizione è l'amore per Cristo, amore che deve spingerci ad una ubbidienza volonterosa e costante ai suoi comandamenti, essendo questa la preparazione migliore per ricevere il dono qui promesso da Cristo. Il Signore non sostituisce alla legge morale i propri comandamenti; né sono questi qualcosa da osservarsi in sopra più di quella; essi altro non sono che quella legge stessa di Dio, che Cristo impone ai suoi discepoli in virtù della propria autorità, e come essendo il servizio che devono a lui come loro Signore e Maestro, per quanto la loro ubbidienza sia dettata da motivi, e diretta ad un fine affatto nuovi. Alcuni commentatori sembrano credere che questo versetto sia stato introdotto a questo punto per distogliere l'attenzione dei discepoli da vani rincrescimenti per la partenza del Signore, e additare loro un modo assai migliore di mostrargli il loro affetto, anche durante la sua assenza, osservando cioè i comandamenti che egli aveva dato loro. PASSI PARALLELI Giovanni 14:21-24; 8:42; 15:10-14; 21:15-17; Matteo 10:37; 25:34-40; 1Corinzi 16:22 2Corinzi 5:14-15; 8:8-9; Galati 5:6; Efesini 3:16-18; 6:24; Filippesi 1:20-23; 3:7-11 1Pietro 1:8; 1Giovanni 2:3-5; 4:19-20; 5:2-3 16 16. E io pregherò il Padre. Non è facile nelle nostre lingue moderne esprimere la differenza che il Nuovo Testamento fa sempre con molta cura fra "peto", e "rogo". Il verbo "pregare" si usa per tradurre entrambi; ma il primo è molto più umile del secondo, ed è sempre usato per esprimere la domanda di un inferiore al suo superiore, di un mendicante a colui che gli fa la limosina; mentre il secondo suppone uguaglianza, o almeno familiarità, fra chi fa la domanda e, chi la riceve, dimodoché la richiesta non va scompagnata da un certo diritto ad ottenerne l'esaudimento. Importa notare, a questo proposito, che il Signore parlando di sé medesimo, non si serve mai di "petere", come si vede da Giovanni 16:23,26; 17:9,15,20. Vedi Trench: Sinonimi del Nuovo Testamento. Prima di andare avanti nella esposizione di questo versetto, notiamo che esso si raccomanda alla nostra attenzione per la prova che in modo indiretto ci fornisce della dottrina della Trinità, ciascuna delle persone divine essendo qui nominate: il Figlio come colui che domanda, il Padre come colui che accorda, lo Spirito come colui che conforta. Il Paracleto adunque è una persona, non meno che il Padre ed il Figliuolo. ed egli vi darà un altro Consolatore, Questa parola "Paracletos", è impiegata solo dal nostro evangelista, e la troviamo quattro volte in questo Vangelo", qui, ed in Giovanni 14:26; 15:26; 16:7, applicata allo Spirito Santo, e in 1Giovanni 2:1, dov'è detto del Signore Gesù medesimo. Significa uno che sta accanto a noi, per essere il nostro aiuto, il nostro avvocato è nostro rappresentante. Nella epistola di Giovanni vien tradotta "avvocato", e questo ne è il senso evidente in quel luogo. Tale pure ci sembra la traduzione più esatta nei vari passi dell'evangelo dove lo si trova. Il termine Consolatore non è il senso classico ed originale della parola "Paracleto" quantunque lo Spirito Santo, col dimorare nel credente, come il suo aiuto ed il suo avvocato, gli sia di gran consolazione in tutte le sue afflizioni. Ma, come osserva a buon diritto Milligan, "l'uso infelice di quel nome, tanto caro ai cristiani, in mezzo alle sollecitudini di questo mondo, ha avuto per risultato di condurre i credenti a pensar meno alla forza che alla consolazione che essi possono ricavare dalla presenza dello Spirito, a dar più importanza alla sperienza dell'afflitto bisognevole di conforto, che a quella del credente che deve incontrare la opposizione del mondo nella causa del suo Maestro. "Importa notare inoltre che Cristo medesimo ci vien presentato come il nostro Paracleto, ossia il nostro aiuto ed il nostro avvocato 1Giovanni 2:1, dimodoché quando egli promette ai suoi discepoli un altro Paracleto è evidente che questi doveva prendere il posto suo, come appieno sufficiente a compiere quel medesimo ufficio, quando egli se ne sarebbe andato". In questo modo", dice ancora Milligan, "il racconto di tutto quello che egli aveva fatto pei suoi discepoli, diveniva una profezia di quanto lo Spirito Santo dovrebbe fare per essi, e per noi, che veniamo dopo di loro". Però Brown, pur riconoscendo che aiutatore è il senso fondamentale del vocabolo "Paracleto" accetta anche consolatore, come quello che indica quale aiuto riceviamo da lui, e che meglio si addice allo scopo di questo discorso, quello cioè di confortare i discepoli nella desolazione in cui rimarrebbero, dopo partito il Maestro. che dimori con voi in perpetuo. Cristo stava per lasciarli, affin di tornate al Padre, dopo di essere stato con loro solo un poco di tempo; ma lo Spirito Santo doveva essere un Paracleto permanente Cristo era vissuto con loro come sotto la tenda; ma lo Spirito doveva far con essi dimora stabile, ed accasarsi, con loro per sempre, come in, un tempio imperituro ed immortale, 1Corinzi 3:16,-17; 2Corinzi 6:10. PASSI PARALLELI Giovanni 14:14; 16:26-27; 17:9-11,15,20; Romani 8:34; Ebrei 7:25; 1Giovanni 2:1 Giovanni 14:18,26; 15:26; 16:7-15; Atti 9:31; 13:52; Romani 5:5; 8:15-16,26,27; 14:17 Romani 15:13; Galati 5:22; Filippesi 2:1 Giovanni 4:14; 16:22; Matteo 28:20; Efesini 1:13-14; Colossesi 3:3-4; 2Tessalonicesi 2:16 17 17. Cioè lo Spirito della verità, Gesù definisce qui il termine "Paracleto", che doveva pur sempre rimanere oscuro ai suoi discepoli. Siccome poco prima aveva dichiarato di essere LA VERITÀ Giovanni 14:6, ci sembra specialmente appropriato che presenti colui che lo doveva sostituire e rappresentare, in seno alla Chiesa di tutti i tempi, come "lo Spirito della verità", non già "lo Spirito verace", come traducono alcuni, bensì lo Spirito che è la verità 1Giovanni 5:6. Egli vien così chiamato, perché è l'essenza della verità, e il mezzo per il quale essa viene comunicata agli uomini; perché egli è il principio divino della rivelazione. Al peccatore egli rivela Cristo come il suo Salvatore, e fa crescere in grazia i credenti, facendo loro conoscere in modo sempre più attraente "la verità che è in Gesù" Efesini 4:21. il quale il mondo non può ricevere, perché non lo vede, e non lo conosce; "Il mondo", ovvero 1Corinzi 2:14; 3:3, vuol dire qui tutti gli uomini non convertiti, i quali vivono "adempiendo le voglie della carne, e dei pensieri" Efesini 2:3, e non hanno il potere di ricevere le cose di Dio. Manca loro la capacità della visione interna dello Spirito, ossia la fede, epperciò non è possibile che lo riconoscano. Non è una impotenza fisica, ma spirituale, e può venir superata solo dalla potenza divina, come lo dice chiaramente Paolo ai Cantati: "Or l'uomo animale non comprende le cose dello Spirito di Dio, perciocché gli sono pazzia, e non le può conoscere, conciossiaché si giudichino spiritualmente 1Corinzi 2:14. Questo è il segno al quale si riconoscono i mondani e gl'increduli, che essi nulla conoscono per esperienza delle operazioni dello Spirito Santo. ma voi lo conoscete; perciocché dimora appresso di voi e sarà in voi. La lezione pres. "è", invece di "sarà", è adottata da Lachmann e da Tregelles, seguiti da Tholuck, Stier, Luthard e Westcott; ma Tischendorff,; Deuteronomio Wette, Meyer, Alford, Brown, Webster e Wilkinson, Godet, tutti difendono il testo ricevuto e considerano come insufficientemente provato. Oltre alle autorità critiche in favore di notiamo che il ritenerlo evita l'apparente ripetizione della medesima idea, con parole diverse. "In opposizione al mondo, il Signore dichiara ai suoi discepoli: 'voi lo conoscete', perché già avevano sperimentato l'opera sua nei loro cuori, nel produrvi la fede salutare che li univa a Cristo, benché la loro conoscenza dell'agente che aveva operata quella fede fosse tuttora oscura ed imperfetta, e più ancora mediante la loro intima associazione con Gesù, durante i tre anni del suo ministero, nei quali le sue parole e la sua vita erano state una costante emanazione dello Spirito, e i loro cuori avevano reso omaggio alla sublime sua santità" (Godet). "Benché il senso intero delle parole: 'dimora appresso di voi, e sarà in voi sia ancora futuro', come lo indicano Giovanni 4:14; 7:38, il nostro Signore, parlando qui del tempo presente e del tempo futuro, sembra dire chiaramente, che gli apostoli già avessero, la sostanza, ma non ancora la pienezza di quella grande benedizione" (Brown). Ma dopo la discesa dello Spirito Santo alla Pentecoste, è vero di tutti i credenti, che egli "dimora sempre con loro" come il testimone incessante che essi sono "figliuoli di Dio" Romani 8:16 "sarà in loro" guidandoli ad una conoscenza sempre più profonda della mente e dell'opera di Gesù, fintantoché l'opera cominciata in loro alla conversione non divenga santificazione perfetta al momento della morte Filippesi 1:6. PASSI PARALLELI Giovanni 15:26; 16:13; 1Giovanni 2:27; 4:6 Proverbi 14:10; 1Corinzi 2:14; Apocalisse 2:17 Giovanni 14:16,23; Isaia 57:15; 59:21; Ezechiele 36:27; Romani 8:9,11,13-14; 1Corinzi 3:16; 6:19 2Corinzi 6:16; Efesini 2:22; 3:17; 2Timoteo 1:14; 1Giovanni 2:27; 3:24; 4:12-13 Matteo 10:20; Romani 8:10; 1Corinzi 14:15; 2Corinzi 13:5; Galati 4:6; Colossesi 1:27; 1Giovanni 4:4 18 18. Io non vi lascerà orfani; Gesù aveva già chiamati i suoi discepoli "figlioletti" Giovanni 13:33; colla medesima figura li accerta qui che la sua partenza non li lascerà soli e desolati. "La parola orfani, che descrive il loro abbandono, li accerta altresì che son figliuoli" (Westcott). Essa fortifica pure l'interpretazione data più sopra della parola Paracleto, imperocché quelli che rimangono orfani hanno un bisogno speciale di chi li conforti e i protegga. io tornerò a voi piuttosto "io vengo" Questa promessa è variamente interpretata. Secondo alcuni, Gesù parlerebbe qui delle sue apparizioni ai discepoli, e non al mondo, dopo la sua risurrezione; secondo altri, avrebbe in vista la sua venuta finale per giudicare i vivi ed i morti Alford e Jacobus vedono in queste parole un complesso di quelle due cose il gran ritorno nelle varie sue manifestazioni. Ma il maggior numero degli interpreti riferiamo queste parole al ritorno di Gesù, mediante lo Spirito Santo. Secondo Godet, quelli che le applicano alle apparizioni di Gesù risuscitato non possono spiegare i vers. di Giovanni 14:20-21,23; quelli poi che le intendono della sua seconda venuta non spiegano i vers. Giovanni 14:19,23. Ma se le s'intendono della venuta dello Spirito, sparisce ogni difficoltà; perché era per l'appunto la presenza dello Spirito che doveva far sì che la dipartenza di Cristo non lasciasse i discepoli nell'abbandono. PASSI PARALLELI Giovanni 14:16,27; 16:33; Salmi 23:4; Isaia 43:1; 51:12; 66:11-13; 2Corinzi 1:2-6; 2Tessalonicesi 2:16 Ebrei 2:18 Lamentazioni 5:3; Osea 14:3 Giovanni 14:3,28; Salmi 101:2; Osea 6:3; Matteo 18:20; 28:20 19 19. Fra qui e un poco di tempo (Revel traduce: ancora un breve tempo), il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete; Il "poco di tempo", di cui è qui parlato, è quello che doveva trascorrere, dal momento in cui Gesù parlava, fino alla sua crocifissione. "Il mondo", rappresentato dai Giudei, lo aveva contemplato solo coll'occhio della carne, durante il suo soggiorno in terra, essendo incapace di visione spirituale, ed in questo modo il Signore dichiara che tosto il mondo non lo vedrà più. Tal dichiarazione fu compiuta in modo notevole; poiché, dopo la risurrezione, Cristo apparve corporalmente ai soli suoi discepoli, e anche allora nel corpo suo spirituale. Ma non doveva essere così coi discepoli e coi loro fratelli in fede; imperocché, perfino quando egli sarebbe corporalmente assente da loro, lo potrebbero contemplare spiritualmente ed in vero, per la venuta dello Spirito non solo continuerebbe Cristo ad essere presente in mezzo ai suoi discepoli, ma quella sua presenza spirituale sarebbe più efficace e più benedetta per le anime loro, che non sia stata mai la sua presenza corporea. perciocché io vivo, e voi ancora viverete. Alcuni commentatori uniscono strettamente queste parole alle precedenti, "voi mi vedrete" facendo della, vita di Cristo e di quella dei credenti la ragione o il fondamento della loro visione spirituale; ma vale meglio considerarle come insegnanti una dottrina indipendente. Gesù si dichiara qui il Signore e la sorgente della vita eterna, il possessore di un potere divino ed imperituro, che la morte non può distruggere, ed egli promette che, in virtù della loro unione con lui, i suoi redenti parteciperanno alla medesima vita eterna. La vita del capo è garanzia di quella delle membra. Siccome egli ha vita in sé, e vive per sempre, la loro vita pure è assicurata contro ogni eventualità; essa non può venir distrutta. I credenti entrano in possesso della vita eterna al momento della loro unione con Cristo 1Giovanni 5:13, e più tardi verranno, messi in possesso della gloria eterna. PASSI PARALLELI Giovanni 7:33; 8:21; 12:35; 13:33; 16:16,22 Giovanni 14:6; 6:56-58; 11:25; Romani 5:10; 8:34; 1Corinzi 15:20,45; 2Corinzi 4:10-12 Colossesi 3:3-4; Ebrei 7:25; 1Giovanni 1:1-3 20 20. In quel giorno Paolo parla spesso così del giorno della venuta del Signore, e del giudizio finale 1Tessalonicesi 5:4; 2Tessalonicesi 1:10; 2:3; 2Timoteo 1:12,18; 4:8; ma qui si tratta evidentemente del giorno della discesa dello Spirito, della prima Pentecoste cioè, e quindi della presente dispensazione in generale, includendovi ogni risveglio spirituale. voi conoscerete che io son nel Padre mio, e che voi siete in me, ed io in voi. Alcuni scrittori mantengono con insistenza che il Signore parla qui della sua seconda venuta, appunto perché, secondo essi, la mistica unione del Padre col Figlio, e di Cristo col popolo suo, non potrà essere pienamente intesa dai redenti che in quel giorno. Ma una obbiezione insormontabile ad una cosiffatta teoria si è che, secondo essa, i redenti devono, fino alla fine della presente dispensazione di grazia, rimanere praticamente ignoranti delle grandi verità qui accennate, laddove la loro esperienza giornaliera li rende atti, durante il loro corso terreno, e mediante il potere illuminante dello Spirito, ad afferrare, per quanto debolmente, il misterio della unione del Padre col Figliuolo, e di sperimentare, mediante la fede, che Cristo dimora in loro, ed essi dimorano in lui, come sorgente di gioia e di vita. Il senso delle parole di Gesù ci sembra essere, che l'esperienza insegnerebbe ai discepoli esser la presenza dello Spirito con loro la presenza stessa di Cristo, e per mezzo suo del Padre; o, per dirla con Godet: "il fatto trascendentale della comunione di Gesù con Dio, diverrà per essi l'oggetto di una percezione immediata, nella esperienza della loro propria comunione con Gesù". La dottrina che Cristo vive nei credenti è collaterale a quella che i credenti vivono in lui Giovanni 15:3; 17:23,26. Il profondo desiderio di Gesù è di stabilire questa dimora della sua grazia e della sua potenza in loro, ponendo nei loro cuori il suo trono, e così identificandoli sempre più con sé, come quelli che gli sono stati dati dal Padre, che formano il suo popolo speciale, la sua eredità gloriosa, chiamata a vivere con lui nei secoli dei secoli. PASSI PARALLELI Giovanni 14:10; 10:38; 17:7,11,21-23,26; 2Corinzi 5:19; Colossesi 1:19; 2:9 Giovanni 6:56; 15:5-7; Romani 8:1; 16:7; 1Corinzi 1:30; 2Corinzi 5:17; 12:2; 13:5; Galati 2:20 Efesini 2:10; Colossesi 1:27; 1Giovanni 4:12 21 21. Chi ha i miei comandamenti, e li osserva, esso è quel che mi ama; Per i comandamenti di Cristo dobbiamo intendere il Decalogo e i precetti morali dell'Antico Testamento, non meno che le dottrine insegnate da Cristo in persona, o rivelate dipoi agli apostoli per mezzo dello Spirito suo in una parola tutta quanta la verità rivelata. Il verbo "avente", non indica solo l'esercizio di memoria per cui si ottiene una conoscenza mentale delle dottrine evangeliche: questo non sarebbe che una possessione esterna. Gesù vuole che i suoi comandamenti sieno posseduti internamente, mediante la fede, e la viva coscienza dei medesimi nel cuore, che conduce ad osservarli nella vita giornaliera. Il Signore dà grande importanza alla osservanza, dei suoi comandamenti Giovanni 14:15, 23-24; 15:10, perché quella è prova non solo di vera fede, ma pure di amore non finto. "Esso", dic'egli enfaticamente di chi osserva la sua legge, "è quel che mi ama". In Matteo 7:21-23, egli denunzia come non avendo parte alcuna con lui chi non "fa la volontà del Padre suo che è nei cieli", e in Luca 8:21, fa passare innanzi a "madre e fratelli" quelli che "odono la parola di Dio, e la mettono ad effetto". Conoscere coll'intelletto i comandamenti di Cristo e non osservarli, espone l'uomo al castigo del "malvagio e negligente servitore" Matteo 25:30, e il servitore che ha saputa la volontà del suo signore, e non si è disposto a fare secondo la volontà d'esso, "sarà battuto di molte battiture" Luca 12:48. Fra gli uomini, un padre giudica dell'amore del figlio dallo zelo col quale prende a cuore e mette giornalmente in pratica le ingiunzioni paterne; nello stesso modo Gesù fa della loro ubbidienza il criterio dell'amore dei discepoli suoi, dimodoché chi esamina sinceramente la propria coscienza può sapere con certezza se egli è in Cristo o no. Lettore, tieni in mente queste parole del tuo Salvatore, e mettile ogni giorno in pratica. e chi mi ama sarà amato dal Padre mio; ed io ancora l'amerò, e me gli manifesterò. Queste parole ci rivelano l'alto privilegio di coloro il cui amore brilla per la loro ubbidienza: essi sperimenteranno primieramente l'amore del Padre, cioè non solo quella carità e quella compassione che egli mostrò verso un mondo caduto, Giovanni 3:16, ma un amore speciale, basato sul fatto che essi sono in Cristo e lo amano; imperocché l'amore del Padre per il suo Figliuolo si estende, naturalmente a tutti quelli che amano il Figliuolo medesimo. Nel più alto senso della parola, Iddio non è Padre che di quelli che amano Gesù. "La moderna dottrina di una paternità di Dio, estendentesi alla salvezza delle anime che trascurano Cristo, è una mera delusione degli uomini" (Ryle). In secondo luogo quel privilegio consiste in una speciale e più abbondante rivelazione "dell'amore di Gesù per loro, accompagnata da tali manifestazioni di sé stesso, dell'opera sua mediatrice, e della sua grazia, che riempiranno i loro cuori di luce e di allegrezza. Il Signore non allude qui, come credono alcuni, alle sue apparizioni ai discepoli dopo la risurrezione, né alla sua finale parusia, quando ogni occhio lo vedrà. "La manifestazione di cui qui si tratta è puramente invisibile e spirituale; la si può conoscere solo per esperienza, e non se ne accorgono in realtà che i cristiani sinceri e viventi. Notisi qui pure la chiara distinzione, non solo fra le persone divine, ma altresì fra il modo in cui ciascuna manifesta l'amor suo verso i veri discepoli" (Brown). PASSI PARALLELI Giovanni 14:15,23-24; 15:14; Genesi 26:3-5; Deuteronomio 10:12-13; 11:13; 30:6-8; Salmi 119:4-6 Geremia 31:31,33-34; Ezechiele 36:25-27; Luca 11:28; 2Corinzi 5:14-15; Giacomo 2:23-24 1Giovanni 2:5; 3:18-24; 5:3; 2Giovanni 6; Apocalisse 22:14 Giovanni 14:23; 15:9-10; 16:27; 17:23; Salmi 35:27; Isaia 62:2-5; Sofonia 3:17; 2Tessalonicesi 2:16 1Giovanni 3:1 Giovanni 14:18,22-23; 16:14; Atti 18:9-11; 22:18; 2Corinzi 3:18; 4:6; 12:8 2Timoteo 4:17-18,22; 1Giovanni 1:1-3; Apocalisse 2:17; 3:20 22 22. Giuda, non l'Iscariot, gli disse: Questo apostolo aveva tre nomi: Giuda, Lebbeo e Taddeo, perciò Girolamo lo chiama "il trinomato apostolo", Vedi nota su Taddeo, Matteo 10:3, ed era forse meno noto per i suoi nomi che per i suoi soprannomi. Perciò l'evangelista ci fa notare che fra gli apostoli v'era un altro Giuda, oltre al traditore. Signore, che vuol dire che tu ti manifesterai a noi, e non al mondo? Le parole significano letteralmente: "Che è accaduto, perché, da ora in poi, tu ti manifesterai, ecc.". La dichiarazione di Gesù, che egli non si manifesterebbe più se non a quelli che lo amano, sembra aver fatto credere a questo discepolo che il Maestro avesse mutato i suoi piani; indi la sua domanda. Essa mostra che egli ancora non capiva la natura spirituale delle future manifestazioni del Signore, e che, al pari dei suoi connazionali e degli stessi suoi compagni di apostolato, aspettava tuttora che il Messia proclamasse un regno temporale, alla vista del mondo intero, e questo non si poteva conciliare colla manifestazione di Cristo ai soli discepoli. PASSI PARALLELI Matteo 10:3 Marco 3:18 Luca 6:16; Atti 1:13; Giuda 1 Giovanni 3:4,9; 4:11; 6:52,60; 16:17-18 23 23. Gesù rispose e gli disse: Se alcuno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio l'amerà; Il Signore risponde alla prima parte della domanda di Giuda semplicemente col ripetere con enfasi maggiore la promessa di Giovanni 14:21, nonché la condizione che l'accompagna. Una risposta analoga è quella data dal Signore a Nicodemo Giovanni 3:3,5. Egli dice in sostanza che il mondo non è capace di ricevere una tale manifestazione, perché gli mancano le condizioni a ciò necessarie, a motivo della sua incredulità, del suo disprezzo per la parola di Cristo, della totale sua mancanza di amore per lui. Confrontando tutto questo versetto col 21, osserviamo che qui il Signore abbrevia le condizioni della sua manifestazione, ma sviluppa gloriosamente quella manifestazione stessa. e noi verremo a lui, Le parole "noi verremo" sono l'espressione sempre più completa di una gran verità; con esse Gesù dichiara più esplicitamente che mai di essere uno col Padre. Quello che in un periodo futuro verrà accordato alla Chiesa intera Apocalisse 21:3, è fino da ora una realtà spirituale per i cristiani, ciascuno dei quali diviene un tempio di Dio 1Corinzi 3:16; 2Corinzi 6:16. Il noi deve includere pure lo Spirito Santo, perché egli è colui che ci fa vedere il Figlio, e spande l'amor suo nei nostri cuori, nel modo stesso che il Figliuolo rivela il Padre Giovanni 1:18. Di più Paolo ci dice: "Niuno conosce le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio perciocché lo Spirito investiga ogni cosa, eziandio le cose profonde di Dio" 1Corinzi 2:10-11. e faremo dimora appo lui. L'idea di Dio abitante nel Santuario ed in mezzo al popolo suo, era resa familiare ai discepoli dal linguaggio dell'Ant. Testamento; ma il Signore non parla qui di una dimora simile a quella della Shekinah nel Tabernacolo Esodo 25:22; Numeri 7:89. Fa uso di una espressione figurata, che ripeté di poi nella sua epistola alla Chiesa di Laodicea Apocalisse 3:20, per indicare che il Padre e il Figlio si manifesterebbero a coloro che amano Gesù, non in modo passeggero, come l'Angelo della Presenza del Signore ad Abrahamo Genesi 18:2 -16, né con rare ed occasionali rivelazioni della sua presenza, ma abitando in permanenza con loro, e con manifestazioni intime e durevoli, atte a produrre in loro una gioia sempre più grande. Questa altresì è verità puramente sperimentale: non la può conoscere se non, chi la sente. Che degnazione in queste, parole! Per quanto povero ed umile sia un cristiano, se egli possiede la fede e la grazia, il Padre e Cristo dimoreranno in lui; egli non sarà mai solo, non sarà mai povero. PASSI PARALLELI Giovanni 14:15,21 Giovanni 14:17; 5:17-19; 6:56; 10:30; Genesi 1:26; 11:7; Salmi 90:1; 91:1; Isaia 57:15 Romani 8:9-11; 1Giovanni 2:24; 4:4,15-16; Apocalisse 3:20-21; 7:15-17; 21:22; 22:3 24 24. Chi non mi ama non osserva le mie parole; Gesù completa in forma negativa la sua risposta a Giuda. La conclusione da derivarsi da queste sue parole non viene espressamente dichiarata; ma risulta in parte dall'antitesi del ver. 24 col 23, Giovanni 14:24; 14:23 e in parte dal fatto che Gesù proclama la sua parola esser quella del Padre. e la parola che voi udite non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Il Signore ricorda qui ai suoi discepoli l'autorità e la dignità delle sue parole, e dei suoi comandamenti. La sua parola non procede dalla propria sua mente, non è pronunziata in forza della sola sua autorità. Già ai Giudei aveva detto: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato" Giovanni 7:16. Egli ripete, qui la medesima verità: la sua parola gli è stata rivelata dal Padre; essa esprime la volontà di lui, e questo aggrava tanto maggiormente il peccato di quanti la sprezzano e la rigettano. Disprezzandola, disprezzano il Padre, e Cristo li accusa della doppia colpa di disonorare l'eterno Padre, non meno che il suo Figliuolo, la Parola eterna, da lui mandato in sulla terra per farvi nota la sua volontà. PASSI PARALLELI Giovanni 14:15,21-23; Matteo 19:21; 25:41-46; 2Corinzi 8:8-9; 1Giovanni 3:16-20 Giovanni 14:10; 3:34; 5:19,38; 7:16,28; 8:26,28,38,42; 12:44-50 25 25. Io vi ho ragionate queste cose, dimorando appresso di voi. Questa è la conclusione della prima parte del discorso di Gesù ai suoi discepoli in quella sera. In quella prima parte, il Signore, approfittando del tempo in cui poteva essere tuttora presente coi suoi discepoli, aveali provveduti delle consolazioni e delle istruzioni rese necessarie dall'abbandono in cui stavano per trovarsi. Al tempo stesso queste parole sono l'esordio di una nuova parte del discorso, della quale l'idea essenziale sarà la forza da darsi ai discepoli, dopo la partenza del Signore, non semplicemente come discepoli, ma come coloro che stavano per esser mandati nel mondo, affin di prendervi il posto del loro Maestro e di compiervi l'opera sua. PASSI PARALLELI Giovanni 14:29; 13:19; 15:11; 16:1-4,12; 17:6-8 26 26. E il Consolatore, cioè lo Spirito Santo, (Per il senso del termine Paracleto vedasi la nota su Giovanni 14:16.) "In questo Vangelo il qualificativo di "Santo" vien dato allo Spirito tre volte, qui, in Giovanni 1:33, ed in Giovanni 20:22, (in Giovanni 7:39 il 'Santo' è dubio). Lo si trova di rado, fuorché nel terzo Vangelo: Matteo l'usa cinque volte. Luca invece sembra avere un gusto speciale per questa espressione, poiché la troviamo fino a quaranta volte nei Fatti, ed egli raramente parla dello Spirito senza chiamarlo 'Santo'" (Plummer). Il Signore illumina maggiormente la mente dei discepoli, dichiarando loro che il Paracleto, che a Giovanni 14:17 aveva chiamato "lo Spirito della verità," è lo "Spirito Santo," una persona reale, (un pronome maschile), non già una semplice influenza. il quale il Padre manderà nel nome mio È vero che lo Spirito è promesso quale rappresente di Cristo, per tenerne il posto nella Chiesa, durante la sua assenza; ma le parole "nel mio nome," significano assai più di questo. Come Cristo venne nel nome di suo Padre Giovanni 5:43; 10:25, così lo Spirito vien mandato nel nome di Cristo. Lo scopo della missione di Cristo era di rivelar Dio come suo Padre, facendo nota in quel modo la sua relazione colla umanità. Lo scopo della missione dello Spirito è di rivelar Cristo, di far comprendere chiaramente alla Chiesa l'intero significato della incarnazione. Il "nome" di Cristo, cioè tutto ciò che può esser detto della sua natura e dell'opera sua, è la sfera nella quale agisce lo Spirito, ed egli conduce al suo perfetto compimento, mediante la santificazione dei redenti, l'opera misericordiosa che Cristo aveva cominciata. esso v'insegnerà ogni cosa, e vi rammemorerà tutte le cose che io vi ho dette. Il Signore, mentre era presente coi suoi discepoli, poteva istruirli solo fino ad un certo punto, a motivo della ignoranza ed incapacità di comprenderlo. Giovanni ce ne dà diverse prove nel suo Vangelo, e più in là, in questo medesimo discorso, il Signore vi fa allusione come ad un serio ostacolo agli insegnamenti che ancora avrebbe desiderato dar loro: "Io ho ancora cose assai a dirvi, ma voi non le potete ora portare" Giovanni 16:12. Per ovviare ad una sì grande mancanza, egli promette qui che lo Spirito farà due cose: 1o insegnerà loro ogni cosa; 2o rammemorerà loro tutti gl'insegnamenti avuti da Gesù. Alcuni, però, sostengono che lo Spirito doveva insegnare "ogni cosa" ai discepoli, semplicemente col rammemorar loro "tutte le cose" già dette da Cristo. "Le parole di Gesù, delle quali lo Spirito sveglierà in essi il ricordo, saranno la materia del suo insegnamento della verità totale," (Godet). Ci par questo un restingere di soverchio la sfera di attività dello Spirito; imperocché, quantunque Cristo sia l'Alfa e l'Omega del suo insegnamento, come della redenzione del peccatore, in Giovanni 16:12-13, il Signore stesso sembra dichiarare che lo Spirito doveva condurre i credenti ad un possesso più completo della verità, che non potesse fare il Salvatore medesimo per gli undici, a cagione della loro condizione intellettuale: "Egli vi guiderà in ogni verità." La prima cosa promessa relativamente allo Spirito è dunque, secondo noi, che egli doveva impartire ai discepoli la piena conoscenza dell'intero consiglio di Dio per la salvezza dell'uomo, insegnando loro quindi molte cose delle quali Cristo non aveva parlato. La seconda promessa contenuta in questo versetto si è che lo Spirito riprodurrebbe tutto quanto l'insegnamento di Cristo, non già come essi lo avevano inteso, ma come Gesù voleva che venisse inteso. Gli apostoli avevano capito in modo così imperfetto quello che Gesù aveva loro insegnato, che il ricordarlo loro semplicemente, come lo avevano udito dal Maestro, li avrebbe pur sempre lasciati istruiti a metà, e perplessi, deboli e timidi come prima, impotenti ad evangelizzare il mondo colla predicazione o cogli scritti. Ma Cristo provvide a questo, mediante la mssione e l'opera dello Spirito. Questo istesso Vangelo, che ci riferisce tanti discorsi di Gesù, è in sé stesso un comento di tale promessa. Su questo vers. Alford dice: "Egli è sull'adempimento di questa promessa di Gesù ai suoi apostoli, che si fonda la loro sufficienza come testimoni di quanto il Signore ha fatto ed insegnato, e per conseguenza l'autorità della storia evangelica." 27 27. Io vi lascio pace, io vi do la mia pace; Come ai dì nostri fra gli Orientali, così in antico fra gli Ebrei, "Shalom", "pace" era il saluto ordinario, all'arrivo ed alla partenza. In Giovanni 20:19,22, vediamo che il Signore ne fa uso, presentandosi ai discepoli qui invece per dar loro l'addio, per annunziare che la sua partenza già tante volte predetta, facevasi imminente. Nella bocca di Gesù non era questa una mera formalità, come sono per il solito i saluti del mondo. La pace è un possesso che gli appartiene qual "Principe della pace" Isaia 9:5, ed egli ne fa qui un lascito che distribuisce, quasi diremmo, colle proprie mani, ai discepoli suoi e per mezzo di loro all'intera Chiesa con la promessa del Paracleto, Gesù aveva pure allora provveduto quanto era loro necessario per essere "appieno forniti", per i doveri dell'apostolato; a questo aggiunge ora un dono destinato a recare loro consolazione e fermezza in mezzo ai mille pericoli, alle ansietà senza numero cui andavano incontro. Questa pace non è semplicemente la pace del cuore, la coscienza tranquillata, mediante l'applicazione del sangue di Cristo, è la certezza personale del possesso dell'amor di Dio; è pace in mezzo alle prove cui il mondo sottopone i seguaci di Cristo pace che nasce dall'aver egli vinto il mondo. Così la descrive Paolo: "La pace di Dio, la qual sopravanza ogni intelletto, guarderà i vostri cuori, e le vostre menti in Cristo Gesù" Filippesi 4:7. È chiaro inoltre che questa pace che Cristo dà è quella di cui gode egli stesso per il primo. io non ve la do, come, il mondo la dà; il vostro cuore non sia turbato, e non si spaventi. In che consiste il contrasto che Cristo ci presenta qui fra il mondo e lui medesimo: nei doni, o nel modo di conferirli? Crediamo che egli avesse in mente così l'una cosa come l'altra. Il Mondo può dar terre, case, tesori, piaceri, onori, soddisfazioni carnali, in breve tutte le cose che possono appagare gli affetti, le passioni e l'orgoglio dell'uomo naturale; ma i suoi sono doni transitori, che non dànno pace vera, anzi sono spesso sorgente di amarezze e di dolori. Tutt'altro è il dono che il Signore fa ai suoi della sua pace. Ma il contrasto non è meno grande riguardo al modo in cui vien conferito il dono. Il mondo dà per motivi interessati, e nello scopo di ricevere un contraccambio; i suoi doni sono vuoti, imperfetti, ingannatori e dati con avarizia; mentre Cristo dà del proprio, e concede la pace sua in modo sincero, sostanziale ed irrevocabile. "I doni di Dio sono senza pentimento" Romani 11:29. Non dobbiamo dunque meravigliarci se, dopo un così lieto annunzio, il Signore ripete con accento quasi trionfale le prime parole del suo discorso; "il vostro cuore non sia turbato". Poiché manderà loro un altro Paracleto, mediante il quale Egli ed il Padre verranno a dimorare con loro, e di più dà loro la sua pace: qual motivo potrebbero essi avere ancora di turbarsi e di temere? PASSI PARALLELI Giovanni 16:33; 20:19,21,26; Numeri 6:26; Salmi 29:11; 72:2,7; 85:10; Isaia 9:6 Isaia 32:15-17; 54:7-10,13; 55:12; 57:19; Zaccaria 6:13; Luca 1:79; 2:14; 10:5 Atti 10:36; Romani 1:7; 5:1,10; 8:6; 15:13; 1Corinzi 1:3; 2Corinzi 5:18-21; Galati 1:3 Galati 5:22; 6:16; Efesini 2:14-17; Filippesi 4:7; Colossesi 1:2,20; 3:15; 2Tessalonicesi 1:2; 3:16 Ebrei 7:2; 13:20; Apocalisse 1:4 Giobbe 34:29; Salmi 28:3; Lamentazioni 3:17; Daniele 4:1; 6:25 Giovanni 14:1 Salmi 11:1; 27:1; 56:3,11; 91:5; 112:7; Proverbi 3:25; Isaia 12:2; 41:10,14 Geremia 1:8; Ezechiele 2:6; Matteo 10:26; Luca 12:4; Atti 18:9; 2Timoteo 1:7; Apocalisse 2:10; 21:8 28 28. Voi avete udito che io vi ho detto: Io me ne vo, e tornerò a voi; se voi mi amaste, certo voi vi rallegrereste di ciò che ho detto: io me ne vo al Padre; Gesù fa qui allusione a guanto aveva detto in Giovanni 13:33 e ripetuto ai vers. Giovanni 14:2-3. L'effetto di quelle sue parole, considerate da un punto di vista meramente personale, Gesù stesso ce lo descrive dicendo: "La tristizia vi ha ripieno il cuore" Giovanni 16:6. In Giovanni 14:4 e seguenti, per compassione di loro, aveva pronunziato parole atte a dissipare quel dolore, e ora ad essi rappresenta, che se il loro amore per lui fosse stato profondo ed intelligente, come avrebbe dovuto essere, essi si sarebbero rallegrati dell'annunzio della sua, partenza, a motivo della gloria che lo aspettava appo il Padre, e del completamento dell'opera per cui era sceso in terra. Il loro dolore per la sua partenza aveva per radice l'egoismo, come è sempre, il caso, sia che lo sappiamo o no, quando piangiamo quelli che ci lasciano per andare col Signore. L'amor vero cerca non già il proprio bene, ma quello della persona che si ama. Vorrebbero essi fargli perdere la sua ricompensa? Filippesi 2:9. Lasciare incompiuta l'opera sua? E prolungare più di quanto non fosse necessario la sua presente umiliazione. Ma questo sarebbe una perdita anche, per essi. Se lo amavano, dovevano rallegrarsi della sua entrata nella gloria. conciossiaché il Padre sia maggiore di me. Questa clausola è stata in tutti i tempi della cristianità l'arma più potente di quanti contestano la suprema divinità di Cristo, perché, dicono essi, qui, anziché pretendersi uguale col Padre, Gesù proclama che il Padre è superiore a lui. Nella Chiesa antica, gli Ariani citavano questo passo ad ogni momento, ed esso è pur sempre il grande argomento dei Sociniani moderni. Ma sarebbe già, per parte di una mera creatura, per quanto elevata la sua posizione nella scala degli esseri, vera bestemmia il paragonarsi in qualunque modo con Dio, epperciò dobbiamo veder qui altra cosa che un paragone fra la creatura e il Creatore. La superiore grandezza del Padre si può spiegare in due modi: 1. per rapporto alla personalità essenziale del Figlio; nel qual caso, si può dire che, senza violazione della eterna Deità, la superiorità del Padre consiste nel fatto che il Figlio possiede la divina essenza, per via di comunicazione; ovvero 2. per rapporto alla posizione del Figliuolo al momento in cui pronunziava quelle parole; ed in questo caso la superiorità del Padre trovasi nella sua relazione col Figliuolo, mentre questi era tuttavia incarnato, e non ancora glorificato. Quest'ultimo ci sembra il senso da preferirsi qui, come quello che indica la subordinazione in cui Gesù trovavasi allora relativamente al Padre, e che cesserebbe al suo ritorno nella gloria. A questo proposito Calvino dice: "Cristo non istituisce qui un paragone fra la divinità del Padre e la propria, né fra la propria natura umana e l'essenza divina del Padre; ma piuttosto fra il suo stato presente e la gloria celeste, nella quale doveva presto venir ricevuto". Diodati adotta sostanzialmente lo stesso modo di vedere: "maggiore, non quant'è alla natura ed alla gloria essenziale, nella quale il Figliuolo è uguale al Padre Giovanni 5:18; Filippesi 2:6; ma quant'è all'ordine della redenzione, nella quale il Padre tiene il grado di parte principale, come rappresentando tutta la Deità nella sua gloria e maestà, ed il Figliuolo quello di mediatore di pace e di riconciliazione. "Paolo ci dice che" essendo in forma di Dio, non reputò rapina l'essere uguale a Dio; e pure annichilò sé stesso, presa forma di servo, fatto alla somiglianza degli uomini" Filippesi 2:6-7, ed in Ebrei Ebrei 2:7,9 leggiamo: "Egli fu fatto per un poco di tempo minor degli angeli, per la passione della morte". Mentre durò quella umiliazione, è innegabile che "il Padre fu maggiore di lui"; ma ora egli stava per ritornare nella piena comunione del Padre, affin di riprendere la gloria della quale erasi volontariamente spogliato per un tempo, e per ricevere dalle mani del Padre, quale Dio Uomo mediatore, la ricca ricompensa delle sue umiliazioni e dei suoi dolori, che Paolo ci descrive in Filippesi 2:9-11. Se dunque i discepoli avessero considerato la dipartenza del loro Maestro, non dal loro punto di vista personale e grettamente egoista, ma pensando a quanto essa doveva produrre di gloria e di onore per il loro Signore e Maestro, l'amore li avrebbe dovuti spingere a rallegrarsi udendo le sue parole: "Io me ne vo al Padre". Il senso è, "dice Diodati, poiché io sono uscito dal Padre, e sono stato manifestato in carne per quest'opera, il ritorno, al Padre mio nella sua gloria, è una certa prova che ogni cosa è compiuta; e perciò voi ci avete materia di piena allegrezza, avendo in me libero, accesso a Dio, e larga comunicazione delle sue grazie". PASSI PARALLELI Giovanni 14:3,18; 16:16-22 Giovanni 16:7; Salmi 47:5-7; 68:18,9; Luca 24:51-53; 1Pietro 1:8 Giovanni 14:12; 16:16; 20:17 Giovanni 5:18; 10:30,38; 13:16; 20:21; Isaia 42:1; 49:5-7; 53:11; Matteo 12:18 1Corinzi 11:3; 15:24-28; Filippesi 2:6-11; Ebrei 1:2-3; 2:9-15; 3:1-4; Apocalisse 1:11,17 Apocalisse 1:18 29 29. Ed ora, io ve l'ho detto, innanzi che sia avvenuto; acciocché, quando sarà avvenuto, voi crediate. Si rivela qui l'infinita tenerezza colla quale il Signore prevedeva le prove cui stava per andar soggetta la fede dei discepoli e cercava di prepararveli, affinché, non ne venissero colti all'improvviso. In "quell'io ve l'ho detto", si comprende il prossimo suo ritorno al Padre, e la venuta dello Spirito Paracleto, per insegnar loro ogni verità, e ricordare loro tutti i suoi insegnamenti; ed egli dichiara che lo scopo suo annunziare loro quei fatti, prima che avvenissero, era stato che, quando sarebbero avvenuti, la fede loro in lui fosse stabilita per sempre. PASSI PARALLELI Giovanni 13:19; 16:4-30,31; Matteo 24:24-25 30 30. Io non parlerò più molto con voi; Il Signore aveva ancora molto da dire ai suoi discepoli, ma doveva farlo con brevità, dovendo venir presto interrotta la loro reciproca comunione. perciocché il principe di questo mondo viene, Queste parole non indican solo "il mondo nella sua essenza, né il un incorporamento dello Spirito di questo mondo" (Milligan), ma Satana stesso, gran nemico delle anime, che il Signore chiama "il principe di questo mondo", non solo a motivo dell'usurpato, suo dominio sul mondo presente, ma più particolarmente perché nella tentazione al deserto, egli aveva offerto a Gesù, vantandoli suoi, "tutti i regni del mondo", se solo si fosse prostrato ad adorarlo. Dopo quel furioso attacco sul secondo Adamo, al principio dell'opera sua, Satana si era ritirato da lui "per un tempo", senza però star lungamente assente, ed ora preparavasi a dargli un'ultima e tremenda battaglia nel giardino di Ghetsemane, ed in sulla croce. E come poche ore più tardi il Signore ebbe un presentimento dell'avvicinarsi del traditore Matteo 26:46, così egli ora sente l'avvicinarsi dell'invisibile suo nemico, e deve perciò abbreviare quanto gli resta da dire. e non ha nulla in me. Le parole "non ha nulla", significano che Satana non possedeva né diritto, né potere alcuno sopra l'oggetto del suo odio, e indicano in colui che le pronunziava la certezza di essere perfettamente senza peccato. Nessun uomo, dalla caduta in poi, avrebbe potuto menare un tal vanto, imperocché la corruzione naturale, tramandata colla vita da Adamo a tutti i suoi discendenti, aveva sempre offerto a Satana un punto favorevole di attacco. Ma questo egli non lo trovò mai nel secondo Adamo, il cui cuore e la cui vita non presentarono mai ombra di peccato. Satana nulla aveva di suo in lui; né in lui poteva trovar nulla di peccaminoso sopra cui fondare una giusta condanna. Perciò, Gesù aspetta la lotta colla certezza della vittoria. "In me, egli non troverà né simpatia per le sue vedute, né riconoscimento della sua sovranità, né sottomissione alle sue domande. Gloriosa parola, la cui verità è la vita del mondo!" (Brown). PASSI PARALLELI Giovanni 16:12; Luca 24:44-49; Atti 1:3 Giovanni 12:31; 16:11; Luca 22:53; 2Corinzi 4:4; Efesini 2:2; 6:12; Colossesi 1:13; 1Giovanni 4:4 1Giovanni 5:19 Apocalisse 12:9; 20:2-3,7-8 Luca 1:35; 2Corinzi 5:21; Ebrei 4:15; 7:26; 1Pietro 1:19; 2:22; 1Giovanni 3:5-8 31 31. Ma quest'è, acciocché il mondo conosca che io amo il Padre, e che fo come il Padre mi ha ordinato. Questo versetto è elittico, e varie maniere di completarlo vennero suggerite, fra l'altre, Diodati aggiunse in corsivo le parole "quest'è", aggiunta che non ci par giustificata dal senso del testo. La parafrasi seguente, che non introduce nulla nell'originale, ci sembra quella che ne spiega meglio il senso: "Ma quantunque il principe di questo mondo, nel preparare la mia morte, non possa portar contro di me accusa alcuna, io abbandono la mia vita in sacrificio volontario, affinché il mondo possa conoscere che io amo il Padre, perché egli mi ha ordinato di dar la vita per prezzo di riscatto per molti, e così farò". Levatevi, andiamcene di qui. Queste parole hanno aperto il campo ad una certa varietà di opinioni relativamente al luogo dove vennero pronunziate così la fine del discorso di Gesù Giovanni 15:17, come la sua grande preghiera d'intercessione pei discepoli Giovanni 17:1-26. Secondo alcuni, dopo quelle parole di Gesù, tutti sì sarebbero alzati da tavola, e sarebbero usciti. In breve, essi considerano queste parole come ordine di partenza per il Ghetsemane. La maggioranza però dei commentatori è di parere che esse non vogliano dire che la comitiva partisse proprio in quel momento, ma che furon, solo come un avviso di prepararvisi. Tutti Rialzarono; ma, prima che uscissero, Gesù riprese a parlare, tutti stando in piedi ad ascoltarlo e terminò il suo discorso colla preghiera. Che questa sia la vera spiegazione lo conferma la non mai interrotta continuità del discorso, l'assenza di qualsiasi indizio di un cambiamento di scena, e la grande improbabilità che in Giovanni 15:1-27; 16:1-33 fossero da Gesù pronunziati, o avessero potuto venire ascoltati dai discepoli nelle strade di Gerusalemme, affollate in quell'ora dai viandanti, e la preghiera in Giovanni 17:1-26 innalzata a Dio in qualche punto della valle del Kedron, in quei giorni tutta coperta di tende. Ma la prova più forte che ne abbiamo si è che in Giovanni 18:1, leggiamo: "Gesù, avendo, dette queste cose, uscì coi suoi discepoli". Ritenendo questa come la vera spiegazione, intendiamo le ultime parole di questo capitolo: "Levatevi ecc." come una espressione che Gesù non poté frenare del suo vivo desiderio di entrare in conflitto con Satana, espressione analoga al grido che eragli sfuggito qualche tempo prima: "Io ho ad esser battezzato d'un battesimo; e come son io distretto, finché sia compiuto" Luca 12:50. PASSI PARALLELI Giovanni 4:34; 10:18; 12:27; 15:9; 18:11; Salmi 40:8; Matteo 26:39; Filippesi 2:8 Ebrei 5:7-8; 10:5-9; 12:2-3 Giovanni 18:1-4; Matteo 26:46; Luca 12:50 RIFLESSIONI 1. Oltre ai molti insegnamenti che caddero in quella sera dalle labbra di Gesù, il suo esempio ce ne dà uno che non dobbiamo scordare. Qual tenera sollecitudine per i discepoli qual mirabile obblio di sé stesso risplendono nelle prime sue parole! Grandi dolori personali ci scusano dal dar molta attenzione alle pene altrui. Gesù si avviava all'ultima ed amara agonia, anzi alla morte, eppure il sentimento che predomina nel cuor suo è la compassione pei suoi amati discepoli. Nel caso suo avremmo chiesto simpatia da tutti. Nostro sarebbe stato il grido di Giobbe: "Abbiate pietà di me, o, voi amici miei; perciocché la mano del Signore mi ha toccato" Giobbe 19:21. Il Salvatore, invece, respinge indietro la propria e gravissima afflizione, e si dà pensiero di provveder conforto pei suoi eletti in quelle prove assai meno gravi che li aspettavano fra breve. Sapeva che tosto dovrebbe dire: "L'anima mia è occupata di tristizia infino alla morte" Matteo 26:38; già presentiva il pondo dolorosissimo del "castigamento della nostra pace" Isaia 53:5; ma prima di entrare egli stesso nel gran certame, volle asciugare le lagrime di coloro che tanto amava, e questo, fu il pensiero che lo condusse a pronunziare le commoventi parole: "il vostro cuore non sia turbato" Giovanni 14:1. 2. I discepoli più cari a Gesù, i suoi seguaci più fedeli Sono esposti a molto turbamento di cuore, e ciò è parte della disciplina cui li sottopone il loro Padre celeste. "Eppure appare chiaramente dai primi versetti di questo capitolo, che il Signore non vuole che il cuore dei suoi discepoli sia lungamente turbato. Egli non prende piacere nei dubbi e nelle incertezze dei suoi. Quando vide i discepoli afflitti per quanto aveva loro detto, li consolò con intenso affetto. Come una madre che consola il suo bambino, disse loro: 'il vostro cuore non sia turbato'. Amico, Gesù dice lo stesso a te, se sei uno dei suoi dolenti. Egli non ti vuole afflitto. 'Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuor di Gerusalemme' Isaia 40:1, è già un comandamento dell'antica dispensazione. Il Signore vuole che ai suoi sia risparmiato tutto ciò che conturba il cuore" (Spurgeon). 3. Qual ricca miniera di meditazioni e di conforto ci presentano i gloriosi nomi sotto i quali il Signore si rivela in Giovanni 14:6, come colui che ci riapre quella entrata presso Dio, che avevamo perduta per il peccato, Confr. Isaia 49:2; Ebrei 10:19-20; e come sono notevoli le chiare e perentorie parole colle quali limita quella entrata, come possibile sol per mezzo di lui: "Niuno viene al Padre se non per me". L'abitudine di udire spesso ripetute certe parole della Scrittura ci rende insensibili ai fatti Straordinari e meravigliosi che essa ci annunzia. Questo versetto ce ne offre un esempio. Lo avete forse letto così spesso, che non produce più effetto alcuno su di voi. Ma esaminatelo attentamente, e vi accorgerete che esso contiene l'annunzio più straordinario che abbiate mai udito, o possiate immaginare. Colui che era sprezzato e reietto dagli uomini, che stava per patire la morte ignominiosa della croce, dice di sé stesso, che tutti quanti gli uomini che hanno già vissuto, o vivono, o viveranno in sulla terra, qualunque sieno le loro circostanze, il loro carattere, la loro saviezza o la loro capacità, si possono avvicinare a Dio unicamente per lui. Non giova ad un uomo l'aver genio altissimo, scienza profonda, carità il prossimo, zelo per la fede; tutto quanto il mondo crede essere prova di carattere veramente religioso, non serve a salvar quell'anima che non cerca la pace con Dio mediante l'espiazione compiuta da Cristo, e non ricorre alla mediazione del Figlio di Dio. Occorre un mediatore fra Dio e noi; un riscatto deve esser pagato per la nostra salvezza; né santi, né angeli, nemmeno Maria madre di Gesù possono far questo per noi. Gesù non fa eccezione di sorta: NIUNO VIENE AL PADRE SE NON PER ME. È di somma importanza metterci in cuore questa verità. Chiunque vuole entrar per quella porta può esser salvato; ma a chi ricusa di entrar per essa, e pretende giungere in cielo in qualsiasi altro modo, la Bibbia dichiara: "Senza spargimento di sangue, non si fa remissione" Ebrei 9:22. 4. In Giovanni 14:23 troviamo la promessa di quell'amicizia durevole e di quella comunione che aspettano quelli che amano il Signore, e provano il loro amore ubbidendo fedelmente alla sua parola: Noi verremo a lui, e faremo dimora appo lui. In Apocalisse 3:20, la comunione del Padre e del Figliuolo coll'anima credente ci viene rappresentata sotto la immagine di una cena, seguita dall'intime e care relazioni che uniscono i membri della medesima famiglia, e questo è pure il senso di questo versetto. Dall'una parte ivi vediamo Gesù, che si diletta di rivelarsi ai suoi nelle relazioni più care che vuol mantenere con essi, così da versar nei loro cuori una felicità che è come l'alba del cielo, e dall'altra vediamo i suoi, felici di contemplarlo, e di esprimere la loro intiera fiducia, la compiuta loro felicità in lui. "Questa comunione è tal cosa che nessun uomo la può comprendere, se non vi partecipa e non la sperimenta. Ma è indubitabile che un'altissima santità è accompagnata da un'altissima gioia, e che nessuno deriva dalla religione una felicità così completa, come quella di coloro i quali, ad esempio di Abrahamo e di Enoch, camminano con Dio. "Il Signore dà a conoscere il suo consiglio ed il suo patto a quelli che lo temono" Salmi 25:14. Ma gli uomini spesso domandano: Come mai tanti che si professano credenti trovano così poca felicità nella religione, sperimentano così poca "gioia e pace credendo", e se ne vanno verso il cielo col viso malinconico e il cuore afflitto? La risposta si è che pur troppo sono pochi i cristiani che prendano alla lettera i consigli pratici di Gesù. L'ubbidienza ai suoi comandamenti non è attenta e rigorosa come dovrebbe essere. Troppo si dimentica che quantunque le buone opere non ci possano giustificare, non per questo le dobbiamo trascurare o disprezzare. Scendano queste cose nel nostro cuore. Se vogliamo esser veramente felici, sforziamoci di essere veramente santi (Ryle). Dimensione testo: Indirizzo di questa pagina: |