Commentario abbreviato:

Ebrei 1

1 Questa epistola mostra Cristo come fine, fondamento, corpo e verità delle figure della legge, che da sole non erano virtù per l'anima. La grande verità esposta in questa epistola è che Gesù di Nazaret è il vero Dio. I Giudei non convertiti usavano molti argomenti per allontanare i loro fratelli convertiti dalla fede cristiana. Rappresentavano la legge di Mosè come superiore alla dispensazione cristiana e parlavano contro ogni cosa legata al Salvatore. L'apostolo, quindi, mostra la superiorità di Gesù di Nazaret, come Figlio di Dio, e i benefici derivanti dalle sue sofferenze e dalla sua morte come sacrificio per il peccato, così che la religione cristiana è molto più eccellente e perfetta di quella di Mosè. Il disegno principale sembra essere quello di far progredire gli Ebrei convertiti nella conoscenza del Vangelo, per stabilirli nella fede cristiana e impedire che si allontanino da essa, cosa contro cui vengono messi in guardia. Ma se da un lato contiene molte cose adatte agli Ebrei dei primi tempi, dall'altro ne contiene molte che non potranno mai cessare di interessare la Chiesa di Dio; perché la conoscenza di Gesù Cristo è il midollo e il nocciolo di tutte le Scritture. La legge cerimoniale è piena di Cristo e tutto il Vangelo è pieno di Cristo; le linee benedette di entrambi i Testamenti si incontrano in Lui; e come entrambi concordino e si uniscano dolcemente in Gesù Cristo, è l'obiettivo principale dell'epistola agli Ebrei da scoprire.

Capitolo 1

La dignità superiore del Figlio di Dio nella sua persona divina e nella sua opera creatrice e mediatrice Ebr 1:1-3

E nella sua superiorità su tutti gli angeli santi Ebr 1:4-14

Versetti 1-3

Dio parlò al suo antico popolo in diversi momenti, attraverso generazioni successive, e in diversi modi, come riteneva opportuno: a volte con indicazioni personali, a volte con sogni, a volte con visioni, a volte con influenze divine sulle menti dei profeti. La rivelazione del Vangelo è eccellente rispetto alle precedenti, in quanto è una rivelazione che Dio ha fatto per mezzo di suo Figlio. Nel vedere la potenza, la sapienza e la bontà del Signore Gesù Cristo, vediamo la potenza, la sapienza e la bontà del Padre, Gv 14:7; la pienezza della Divinità abita, non tipicamente o in figura, ma realmente, in lui. Quando, con la caduta dell'uomo, il mondo si stava frantumando sotto l'ira e la maledizione di Dio, il Figlio di Dio, intraprendendo l'opera di redenzione, lo sostenne con la sua onnipotenza e bontà. Dalla gloria della persona e dell'ufficio di Cristo, procediamo alla gloria della sua grazia. La gloria della sua persona e della sua natura ha conferito alle sue sofferenze un merito tale da soddisfare pienamente l'onore di Dio, che ha subito una ferita e un affronto infiniti a causa dei peccati degli uomini. Non saremo mai abbastanza grati a Dio per aver parlato a noi peccatori decaduti di salvezza in così tanti modi e con così tanta chiarezza. Il fatto che egli stesso ci abbia purificati dai nostri peccati è un prodigio d'amore che va al di là delle nostre massime capacità di ammirazione, gratitudine e lode.

4 Versetti 4-14

Molti Ebrei avevano un rispetto superstizioso o idolatrico per gli angeli, perché avevano ricevuto la legge e altre notizie della volontà divina attraverso il loro ministero. Li consideravano come mediatori tra Dio e gli uomini e alcuni arrivavano a rendere loro una sorta di omaggio o culto religioso. Era quindi necessario che l'apostolo insistesse non solo sul fatto che Cristo è il Creatore di tutte le cose, e quindi anche degli angeli, ma anche che è il Messia risorto ed esaltato nella natura umana, al quale gli angeli, le autorità e le potenze sono sottomessi. Per dimostrarlo, si riportano diversi passi dell'Antico Testamento. Confrontando ciò che Dio dice degli angeli con ciò che dice di Cristo, appare chiaramente l'inferiorità degli angeli rispetto a Cristo. Ecco la funzione degli angeli: sono ministri o servitori di Dio, per fare il suo piacere. Ma quante cose più grandi sono dette di Cristo dal Padre! E noi lo riconosciamo e lo onoriamo come Dio, perché se non fosse stato Dio, non avrebbe mai compiuto l'opera del Mediatore e non avrebbe mai indossato la corona del Mediatore. È dichiarato come Cristo sia stato qualificato per l'ufficio di Mediatore e come sia stato confermato in esso: ha il nome di Messia per il fatto di essere stato unto. Solo come uomo ha i suoi simili, e come unto di Spirito Santo; ma è al di sopra di tutti i profeti, sacerdoti e re che siano mai stati impiegati nel servizio di Dio sulla terra. Viene citato un altro passo della Scrittura, Sal 102:25-27, in cui viene dichiarata l'onnipotenza del Signore Gesù Cristo, sia nel creare il mondo che nel cambiarlo. Cristo ripiegherà questo mondo come una veste, per non abusarne più, per non usarlo come è stato. Come un sovrano, quando le sue vesti di stato vengono piegate e riposte, è ancora un sovrano, così il nostro Signore, quando avrà messo da parte la terra e i cieli come una veste, sarà ancora lo stesso. Non fissiamo quindi il nostro cuore su ciò che non è come pensiamo e non sarà come è ora. Il peccato ha cambiato il mondo in peggio e Cristo lo cambierà in meglio. Il pensiero di questo ci rende attenti, diligenti e desiderosi di quel mondo migliore. Il Salvatore ha fatto molto per rendere tutti gli uomini suoi amici, eppure ha dei nemici. Ma essi diventeranno il suo zoccolo, con un'umile sottomissione o con la distruzione totale. Cristo continuerà a conquistare e a conquistare. Gli angeli più eccelsi non sono che spiriti minatori, semplici servitori di Cristo, per eseguire i suoi ordini. I santi, al momento, sono eredi, non ancora entrati in possesso. Gli angeli li assistono nel contrastare la malizia e il potere degli spiriti maligni, nel proteggere e custodire i loro corpi, nell'istruire e confortare le loro anime, sotto la guida di Cristo e dello Spirito Santo. Gli angeli raduneranno tutti i santi nell'ultimo giorno, quando tutti i loro cuori e le loro speranze, rivolti a tesori che si esauriscono e a glorie che svaniscono, saranno cacciati dalla presenza di Cristo in una miseria eterna.

Commentario del Nuovo Testamento:

Ebrei 1

1 

PARTE PRIMA

LA SUPERIORITÀ DEL NUOVO PATTO CONSIDERATA NELLA PERSONA DEL MEDIATORE DELLA RIVELAZIONE

Ebrei 1:1-4:13

Le relazioni tra Dio ed il popolo dei suoi adoratori sono comunemente rappresentate, nell'Antico Testamento, sotto la figura d'un patto stretto fra due parti sopra la base di certi obblighi assunti dai contraenti. Praticamente, però, in un patto stretto fra Dio e gli uomini peccatori, è Dio il quale offre speciali benedizioni agli uomini e determina le condizioni alle quali si deve adempiere per esserne partecipi. Nel patto stretto col popolo d'Israele. e chiamato «il primo» o «l'antico patto» Ebrei 9:15; 2Corinzi 3:14, per opposizione al nuovo e migliore ed eterno Ebrei 7:22; 8:8; 9:15; 13.20. Dio prometteva di essere l'Iddio d'Israele con tutto quello che un simile impegno implicava di cure paterne, di privilegii e di protezione; e richiedeva dal popolo l'ubbidienza alla legge datagli da Mosè, inculcata dai Profeti. il nuovo Patto è «fondato su migliori promesse» ed assicura al credente i beni della salvazione. Ora, trattandosi di dimostrare la eccellenza superiore, il carattere finale del Nuovo Patto di fronte all'Antico, l'autore stabilisce anzi tutto un confronto fra i vari organi della Rivelazione antica ed il Mediatore della Rivelazione definitiva. Ad ammaestrare e condurre il popolo d'Israele, Dio aveva scelto i profeti cominciando da Mosè il legislatore e capo degli Israeliti; e gli angeli stessi erano stati adoperati nella proclamazione della Legge e nell'alta direzione del popolo.

Nella economia definitiva uno solo è il Rivelatore della Verità ed il Conduttore del popolo di Dio; ma esso è infinitamente superiore ai profeti in genere, agli angeli ed a Mosè, poich'egli è il Figlio stesso di Dio, l'erede di tutte le cose, il Capo che, attraverso l'umiliazione e la morte, guida fino alla Canaan celeste il nuovo Israele di Dio.

Dividiamo, pertanto, la prima parte dell'Epistola in tre paragrafi:

§1. Cristo ed i Profeti in genere: Ebrei 1:1-4.

§2. Cristo e gli Angeli: Ebrei 1:4-2:18.

§3. Cristo e Mosè: Ebrei 3:1-4:13.

§1. Cristo ed i profeti. Ebrei 1:1-4.

Senza esordio, senza indicazione del proprio nome, senza saluto epistolare ai destinatarii, l'autore della lettera agli Ebrei entra subito in materia, e fin dalle prime linee, ci pone dinanzi alla persona che campeggerà in tutto lo scritto, cioè dinanzi al Cristo, ch'è ad un tempo il profeta supremo, il sacerdote perfetto, ed il re del suo popolo. il cristianesimo si accentra tutto in Cristo e la superiorità della religione cristiana dipende dalla divina grandezza della persona del suo fondatore. Trattandosi di Rivelazione, egli non è soltanto uno tra i grandi profeti di cui Dio si è servito nel corso dei secoli per far conoscere all'uomo i suoi disegni; egli è il Profeta per eccellenza, il Rivelatore ultimo e definitivo della verità divina e lo è in virtù della sua natura stessa e della posizione eccelsa ch'egli occupa; egli è il Figlio, in cui rifulge l'essenza di Dio, egli è il dominatore del mondo che fu già creato per mezzo di lui; egli che pur si abbassò fino alla croce, siede ora alla destra di Dio investito di podestà regale su tutte le creature.

Avendo Iddio, in molte volte ed in molte maniere, parlato anticamente ai padri nei profeti...

L'autore riconosce esplicitamente il privilegio concesso da Dio ad Israele, col costituirlo depositario delle sue rivelazioni. Ma il fatto stesso che quelle annunziavano una rivelazione definitiva, dimostrava il loro carattere preparatorio ed imperfetto. La parola divina venne comunicata, dice letteralm. l'Autore, in molte parti o porzioni, cioè a poco per volta ed in molte volte, per mezzo di molti uomini, nel corso di molti secoli. È un edificio in costruzione il cui piano generale è dato fin dal tempo dei patriarchi, di cui Mosè pone, colla Legge, le fondamenta, ed a cui vengono lavorando successivamente i profeti delle generazioni seguenti, ciascuno aggiungendovi la sua pietra, in attesa di Colui che lo doveva compiere in modo perfetto. Non solo in molti frammenti, ma in molte maniere è stata data la rivelazione antica. I profeti la ricevono in visioni, od in sogni, o per mezzo di apparizioni o per mezzo di interna suggestione spirituale e la comunicano colle azioni simboliche, colla parola scritta o parlata rivestente le più svariate forme secondo che deve dare espressione alle riprensioni ed alle minaccia, ovvero alle promesse ed alle consolazioni. Ma qualunque sia l'agente della rivelazione e qualunque sia la porzione a lui affidata ed il modo in cui la comunica, è sempre lo stesso Dio che parla, cioè rivela sè stesso ed i suoi pensieri. È questa unità di autore che spiega la fondamentale unità delle rivelazioni date anticamente, nel corso di più che dieci secoli, ai padri cioè agli antenati del popolo giudaico al quale appartengono così lo scrittore come i destinatarii della lettera. Nei profeti cioè nella persona o per mezzo di tutti quegli uomini che Dio scelse per essere i suoi portavoce presso al popolo. La parola va intesa nel senso più largo. Abramo è chiamato «profeta» in Genesi 20:7 e così Mosè in Deuteronomio 34:10 e Davide in Atti 2:30. Dopo aver caratterizzata la rivelazione preparatoria, l'autore pone di fronte a quella la rivelazione definitiva del nuovo Patto.

2 ...sulla fine di questi giorni, ha parlato a noi nel Figlio.

Al carattere frammentario e svariato della parola profetica, non è opposta esplicitamente la completezza e l'unità della parola del Figlio, perchè essa risulta abbastanza dal fatto che l'Agente supremo della rivelazione ultima è uno solo ed è divino. Gli apostoli sono degli uditori, e quindi dei testimoni e banditori della verità appresa da Lui Ebrei 2:3-4 e contemplata in Lui. il carattere finale della rivelazione cristiana viene accennato nelle parole sulla fine di questi giorni che rispondono al testo emendato. La Scrittura parla spesso del «secolo presente» per opposizione al «secolo avvenire», in cui avranno perfetto compimento i disegni di Dio. Per i profeti antichi, la «fine dei giorni» o «gli ultimi giorni» sono i tempi messianici nei quali contemplano, senza ben discernere l'intervallo che le deve separare, la umiliazione della prima venuta del Messia e la gloria del suo secondo avvenimento. Per il nostro autore, «questi giorni» abbracciano tutto il periodo storico che precede lo stato perfetto, proprio del «mondo avvenire» Ebrei 2:5 del «secolo avvenire» Ebrei 6:5 e che sarà inaugurato dall'apparizione del Signor Gesù, il quale recherà la «salvazione» comporta, la «gloria» a quelli che l'aspettano con fede. Cf. Ebrei 9:28; 2:10; 4:1. Egli è in «sullo scorcio» di questo periodo storico, o, come dice Ebrei 9:26, «nel compimento dei secoli», che Dio si è rivelato in Cristo (cf. 1Pietro 1:20), né vi è da aspettare alcuna rivelazione ulteriore prima del giorno del Signore (Cf. Matteo 21:37). Quanto poi abbia da protrarsi ancora questo scorcio» dell'èra presente l'autore non lo sa, perchè il Padre ha riservato a sè la conoscenza «dei tempi e delle epoche» (cf. Atti 1:7); ma al pari degli apostoli e dei primi credenti, lo scrittore aspetta come non lontano l'avvenimento del Signore Ebrei 10:25,37. Ha parlato a noi che siamo le generazioni della fine 1Corinzi 10:11 nel Figlio. Stante la mancanza dell'articolo, alcuni traducono in un figlio che riesce troppo indeterminato. Il senso è: in uno o in colui ch'è figlio, che non è un semplice servitore come i profeti ai quali Dio rivelava solo una parte del suo consiglio; ma che, per la sua stessa natura, per la relazione intima col Padre, conosce appieno tutto il consiglio divino ed è quindi in grado di farlo conoscere. «Niuno conosce appieno il Figlio se non il Padre, e niuno conosce appieno il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» Matteo 11:27. «Niuno vide mai Dio. L'unigenito Figliuolo ch'è nel seno del Padre è colui che lo ha rivelato» Giovanni 1:18. Il fatto che Cristo è il Figlio di Dio ha importanza fondamentale nella nostra Epistola. Perchè Figlio egli è il Rivelatore perfetto: perchè Figlio egli e superiore agli angeli ed a Mosè che sono servi; perchè Figlio egli è sacerdote in eterno avendo offerto un sacrificio unico e pienamente sufficiente per fare il purgamento dei peccati. Le parole che seguono immediatamente esaltano la gloria del Figlio quale rivelatore dell'essenza di Dio Padre ed esecutore dei disegni di lui nel campo della creazione, della provvidenza e della salvazione.

il quale egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ancora ha fatto i secoli.

La qualità di erede è inerente a quella di figlio (cf. Romani 8:17; Galati 4:7); essa implica, nella sfera divina da cui ogni possibilità di morte è esclusa, il possesso di tutte le cose, il dominio su di esse. Un tal dominio è stato affidato dal Padre al Figlio fin dalla creazione dell'universo; ma egli n'è investito anche nella sua qualità di uomo-Dio, inquanto che, dopo ch'egli si e offerto in sacrificio, Dio lo ha «sovranamente innalzato e gli ha dato un nome ch'è sopra ogni nome...» Filippesi 2:9. Egli stesso, poco prima di ascendere al cielo, potè dire ai discepoli: «Ogni podestà m'è data in cielo ed in terra». E chi potrebbe essere costituito erede di tutte le cose se non Colui ch'è stato l'agente di Dio già nel crearle? Egli è per mezzo del Figlio, infatti, che Dio ha fatto i secoli, cioè i periodi successivi del tempo insieme con le miriadi delle creature che nel corso dei tempi sono state chiamate all'esistenza. Praticamente l'espressione corrisponde al «tutte le cose», Ebrei 1:3, al «mondo». (Cf. Ebrei 11:3). Essa può servir di conferma al fatto dimostrato dalla scienza, che cioè i periodi successivi della creazione rappresentati nella visione della Genesi come dei «giorni» si sono prolungati per delle miriadi di anni. Per l'opera creativa del Figlio si confronti Colossesi 1:16: «In lui sono state create tutte le cose, nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili... tutte le cose sono stae create per mezzo di lui e in vista di lui»; e Giovanni 1:2: «Esso (il Logos) era nel principio presso Dio. Tutte le cose sono venute in esistenza per mezzo di lui e senza di lui neppure una delle cose fatte è venuta in esistenza». Quale miglior Rivelatore del fine ultimo dell'universo di Colui il quale è stato il Creatore ed è il Sovrano di tutte le cose!

3 Il quale essendo lo splendore della gloria e l'impronta della essenza di esso e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza...

Per la sua essenza stessa, anche prima di venire nel mondo coll'incarnazione, il Figlio è il rivelatore del Padre. Per la gloria di Dio s'intendono qui le infinite sue perfezioni. Esse sono manifestate, rese visibili nella persona del Figlio ch'è come il fulgore che irradia dal Padre. Conosciamo il sole dai suoi raggi, le stelle dal loro splendore e conosciamo Diodalla manifestazione che ne fa il Figlio quale agente e rivelatore del Padre. «Chi mi ha veduto, dice Gesù, ha veduto il Padre». A questo verso si ispira il Simbolo di Nicea quando disse che il Figlio è «della stessa essenza del Padre, Dio da Dio, luce da luce». Sotto un'altra immagine ancora esprime l'autore lo stesso concetto. Il greco χαρακτηρ (character) significa imprima un arnese da scolpire, poi quel ch'è scolpito, l'impronta che riproduce, per es., i lineamenti d'una fisonomia sopra un sigillo, una moneta etc. Dal greco è derivata la nostra parola «carattere» che serve a designare la figura morale di una persona. Qui però quadra meglio il termine figurativo di «impronta». L'idea è quella stessa che Paolo esprime quando chiama il Figlio «l'immagine del Dio invisibile» Colossesi 1:15; 2Corinzi 4:4. Il Figlio riproduce esattamente nella propria persona e rende visibili a noi le fattezze, cioè l'essenza invisibile di Dio. La parola ipostasi che rendiamo qui essenza significa letteralmente, come il latino sub-stantia, quel che sta sotto, la base, il fondamento, quindi la reale essenza, l'intima natura di un essere o di una cosa, la realtà per opposizione alla mera apparenza. In senso morale, la troviamo adoperata a significare come in Ebrei 3:14; 2Corinzi 9:4; 11:17. la salda fiducia, la certezza che poggia sulla verità, sulla realtà delle cose. Soltanto più tardi, nel linguaggio ecclesiastico, venne a significare le persone di un'unica essenza divina.

Non solo il Figlio riproduce nella sua persona l'essenza del Padre, ma egli dopo essere stato l'Agente di lui nella creazione, lo è ancora nella conservazione di tutte le cose ed è questo un nuovo aspetto della gloria del Rivelatore del Nuovo Patto. Il portare o sostenere tutte le cose significa il mantenerle in esistenza, il conservare le energie vitali poste nel mondo ed il provvedere al perfetto funzionamento delle leggi date all'universo. Senza la parola ch'è l'espressione della potenza infinita del Figlio, il mondo ricadrebbe nel caos. Quel che chiamiamo legge e forza di natura non è, in ultima analisi, se non volontà e potenza di Colui che «sostiene» tutte le cose. «Tutte le cose, dice Paolo, sussistono in lui» Colossesi 1:17; cf. Giovanni 5:17.

...dopo aver fatta la purificazione dei peccati si è posto a sedere alla destra della maestà nei luoghi eccelsi...

Dalle glorie del Rivelatore supremo derivanti dalla sua natura divina, l'autore scende per un istante onde accennare, sia pur come in rapida parentesi, ad un'altra di genere ben diverso derivante dall'opera salutare compiuta a favor dell'uomo colla sua incarnazione e colla sua morte espiatoria. A colui ch'è l'immagine dell'Iddio invisibile e che sostiene tutte le cose, spettava il regno; e l'aver compiuta la purificazione dei peccati col suo sacrificio, ben lungi dall'averlo reso men degno di siffatta esaltazione, ha aggiunto un nuovo titolo al possesso di quella gloria. il peccato è una sozzura che rende l'uomo impuro, e gli impedisce di accostarsi a Dio. Il fare la purificazione od il purgamento dei peccati significa cancellarli cosa da metter l'uomo in istato da potersi presentare a Dio. È linguaggio questo tolto dall'A.T., ove si parla spesso di purificazione da contaminazioni legali, fatta mediante spruzzamento del sangue delle vittime. «Purgami con isopo e sarò netto» Salmi 51:9. Come l'autore esporrà più innanzi, non era quella che una figura della cancellazione dei peccati, procurata dalla espiazione compiuta da Cristo, in virtù della quale la coscienza può essere sgravata dal senso opprimente della colpa e sentirsi libera di avvicinarsi a Dio. Notevole la erronea traduzione della Vulgata che dice faciens invece di avendo fatto; su di che osserva il Curci che la Vulgata «ha l'abitudine di siffatti scambi», ma, soggiunge, «non credo sia una bella abitudine e molto acconcia a serbare la precisione delle idee». Le parole del testo ordinario: «per sè stesso» e «nostri» vanno cancellate. Sono cose che mancano nei più antichi manoscritti. Si pose a sedere accenna non ad un atto materiale, certamente, ma pure ad un fatto storico connesso coll'ascensione del Salvatore Marco 16:19. L'esser fatto sedere alla destra del trono di un sovrano è il più alto onore ed implica la partecipazione all'autorità regia (Cf. 1Re 2:19; Salmi 45:9; 110:1). Invece dell'espressione maestà o grandezza, ne abbiamo in Ebrei 8:1 un'altra più solenne ancora: «alla destra del trono della Maestà (di Dio) nei cieli». Gesù annunzia più volte la sua prossima assunzione, come Verbo incarnato, alla gloria sovrana Matteo 26:64; Giovanni 17:5 e in Apocalisse 3:22 dice addirittura: «...io ho vinto e mi sono posto a sedere col Padre mio sul suo trono». il «sedere» non implica idea di riposo, bensì quella dell'esercizio attivo del potere regio affidato al Cristo per condurre a compimento l'opera della redenzione. «Egli ha da regnare finchè abbia posto sotto ai suoi piedi tutti i suoi nemici», compresa la morte 1Corinzi 15:25. L'esaltazione gloriosa di Cristo è descritta ugualmente in Efesini 1:20-22; Filippesi 2:9-11; 1Pietro 3:22; Atti 2:36, etc. I luoghi eccelsi, cioè il cielo, sono la sfera ove rifulge nella sua pienezza la gloria di Dio.

4 diventato di tanto superiore agli angeli ch'egli ha eredato un nome più eccellente del loro.

Il Cristo è stato fatto o meglio è divenuto superiore agli angeli (lett. migliore) quando Dio, lo ha «sovranamente innalzato» facendolo risalire dall'abisso di umiliazione in cui era volontariamente sceso col prender forma di servo e col rendersi ubbidiente fino alla morte della croce. La superiorità della dignità è proporzionata a quella del nome. il nome e l'espressione dell'essere. Fra i nomi che si appartengono al Cristo, e che la Scrittura gli riconosce, l'autore mentova specialmente quelli di Figlio e di Signore Ebrei 1:5,10, nei quali si esprime la superiorità sopra gli angeli, il cui nome li qualifica per dei semplici «messaggieri» di Dio.

Ammaestramenti

1. L'autore dell'Epistola non si nomina; egli sa che ciò non è necessario per dare autorità al suo insegnamento presso i lettori ed evita quindi di attrarre su di se l'attenzione, per dirigerla tutta fin dal principio sul Mediatore del nuovo Patto. Simile a chi governa un riflettore elettrico, egli resta nell'ombra, ma proietta il suo fascio di luce sul Cristo. Giovanni Battista diceva, parlando di Gesù: «Convien ch'Egli cresca e ch'io diminuisca» e tale dev'essere in ogni tempo il motto del banditore del Vangelo, il quale non predica sè stesso, ma Cristo il Signore.

2. Dio si è rivelato nelle opere della creazione Salmi 19; Romani 1:20 e si rivela nella voce della coscienza Romani 2:14-15. Ma oltre a quella rivelazione naturale, Dio ha parlato agli uomini per mezzo dei profeti e per mezzo del Figlio. Quel che né la natura né la coscienza potevano farci conoscere, quel che non poteva neanche salire al cuore dell'uomo, vale a dire il piano di Dio per la salvazione, Dio lo ha rivelato per mezzo degli agenti speciali da lui scelti.

La Rivelazione è qui presentata non come una possibilità, ma come un fatto storico evidente alla coscienza di ogni credente.

Essa è molto varia riguardo agli strumenti di essa, riguardo ai modi ed alle epoche in cui è stata data; ma ella è ciò nonostante una se si riguarda all'autore di essa ch'è Dio, allo scopo di essa ch'è di «render l'uomo savio a salute», ed al suo contenuto essenziale ch'è il disegno misericordioso di Dio. Soltanto, come le opere di Dio in genere, essa presenta un progressivo svolgimento attraverso i secoli; talchè possiamo assistere, nei documenti che ce l'hanno conservata, all'alba indistinta e quindi al crescere graduale della sua luce che raggiunge in Cristo il pien meriggio. Mentre la legge rivela sopratutto la santità di Dio ed il peccato dell'uomo, il mezzo della salvazione è, nell'antica economia, accennato solo per via di ombre, di tipi, di profezie frammentarie. In Cristo che parla di ciò ch'egli sa e del disegno ch'egli viene a compiere, le ombre trovano la loro realtà, i tipi la loro spiegazione, le profezie la loro unità ed il loro adempimento. Perciò la rivelazione nel Figlio ch'è rivelazione di grazia e di amore è la rivelazione finale e definitiva. È importante nello studio della Scrittura di tener sempre presente il carattere progressivo della Rivelazione di Dio e, senza trascurare l'Antico Test., leggerlo alla luce del Nuovo che ne palesa lo scopo ultimo, il carattere preparatorio e di necessità imperfetto.

Se per intendere la parola di un uomo celebre spendiam fatiche, quanta maggiore diligenza dovremmo dare allo studio della parola di Dio! Dio ha parlato! Ha parlato a noi, ha parlato a noi nel suo proprio Figlio, ha parlato del suo amore per chi erra lungi da Lui. Con quale attenzione, con quale riverenza, con quale amorosa docilità e fiducia non presteremo noi ascolto alla sua Parola?

3. Nella parabola dei vignaiuoli Matteo 21:37-38 Gesù stabilisce una ben marcata distinzione tra i profeti e sè stesso. Quelli sono servi, egli è «il figlio» al quale spetta maggiore onore.

Tale distinzione è qui fortemente accentuata. I profeti sono semplici uomini cui Dio fece conoscere una parte del suo consiglio onde lo annunziassero alla lor generazione. il Rivelatore definitivo non è un semplice uomo, è il Figlio di Dio, il quale, appunto perchè partecipe dell'essenza divina, ne può essere lo splendore e l'impronta visibile, che è stato l'agente di Dio fin dal principio nella creazione, che lo è nel governo provvidenziale dell'universo, che ha rivestito la nostra natura per fare il purgamento dei peccati, e che siede ora qual re alla destra di Dio. Egli è il Profeta supremo perchè egli è il Figlio disceso fra noi dal seno del Padre. Perciò chi lo vede ha veduto il Padre. E chi potrebbe rivelarci il consiglio di Dio meglio di Colui ch'è nel seno di Dio, che fu, che è e che sarà l'esecutore dei disegni di Dio. La contemplazione del Figlio qual rivelatore non può che ispirarci fiducia assoluta nella sua parola. Ma è degno di nota il fatto che fin dal principio del suo trattato, l'autore ci addita in Cristo non il Rivelatore soltanto, ma il Sacerdote che ha fatto il purgamento dei peccati ed il Re che si è posto a sedere alla destra di Dio. Abbiamo bisogno di conoscere, ma abbiamo bisogno anche maggiore di esser purificati dal peccato ed affrancati dalla potenza di esso.

4. «La fede ha nelle sue fondamenta quattro pietre angolari sulle quali posa l'edificio: la Divinità di Cristo, l'Incarnazione, l'Espiazione sulla croce, l'Ascensione al trono. L'ultima è la più meravigliosa, il coronamento di tutto il resto, la rivelazione perfetta di quel che Cristo è per noi secondo l'intento di Dio. Nella vita cristiana l'esaltazione di Cristo sul trono è quindi di suprema importanza; è il frutto glorioso di tutto quel che precede... Come site partecipi di Gesù sulla croce, così lo siete di Gesù sul trono» (A. Murray).

5 

§2. Cristo e gli Angeli. Ebrei 1:5-2:18.

L'idea della superiorità del Rivelatore del N. Patto sugli angeli è stata introdotta dall'autore in Ebrei 1:4. Egli suole, infatti, passare da una parte all'altra della sua trattazione gettando di questi ponti che connettono coll'argomento di prima, quello che segue. Ma perchè fermarsi a dimostrare, con la Scrittura, che il Cristo è superiore agli angeli? I lettori dell'epistola avevano essi una qualche inclinazione ad esaltare oltremisura, ad adorare forse, gli angeli? Ciò non risulta affatto. La risposta a cotesto perchè sta nel fatto accennato Ebrei 2:2, che, cioè, gli angeli erano stati scelti come strumenti della rivelazione della Legge; quindi, volendo mettere fuori di contestazione l'assoluta superiorità di Cristo sopra tutti gli organi della rivelazione antica, conveniva che l'autore stabilisse il confronto al quale si accinge del Cristo cogli angeli. Ciò lo dispensava d'altronde di svolgere più ampiamente la superiorità di Cristo sui profeti, poiché s'egli è al di sopra delle più eccelse creature di Dio, a più forte ragione sarà superiore ai profeti. Né solo come organi della rivelazione appariscono gli angeli; bensì ancora come capi o conduttori dell'antico popolo di Dio. Anche a questo riguardo l'autore vuol mostrare la superiorità di Gesù, il quale, se scese, nel suo abbassamento volontario, in uno stato inferiore a quello degli angeli, lo fece per liberare l'umanità ed innalzarla con sè ai gloriosi suoi destini. il paragrafo si suddivide in tre Sezioni:

I. Ebrei 1:5-14. Cristo superiore agli angeli secondo le Scritture.

II. Ebrei 2:1-4. Necessità di prestare ascolto alla parola del Figlio.

III. Ebrei 2:5-18. Cristo Duce della salvazione degli uomini mediante i suoi patimenti.

Sezione I. Ebrei 1:5-14. CRISTO SUPERIORE AGLI ANGELI SECONDO LE SCRITTURE.

I sette passi addotti in questa sezione stabiliscono:

a. che solo il Cristo è veramente Figlio di Dio, degno come tale di ricevere l'omaggio degli angeli;

b. ch'egli solo è re perfetto, ed eterno, mentre gli angeli sono semplici ministri al servizio di Dio.

Infatti, a quale degli angeli disse egli mai «Tu sei mio Figlio, oggi io t'ho generato» E di nuovo: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio?»

I due passi citati in Ebrei 1:5 sono tra loro connessi: il primo tratto da Salmi 2:7 è l'eco poetica del secondo, contenuto nella promessa fatta a Davide in 2Samuele 7:14. Il re aveva in animo di edificare un tempio al Signore; ma Dio, per bocca del profeta Natan, gli annunzia che sarà il suo successore il quale lo farà:

«Sarà lui che edificherà una casa al mio nome; ed io stabilirò il trono del suo regno in perpetuo. Io gli sarò padre... La tua casa ed il tuo regno saranno fermi per sempre nel mio cospetto». La promessa ha avuto un adempimento immediato in Salomone e nei successori suoi sul trono. Ma i profeti, con voce unanime, additano nell'avvenire un altro rampollo di Davide in cui si realizzerà l'ideale del re teocratico, che sarà Figlio di Dio in senso più profondo, ed il cui regno sarà perfetto ed eterno.

Isaia lo annunzia con queste parole Isaia 9:5:

Un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato.

L'imperio sarà sulle sue spalle;

Sarà chiamato Ammirabile, Consigliere, Iddio forte,

Padre d'eternità, Principe di pace.

A Isaia 11:

E uscirà un rampollo del tronco d'Isai,

Una pianticella spunterà dalle sue radici;

Lo Spirito dell'Eterno riposerà sopra esso,

Lo spirito di sapienza e d'intendimento,

Lo spirito di consiglio e di forza,

Lo spirito di conoscenza e di timor dell'Eterno

...

La giustizia sarà la cintura dei suoi lombi

E la verità la cintura dei suoi fianchi.

Il lupo dimorerà coll'agnello,

...

In quel giorno la radice d'Isai

Sarà rizzata come bandiera per i popoli.

A lei volgeranno le nazioni le loro aspirazioni.

Geremia 23:5 e segg. dice:

Ecco i giorni vengono, dice l'Eterno,

Che io farò sorgere a David un germoglio giusto.

Egli regnerà da re e prospererà,

Farà giudicio e giustizia nella terra.

...

E questo è il nome con cui sarà chiamato:

L'Eterno nostra giustizia.

Confr. Ezechiele 34:23-24; Zaccaria 6:12; Michea 5:1 etc.

A cotesta promessa allude l'angelo, quando annunziando a Maria la nascita di Gesù, esce in queste parole: «Esso sarà grande e sarà chiamato figlio dell'Altissimo e il Signore Iddio gli darà il trono di David suo padre ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno ed al suo regno non vi sarà fine» Luca 1:32-33. Il Salmi 2 è la traduzione poetica della promessa fondamentale 2Samuele 7. Alle nazioni coalizzate contro l'Eterno e contro il suo Unto, Dio risponde minaccioso:

Sono io che ho unto il mio re

Sopra Sion, il mio monte santo.

Ed il re teocratico a sua volta:

Io pubblicherò il decreto;

L'Eterno mi ha detto: Tu sei mio figlio,

Son io che oggi t'ho generato;

Chiedimi e ti darò le genti per tua eredità.

Quindi il Salmista:

Ed ora, o re, siate intendenti

...

Servite all'Eterno con timore.

Baciate il Figlio, che talora ei non s'adiri

...

Beati tutti quelli che si confidano in lui.

Dal contesto del Salmo appare che l'oggi ti ho generato non può applicarsi che all'atto con cui Geova ha creato re, ha stabilito nell'ufficio regale colui ch'è designato ancora come il suo unto.

Il Salmo ha potuto applicarsi imprima a Davide, a Salomone o ad un atro re davidico. Ma è manifesto che al di là e al di sopra del tipo imperfetto del re israelitico, il poeta divinamente ispirato contempla il re ideale del popolo di Dio, il quale sarà Figlio dell'Eterno non solo perchè da Lui insediato sul trono dell'universo, ma per la sua stessa natura divina. Di un re meramente umano si potrebbe egli mai dire: «Beati tutti quelli che si confidano in lui?» S. Paolo, negli Atti 13:32-33, applica l'oggi ti ho generato alla risurrezione di Cristo, la quale insieme coll'ascensione costituisce come la incoronazione del Messia. (Cfr. Atti 4:24-26). Ora egli è vero bensì che gli angeli sono nell'A.T. chiamati talvolta collettivamente «figli di Dio» (Giobbe 1:6; ove la LXX traduce «angeli di Dio»; Salmi 29:1; 89:7; Daniele 3:25); come anche Israele è chiamato il primogenito di Dio; ma è pur vero che, in nessun luogo, l'A.T. dà ad un semplice uomo, o ad un angelo individuale il titolo di Figlio di Dio.

6 E quando egli introduce di nuovo il primogenito nel mondo, dice: «E adorino tutti gli angeli di Dio».

Il παλιν (di nuovo) per la posizione sua accanto al verbo, difficilmente può considerarsi come inteso ad introdurre una nuova citazione: E ancora (Diod.). Si ha dunque da preferire il senso: quando introduce di nuovo il primogenito... Gesù è chiamato nel N.T. «il primogenito d'infra i morti» Colossesi 1:18, «il primogenito fra molti fratelli» Romani 8:29, il «primogenito di ogni creatura» o «di tutta la creazione» Colossesi 1:15. L'appellativo racchiude una duplice idea. Di fronte alle creature, il «primogenito» qual Figlio ab eterno generato dal Padre e non creato, esiste «innanzi a tutte le cose» Colossesi 1:17; e di fronte all'umanità redenta, il «primogenito» come nuovo Adamo, in cui l'umanità per la prima volta ha raggiunto il suo ideale divino, è il tipo e il capo della nuova umanità (cf. Ebrei 2:5-18) ch'egli trae a salvazione. Cos'è la nuova introduzione del primogenito nel mondo? Non la presentazione sua alla creazione antica (Reuss), e neppure la sua venuta in carne; ma piuttosto l'avvenimento del Cristo, allorquando le miriadi degli angeli gli renderanno omaggio col servirgli di scorta e coll'essere gli esecutori del suo giudicio (Cfr. Matteo 25; Luca 19:11-27).

La citazione può esser tratta da Salmi 97:7, ove la LXX legge: «Adoratelo voi tutti gli angeli di Dio»; (nell'ebr. tutti gli dei), o meglio dal Deuteronomio 32:43 ove la LXX ha un'aggiunta notevole al testo ebraico quale lo possediamo.

Dice infatti:

Giubilate o cieli insiem con esso

E adorinlo tutti gli angeli di Dio;

Giubilate o nazioni col popol suo (Romani 15:10)

E si fortifichino in lui tutti i figli di Dio.

Poiché l'Eterno vendica il sangue etc.

In ambedue i luoghi, si tratta del venire tremendo di Geova per giudicare i suoi nemici. Or come mai il nostro autore può egli applicare al secondo avvenimento del Messia quello che l'A.T. diceva di Geova? «il principio seguito dallo scrittore, dice F. Delitzsch, è generale. Dovunque l'A.T. parla di una finale e decisiva venuta e manifestazione di Geova nella potenza e nella gloria del finale giudicio e della finale salvazione; dovunque parla di una rivelazione di Geova che sarà l'antitipo e il compimento di quella tipica mosaica; dovunque parla di Geova che si presenta visibilmente come re sul suo regno; in quei luoghi, Geova è sinonimo di Gesù Cristo, perchè Cristo è Geova manifestato in carne, è Geova che entra in comunione coll'umanità e prende parte al nostro svolgimento storico; è Geova che sorge e risplende sul suo popolo qual Sole di Giustizia. Questo principio è assolutamente vero e costituisce il legame tra i due Testamenti. Tutti gli scrittori del N.T. ne hanno piena coscienza. Es. l'Elia che deve precedere il gran giorno di Geova Malachia 3-4 è Giovanni Batt. I salmi che celebrano il regno di Geova sul mondo intiero sono considerati dal nostro autore e, in genere nel N.T., come messianici».

7 E, riguardo agli angeli, dice:

«il quale fa dei suoi angeli dei venti

e dei suoi ministri delle fiamme di fuoco.»

Ma volto al Figlio:

«Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli

e lo scettro della rettitudine è lo scettro del tuo regno.

Tu hai amata giustizia ed hai odiata l'iniquità

perciò Iddio, l'Iddio tuo, ti ha unto

d'olio di letizia a preferenza dei tuoi colleghi.»

A far capo da Ebrei 1:7. il contrasto si riferisce, non più al nome, ma alla dignità ed autorità rispettiva del Cristo e degli angeli. Questi sono semplici ministri il cui servizio e mutabile nelle sue forme a seconda del volere del loro Signore, mentre il Figlio è re glorioso ed eterno su tutte le cose.

La citazione del v. 7. è tratta da Salmi 104:4 e riproduce, come fa costantemente il nostro autore, la versione greca dei LXX. Ora si domanda: La versione rende ella fedelmente il pensiero dell'originale ebraico? Grammaticalmente, l'ebraico si può rendere come han fatto la LXX, antichi rabbini e diversi traduttori moderni; ma se si guarda al contesto del Salmo si dimostra preferibile la versione generalmente adottata:

Il quale fa dei venti suoi angeli (o messaggeri)

E delle fiamme di fuoco i suoi ministri.

Il salmista sembra quindi non fare se non una figura rettorica, quando, nel descrivere la sovrana potenza di Dio, egli dice che fa dei cieli il suo padiglione, delle nuvole il suo carro, dei venti i suoi messaggeri e dei lampi i suoi servitori. Però, l'idea contenuta nella versione greca di cui si serve l'autore, non è estranea alle Scritture, le quali ci lasciano intravedere come il ministerio degli angeli in connessione con le forze della natura, sia più esteso di quanto ce lo figuriamo. Nel citare quel passo, lo scrittore vuol porre in risalto non solo i titoli di messaggeri e di servitori dati agli angeli, ma sopratutto l'assoluta dipendenza in cui stanno di fronte a Dio il quale dispone di loro secondo il suo volere.

8 Ben diversa è la dignità del Figlio, secondo le Scritture Ebrei 1:8-9. Egli è re sul suo trono, e riceve il titolo di Elohim (Dio), che gli spetta come supremo rappresentante dell'autorità divina. il suo regno ha da durare eternamente. Nell'esercizio del potere regale egli agisce sempre secondo rettitudine e giustizia. Egli è quindi il re ideale che Dio incorona d'una gloria non concessa ad alcun altro. Tale il quadro tolto dal Salmi 45:7-8. Il Salmo è un epitalamio, un «cantico d'amori» che par rivolto da un suddito ebreo al suo re (probabilmente Salomone) nell'occasione delle nozze di lui con una principessa straniera. La versione greca non dà luogo a difficoltà. Così l'ebraico Elohim come il greco ὁ θεος al principio della citazione sono da considerare come vocativi (o Dio), poiché il tradurre il tuo trono [è] Dio urta contro alle regole del parallelismo ebraico e non dà un senso intelligibile. il Salmo essendo rivolto ad un re teocratico, descritto con colori ideali, è messianico al modo stesso in cui lo sono il Salmi 2 e tanti altri. Nelle sue linee più sublimi, codesta figura non potea rispondere a quella di alcun re terreno, ma e diventata realtà vivente nel Cristo esaltato alla destra di Dio. Nella prima applicazione del Salmo i colleghi Ebrei 1:9 sono i re terreni paragonati al re teocratico. Nell'applicazione messianica, è naturale pensare, oltrechè ai re della terra, ai principati angelici che stanno più vicino al trono di Dio. Niuno fra essi ha ricevuto da Dio gli onori coi quali il Cristo è stato festeggiato nei cieli dopo la sua umiliazione volontaria. L'unzione con olio di letizia, invece che alla cerimonia della consecrazione del re 1Re 1:39 sembra riferirsi piuttosto all'uso di onorare i convitati coll'ungerli di profumi squisiti Giovanni 12:3; Salmi 23:5.

10 I v. 10-12 fanno risaltare l'immutabilità del Figlio di fronte alle cose create. Mentre gli angeli sono creature il cui servizio è mutabile nelle sue forme ed associato talvolta alle forze della natura materiale, il Figlio è avanti ad ogni cosa, egli è il creatore dei cieli e della terra, ed i mutamenti cui la creazione materiale va soggetta, nel tempo, non lo toccano. Ei rimane lo stesso.

E: «Tu, Signore, nel principio, fondasti la terra,

ed i cieli sono l'opera delle tue mani.

Essi periranno; ma tu dimori;

invecchieranno tutti come un vestimento

e come un mantello tu li muterai e saranno mutati;

ma tu sei sempre lo stesso

ed i tuoi anni non verranno meno.»

La citazione è tratta da Salmi 102:26-28. Il Salmo appartiene all'epoca dell'esilio ed è la preghiera d'un afflitto che spande il suo lamento davanti a Dio per le misere condizioni in cui è ridotta Sion e supplica l'Eterno d'intervenire qual redentore di Gerusalemme, poiché la restaurazione di lei va connessa colla conversione delle genti Salmi 102:23. Il Salmo è applicato al Messia in virtù del principio già enunziato per la citazione da Deuteronomio 32:43. Geova che interviene per redimere Sion e con lei i popoli, non è altri che il Messia, l'Immanuel il Verbo manifestato in carne.

Nel tu fondasti la terra si esprime, sotto l'immagine della fondazione d'un edificio, l'idea della creazione della terra. Cieli e terra costituiscono l'universo e sono soggetti a mutamento e caducità mentre Colui che li formò resta permanente. Il verbo διαμενειν vale «dimorare attraverso» cioè restare immutabile attraverso ai mutamenti della natura creata. La caducità di questa è paragonata a quella dei vestimenti dell'uomo i quali, in capo a poco tempo, sono logori, si devono buttare agli spogli, e sostituire con dei nuovi. il Tischendorf seguendo i codd. Sinottico e Claromontano preferisce la lezione αλλαξεις (li muterai) conforme all'ebraico; altri critici mantengono il testo ordinario ἑλιξεις (li piegherai) che sotto diversa immagine, contiene la stessa idea (cf. Isaia 34:4). L'immutabilità del Cristo si troverà espressa in vari altri luoghi dell'Epistola. Cfr. Ebrei 13:8: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi ed in eterno».

13 Ed a quale degli angeli disse egli mai:

«Siedi alla mia destra

finch'io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello, dei tuoi piedi?»

Non sono essi tutti degli spiriti ministratori mandati a servire a pro di coloro che devono eredare la salvezza?

Un'ultima volta riprende l'autore, nei v. 13-14, il contrasto fra il Mediatore della rivelazione definitiva e gli angeli; e questa volta per accentuare il fatto che, secondo la Scrittura, non solo il Cristo è innalzato sul trono alla destra di Dio, ma gli è riserbata la vittoria finale completa sulle podestà avverse. Il regno di Dio non e di quelli che finiscono nella rovina. La citazione è tratta dal Salmi 110 ch'è stato chiamato, non senza ragione, il testo della nostra Epistola. Infatti mentre la dignità regale del Messia descritta nel principio del Salmo è ampiamente svolta nella parte dell'Epistola, la superiorità del sacerdozio di Cristo di cui nel v. 4 del Salmo, farà l'argomento della 2a parte dell'Epistola. Si comprende quindi come il Salmi 110 sia citato di frequente nel N.T. Cfr. Matteo 22:41-46 e paralleli; Atti 2:34; 1Corinzi 15:25; Ebrei 10:13; 5:6; 7:17,21. I rabbini lo riconoscevano per messianico come risulta dalla domanda rivolta da Gesù ai Farisei intorno al v.1. La soprascritta lo attribuisce a Davide e su questo dato fonda Gesù il suo ragionamento. Il Salmista contempla in ispirito la gloria assicurata dalla divina promessa alla sua progenie e fissa lo sguardo sopra un rampollo che vede elevato alla destra di Dio, servito da un popolo volonteroso, trionfante sui nemici, ed insieme re e sacerdote eterno. Il Salmi 110 fa degnamente il paio col Salmi 2. Ad indicare la completa sottomissione di tutti i nemici, sono descritti come posti a mo' di sgabello sotto ai piedi del Re che siede sul trono. Cf. 1Corinzi 15:28; Giosuè 10:24, e gli ultimi quadri dell'Apocalisse.

14 Quanto agli angeli, essi occupano una posizione molto più umile. Sono per loro natura spiriti e per ufficio ministri. Li dice spiriti ministratori ( λειτουργικα) perchè è questa la loro destinazione permanente. Liturgo, secondo il primitivo significato della parola, è uno che lavora al servizio del pubblico; solo nel linguaggio ecclesiastico posteriore e venuto a designare unicamente chi ministra nel culto pubblico. Gli angeli sono tutti, senza eccezione di sorta, ministri, ma non degli uomini, bensì a cagione, ch'è quanto dire a pro degli uomini che devono eredare la salvazione. Essi cooperano per tal modo al trionfo finale del regno di Cristo. La salvezza è presentata qui come una eredità al cui possesso devono giungere i credenti. Si tratta della salvazione considerata nella sua finale gloriosa perfezione. Guardando a quella, Paolo ha potuto scrivere che le grazie del presente sono l'arra, le primizie di quello che ci aspetta, e che «noi siamo salvati in isperanza» Romani 8:23.

Ammaestramenti

1. Cristo, il Mediatore del Nuovo Patto, è superiore a tutte le creature, anche alle più eccelse, come sono gli angeli. Egli è il Figlio di Dio in senso unico, così da poter essere chiamato Dio e identificato con Geova. Egli è l'oggetto dell'adorazione degli angeli tutti; Egli è il fondatore dei cieli e della terra. In lui si compiace il Padre che gli ha affidato il regno su tutte le cose e la signoria di lui è giusta e perfetta ed eterna. il suo regno è destinato a trionfare di ogni opposizione e mentre tutto nelle cose create muta e tutto passa, Egli rimane lo stesso ieri, oggi ed in eterno. La gloria divina del Figlio imprime alla rivelazione da lui recata il suggello dell'autorità di Dio e fa di Lui il «testimone fedele e verace» che solo può dire: «Io sono la verità». A lui può rivolgersi ogni anima colle parole di Pietro: «Signore a chi ce n'andremo noi? Tu hai parole di vita eterna». Possono gli angeli recar messaggi celesti al mondo, ma solo il Figlio ch'è Dio manifestato in carne può comunicare all'anima che lo riceve, la vita divina.

2. Impariamo qui varie cose circa gli angeli. Per loro natura sono degli spiriti, e quanto al loro ufficio sono dei messaggeri di Dio, dei servitori che possono assumere forme visibili ed il cui servizio va connesso talvolta colle forze della natura, come quando ebbero parte alla promulgazione della legge sul Sinai o eseguirono il giudicio di Dio sopra Sodoma e Gomorra. Ma se Dio li adopera quali messaggeri di giudicio, li adopera altresì quali messaggeri di misericordia, come quando annunziano la nascita del Salvatore, o proteggono, liberano, confortano, per mandato di Dio, «coloro che hanno da eredare la salvazione». A parte le favole giudaiche e medievali sugli angeli e sui diavoli, l'esistenza di creature come gli angeli è in perfetta armonia colla legge di progresso costante dal meno perfetto al più perfetto che si osserva nella serie degli esseri. L'uomo è spirito ed anima unita ad un corpo materiale; qual meraviglia se al di sopra di lui vi sono degli esseri che sono spiriti puri la cui connessione colla materia non è più organica ma volontaria? Quale meraviglia se creati liberi, questi esseri non sono tutti perseverati nel bene? E quanto agli angeli buoni di cui è parlato nella sezione, la simpatia colla quale seguono l'opera della redenzione nel mondo aspettando di formare una sola famiglia di Dio coi redenti giunti alla perfezione, è cosa che bene si addice ad esseri intelligenti e morali, santi e buoni. Da ciò non deriva certo l'obbligo di adorarli poiché sono delle creature, sono «conservi» nostri e spesso servono a beneficio nostro; ma ben possiamo dalla contemplazione del Cristo seduto sul trono e degli angeli ministranti al bene dei fedeli, trarre argomento di conforto. «Perchè, esclama Chalmers, dovrebbe il mio spirito venir meno sotto il peso di terrene delusioni o scoraggiarsi ed attristarsi quando tutto non avviene come vorrei fra i mie simili o negli affari della chiesa quaggiù? Possa io allora trovar sollievo in questa magnifica contemplazione!»

3. L'instabilità di tutto ciò ch'è terreno, il mutar che facciamo noi stessi e che fanno le cose e le persone intorno a noi, ci lascia spesso feriti e sfiduciati. Ricordiamo allora la parola del Salmo qui applicata a Cristo: «Ma Tu sei lo stesso ed i tuoi anni non verranno meno» Ebrei 1:12.

4. Cristo ha dei nemici Ebrei 1:13; non dobbiamo trovare strano che ne abbiano i suoi discepoli e la causa di lui dovunque s'inalbera la bandiera del suo Vangelo. Ma la parola di Dio ci assicura che saranno vinti. Ai suoi dunque non resta che di perseverare sotto alla guida del loro Re, essendo quel ch'egli vuol che sono, facendo quel ch'egli vuol che facciano, evitando quel ch'egli vuol che evitino, sopportando quel ch'egli vuol che sopportino, finchè Egli li renda più che vincitori di tutti i loro nemici spirituali. (Da Henry).

5. Leggendo l'Antico Testamento alla luce del Nuovo, come fa l'autore dell'Epistola agli Ebrei, esso ci appare assai più ricco d'insegnamenti cristiani di quel che molti credano. I re teocratici sono considerati dagli uomini apostolici come dei tipi, per quanto imperfetti, del re Messia. Le manifestazioni finali delle perfezioni di Geova sono considerate come descrizioni della gloria del Figlio di Dio incarnato, talchè anche i quadri delle glorie avvenire di Sion delineano a grandi tratti le sorti future del regno di Dio sulla terra.

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