Commentario abbreviato:

1Tessalonicesi 2

1 Capitolo 2

L'apostolo ricorda ai Tessalonicesi la sua predicazione e il suo comportamento 1Tess 2:1-12

E della loro ricezione del Vangelo come parola di Dio 1Tess 2:13-16

La sua gioia per loro 1Tess 2:17-20

Versetti 1-6

L'apostolo non ha avuto un disegno parolaio nella sua predicazione. La sofferenza per una buona causa dovrebbe affinare la santa determinazione. Il vangelo di Cristo all'inizio incontrò molte opposizioni; fu predicato con contese, con sforzi nella predicazione e contro l'opposizione. E poiché l'argomento dell'esortazione dell'apostolo era vero e puro, il suo modo di parlare era privo di malizia. Il Vangelo di Cristo ha lo scopo di mortificare gli affetti corrotti e di portare gli uomini sotto la forza della fede. Questo è il grande motivo di sincerità: considerare che Dio non solo vede tutto ciò che facciamo, ma conosce i nostri pensieri da lontano e scruta il cuore. Ed è da questo Dio che prova i nostri cuori che dobbiamo ricevere la nostra ricompensa. Le prove della sincerità dell'apostolo erano che evitava l'adulazione e la cupidigia. Evitava l'ambizione e la vana gloria.

7 Versetti 7-12

La mitezza e la tenerezza raccomandano molto la religione e sono le più conformi al trattamento benevolo di Dio con i peccatori, nel e per mezzo del Vangelo. Questo è il modo per conquistare le persone. Non dobbiamo essere fedeli solo alla nostra vocazione di cristiani, ma anche alle nostre chiamate e relazioni particolari. Il nostro grande privilegio del Vangelo è che Dio ci ha chiamati al suo regno e alla sua gloria. Il grande dovere del Vangelo è quello di camminare in modo degno di Dio. Dobbiamo vivere come si conviene a chi è stato chiamato a una vocazione così alta e santa. Il nostro grande compito è onorare, servire e piacere a Dio e cercare di essere degni di lui.

13 Versetti 13-16

Dobbiamo accogliere la Parola di Dio con affetti adeguati alla sua santità, saggezza, verità e bontà. Le parole degli uomini sono fragili e caduche, come loro stessi, e talvolta false, stolte e volubili; ma la parola di Dio è santa, saggia, giusta e fedele. Accogliamola e consideriamola di conseguenza. La parola ha operato in loro per renderli esempi per gli altri nella fede e nelle buone opere, nella pazienza nelle sofferenze e nelle prove per amore del Vangelo. L'omicidio e la persecuzione sono odiosi a Dio e nessuno zelo religioso può giustificarli. Nulla tende di più a far sì che una persona o un popolo colmi la misura dei propri peccati, che opporsi al Vangelo e ostacolare la salvezza delle anime. Il puro vangelo di Cristo è aborrito da molti e la sua fedele predicazione è ostacolata in molti modi. Ma chi proibisce di predicarlo ai peccatori, agli uomini morti nel peccato, non è per questo gradito a Dio. Coloro che negano la Bibbia hanno un cuore crudele e sono nemici della gloria di Dio e della salvezza del suo popolo.

17 Versetti 17-20

Questo mondo non è un luogo in cui dobbiamo stare sempre o a lungo insieme. In cielo le anime sante si incontreranno e non si separeranno mai più. E anche se l'apostolo non poteva ancora venire da loro, e pensava di non poterlo fare mai, il Signore Gesù Cristo verrà; nulla lo impedirà. Possa Dio dare ministri fedeli a tutti coloro che lo servono con il loro spirito nel Vangelo di suo Figlio, e mandarli a tutti coloro che sono nelle tenebre.

Commentario del Nuovo Testamento:

1Tessalonicesi 2

1 C. 1Tessalonicesi 2:1-16 Il ricordo delle circostanze difficili in mezzo alle quali gli apostoli aveano predicato, ed i Tessalonicesi ricevuto, l'Evangelo di Dio

1Tessalonicesi 2:1-16 corrispondono per il loro contenuto a 1Tessalonicesi 1:5-10; poichè l'apostolo evoca anche qui i ricordi dell'evangelizzazione di Tessalonica; ma quello che suscita qui la sua gratitudine è il pensiero della circostanze difficili in cui era nata la fede dei Tessalonicesi. I banditori del Vangelo eran giunti a loro dopo esser stati oltraggiati altrove ed erano stati esposti ad ogni sorta di calunnie e di pericoli per parte dei nemici Giudei; ciò nonostante, i Tessalonicesi avean ricevuto il loro messaggio per quel ch'esso era: parola di Dio. A queste difficoltà Paolo allude in modo discreto ed indiretto ricordando la purezza dei suoi moventi e la rettitudine dei mezzi adoperati; quanto ai nemici li nomina solo in 1Tessalonicesi 1:15-16. Ma se Paolo espone la condotta tenuta in mezzo ai Tessalonicesi non lo fa solo per dare sfogo a sentimenti di affetto, bensì per respingere da sè, ancora una volta, l'imputazione di bassi motivi fattagli dagli avversari e render grazie a Dio che avea dato ai suoi servitori un successo così rallegrante.

Infatti voi stessi sapete, fratelli, che la nostra venuta tra voi non è stata vana.

Dice lett.: la nostra entrata come in 1Tessalonicesi 1:9 cui si riferisce. Alcuni espositori intendono: Voi sapete che la nostra entrata non è stata debole, timida, come di gente che, conscia di combattere per una causa non buona, si da per vinta anticipatamente; al contrario, siam venuti a voi pieni di coraggio, e di forza spirituale, come ha ricordato 1Tessalonicesi 1:5. Altri, - e crediamo con ragione, - intendono: La nostra venuta in Tessalonica non è stata senza buoni risultati, anzi è stata coronata di buon successo, come narra dovunque la gente 1Tessalonicesi 1:9 e voi stessi per i primi ben sapete. Tale il senso usuale dell'agg. vano in connessione colle fatiche missionarie e in genere cristiane. In 1Tessalonicesi 3:5 dirà: "che talora... non fosse riuscita vana la nostra fatica". Cfr. 1Corinzi 15:10,14,58. D'altronde, se non è stata infruttuosa la venuta degli apostoli in Tessalonica, è perchè Dio li aveva prima ripieni del suo Spirito per compier l'opera. E Paolo prosegue col ricordare le circostanze difficili in cui erasi fatta da lui e dai suoi compagni la predicazione.

2 Ma, sebbene avessimo prima, come sapete, sofferto e fossimo stati oltraggiati in Filippi, abbiamo attinto nell'Iddio nostro il coraggio di annunziarvi l'evangelo di Dio in mezzo a grandi lotte.

Fin dal principio due difficoltà erano parse dover intralciar la missione evangelica in Tessalonica.. I suoi rappresentanti vi giungevano dopo essere stati incarcerati e battuti di verghe in Filippi quali perturbatori e sovvertitori della religione di Stato. Ora, come notava il Crisostomo, nulla è più atto a spaventare i discepoli che il vedere i maestri che li istruiscono maltrattati in cotal guisa. Poi, prima che fossero trascorse molto settimane, l'opposizione era sorta in Tessalonica stessa per parte dei Giudei increduli, e d'allora in poi l'opera si era svolta in mezzo a una grande lotta, non lotta interna di ansietà o di incertezze, ma lotta contro l'odio giudaico, contro le armi sleali adoperate per screditare il vangelo ed i suoi banditori, contro la violenza della plebaglia sobillata e dei magistrati. Soltanto nella fiducia in Dio, nel Dio che servivano e di cui sperimentavano ogni giorno la bontà e la potenza, avevano potuto attingere il coraggio, il franco ardire, d'intraprendere e di proseguire la proclamazione dell'evangelo di Dio. Non predicavano una buona novella di loro invenzione, una parola d'uomo 1Tessalonicesi 2:13, ma recavano il messaggio della salvazione operata da Dio in Cristo e di cui Dio li aveva costituiti banditori. Potevano quindi contare sull'aiuto di Lui e non venir meno nell'animo. La stessa espressione ritorna in 1Tessalonicesi 2:8-9 e quella di "parola di Dio" in 1Tessalonicesi 2:13.

3 Giacchè la nostra esortazione non procede da impostura nè da motivi impuri, nè si fa usando frode.

Se non avessero coscienza di annunziar la verità divina, di essere spinti da motivi puri ed elevati, di adoprar mezzi onesti e degni della causa di Dio, non potrebbero attinger in Lui il coraggio necessario per proseguire l'opera loro ad onta delle difficoltà e delle sofferenze che incontrano. Ma essi hanno buona coscienza. Il greco paràclesi ( παρακλησις) può rivestire il significato speciale di "consolazione" ch'è l'esortazione rivolta ad una persona afflitta; così 2Tessalonicesi 2:16; 2Corinzi 1:3-4; 7:4; ma più spesso vale esortazione rivolta a chi ha bisogno d'essere incoraggiato, spinto ad una decisione pratica Cfr. 2Corinzi 8:4,17; 1Timoteo 4:13; Atti 13:15. La predicazione apostolica era una proclamazione ( κηργμα), era un insegnamento ( διδασκαλια), ma era del pari una esortazione, un appello rivolto al cuore ed alla volontà per spinger gli uditori al pentimento ed alla fede in Cristo 1Tessalonicesi 2:11. "Pietro con molte altre parole li scongiurava e li esortava dicendo: Salvatevi dal mezzo di questa perversa generazione" Atti 2:40 e cfr. 2Corinzi 5:20. L'esortazione abbraccia tanto la predicazione pubblica, come l'amorevole, insistente invito privato. Gesù avea detto: "Costringili ad entrare". L'appello apostolico non procede da impostura. La parola πλανη può tradursi "errore" ed il senso, in questo caso, è: La nostra esortazione non muove da un errore, da una illusione in cui noi viviamo, ma muove dalla assoluta certezza della verità di quel che predichiamo 2Tessalonicesi 2:11; 1Giovanni 4:6; Giacomo 5:20. Può del pari tradursi "inganno" impostura, ed il senso allora è questo: Nel predicar l'evangelo non siamo mossi, come vanno dicendo i nostri nemici, dal pravo intento di ingannare, di sedurre altri come fanno gl'impostori che danno per fatti certi delle favole di loro invenzione. Il nostro intento è di far conoscere quel che sappiamo essere la verità di Dio. Siccome Paolo ha in mente qui le calunnie dei Giudei increduli, questo secondo senso è più probabile. - Come non agiscono da impostori, così non sono neanche mossi da impurità come dice il greco. È, chiaro che non si tratta qui di impure passioni carnali; bensì di motivi impari cioè non sinceri, non nobili, anzi egoisti e bassi, che, sempre a detta dei nemici, sarebbero quelli che spingono l'apostolo a predicare. E allude all'interesse pecuniario, all'ambizione di gloria terrena e di dominio sugli altri, all'invidia ch'essi gli attribuivano. Cfr. 2Corinzi 12-13. Come sono puri i moventi dell'attività degli apostoli così sono leali ed onesti i mezzi ch'essi adoperano: l'esortazione loro non si fa con frode. Mirano a convincere la mente, a persuadere il cuore, a svegliare la coscienza colla franca esposizione della verità evangelica, quindi non ricorrono alla adulazione, non adulterano il Vangelo per renderlo più accettabile, non ricorrono alle arti meno sincere della rettorica e del ciarlatanismo. "Abbiamo rinunziato, scrive Paolo ai Corinti, alle cose nascoste e vergognose, non procedendo con astuzia, nè falsificando la parola di Dio, ma, colla manifestazione della verità, raccomandando noi stessi ad ogni coscienza d'uomo, dinanzi a Dio" 2Corinzi 4:2.

4 Ma siccome Dio vi ha giudicati tali da poterci affidare l'evangelo, così, parliamo non per piacere agli uomini, ma per piacere a Dio che prova i cuori nostri.

Lungi dall'ubbidire a motivi indegni e dall'usare mezzi frodolenti, gli evangelizzatori, consci d'esser stati onorati da Dio di una missione di fiducia, si sforzano di adempierla in modo da ottener l'approvazione suprema di Dio. Dice lett. "siamo stati approvati" come si approva una cosa o una persona dopo averla sottoposta ad un esame; dopo averla saggiata come si fa dei metalli. Cfr. 1Pietro 1:7; 2Corinzi 8:8; 1Giovanni 4:l. In 1Timoteo 1:12 dice: "io rendo grazie a Cristo ch'egli mi ha stimato fedele stabilendo nel ministerio me che...". Dio, che conosce i cuori e non procede arbitrariamente ha scorto in Paolo e nei suoi compagni la lealtà morale, la rettitudine di intenti che li rendevano atti ad essere i depositarii e i banditori della Buona Novella. Ha quindi concesso specialmente a Paolo le rivelazioni e i doni necessarii perchè conoscesse a fondo il piano di Dio e lo potesse far conoscere ai Gentili. Cfr. 1Corinzi 2:11; Galati 1-2. Di una siffatta missione onorevole Paolo si sente responsabile a Dio che non guarda soltanto all'esteriore ma scruta i cuori, e non può ingannarsi sulla vera natura dei moventi più segreti; quindi a Lui vuol piacere. "Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitor di Cristo" Galati 1:10. Chi mira ad ottener dagli uomini vantaggi materiali, o gloria, cerca di piacere ad ogni costo agli uomini ricorrendo all'adulazione Atti 24:1-4; solleticando la loro vanità, le loro debolezze o le loro passioni, mascherando abilmente i suoi veri fini sotto plausibili apparenze. Or questo i Tessalonicesi sanno che Paolo ed i suoi compagni non hanno fatto mai.

5 Infatti, non abbiamo mai usato un parlar lusinghevole, come ben sapete, nè dissimulato segreti fini d'interesse, Dio n'è testimone.

Il greco εν προφασει πλεονεξιας tradotto dalla vulgata in occasione avaritiae, vale lett. "con pretesto di cupidigia" e significa "con un pretesto atto a dissimulare la cupidigia di danaro". Cfr. per l'uso della parola Luca 20:47; Atti 27:30; Filippesi 1:18. Non ci siamo presentati a voi, vuol dir Paolo, nascondendo sotto la nobile veste dell'apostolo di Cristo, uomini che in realtà miravano a fare il loro interesse materiale e per i quali la predicazione del Vangelo non era che un bel pretesto, un mezzo plausibile per raggiungere il vero fine. Gesù avea messo in guardia i suoi discepoli contro lo spirito mercenario Giovanni 10:12-13 degli Scribi e Farisei che "sotto pretesto di far lunghe orazioni", divoravano le case delle vedove. Il presbitero non dev'essere "amante del danaro" nè "cupido di vil guadagno" 1Timoteo 3:3; Tito 1:7. Senza dubbio, a Tessalonica come altrove, i Giudei avevano insinuato il sospetto che Paolo fosse tale. Egli respinge da sè l'oltraggio, ma siccome si tratta di moventi intimi che l'occhio umano non può scrutare, egli se ne appella alla onniscienza di Dio che investiga i cuori. "è impossibile, osserva il Denney, esagerare il carattere subdolo e tenace dell'avarizia che devo la sua forza alla facilità con cui può esser dissimulata. La brama della ricchezza, salvo che in una società del tutto materialistica, si nasconde sempre sotto un fine ideale cui ha da servire; perchè tutti sentono ch'è cosa cattiva e bassa l'avere il cuore attaccato al danaro; tutti sentono l'inconseguenza, la particolar laidezza di un carattere che associa la pietà all'avarizia. Es. Balaam, Ghehazi, Anania".

6 E non abbiamo cercato gloria dagli uomini - nè da voi nè da altri - sebbene potessimo far valere la nostra dignità come apostoli di Cristo.

Come non è stato l'ingordigia del denaro il movente impuro dell'attività apostolica, così non è stato; neppure l'ambizione, la brama d'essere onorati dagli uomini, o semplicemente di far parlar di sè. Non lo è stato nè in Tessalonica nè altrove, perchè il plauso degli uomini e l'approvazione di Dio vanno raramente d'accordo. La locuzione εν βαρει ειναι (lett. essere in peso) è stata intesa da quasi tutti gli antichi e da alcuni moderni in senso pecuniario: sebbene potessimo esservi di aggravio caricandovi delle spese del sostentamento cui abbiamo diritto come apostoli di Cristo. Si cita l'uso fatto da Paolo in questo senso del verbo βαρειν (gravare) e composti a 1Tessalonicesi 2:9; 2Tessalonicesi 3:8; 2Corinzi 12:16; 11:9; 1Timoteo 5:16; ma qui la locuzione adoprata è contrapposta, non al disinteresse di Paolo, bensì al cercar gloria dagli uomini, al suo affetto quasi materno per i Tessalonicesi. Non ha cercato gloria dagli uomini, quantunque, in virtù dell'ufficio affidatogli da Cristo, egli avesse diritto ad una certa considerazione. Il sostantivo βαρος (gravità, peso) è usato nei classici a dinotare la considerazione di cui è meritevole per es. una città. "Se, dice Crisostomo, gl'inviati d'un re terreno ricevono onori, molto più potremmo noi riceverne da voi". Sono chiamati "apostoli" in senso lato, anche Sila e Timoteo. Cfr. Galati 1:19; Atti 14:14.

7 Ma siamo stati mansueti in mezzo a voi a guisa di nutrice che curi teneramente i proprii figliuoli.

Lungi dal far valer la loro dignità ufficiale, Paolo ed i suoi compagni, preoccupati non di sè ma del bene spirituale dei Tessalonicesi, si sono mostrati mansueti, pieni di affettuosa premura spoglia d'ogni boria d'autorità. Va notato qui un caso istruttivo dal punto di vista della critica del testo. Quattro su cinque dei codici più antichi, e nominatamente il Vaticano ed il Sinaitico portano una lezione che anche gli adoratori di quei due codici non si sentono di accettare, tanto è manifesto ch'essa è dovuta ad una svista di amanuense. Invece di ηπιοι (mansueti) leggono νηπιοι (bambini, Vulgata parvuli) originato da raddoppiamento della n finale del verbo che precede. L'esser bambini come una nutrice è tale assurdità che salta agli occhi. Ma Hort l'ha mantenuta. Giovi l'esempio a ricordarci come in parecchi passi del N. T. è assurdo e pedante il far prevalere l'autorità dei Mss contro il buon senso. Neanche il Tischendorf ed il Nestle hanno saputo sempre cedere all'evidenza interna che balzava fuori dal contesto. Nutrice si applica spesso alla balia che nutre per; un salario i figli altrui; ma qui si applica alla madre che allatta e cura teneramente i proprii figli. Essa non pensa a gloria o ad interesse; è mossa soltanto dall'amore ch'è pronto ad ogni sacrificio. Altrove Paolo usa l'immagine della partoriente, ma più spesso paragona sè stesso al padre che ha generato a vita nuova i convertiti mediante la parola del Vangelo Galati 4:19; 1 Corinti 4:15.

8 Così nel nostro grande affetto per voi, eravamo disposti a darvi non solo l'evangelo di Dio, ma anche le nostre proprie vite, perchè vi eravate divenuti cari.

Nel respingere i motivi non veri attribuitigli dagli avversarii, Paolo è tratto a indicare quali erano stati i moventi positivi e reali della sua attività missionaria: il desiderio di piacere a Dio e l'amore disinteressato per gli uomini. L'amore è pronto a far parte di ogni bene; perciò, Paolo ed i suoi compagni non potevano tener per sè la Buona Novella della salvazione di cui erano banditori, e bramavano farne parte agli altri ( μεταδουναι). L'amore è pronto ai sacrifizii per assicurare il bene delle persone amate, e Paolo ed i suoi collaboratori erano pronti anche a sacrificar la vita per il bene eterno dei Tessalonicesi qualora ciò fosse apparso necessario. Cfr. Atti 20:24. Nè queste eran vuote parole, poichè si conoscevano a Tessalonica le fatiche ed i patimenti ed i gravi pericoli incontrati dagli evangelisti in quella città, come già in tanti altri luoghi.

9 Vi ricordate infatti, fratelli, delle nostre fatiche e dei nostri travagli; egli è col lavorare notte e giorno per non esser d'aggravio ad alcuno di voi, che noi vi abbiamo predicato l'evangelo di Dio.

Il greco porta il singolare: fatica e travaglio in senso collettivo ed il verbo che principia la frase potrebbe essere un imperativo: Ricordatevi; ma siccome a 1Tessalonicesi 2:10 prosegue col dire: "Voi siete testimoni..." e che sono frequenti nella lettera le allusioni ad un passato che non era d'altronde ancor lontano, i più traducono coll'indicativo. Il ricordo del lavoro manuale cui Paolo si era sobbarcato è inteso ad esemplificare lo spirito di amorosa abnegazione che animava gli operai di Cristo in Tessalonica. Per non esser d'aggravio ad alcuno col richiedere che si sopperisse al suo mantenimento, e per togliere ogni pretesto a chi, lo volesse far passare per un retore greco che vendesse la sua eloquenza, Paolo si era sobbarcato al faticoso lavoro manuale del tessere e fabbricar tende per viaggiatori e militari Cfr. Atti 18:3; prendendo per ciò parte delle ore destinate al riposo. Due volte sole i Filippesi gli aveano mandato un sussidio Filippesi 4:16.

10 1Tessalonicesi 2:10-12 riassumono in un quadro succinto la condotta irreprensibile, di Paolo di fronte alla chiesa di Tessalonica.

Voi siete testimoni, e Dio pure, del come vi siamo comportati santamente e giustamente e senza biasimo inverso voi che credete.

Se ne appella alla testimonianza dei credenti stessi per quello ch'essi aveano potuto costatare ed a quella più alta di Dio per ogni cosa, anche quelle ch'erano sfuggite all'occhio umano. Nelle suo relazioni con i Tessalonicesi egli ed i suoi compagni non si sentono colpevoli di nulla. Cfr. 1Corinzi 4:4. La prima parola: ὁσιως (santamente) si riferisce alla vita considerata nei suoi rapporti con Dio e colle leggi eterne del suo governo morale. La seconda: δικαιως (giustamente) si riferisce alla condotta nei rapporti cogli uomini. Platone dice nel Gorgias: "Chi fa quel che si conviene riguardo agli uomini, fa cosa giusta, chi fa quel che si conviene riguardo agli dèi, fa cosa santa". In un senso più alto, d'altronde, tutti i doveri son doveri verso Dio ch'è il Creatore dell'uomo e che gli ha data la sua volontà per legge in ogni cosa. La terza parola: αμεμπτως (senza biasimo) esprime in forma negativa quello che le altre due avevano detto in forma positiva. In tutta quanta la loro condotta nessuno avea potuto trovare alcun giusto motivo di biasimare. Nei suoi moventi, nei suoi fini, nei mezzi adoperati, nel campo dei doveri verso Dio e verso gli uomini, la vita dei messaggeri di Cristo era stata tale da raccomandar l'evangelo ad ogni coscienza umana non oscurata dalle passioni.

11 E sapete del pari in qual maniera noi, come un padre i proprii figli siam venuti esortando ed incoraggiando e scongiurando ciascuno di voi a condurvi in modo degno di Dio che vi chiama al suo regno ed alla sua gloria.

Meglio che nella sua condotta pubblica, i Tessalonicesi aveano potuto conoscere intimamente Paolo nelle relazioni individuali sostenute con lui e sentire di quale amore sincero, santo e disinteressato egli fosse animato. Tanto lui che i suoi compagni non si erano contentati di predicare in pubblico, ma si erano dati alla evangelizzazione individuale, alla cura d'anime.: ed in tanta moltitudine di fedeli, come osserva Crisostomo, non aveano negletto alcuno, avendo cura ugualmente dei piccoli e dei grandi, dei poveri e dei ricchi. Imitavano così rispetto ai neofiti, l'amore del padre che si volge a ciascuno dei suoi figli e non si stanca di procurare il loro bene tenendo conto del loro carattere e delle loro circostanze individuali. La perseverante ed amorevole insistenza di Paolo è descritta in tre parole di cui la prima: esortando, è più generale ed accenna agli sforzi fatti per guadagnare, per persuadere chi non lo è che a metà; la seconda: incoraggiando o confortando meglio che consolando, accenna agli sforzi fatti per infondere animo in chi è chiamato a incontrar prove e sofferenze per la sua fede: ed era stato questo il caso dei Tessalonicesi; la terza: scongiurando, lett. "attestando", si applica alla esortazione più solenne atta a scuoter la coscienza col fare appello alla responsabilità dell'uomo di fronte a Dio, al conto da rendere nel giudicio. Il fine cui miravano esortazioni ed incoraggiamenti e scongiuri era quello di ottenere che i credenti camminassero, cioè si conducessero nelle svariate contingenze della vita di tutti i giorni, in modo degno di Dio che li chiamava al suo regno ed alla sua gloria. Non erano paghi i servitori di Dio di aver invitate le persone alla fede rivolgendo loro la chiamata divina, miravano a portarle ad una vita religiosa e morale più elevata, degna del Dio vivente e santo con cui erano entrate in una relazione nuova. Da quel che Dio è per loro e fa per loro e destina loro, risulta per i credenti l'obbligo d'una vita nuova, degna di Dio. Dio li chiama al suo regno; il presente trovasi in quasi tutti gli unciali, invece dell'aor. ha chiamato del Sinaitico e di A.; li ha chiamati dal mondo dell'errore e del male ad entrar nel suo regno per la porta del ravvedimento e della fede in Cristo; ma li chiama tuttora al suo regno celeste, a quello stato di cose perfetto in cui la volontà di Dio sarà compiuta ed in cui la gloria del Dio di perfezione rifletterà su di essi il suo splendore. Cittadini del regno di Dio, destinati ad aver parte alla gloria di lui, devono "camminare in modo degno della vocazione ricevuta" Efesini 4:1; 1Giovanni 3:1-3.

13 Al ricordo delle difficoltà in mezzo a cui Paolo ed i suoi collaboratori avean compiuta in Tessalonica l'opera loro di evangelisti con lealtà e con amorevole abnegazione, egli unisce in 1Tessalonicesi 1:13-16, quello della fede profonda e costante colla quale i Tessalonicesi aveano accolto l'evangelo, e di questa rende grazie a Dio.

E perciò, ancora noi rendiamo grazie a Dio del continuo, poichè avendo da noi ricevuta la parola di Dio predicatavi, voi l'avete accolta, non qual parola d'uomini, ma com'essa è veramente, qual parola di Dio, ed essa infatti spiega la sua efficacità in voi che credete.

Perciò s'intende: per l'immenso desiderio che avevamo del vostro bene, per il lavoro compiuto con motivi puri ed elevati, fra voi in mezzo a molte difficoltà, anche noi, come senza dubbio avete fatto voi per i primi, e come fanno altri cristiani, rendiamo grazie a Dio per la fede con cui avete accolto il mostro messaggio. Questo messaggio lo chiama "la parola della predicazione udita ( ακοη), [ch'è] di Dio" Cfr. Ebrei 4:2; Romani 10:16-17; e poi "parola di Dio". È tale non perchè parla di Dio ma perchè procede da Dio. Benchè comunicata agli uomini da altri uomini, la Buona Novella non è di origine umana, non è frutto di elucubrazione umana, ma è messaggio divino che annunzia un fatto divino qual'è l'incarnazione e l'opera del Figliuol di Dio per la salvazione del mondo. Questo avevano compreso i Tessalonicesi quando l'avevano accolto con fede dalla bocca di uomini perseguitati e deboli; ma ripieni della forza dello Spirito. E perchè potenza di Dio a salvezza, la parola evangelica spiegava la sua efficace energia in loro nel dar a chi l'aveva accolta in cuore, pace, vita nuova, speranza giuliva, vittoria sul mondo. Se l'evangelo fosse una parola meramente umana non sarebbe neanche un evangelo, nè si potrebbe dir fede l'atto di accoglierla. La sua efficacia gli vien dal fatto ch'esso esprime pensieri e disegni e sentimenti e promesso e fatti che son di Dio, del Dio ch'è amore.

14 Infatti voi siete divenuti imitatori delle chiese di Dio che sono nella Giudea in Cristo Gesù; poichè avete anche voi sofferto, da parte dei vostri proprii connazionali, le stesse cose ch'essi hanno sofferte da parte dei Giudei.

Una prova evidente infatti del carattere genuino e saldo della fede dei Tessalonicesi e della efficacia della parola di Dio in loro, Paolo la scorge nella costanza colla quale hanno sopportato, senza venir meno, la persecuzione scatenata contro a loro fin dal primo nascere della chiesa. In 1Tessalonicesi 1:6 avea notato come i Tessalonicesi, considerati individualmente, fosser divenuti gli imitatori dei loro evangelizzatori e del Signor Gesù; qui considerandoli nella loro collettività, scorge una, analogia tra le vicende della loro chiesa e quelle delle prime chiese cristiane sorte in Gerusalemme e nei dintorni. Come quelle, dopo la morte di Stefano Atti 8:1-3 e in altre circostanze posteriori Cfr. Ebrei 10:32-35; aveano sofferto persecuzioni da parte dei Giudei increduli, così i credenti di Tessalonica, in maggioranza ex-pagani, aveano sofferto dai loro connazionali pagani, istigati però dai Giudei. Com'era rimasta salda la fede dei giudeo-cristiani nel cimento, così avea resistito vittoriosamente quella dei Tessalonicesi i quali erano per tal modo divenuti gl'imitatori di quelle chiese di cui Paolo certamente avea loro parlato, essendo egli stato testimone oculare della lor costanza allorchè cercava di distruggerle. - Nelle sue prime lettere Paolo fa parola soltanto di chiese locali: chiesa dei Tessalonicesi, chiese che sono in Giudea, chiese di Dio 2Tessalonicesi 1:4. In Galati 1:13, pur parlando dei credenti di una regione, dirà: "Ho perseguitato la Chiesa di Dio", e più tardi assomiglierà la Chiesa alla sposa di Cristo Efesini 5 e dirà della Chiesa del Dio vivente ch'ella è "la colonna e il piedistallo della verità" 1Timoteo 3:15. I due concetti si completano a vicenda: le chiese locali sono la realtà visibile e tangibile, per quanto frazionate e disperse, della comunione dei credenti nel Cristo; la Chiesa nel suo vasto insieme abbracciante tutte le anime unite a Cristo da una stessa fede, e da una stessa speranza e tra loro da uno stesso amore, è essa pure una realtà, ma necessariamente meno visibile e più ideale. Le chiese qui mentovate sono caratterizzate in varii modi: geograficamente, sono nella Giudea; spiritualmente sono chiese di Dio perchè a Lui appartengono a lui sono consacrate per adorarlo e servirlo; sono pure in Cristo Gesù, fondate cioè sulla fede in Gesù, il Messia promesso, e viventi nella comunione di lui che morì e risuscitò e vive sempre per intercedere per i suoi.

15 Dalla menzione della persecuzione diretta contro le chiese di Giudea, Paolo è tratto a tracciare un quadro più comprensivo dell'ostilità costante dei Giudei contro agli organi della rivelazione di Dio. Sempre li hanno fatti segno all'odio ed ai mali trattamenti e quando è apparso sulla terra il Verbo stesso fatto carne, il Signore Gesù invece di accoglierlo l'hanno crocifisso; ed ora perseguitano gli apostoli di lui intralciando l'opera salutare ch'essi devono compiere a pro delle Genti. Ma ormai la misura dei lor peccati è colma e non tarderà il giudicio divino a colpirli.

I quali hanno ucciso ed il Signor Gesù e i profeti, e ci hanno cacciati colla persecuzione, e non piacciono a Dio e sono avversi a tutti gli uomini, impedendoci di parlare ai Gentili affinchè siano salvati...

La persecuzione contro le chiese di Giudea non è che uno dei tanti modi in cui i Giudei increduli - dai quali ora Paolo si sente moralmente separato, sebbene non cessi di, amarli come suo popolo - manifestano la loro avversione alla verità. Anche in passato sono stati di collo duro e si sono "sempre opposti allo Spirito Santo" Atti 7:51-52; hanno perseguitato ed anche ucciso i profeti Luca 11:47-52; hanno crocifisso Gesù, il Figlio, il Messia; hanno cacciato colla persecuzione i banditori del Vangelo dalle città ove lo predicavano: così aveano fatto in Damasco, in Antiochia di Pisidia, in Licaonia, in Tessalonica, in Borea. Non piacciono a Dio perchè si oppongono ai suoi disegni misericordiosi; sono avversi a tutti gli uomini, non separati soltanto dagli altri popoli, come avea disposto Iddio pel fine altissimo di conservare in seno ad Israele il deposito della verità religiosa, ma avversi. Del privilegio a loro concesso hanno fatto una occasione di orgoglio, di disprezzo e di avversione per gli altri popoli. La loro missione li chiamava ad esser "luce delle Genti, benedizione a tutte le famiglie della terra" col far loro parte dei tesori ricevuti; invece si distinguono per quel che Tacito chiama "adversus omnes alios hostile odium".

16 E lo dimostrano quest'odio per i pagani coll'impedire agli Apostoli ed ai loro collaboratori di parlare ai Gentili del vero Dio e della via di salvazione in Cristo. Lo impediscono colle insinuazioni maligne, colle calunnie e, quando possono, colla persecuzione violenta. Non si curano che i pagani siano salvati, anzi li vogliono esclusi dalla salvazione. Perciò Paolo, l'apostolo delle Genti è da loro odiato a morte.

Essi vengono così colmando senza posa la misura dei lor peccati; ma li ha raggiunti l'ira finale.

Il greco usando una espressione della LXX in Genesi 15:16 porta. lett. "affine di completare sempre i lor peccati". Non si tratta però di un fine voluto dai Giudei stessi o di cui siano consci, ma del risultato al quale essi giungono di fatto, colla loro pertinace opposizione al Vangelo, risultato preveduto da Dio ed incluso nei disegni di quella infinita sapienza che governa tutte le cose in modo da trarre un bene perfino dal male. Cfr. Romani 11.

Il cattivo uso dei privilegi ricevuti è punito coll'induramento morale e questo colla reiezione prolungata e colla dispersione d'Israele, ma questa reiezione favorirà l'estendersi del Vangelo fra i pagani e questo a sua volta farà rinsavire, in ultimo, Israele stesso. Ma, per ora, con gli atti successivi nei quali la massa del popolo mostra la sua avversione agli uomini ed ai voleri di Dio, esso seguita senza posa, dopo la venuta di Cristo come prima, senza che lo fermi mai sulla china funesta un atto di ravvedimento cfr. Luca 19:42; ad aggiunger peccato a peccato finchè sia giunto il momento in cui, essendo colma la misura tollerata dalla pazienza di Dio, lo formi e lo colpisca il giudicio divino. Codesto momento Paolo giudica che sia oramai giunto o sia imminente: Ma li ha raggiunti l'ira, s'intende l'ira di Dio, finora trattenuta dalla sua longanimità, ed a cui sarà lasciato libero corso. Il passato può intendersi in senso profetico, ossia descrivente come compiuto quello che, per decreto di Dio, sta per avvenire in modo corto. Secondo altri, indicherebbe che oramai il giudicio è già principiato. Sei o sette anni dopo, nel 59, quando mancavano ancora undici anni alla data fatale della distruzione di Gerusalemme, l'apostolo scrivendo ai Romani considerava la reiezione d'Israele come un fatto compiuto Romani 11:11,15,22. Gesù l'avea predetta in varie parabole ed avea pure annunziata non lontana la catastrofe che di quella reiezione del popolo doveva essere come il tremendo suggello. Le parole εις τελος sono variamente intese. Chi traduce: "l'ira alla fine li ha raggiunti" dopo aver tardato a lungo Cf. Luca 18:5; chi rende col Diodati: "l'ira è venuta sopra loro fino all'estremo" cioè in tutta la sua terribil forza per farla finita, per compier l'opera sua. Altri ancora, seguendo il senso ordinario della locuzione nel N. T. Matteo 10:22; Giovanni 13:1; interpreta come la Volgata usque in finem, fino alla fine, quasi afferrandoli come una preda che non si abbandona più.

AMMAESTRAMENTI

1. Le difficoltà incontrate dai missionari cristiani in Tessalonica si riproducono anche ai nostri giorni quando si tratta di annunziare l'evangelo nella sua semplicità a chi non lo conosce. I predicatori incontrano l'ignoranza delle masse facili a lasciarsi traviare dai furbi; le maldicenze le insinuazioni maligne, le calunnie sparse contro di loro e dei loro intenti; quando ciò non basti, la violenza più o meno mascherata. L'eroismo missionario sta nel non lasciarsi abbattere in mezzo a tante lotte. - La santa baldanza del servo di Cristo non gli verrà dalla carne, ma da Dio che fortifica il debole, gli verrà dalla coscienza ch'ei predica l'evangelo di Dio, che cerca di piacere a Dio e che dei suoi moventi e fini è testimone l'Iddio che prova i cuori e gli ha affidato l'onore di recare il suo messaggio di grazia ad altri.

2. La predicazione cristiana non è una dissertazione religiosa, ma una esortazione. Contiene un insegnamento ma mira a scopo pratico: persuadere gli uni a risponder colla fede alla chiamata di Dio, persuadere i credenti a camminare in modo degno di Dio. L'esortazione dovrà variare a seconda delle disposizioni degli uditori; scongiurar i negligenti e gli ipocriti a fuggir dall'ira avvenire, indurre quelli che sentono i lor peccati a fidare in Cristo, incoraggiare i dubbiosi e i timidi, ricondurre sulla retta via gli erranti.

3. Chi vuol essere un vero banditore del vangelo di Dio deve provar sè stesso in varii modi.

a) Deve accertarsi che non predica delle favole o delle invenzioni ed imposture umane, ma che annunzia la verità di Dio altrimenti sarebbe come il cieco che conduce altri ciechi nel fosso.

b) Deve accertarsi che i suoi moventi non sono impuri: non l'interesse materiale, non l'ambizione, non il desiderio di piacere agli uomini, ma l'ubbidienza alla vocazione divina, il desiderio di piacere a Dio, l'amore delle animo.

c) Deve accertarsi che i mezzi ch'egli adopera sono degni della verità: non l'astuzia, non il ciarlatanismo, non l'adulazione ch'è stata definita "la bassezza dell'uno operante sulla debolezza dell'altro per un fine vile e interessato"; ma l'esposizione onesta e leale della verità che si raccomanda all'intelletto, alla coscienza ed al cuore dell'uomo perchè risponde ai suoi bisogni più profondi.

4. Accanto alla sua fedeltà verso Dio, l'amore di Paolo per coloro che evangelizza è il segreto del suo zelo e delle sue vittorie. - Il suo amore lo distoglie dal far valere la sua dignità ed autorità mentre lo porta a usar dolcezza ed affabilità. - Il suo amore lo distoglie dal far valere i suoi diritti al sostentamento e ad un ragionevole riposo e lo porta a sacrificar di buon animo comodi, e diritti ed anche la vita se ciò sia necessario al bene dei suoi figli spirituali. - Il suo amore, insieme al timor di Dio, lo induce a dare in ogni cosa l'esempio affin di togliere ogni pietra d'inciampo ai neofiti. - Il suo amore lo porta ad interessarsi a ciascuno, tanto è grande per lui il valore di ogni anima umana. Agli anziani d'Efeso dirà più tardi ch'egli ha ammonito "ciascun di loro", giorno e notte con lagrime. La cura d'anime che si occupa dello stato e dei bisogni degli individui è per lui della massima importanza. - Il suo amore paterno lo porta ad esser perseverante nelle cure che consacra ad ognuno: egli esorterà, incuorerà, scongiurerà secondo il bisogno.

5. La parola del Vangelo non è parola d'uomini ma è veramente parola di Dio:

a) Lo proclamano i suoi banditori meglio autorizzati, gli apostoli, i quali hanno contemplato il Cristo risorto e da lui sono stati ammaestrati ed han suggellata la lor testimonianza con una vita santa e spesso col martirio.

b) Lo proclamano i credenti di tutti i tempi che han riconosciuto nel Cristo il Figliuol di Dio e nell'evangelo il messaggio di Dio al mondo e come tale lo hanno creduto ad onta della debolezza esterna dei banditori di esso, e della persecuzione che colpiva maestri e discepoli.

c) Lo proclama l'efficacia potente del Vangelo nei cuori che lo ricevono. Esso reca luce e pace e forza di vita nuova. L'albero si riconosce dai suoi frutti. Quando ei vuol ridurre il Vangelo ad una dottrina umana lo si priva della sua efficacia rinnovatrice.

6. L'atteggiamento della maggioranza dei Giudei verso l'Evangelo ed i suoi banditori c'insegna diverse cose:

a) I peggiori nemici del cristianesimo si trovano per lo più fra coloro che per le loro conoscenze, per i privilegii religiosi goduti od anche per la loro vocazione avrebbero dovuto essere i propagatori e difensori del Vangelo nel mondo. La cristianità apostata è stata nella storia il più grande ostacolo al progresso del regno di Dio.

b) La pazienza di Dio è grande verso gli uomini, anche verso quelli che contrastano l'effettuazione dei suoi disegni misericordiosi. Dio è paziente perchè è eterno e vuol lasciar tempo al ravvedimento.

c) La pazienza di Dio non è però debolezza nè connivenza col male e viene il momento in cui cede il posto alla giustizia che colpisce i ribelli pertinaci. Così fa del popolo Giudeo, così è e sarà della cristianità apostata.

d) La severità di Dio riguardo a coloro che si identificano col male trova un'eco di approvazione nella coscienza cristiana. Ne abbiam la prova nello sdegno che freme nell'anima di Paolo mentre enumera gli atti della malvagità giudaica che resiste alla verità ed annunzia l'imminente giudicio di Dio sovra un popolo che pur gli è sommamente caro.

17 §2. LE ANSIE DELLA SEPARAZIONE E L'ALLEGREZZA PER LE BUONE NOTIZIE RECATE DA TIMOTEO 1Tessalonicesi 2:17-3:13

Mentre finora la mente dell'apostolo si è fermata con compiacenza sui ricordi dell'evangelizzazione di Tessalonica, quasi rivivendo quel periodo di fatiche e di lotte sì ma di grandi benedizioni che gli riempion l'anima di riconoscenza; nel secondo paragrafo della prima parte, egli rievoca l'ora dolorosa in cui avea dovuto lasciar Tessalonica, partendone precipitosamente, di notte, ed in segreto, per via della persecuzione. Egli avea provato allora il dolore d'una madre strappata a forza dalla tenera creatura bisognosa ancora delle sue cure. Il desiderio di tornare in Tessalonica gli era rimasto vivo nel cuore in Borea, l'avea seguito in Atene e non l'abbandonava in Corinto perchè sapeva di aver lasciata incompiuta l'opera sua fra i neofiti.

A. 1Tessalonicesi 2:17-20 Egli ricorda qui, anzitutto, il vivo desiderio suo di rivedere la giovane chiesa e l'inutilità degli sforzi fin qui tentati per appagarlo.

B. 1Tessalonicesi 3:1-5 Non potendo tornarvi egli stesso ha voluto almeno mandarvi il suo giovane collaboratore Timoteo per incuorarli e per aver loro notizie.

C. 1Tessalonicesi 3:6-10 Le notizie avute gli hanno riempito il cuore di viva allegrezza ed egli.

D. 1Tessalonicesi 3:11-13 prega Dio di fargli rivedere i Tessalonicesi e di far abbondare in loro l'amore, la fermezza e la santità.

A. 1Tessalonicesi 2:17-20 Il vivo desiderio di rivedere i Tessalonicesi

Quanto a noi, fratelli, orbati di voi per un po' di tempo, di faccia ma non di cuore, abbiamo con vie maggior premura cercato, con grande desiderio, di rivedervi.

Il δε (ma) può parafrasarsi così: Quanto a noi, che l'odio cieco dei Giudei ha fatto cacciare dalla vostra città, come da Borsa, prima che vi avessimo potuto compiere l'opera nostra, abbiamo tanto più bramato di ritornare da voi per completarla. Il greco απορφανιζεσθαι contiene l'idea dell'essere resi orfani mediante allontanamento ( απο). L'esser resi "orfani" si applicherebbe più direttamente ai figli restati privi del padre o della madre, ma si usa, come il nostro "essere orbati", anche in senso più largo parlando di genitori privati dei loro figli, di amici separati dagli amici. La parola esprime ad ogni modo l'affetto paterno di Paolo per i suoi figli spirituali ed il dolore provato quando la persecuzione lo divelse da loro. La separazione però non sarà, così Paolo spera, che temporanea (lett. per il periodo di un'ora, l'horae momento di Orazio) e ad ogni modo non è che corporale, esterna, ma non morale, poichè non c'è persecuzione che possa separare i cuori uniti dalla fede e dall'amore cristiano. Infatti egli non ha cessato di pensare a loro preoccupandosi del loro bene e più è stata immatura e violenta la separazione da loro e maggiori sono stati la premura ed il desiderio coi quali ha cercato di rivedere la loro faccia.

18 E infatti abbiam voluto, io Paolo almeno, tornare da voi non una ma due volte; ma Satana ci ha impediti.

La lezione dei codici più antichi διοτι e delle edizioni critiche non può rendersi con un perciò ( διο) ma va tradotta a norma del suo costante significato, con un poichè o con un E infatti... La particella serve a dare la prova di quanto è affermato prima. L'aver voluto più d'una volta tornare dai Tessalonicesi e l'aver prese le opportune disposizioni a quello scopo, è la prova del desiderio intenso che Paolo ha di rivederli. Luca riferisce che quando i Giudei di Tessalonica fecero partire Paolo anche da Berea, Sila e Timoteo restarono colà, mentre l'Apostolo fu condotto in Atene. Probabilmente si fu in questo tempo ch'egli tentò a due riprese di tornare in Tessalonica, ma ne fu impedito da Satana. Con qual mezzo, so da una malattia o dalla malvagità degli uomini, non sappiamo. "Il linguaggio del N. T., se le parole hanno un significato, attribuisce al Tentatore una personalità così ben definita ed evidente, che il negarlo equivale al negare l'ispirazione" (Ellicott). Cfr. Luca 10:19; 2Corinzi 4:4; Efesini 4:27; 6:11. ecc.

19 Chi, infatti, è la nostra speranza, o la nostra allegrezza, o la corona di cui meniam vanto? Non lo siete forse anche voi, dinanzi al Signor nostro Gesù, nella di lui venuta?

Uno dei motivi per cui Paolo nutre una così viva affezione per i Tessalonicesi e tanto brama di rivederli per far loro del bene, sta nel fatto che i credenti condotti al Vangelo per mezzo di lui sono indissolubilmente legati alle più care speranze dell'Apostolo. Il legame, infatti creato dalla fede non è di quelli che terminano colla terra e che la morte distrugge, ma esso è di natura spirituale ed eterna. Esso è particolarmente intimo tra il padre spirituale ed i suoi figli in fede e costituisco un elemento della gioia celeste di entrambi. Diodati ed altri traducono il τις con un quale è...? ma poichè si tratta di persone, è preferibile tradurre: chi è la nostra...? I Tessalonicesi sono la speranza di Paolo perchè il veder giunti appiè del trono del Signore perdonati, santificati e glorificati quei poveri adoratori degli idoli e servi del peccato è una di quelle cose gloriose che aspetta pel futuro e che, fin d'ora, gli fanno palpitare il cuore di allegrezza. Quanto più allorchè la speranza sarà divenuta realtà! La terza espressione suona letteralmente: corona di vanto e contiene un'allusione alla corona di lauro o di quercia che costituiva il vanto degli atleti vincitori nelle gare. I Tessalonicesi condotti dalle tenebre alle luce sono per il lottatore evangelico la corona incorruttibile di cui può menar vanto in quanto che essi attestano come per la grazia di Dio, il suo correre e lottare non sia stato vano. Paolo, dice il Denney, è fiero dei Tessalonicesi più che un re della sua corona od un atleta del suo serto. Cfr. Daniele 12:3.

20 Se dice: "non lo siete anche voi" è perchè i Tessalonicesi non, sono soli ad essere l'allegrezza di Paolo, ma lo sono, insieme con loro, tutti i cristiani condotti alla fede per opera di lui. Lo sono fin d'ora in parte, ma lo saranno appieno dinanzi al Signor Gesù, nella sua venuta, allorchè sarà terminata la lotta, sicura la vittoria, ed il Re verrà nella sua gloria a coronar di felicità e di onore i suoi servitori. Per non ripetere, rimandiamo alle note sul capo 1Tessalonicesi 4:13 e segg. le nostre osservazioni sulla parusia del Signore.

Voi siete, infatti, la gloria nostra e l'allegrezza nostra.

Voi... con tutti gli altri nostri figli spirituali. Alla corona di vanto sostituisce qui l'espressione equivalente di gloria. Essendo i Tessalonicesi quel che sono per lui, come mai non bramerebbe l'apostolo di rivederli per compiere quel che manca alla loro vita spirituale?

AMMAESTRAMENTI

1. Grande è la potenza del Vangelo nel creare fra gli uomini dei vincoli nuovi e dei nuovi affetti. Pochi mesi prima Paolo non conosceva alcuno dei Tessalonicesi e se fosse stato un semplice fabbricante di tende se ne sarebbe andato da Tessalonica senza lasciar traccia di sè. Paolo apostolo di Cristo, invece, lascia nella città dopo pochi mesi, una famiglia di figli spirituali che ama intensamente e da cui è riamato, da cui gli è doloroso staccarsi, e ch'egli brama di rivedere. Nessun legame unisce più profondamente fra loro uomini di razze e nazioni diverse del legame che li unisce tutti al Padre comune per mezzo di Cristo. - In Paolo si riconosce la verità della promessa di Cristo: "Non vi è alcuno che abbia lasciato casa, o padre, o madre, o fratelli, o moglie, o figliuoli per il regno di Dio; il quale non ne riceva molte volte tanti in questo tempo e nel secolo a venire la vita eterna" Luca 18:29-30. Se l'amore, nota il Denney, è la vera ricchezza e felicità della vita, per fermo nessuno è stato più felice di Paolo che avea sacrificato per amor di Cristo tutte le relazioni nelle quali cresce naturalmente l'amore.

2. "Qualunque opera facciamo nella nostra vocazione terrestre, anche nell'arte e nella scienza, appartiene al campo delle cose periture. Solo quel ch'è compiuto in bene o in male nelle anime degli uomini ha importanza eterna. Il più alto servizio consiste nell'aiutare un'anima a vivere in Dio. In ciò sta la speciale dignità e responsabilità del ministerio evangelico". (Auberlen). - La salvazione è opera della grazia di Dio, ma dal modo in cui ciascun redento di Cristo fa valere i doni e le opportunità concessigli dipende il grado di gloria e di felicità che sarà la ricompensa dello zelo dimostrato al servizio del Signore - I vincoli spirituali contratti sulla terra non saranno aboliti nel cielo, ma allargati e resi perfetti. - La memoria del bene che Dio avrà concesso ai suoi di fare sarà un elemento della loro celeste felicità.

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