Commentario abbreviato:

Ebrei 5

1 Capitolo 5

L'ufficio e il compito del sommo sacerdote sono stati abbondantemente soddisfatti in Cristo Ebr 5:1-10

Gli Ebrei cristiani rimproverati per il loro scarso progresso nella conoscenza del Vangelo Ebr 5:11-14

Versetti 1-10

Il Sommo Sacerdote deve essere un uomo, partecipe della nostra natura. Questo dimostra che l'uomo ha peccato. Dio, infatti, non permette che l'uomo peccatore si rivolga a lui da solo. Ma tutti sono benvenuti presso Dio, se si rivolgono a lui tramite questo Sommo Sacerdote; e poiché teniamo all'accettazione presso Dio e al perdono, dobbiamo rivolgerci per fede a questo nostro grande Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, che può intercedere per coloro che sono fuori dalla via della verità, del dovere e della felicità; uno che ha la tenerezza di ricondurli dalle vie dell'errore, del peccato e della miseria. Solo coloro che sono chiamati da Dio possono aspettarsi l'assistenza di Dio, l'accettazione da parte sua, la sua presenza e la sua benedizione su di loro e sui loro servizi. Questo si applica a Cristo. Nei giorni della sua carne, Cristo si è assoggettato alla morte, ha avuto fame, è stato un Gesù tentato, sofferente, morente. Cristo ha dato l'esempio non solo di pregare, ma di essere ferventi nella preghiera. Quante preghiere aride, quante poche bagnate di lacrime offriamo a Dio! Egli fu rafforzato per sostenere l'immenso peso della sofferenza che gli era stato imposto. Non c'è vera liberazione dalla morte se non quella di essere portati attraverso di essa. Egli è stato risuscitato ed esaltato, e a lui è stato dato il potere di salvare tutti i peccatori fino all'estremo, che vengono a Dio attraverso di lui. Cristo ci ha lasciato un esempio affinché imparassimo l'umile obbedienza alla volontà di Dio, attraverso tutte le nostre afflizioni. Abbiamo bisogno delle afflizioni per imparare la sottomissione. La sua obbedienza nella nostra natura incoraggia i nostri tentativi di obbedienza e ci fa aspettare sostegno e conforto in tutte le tentazioni e le sofferenze a cui siamo esposti. Reso perfetto per questa grande opera, è diventato l'Autore della salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. Ma noi facciamo parte di questo numero?

11 Versetti 11-14

Gli uditori ottusi rendono difficile la predicazione del Vangelo, e anche coloro che hanno una certa fede possono essere uditori ottusi e lenti a credere. Si attende molto da coloro ai quali si dà molto. Essere poco abili denota mancanza di esperienza nelle cose del Vangelo. L'esperienza cristiana è un senso spirituale, un gusto o un assaggio della bontà, della dolcezza e dell'eccellenza delle verità del Vangelo. E nessuna lingua può esprimere la soddisfazione che l'anima riceve dal senso della bontà, della grazia e dell'amore divino per lei in Cristo.

Commentario del Nuovo Testamento:

Ebrei 5

1 Sezione II. Ebrei 5:1-10. LA REALTÀ DEL SACERDOZIO DI CRISTO DIMOSTRATA.

Dopo affermata solennemente la realtà del Sacerdozio di Cristo Ebrei 4:14-16 l'autore la dimostra. Quali erano i requisiti richiesti dalla legge per esercitar l'ufficio di sommo sacerdote? Due principali. Il sommo sacerdote, come uomo stabilito per ministrare a favore di uomini peccatori, doveva esser capace di sentimenti d'indulgenza verso i traviati; ma la sua vocazione all'alto ufficio di mediatore gli dovea venire da Dio Ebrei 5:1-4. Ora, questi due requisiti essenziali del sacerdozio, Cristo li possiede in grado perfetto: egli è stato chiamato da Dio e, sebbene Figlio, è stato alla scuola migliore della simpatia, quella dei grandi dolori accettati con sottomissione Ebrei 5:5-10.

Infatti, ogni sommo sacerdote, preso d'infra gli uomini, è stabilito a pro degli uomini nelle cose che riguardano Iddio, acciocchè offerisca doni e sacrificii per i peccati, potendo egli avere convenevole compassione degli ignoranti ed erranti, poiché anch'egli è circondato d'infermità e, a cagione di quella, è in obbligo di offrire [sacrificii] per i peccati, così per sè stesso come per il popolo.

L'infatti riannoda con la duplice affermazione di Ebrei 4:14-16: «Abbiamo un grande sommo sacerdote; capace di simpatizzare colle nostre infermità». Dice in modo generico: Ogni sommo sacerdote, ma scrivendo ad Ebrei pratici delle prescrizioni della legge mosaica, è chiaro che ha dinanzi agli occhi il sacerdozio ebraico, come lo prova il nome d'Aaronne citato in Ebrei 5:4. Preso d'infra gli uomini e simile a loro, in ogni cosa, il sacerdote, e particolarmente il sommo sacerdote, è costituito a pro degli uomini, a loro beneficio. Non è costituito per Dio che non ne ha bisogno, né per la sua propria gloria o interesse, ma per il bene degli uomini. La sfera del suo ministerio non è quella de li interessi terreni e passeggeri, ma è descritta con le parole laconiche: le cose verso Dio, per cui s'intendono le cose che riguardano le relazioni dell'uomo con Dio, ch'è quanto dire del peccatore con Colui ch'egli ha offeso. Parte essenziale del suo ufficio è perciò di offrire doni, sacrificii incruenti; e sacrificii cruenti per i peccati ossia per l'espiazione dei peccati. Cfr. Ebrei 2:17; 1:3.

2 Trattandosi del sommo sacerdote, l'autore allude principalmente ai sacrificii del giorno delle Espiazioni. Tuttavia il sacerdote non dovea essere una macchina da sacrificii, un funzionario che compisse meccanicamente i riti prescritti, senza che il cuor suo vi avesse parte. Sul suo petto ei portava scolpiti i nomi delle dodici tribù a significare che le dovea portare tutte del continuo sul suo cuore. Il sentimento che doveva animare il sommo sacerdote è qui espresso con una parola coniata dalla filosofia greca: μετριοπαθειν, che significa, letteralmente «soffrire o sentire con misura». Diodati la traduce: «aver convenevole compassione». Per gli stoici l'apatia era l'ideale; per i loro avversari era la metriopatia, la moderazione nel sentire, lontana così dall'apatia come dalla soverchia sensibilità. La parola esprime qui il sentimento di giusta e giudiziosa compassione che doveva animare il sacerdote verso gl'ignoranti ed erranti. Egli non doveva né esagerare né attenuare l'offesa. Esagerandola correva pericolo di lasciarsi vincere dalla collera, dal disgusto e di dimenticare le proprie infermità. Usando soverchia indulgenza, come Eli, egli diventava complice del peccato e induceva il popolo al disprezzo della legge di Dio. «Il sommo sacerdote ideale odia l'ignoranza ed il peccato, ma nutre compassione per gl'ignoranti ed i traviati» (A. B. Bruce). Gl'ignoranti sono coloro che peccano perchè ignorano la legge, o la conoscono imperfettamente, o perchè la loro coscienza oscurata prende per volontà di Dio quel ch'è tutto l'opposto. Gli erranti o traviati sono coloro che peccano perchè sedotti dall'«inganno del peccato», trascinati dalle passioni fuori della retta via. Per chi peccava a mano levata» cioè scientemente e deliberatamente, la legge non provvedeva espiazione; egli dovea portar la pena del proprio misfatto.

3 Quel che induce il sacerdote ad essere indulgente verso gli altri è la coscienza ch'egli ha di essere egli stesso circondato di infermità; e si tratta d'infermità morale a motivo della quale egli è in obbligo, per legge e per coscienza, di offrire per sè stesso, prima ancora che per il popolo, dei sacrificii per il peccato. Cfr. Levitico 16:6,11; 4:3-4.

4 La vocazione divina è il secondo requisito per il sacerdozio.

E uno non si prende [da sè] quella dignità (lett. l'onore), ma [la prende] quando è chiamato da Dio (testo emend.) come appunto lo fu Aaronne.

Per adempiere all'ufficio suo di mediatore è necessario che il sommo sacerdote sia compassionevole ed equanime verso gli uomini ch'egli rappresenta; ma è pur necessario ch'egli sia accetto presso a Dio. La chiamata di Dio è per il sacerdote e per il popolo garanzia del gradimento celeste. «Nessuno che sia debitamente conscio delle proprie infermità penserebbe mai ad assumere da se un ufficio così sacro» (Bruce). La vocazione divina di Aaronne risulta chiaramente da Esodo 29:4,9; Levitico 8:1-5; Numeri 16:17. Nella vocazione di lui è implicata quella, dei suoi discendenti, dovendo l'ufficio di Aaronne passare, per volontà divina, di padre in figlio. E così avvenne, secondo i libri storici dell'A.T., fino al tempo in cui l'intromissione del potere politico degli Erodi e dei Romani venne a turbare l'ordine legale.

5 Così anche il Cristo non si diede da sè la gloria d'esser fatto sommo sacerdote, ma [gliela diede] colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato». Come dice ancora in un altro luogo: «Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec».

Nel mostrare come Cristo possegga i requisiti essenziali del vero sacerdozio, l'autore non segue l'ordine in cui li ha dianzi indicati, ma comincia dal provare come Cristo sia stato chiamato all'ufficio da Dio Ebrei 5:5-6, per far vedere poi Ebrei 5:7-10 come la scuola del dolore lo abbia reso compiuto, capace di perfetta simpatia per gli uomini, ai quali procura salvazione eterna. Come Aaronne non si era preso da sè l'onore del sacerdozio, così il Messia, non si è arrogata la gloria di quell'alto ufficio Dice lett. non glorifico se stesso per esser fatto o per diventare sommo sacerdote, non fece valere i proprii titoli per occupare la carica, come fa chi l'ambisce. A provare che Dio stesso lo ha, chiamato, l'autore adduce due parole dell'A.T. tratte, la prima dal Salmi 2 e l'altra dal Salmi 110, citati ambedue di già in Ebrei 1:5,13. Senonchè, la citazione del Salmi 2 «Tu sei mio figlio...» offre una difficoltà, poiché si riferisce all'ufficio regio, non a quello sacerdotale del Messia. Secondo gli uni, la soluzione della difficoltà sta nel fatto che il sacerdozio è incluso nella nozione di figliolanza, e quindi eterno com'è eterno il Figlio. Ma la soluzione più conforme al contesto ed al pensiero generale dell'epistola va cercata nel fatto dell'intima unione dei tre uffici: profetico, regio e sacerdotale, nella persona del Messia, l'Unto ideale. A questa, unione l'autore accenna fin dai primi versetti dell'epistola ed essa appare di frequente nella profezia. Nel Salmi 110, il Messia è seduto alla destra di Dio ed è proclamato sacerdote eterno. In Zaccaria 6:12-13 si legge «Sarà sacerdote sul suo trono e vi sarà perfetta unione tra l'uno e l'altro». L'unione, anzi la compenetrazione reciproca dei tre ufficii nella incomparabile persona del Cristo fa si che quanto è detto di lui nella sua qualità di re o di profeta si ripercuote sull'ufficio suo sacerdotale e viceversa. Nel Cap.1, a provare la grandezza di Cristo qual Rivelatore, l'autore, ha citato dei passi ove era esaltato il suo potere regio universale. Qui, a provare la vocazione divina al sacerdozio, cita una parola profetica che dichiara l'elezione e l'insediamento del Messia come capo supremo del popolo di Dio. La persona essendo una e dovendo rivestire i tre ufficii teocratici, la parola che lo chiama ad esser re, lo chiama del pari ad esser profeta e sacerdote.

6 Però, dopo un passo ove la divina vocazione al sacerdozio è solamente implicita, l'autore ne adduce immediatamente un altro che proclama esplicitamente il re Messia «sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec». La parola ταξις ordine, rango, grado, si adopera per designare il grado che uno occupa nell'esercito o nella società e serve qui a indicare il genere, la specie particolare cui appartiene il sacerdozio di Cristo. È un sacerdozio del genere di quello di Melchisedec, il re-sacerdote dell'antica Salem, un sacerdozio di grado superiore a quello degli Aaronidi, non solo perchè unito alla podestà regia, ma perchè «eterno», permanente nella persona del Messia e non passeggiero com'era di necessità nei mortali sacerdoti levitici.

7 Lo scopo di Ebrei 5:7-10 sarebbe, secondo alcuni interpreti, di rafforzare la dimostrazione di Ebrei 5:5-6, col mostrare come, ben lungi dall'ambire la gloria del sacerdozio, Gesù non Abbia accettato l'ufficio se non per ubbidienza alla volontà del Padre, ben sapendo che per lui, il sacerdozio implicava il massimo dei sacrifizii. Tuttavia, due cose vanno tenute presenti: la prima che l'autore tralascerebbe così di mostrare che Cristo possiede il requisito di una reale esperienza dei dolori umani, senza di che non potrebbe utilmente ministrare a beneficio dei peccatori; e la seconda, che già due volte Ebrei 2:17-18; 4:15-16, l'autore ha presentato l'esperienza umana del Cristo come la scuola necessaria per renderlo un «sommo sacerdote fedele e misericordioso» «capace di simpatizzare» colle umane infermità. Di fronte a cotesti fatti, è naturale che si scorga nella evocazione che l'autore fa qui delle dolorose esperienze di Gesù, l'intento di far vedere come, per esse, egli è divenuto «compiuto» anche in simpatia per gli uomini provati e tentati. Vero è che, non avendo conosciuto per esperienza personale il peccato, non ha provato l'onta della colpa, né le angosce del pentimento e non ha dovuto offrire alcun sacrificio per i proprii peccati. Ma le preghiere e le supplicazioni ch'egli offerse a Dio, mostrano quanto sia stata reale e profonda l'esperienza ch'egli fece delle infermità non colpevoli e dei dolori umani.

Il quale, nei giorni della sua carne, avendo con alte grida e con lagrime offerte preghiere e supplicazioni a colui che lo poteva salvare dalla morte, ed avendo ottenuto d'essere liberato dal timore, sebbene fosse figlio, imparò da quel che sofferse l'ubbidienza; e, reso compiuto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna, essendo da Dio proclamato sommo sacerdote «secondo l'ordine di Melchisedec».

Le varie articolazioni di questa frase, segnano come le varie fasi successive dell'esperienza umana per cui è convenuto che il Cristo passasse. Per giungere ad essere «compiuto», era necessario che passasse per la scuola dei patimenti fisici e morali e che la sua perfezione morale si affermasse anche nelle prove più dolorose, in presenza dei supremi sacrifizii. Queste prove della fede e dell'ubbidienza filiale di Gesù si sono estese a tutta la sua vita terrena, crescendo di gravità a misura che si avvicinava l'ora del supremo sacrifizio, e sono come riassunte tutte in quell'agonia del Getsemane che precedette di poche ore la crocifissione del Cristo. I giorni della sua carne sono il tempo della vita terrena del Verbo fatto carne, vita in cui sperimentò le necessità, le umiliazioni, le prove e tentazioni umane, pur mantenendosi esente da ogni peccato. Nelle lotte della fede, il «compitor della fede» sentì quanto gli fosse indispensabile l'aiuto celeste ed ebbe del continuo ricorso alla preghiera. Non per nulla leggiamo negli Evangeli frasi come queste: «uscì verso il monte per pregare e passò la notte in preghiera»; «la mattina molto per tempo si alzò ed uscì per ritirarsi in un luogo deserto e quivi orava» (Luca 6:12; Marco 1:35 e Cfr. Luca 3:21; 5:16; 9:18,28; 11:1; 22:41). Né poteva essere altrimenti nella lotta suprema sostenuta alla vigilia della morte nel Getsemane, ed alla quale ci sembra evidente che lo scrittore allude in questi versetti. Vero è che nei Vangeli non si narra che Gesù offrisse ivi preghiere con gran grido e con lagrime; ma l'autore ha potuto avere questi particolari da coloro ch'erano stati testimoni della scena. Quel che i Vangeli ci dicono rende questi dettagli altamente verosimili. Cristo pregava ad alta voce e così intensa fu l'agonia morale che «il suo sudore divenne come grumoli di sangue che cadevano in terra» Luca 22:44. Anche quest'ultimo particolare, come quello dell'angelo mandato a fortificare Gesù, è riportato dal solo Luca. In altre circostanze dolorose, sappiamo che Gesù pianse e che la sua preghiera angosciosa fu un alto grido Giovanni 11:35; Luca 19:41; Matteo 27:46. Le δεησεις (preghiere) sono l'esposizione di bisogni sentiti, con richiesta di soccorso; le ἱκετεριαι (supplicazioni) sono le umili ed insistenti domande di grazia. La parola, era in origine un aggettivo che serviva a designare il ramo d'ulivo avvolto di lana bianca portato dai supplicanti quando si presentavano davanti ai capi. Di poi venne a significare le suppliche stesse. L'uso di due parole sinonime ed al plurale descrive l'intensità della preghiera. È notevole, a questo riguardo, una sentenza giudaica che diceva: «Ci son tre sorta di orazioni, l'una superiore all'altra: la preghiera, il grido, le lagrime. La preghiera si fa in silenzio, il grido levando le mani al cielo; ma le lagrime superano tutto il resto». il Padre a cui Gesù si rivolge nell'ora della sua tristezza mortale è designato con una circonlocuzione: colui che lo poteva salvare da morte, circonlocuzione da cui traspare qual fosse il contenuto delle supplicazioni. La mente corre subito alla preghiera riferita dai Vangeli: «Abba padre, ogni cosa ti è possibile, allontana da me questo calice» (Marco 14:36 e paralleli). In Getsemane, più ancora che in circostanze analoghe anteriori Giovanni 12:27, Gesù sperimentò che «lo spirito è pronto, ma la carne è debole», e sentì in sè stesso tutto l'orrore ed il terrore che la morte - e una morte come quella che gli stava dinanzi - dovea ispirare ad una natura umana reale e santa come la sua. Perciò domandò di essere salvato da morte, se la cosa fosse stata possibile, cioè conciliabile col proponimento di Dio. Ma egli, già sapendo che senza la morte non era compiuta l'espiazione dei peccati, aggiunse con sottomissione filiale: «Tuttavia, non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi». La sua supplicazione non rimase, però, senza risposta; un angelo gli fu mandato per fortificarlo; la calma subentrò al turbamento, nell'anima sua, e potè avviarsi rasserenato verso l'ignominia e la morte. A questo esaudimento si riferiscono le parole; εισακουσθεις απο της ευλαβειας che rendiamo: ed avendo ottenuto d'esser liberato dal timore, vale a dire da quello spavento angoscioso che si era impadronito dell'anima sua, all'avvicinarsi del supplizio.

Non pochi interpreti preferiscono tradurre: «essendo stato esaudito per la [sua] pietà», e cotesta diversità s'incontra di già nelle antiche versioni. L'Itala, come la Siriaca, aveva «exauditus a metu», mentre la Vulgata ha «pro sua reverentia». La voce ευλαβεια significa etimologicamente il prender con garbo, con precauzione un oggetto. In senso morale serve quindi ad esprimere, così la prudenza, la cautela, la pia riverenza, come il timore che ci fa rifuggire da una cosa. Cfr. l'aggettivo ευλαβης nel senso di «timorato» «pio» Luca 2:25; Atti 2:5; ed il verbo nel senso di «temere» in Atti 23:10 testo rec.; Ebrei 11:7; Sirac 41:3: «Non temere la sentenza di morte». Stando alla grammatica ed al dizionario i due sensi sono ugualmente commendevoli. Ma il contesto ci fa preferire quello che abbiamo dianzi esposto perchè risponde meglio ai fatti ed allo scopo dell'autore in questi versetti. Ai fatti, diciamo, poiché Cristo non fu esaudito nella sua domanda di essere salvato dalla morte, ma fu bensì liberato completamente dal timor di essa. Allo scopo dell'autore, ch'è di mostrare come Cristo divenne compiuto nell'ubbidienza, attraverso le più profonde sofferenze. E nel Getsemani, appunto, attraverso l'agonia morale, egli giunge da ultimo ad accettare pienamente la volontà del Padre suo. «Abbassò sè stesso, col diventare ubbidiente fino alla morte ed alla morte della croce» Filippesi 2:8.

8 Il sebbene fosse figliuolo s'interpreta: sebbene per la sua natura superiore fosse partecipe della divina essenza, fosse il Figlio di Dio, elevato al di sopra di ogni creatura, chiamato a reggere anzichè ad ubbidire, degno di ogni gloria anzichè di ignominia e di patimenti, pure in quella vita nella carne a cui si sottomise, fece la esperienza dei bisogni e dei dolori umani e apprese l'ubbidienza. Un motto greco diceva: Patimenti, insegnamenti; tuttavia questo imparar di Cristo non presuppone alcuna preesistente inclinazione a disubbidienza. Cristo apprese l'ubbidienza come s'impara praticando, sperimentando sempre meglio. La sua vita fu un continuo atto di abnegazione, di sottomissione sempre più profonda alla volontà del Padre in vista della salvazione degli uomini. Cominciata con un ineffabile atto di abnegazione coll'incarnazione, la carriera del Salvatore venne svolgendosi attraverso una sempre più intensa esperienza di sofferenze da lui accettate con sottomissione, sebbene ferissero nel vivo l'anima sua. «Uomo di dolori ed esperto in languori», ogni nuovo calice amaro diede luogo ad un nuovo atto di ubbidienza filiale. «Non ciò che; io voglio, ma ciò che tu vuoi»; finche egli potè esclamare: «Tutto è compiuto». Ma le sue preghiere, i suoi sospiri, i suoi fremiti, i suoi turbamenti interni, le sue grida d'angoscia, stanno a provare come quell'ubbidienza che si veniva esplicando in atti di abnegazione sempre più profondi fino al sacrificio estremo, non si è svolta senza lotte intime, senza esercizio di fede grande, senza che ne sanguinasse la innocente natura umana di Gesù.

9 Colla sua esperienza delle umane infermità, colla sua ubbidienza fino alla morte, Cristo è giunto ad essere compiuto, di nulla mancante, pienamente atto ad essere il sommo Sacerdote compassionevole del patto eterno (Cf. Ebrei 2:10). Egli una volta giunto al compimento, alla perfezione richiesta, e divenuto autore di salvezza eterna... La parola aitios ( αιτιος) vuol dire «uno ch'è cagione di una data cosa», ed addita Cristo come l'autore, la fonte, per gli uomini, non di una temporanea esenzione di pena, ma di una liberazione eterna da tutte le conseguenze del peccato, nonché dalla potenza di esso. Sola condizione per aver parte a tanta salvezza è l'ubbidienza della fede. Com'egli è giunto al compimento per la via dell'ubbidienza, così tutti coloro che gli ubbidiscono, che in fede gli affidano l'anima loro e in fede ne seguono le pedate anche quando si tratti di soffrire vituperii e persecuzioni, perverranno alla compiuta salvazione. Il tutti ha sapore di universalismo.

10 Essendo proclamato sommo sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec. Chi lo proclama, chi lo saluta solennemente tale dinanzi all'universo, è Dio che parla nel Salmi 110. Storicamente, Cristo fu proclamato da Dio sacerdote eterno e perfetto, non solo colle dichiarazioni celesti del battesimo e della trasfigurazione, ma sopratutto colla risurrezione e coll'ascensione che sono il suggello supremo di Dio sulla persona e sull'opera di lui.

Ammaestramenti

1. Sotto forme diverse, più o meno pure e nobili, il sacerdozio si presenta nella storia dell'umanità come fenomeno universale. È stato spiegato come manifestazione dell'ambizione, dell'astuzia e della rapacità umana; è stato detto perfino che i sacerdoti hanno inventato la religione per i loro fini egoistici. Sta in fatto che un fenomeno così universale e così costante, nonostante le corruzioni che lo hanno screditato, non si spiega sé non col fatto che esso risponde a un bisogno dell'uomo creato per una, vita di comunione con Dio, ma separato da Dio per via del peccato. Il sacerdote, sia egli il padre della famiglia, il capo della tribù, il re del popolo, l'uomo della scienza magari occulta, o l'uomo designato per statuto all'ufficio, è sempre il rappresentante dei suoi simili presso alla Divinità, il mediatore fra essa e gli uomini. il ministerio che egli compie, per quanto imperfetto od inefficace, od anche corrotto ed abbominevole possa essere, attesta pur sempre l'inestinguibile bisogno dell'uomo, il sospiro dell'anima dietro alla riconciliazione, alla comunione filiale con Dio. il giudaismo offre, nei tempi anteriori al cristianesimo, la forma, più pura e più alta del sacerdozio; ma anche quella non era che l'ombra del sacerdozio di Cristo, solo perfetto, solo capace di avvicinarci al Padre, solo permanente in eterno.

2. Niuno ha da prendersi da sè l'onore del sacerdozio, ma solo chi vi è chiamato da Dio. Ora sotto al Nuovo Patto, chi sono coloro che Dio ha chiamati al sacerdozio? il N.T. ci parla di Cristo come dell'unico sacerdote che risponda ai requisiti dell'ufficio: che sia uomo senza peccato; che sia capace di perfetta simpatia cogli uomini; e che possa offrire un sacrificio adeguato per l'espiazione dei peccati del mondo. In senso secondario ed in virtù della loro unione Con Cristo, sono sacerdoti tutti i credenti perchè hanno la libertà di accostarsi direttamente a Dio per offrir i loro sacrifizii di lode e di devozione. Cfr. Ebrei 13:15-16; Apocalisse 1:6; 1Pietro 2:5,9. Il Nuovo T. non conosce alcuna casta sacerdotale, alcun sacerdozio particolare all'infuori di quello di Cristo e dei suoi. Il ministro del Vangelo non è sacerdote più di quanto lo sia l'ultimo credente del gregge ch'egli pasce. Chi pretende essere in possesso di un sacerdozio speciale inganna sè e gli altri; distoglie i fedeli dal rivolgersi all'unico Sommo Sacerdote, Cristo; fa cosa contraria alla volontà di Dio usurpando un ufficio che neanche Cristo assunse senza esservi chiamato da Dio.

Coloro soltanto possono aspettar benedizione da Dio che sono dove Dio li vuole e chiama.

Ragionando dall'erroneo punto di vista romano, il gesuita, Curci nota che l'osservazione dell'Autore non mirava soltanto alle ambizioni ed al turpe traffico di cui il pontificato giudaico era diventato pascolo; ma che questa verità può esser meditata «con grande utilità e non minor decoro della Chiesa in tutti i tempi». La perdita del potere temporale dovea, nelle vie provvidenziali, avere fra molte altre benefiche conseguenze per la chiesa, romana, quella di «diradare le vocazioni ecclesiastiche fabbricate a solo riguardo» della prosperità temporale.

Ad ogni modo, il nostro grande ed unico Sacerdote, Gesù, è stato da Dio solennemente chiamato all'ufficio; egli è stato mandato da Dio secondo un eterno proponimento per compiere l'opera della salvazione. In questo sta il diritto divino di cristianesimo ed è questo per noi argomento di fiducia nella efficacia eterna della di lui mediazione a favor nostro innanzi a Dio.

3. Cristo ha passato sulla terra «i giorni della sua carne», ha sofferto molto, ha provato il timore della morte, ha offerto preghiere e supplicazioni a Dio con arido e lacrime per esser liberato ed ha accettato il sacrifizio estremo con ubbidienza come aveva accettato gli altri patimenti, e tutto ciò affine d'esser reso «compiuto» e di poter esser autore della nostra salvazione eterna. Avendo provato tutta la potenza delle tentazioni e delle prove, egli è in grado di simpatizzare coi deboli, coi tentati e coi sofferenti. S'egli, pur essendo Figlio, ha sofferto, i figli di Dio non debbono trovare strano se sono chiamati a soffrire; ciò può esser necessario per la loro santificazione e per renderli atti a qualche buona, opera; Gesù, per via delle cose sofferte, crebbe nell'esperienza della compiuta ubbidienza; non potranno le nostre sofferenze essere a noi pure che ne abbiamo un maggior bisogno, scuola di ubbidienza filiale? «La creatura non giunge alla sua perfezione se non sotto la legge dello sviluppo, della prova, del crescente trionfo sopra quanto e contrario alla volontà divina e della graduale assimilazione di quel che la volontà di Dio vien rivelando» (A. Murray). Nella oscurità della sua agonia morale Gesù cercò rifugio e sollievo nella preghiera della fede e quali preghiere furono le sue! Egli è nell'ora del dolore estremo che la preghiera della fede è più intensa e Dio non la lascia senza risposta. Se non è possibile che venga allontanato il calice amaro dalle nostre labbra, ci sarà data la forza di accettarlo con calma e con rassegnazione. Dovremo inoltrarci ancora noi nella valle della morte; sia Gesù il nostro sostegno ed allontani egli ogni timore dandoci profonda la certezza del perdono e riempiendo il nostro cuore di pace e di celeste speranza.

4. Il Salvatore è stato compiuto nell'ubbidienza; è stato ubbidiente fino alla morte ed alla morte della croce. La salvezza di cui egli è l'Autore col suo sacrificio è «per tutti quelli che gli ubbidiscono». L'ubbidienza del pentimento, della fede e della consecrazione a lui deve rispondere all'ubbidienza del suo sacrificio. Non giungeremo alla perfezione che per la via della ubbidienza a Dio.

11 

§2. La Superiorità del Sacerdozio di Cristo considerata nella di lui Persona. Ebrei 5:11-7:28

Dopo avere, nel precedente paragrafo, stabilita la tesi generale che Cristo è vero sacerdote, poiché possiede, in modo perfetto, i requisiti richiesti per quell'ufficio, l'autore è condotto, in modo naturale, dal passo profetico citato Salmi 110:4, a ragionare dello speciale sacerdozio di Cristo e della sua superiorità sul sacerdozio levitico. Che cosa, infatti, voleva dire, che cosa implicava l'essere sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec?

Ma, in sul punto di incominciare questa esposizione entrando nelle viscere d'un argomento vasto e non facile, lo assale il pensiero tormentoso della difficoltà di esporlo dinanzi a dei lettori come quelli per i quali scrive. Questa difficoltà di farsi capire in un argomento che usciva dall'insegnamento religioso elementare, spinge l'autore a farlo precedere da una esortazione preparatoria avente per iscopo di scuotere i lettori dalla loro pigrizia e rilassatezza spirituale Ebrei 5:11-6:20.

Ciò fatto egli entra in argomento con Ebrei 7.

Sezione I. Ebrei 5:11. ESORTAZIONE PREPARATORIA.

L'esortazione comprende:

a) un rimprovero per lo stato d'infanzia spirituale in cui sono caduti i cristiani Ebrei 5:11-14;

b) un serio avvertimento sul pericolo di chi si ritrae dalla verità conosciuta Ebrei 6:1-8;

c) un incoraggiamento a progredire in certezza di fede e di speranza Ebrei 6:9-20.

a. Il rimprovero Ebrei 5:11-14.

Intorno al quale abbiamo da dire molte cose e difficili a spiegarsi a parole perchè siete diventati duri d'orecchi.

Il pronome relativo greco si può rendere come neutro = intorno alla quale cosa, od al quale argomento. È preferibile il maschile che può riferirsi a Cristo sacerdote o, meglio ancora, a Melchisedec considerato come tipo divinamente ordinato di Cristo. Infatti esaurita che ha la sua esortazione preliminare, l'autore comincia così la trattazione: «Questo Melchisedec, re di Salem ecc.» Ebrei 7:1. Quante cose e quanto importanti abbia da esporre in proposito lo scrittore, si vede da Ebrei 7-10; capitoli che sono, nel N.T., il passo classico sul sacerdozio di Cristo. La difficoltà di spiegare a parole quel che gli sta nella mente, proveniva senza dubbio dall'argomento, di sua natura non elementare; ma principalmente dall'essere i lettori divenuti duri d'orecchi (lett. tardi d'orecchi), e s'intende degli orecchi dell'intelletto. Non sono stati sempre tali; ma siccome, invece di progredire normalmente, si sono rilassati, è avvenuto loro, per legge da Dio stabilita, di indietreggiare. L'argomento che l'autore sta per trattare è delicato, poiché nell'esporre la superiorità del sacerdozio di Cristo, dovrà di necessità mostrare il carattere imperfetto, caduco, meramente simbolico delle istituzioni levitiche, care ad ogni Israelita; e dove s'incontra il pregiudizio si corre pericolo di essere fraintesi. Sarebbe invece facile dare questo insegnamento a dei cristiani più maturi quali dovrebbero essere, ma non sono, gli Ebrei.

12 Perocchè, mentre dovreste essere, considerato il tempo, dei maestri, avete nuovamente bisogno che uno v'insegni i primi elementi degli oracoli di Dio.

Non solo dovrebbero essere in grado d'intendere, ma, in ragione del tempo trascorso dacchè sono stati evangelizzati, dovrebbero essere capaci d'insegnare agli altri le verità più alte del Vangelo. Invece, hanno bisogno d'essere ricondotti a scuola, sono tornati ad essere una seconda volta semplici catecumeni cui vanno spiegati i primi elementi della rivelazione divina. Secondo che si accentua τινά o τίνα il senso sarà: «Avete bisogno che qualcuno vi insegni», ovvero: «avete bisogno che vi s'insegni quali siano gli elementi». Dice letteralmente: gli elementi del principio, onde viemeglio mettere in rilievo l'idea che sono tornati ad aver bisogno proprio dell'a, b, c della verità cristiana. Alcuni di cotesti elementi sono indicati nei primi versi del cap. 6. Gli oracoli di Dio sono le rivelazioni di lui comunicate anticamente per mezzo dei profeti e da ultimo nel Figlio Ebrei 1:1.

E vi siete ridotti ad aver bisogno di latte, anzichè di cibo sodo. Chiunque infatti usa il latte, non s'intende della parola della giustizia, poichè egli è bambino. Ma il cibo sodo è proprio degli uomini maturi, di quelli che, per l'abitudine, hanno i seni esercitati a, discernere il bene ed il male.

Il passo dalla similitudine dei maestri e degli scolari a quella dei bambini e degli uomini fatti è breve; com'è frequente nel N.T. il paragonare lo sviluppo della vita spirituale a quello della vita fisica. La vita nuova comincia con la «nuova nascita» (cf. Giovanni 3). L'uomo «nato da Dio», «nato dallo Spirito» è chiamato da Pietro «un bambino pur ora nato» che appetisce il puro latte spirituale che lo fa crescere 1Pietro 2:2. Infatti la vita spirituale si svolge gradatamente in successivi stadii finchè giunge alla sua perfezione. La maturità perfetta non è di questa terra; sarà raggiunta quando l'uomo sarà arrivato «alla misura della statura perfetta di Cristo» Efesini 4:13; ma vi è una maturità relativa ed è quella cui accenna Paolo quando dice ai Filippesi: «quanti siamo compiuti...» Filippesi 3:15; o ai Corinti: «parliamo sapienza fra i compiuti» 1Corinzi 2:6. Come alla vita fisica, nel suo primo stadio, conviene il latte e non il cibo solo che lo stomaco del bambino non potrebbe digerire, così ai primi stadii della vita spirituale conviene il latte delle verità più elementari del cristianesimo; le verità superiori adatte ad uno stadio più avanzato, non possono essere rettamente intese né apprezzate da coloro che sono «bambini in Cristo» 1Corinzi 3:1-2.

13 Il bambino spirituale è απειρος, senza esperienza, non pratico della parola della giustizia, non se n'intende, perchè gli manca quel discernimento che si acquista coll'abitudine, colla lunga pratica della vita. «Parola della giustizia» è quella che insegna qual è la vera giustizia, in che consiste e come possa divenire nostra sia per imputazione, sia per progressiva santificazione. E qui sinonimo di «cibo sodo».

14 Questo è il cibo adatto agli uomini che hanno raggiunta una certa maturità di vita cristiana, i cui sensi spirituali sono già esercitati a discernere così il bene come il male. L'esperienza della vita nuova li fa capaci di distinguere fra l'errore e la verità, fra quel ch'è essenziale e quel ch'è secondario, fra le rette applicazioni della verità e gli abusi di essa. È chiaro che in Ebrei 5:13-14 l'autore passa insensibilmente dalla similitudine alla sua applicazione.

Ammaestramenti

1. Ci sono nella verità cristiana delle cose che sono più difficili ad intendersi di altre. Le verità elementari sono il latte destinato ai bambini cioè a chi è nei primi stadii della. vita cristiana. Le verità più alte quali ad es. il sacerdozio di Cristo, la relazione fra l'antica e la nuova economia ecc. sono cibo sodo per cristiani già maturi, i cui sensi spirituali sono già esercitati.

La sapienza di chi insegna sta nel sapere discernere il grado di sviluppo spirituale degli uditori e nell'adattare il cibo al loro stato, come fa Paolo 1Corinzi 1-3 e come avea fatto Cristo. Il dar cibo sodo al bambino lo ucciderebbe e il dar soltanto del latte all'uomo fatto lo mantiene debole. La S. Scrittura contiene, nella sua ricca varietà, le verità elementari per gli scolari e le verità più alte per i maestri. Non dobbiamo dunque stupirci se non intendiamo subito tutto quel che leggiamo, e se rimangono dei misteri impenetrabili e delle cose difficili. L'intelligenza crescerà coll'esperienza e collo studio assiduo ed umile.

2. Se una parte della nostra intelligenza è dovuta allo stadio di sviluppo in cui ci troviamo, un'altra parte è, purtroppo, da attribuirsi a colpa nostra. Un migliore e più diligente uso del tempo, delle facoltà, e dei mezzi d'istruzione che sono a nostra portata; uno zelo più onesto e più costante nel tradurre in pratica quel tanto che abbiamo conosciuto, ci farebbe capaci di progressi assai più rapidi. Perchè ci sono dei cristiani che giungono in pochi anni all'intelligenza spirituale cui altri non arrivano in mezzo secolo? Quante chiese dopo una diecina d'anni dalla loro fondazione sarebbero in grado d'intendere lettere come quelle agli Efesi, ai Colossesi od ai Romani? C'è qui da fare una larga parte alla individuale responsabilità. Quanti cristiani si meritano il rimprovero rivolto agli Ebrei: Dovreste, per riguardo al tempo, esser maestri, mentre siete ancora ai primi elementi! Cotesta pigra lentezza nell'intendere rende doppiamente difficile il compito di chi è chiamato ad insegnare.

3. L'insegnare, altri è funzione ed obbligo di chi conosce per studio o per esperienza la verità cristiana. Chi è estraneo ad essa o è tuttora bambino in fatto d'esperienza religiosa non è in grado d'insegnare gli altri. Perciò Paolo prescrisse che il ministro del Vangelo non deve essere un convertito di fresco. Se chi insegna non si sforza di crescere del continuo nella conoscenza, sperimentale della verità non sarà in grado di pascere i cristiani maturi.

4. La vita spirituale come la vita fisica è progressiva; ma in qualunque stadio ella si trovi, ha bisogno d'essere nutrita di verità divina, altrimenti deperisce. Parimente i sensi spirituali hanno bisogno per perfezionarsi d'esser del continuo tenuti in esercizio. Il cristianesimo che non vivifica a nuova attività tutto l'essere umano non è genuino.

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