Commentario abbreviato:

Luca 12

1 Capitolo 12

Cristo rimprovera gli interpreti della legge Lc 12:1-12

Ammonimento contro la cupidigia, La parabola del ricco Lc 12:13-21

La cura del mondo rimproverata Lc 12:22-40

Vigilanza imposta Lc 12:41-53

Un monito a riconciliarsi con Dio Lc 12:54-59

Versetti 1-12

Una ferma convinzione della dottrina della provvidenza universale di Dio, e della sua portata, ci soddisferebbe nei momenti di pericolo e ci incoraggerebbe a fidarci di Dio nella via del dovere. La Provvidenza si prende cura delle creature più meschine, persino dei passeri, e quindi dei più piccoli interessi dei discepoli di Cristo. Coloro che confessano Cristo ora, saranno riconosciuti da lui nel grande giorno, davanti agli angeli di Dio. Per dissuaderci dal rinnegare Cristo e dal disertare le sue verità e le sue vie, ci viene qui assicurato che coloro che rinnegano Cristo, anche se in questo modo possono salvare la vita stessa, e anche se possono ottenere un regno, alla fine saranno grandi perdenti; perché Cristo non li conoscerà, non li possiederà, né mostrerà loro favore. Ma che nessun arretrato tremante e penitente dubiti di ottenere il perdono. Questo è ben diverso dall'inimicizia decisa che è la bestemmia contro lo Spirito Santo, che non sarà mai perdonata, perché non ci si pentirà mai.

13 Versetti 13-21

Il regno di Cristo è spirituale e non di questo mondo. Il cristianesimo non si immischia nella politica; obbliga tutti a fare il giusto, ma il dominio delle parole non è fondato sulla grazia. Non incoraggia le aspettative di vantaggi mondani attraverso la religione. Le ricompense dei discepoli di Cristo sono di altra natura. La cupidigia è un peccato da cui dobbiamo essere costantemente messi in guardia, perché la felicità e il benessere non dipendono dalle ricchezze di questo mondo. Le cose del mondo non soddisfano i desideri di un'anima. Ecco una parabola che mostra la follia dei mondani carnali mentre vivono e la loro miseria quando muoiono. Il personaggio disegnato è esattamente quello di un uomo prudente e mondano, che non ha alcun riguardo riconoscente per la provvidenza di Dio, né alcun pensiero giusto sull'incertezza delle vicende umane, sul valore della sua anima o sull'importanza dell'eternità. Quanti, anche tra i cristiani professi, indicano personaggi simili come modelli da imitare e persone adatte con cui stringere legami! Sbagliamo se pensiamo che i pensieri sono nascosti e i pensieri sono liberi. Quando vede un grande raccolto sul suo terreno, invece di ringraziare Dio per questo, o di rallegrarsi di poter fare più bene, si affligge. Che cosa farò ora? Il mendicante più povero del paese non avrebbe potuto dire una parola più ansiosa. Più gli uomini hanno, più hanno perplessità al riguardo. Era una follia per lui pensare di non fare altro uso della sua abbondanza che assecondare la carne e gratificare gli appetiti sensuali, senza pensare di fare del bene agli altri. I mondani carnali sono stolti e sta per arrivare il giorno in cui Dio li chiamerà per nome e loro si chiameranno così. La morte di queste persone è di per sé miserabile e terribile per loro. La tua anima sarà richiesta. Egli è restio a separarsene; ma Dio la richiederà, ne chiederà conto, la richiederà come anima colpevole da punire senza indugio. È la follia della maggior parte degli uomini, preoccuparsi e perseguire ciò che è per il corpo e solo per il tempo, più di ciò che è per l'anima e per l'eternità.

22 Versetti 22-40

Cristo insisté molto su questa avvertenza di non cedere a preoccupazioni inquietanti e perplesse, in Mt 6:25-34. Gli argomenti qui utilizzati sono per incoraggiarci a gettare le nostre preoccupazioni su Dio, che è il modo giusto per ottenere l'agio. Come per la nostra statura, così per il nostro stato, è saggio prendere le cose come stanno. La ricerca affannosa e ansiosa delle cose di questo mondo, anche di quelle necessarie, non fa bene ai discepoli di Cristo. Non devono prevalere le paure, quando ci spaventiamo pensando al male che verrà e ci preoccupiamo inutilmente di come evitarlo. Se apprezziamo la bellezza della santità, non desidereremo i lussi della vita. Esaminiamo allora se apparteniamo a questo piccolo gregge. Cristo è il nostro Maestro e noi siamo i suoi servi; non solo servi che lavorano, ma anche servi che aspettano. Dobbiamo essere come uomini che aspettano il loro signore, che si alzano mentre lui sta fuori fino a tardi, per essere pronti a riceverlo. Con questo Cristo alludeva alla propria ascensione al cielo, alla sua venuta per chiamare a sé il suo popolo con la morte e al suo ritorno per giudicare il mondo. Non siamo sicuri del momento in cui verrà da noi, quindi dobbiamo essere sempre pronti. Se gli uomini si prendono cura delle loro case, noi dobbiamo essere saggi per le nostre anime. Siate dunque pronti anche voi, come lo sarebbe il buon uomo di casa, se sapesse a che ora verrà il ladro.

41 Versetti 41-53

Tutti devono prendere in considerazione ciò che Cristo dice nella sua Parola e informarsi su di essa. Nessuno è così ignorante da non sapere che ci sono molte cose sbagliate che fa e molte cose giuste che trascura; quindi tutti sono senza scusa nel loro peccato. L'introduzione della dispensazione del Vangelo provocherebbe desolazioni. Non che questa sia la tendenza della religione di Cristo, che è pura, pacifica e amorevole, ma l'effetto del suo essere contraria all'orgoglio e alle passioni degli uomini. Ci sarebbe stata un'ampia diffusione del Vangelo. Ma prima che ciò avvenisse, Cristo doveva essere battezzato con un battesimo ben diverso da quello dell'acqua e dello Spirito Santo. Doveva sopportare sofferenze e morte. Non era nei suoi piani predicare il Vangelo in modo più ampio, finché questo battesimo non fosse stato completato. Dobbiamo essere zelanti nel far conoscere la verità, perché anche se si creeranno delle divisioni e la famiglia di un uomo potrà essere sua nemica, i peccatori si convertiranno e Dio sarà glorificato.

54 Versetti 54-59

Cristo vorrebbe che il popolo fosse saggio nelle preoccupazioni della sua anima come negli affari esteriori. Si affrettino a ottenere la pace con Dio prima che sia troppo tardi. Se qualcuno ha scoperto che Dio si è messo contro di lui riguardo ai suoi peccati, si rivolga a lui come Dio in Cristo che riconcilia il mondo a sé. Finché siamo in vita, siamo sulla strada, e questo è il nostro momento.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 12

1 CAPO 12 - ANALISI

1. Gesù ammonisce i suoi discepoli contro l'ipocrisia, e la mancanza di coraggio nel predicare l'evangelo. I Farisei erano tali maestri di ipocrisia che tutte le loro azioni e i loro discorsi ne erano compenetrati, come il pane o la farina dal lievito che vi è stato introdotto, epperciò Gesù, mettendo in guardia i suoi discepoli contro l'ipocrisia, la chiama «il lievito dei Farisei». La loro ipocrisia non consisteva solo nel pretendere di essere quel che non erano, ma nel nascondere al pubblico quello che erano veramente nel cuore e nella vita. Giudicando dal tenore dei versetti seguenti, Gesù sembra mettere i suoi discepoli in guardia specialmente contro quest'ultima forma di ipocrisia farisaica. Dopo la sua partenza, essi si avvedrebbero presto di essere «odiati da tutti gli uomini, per amor del suo nome», e di predicar la dottrina della croce a rischio della propria vita. Gesù sapeva che allora li assalirebbe fortemente la tentazione di nascondere il loro nome di discepoli, e di evitar nella loro predicazione «lo scandalo della croce»; perciò li ammonisce che, cedendo a quella tentazione, si renderebbero colpevoli di una ipocrisia non meno colpevole di quella dei Farisei. Egli richiedeva da loro coraggio, per «soffrire afflizione, come buoni soldati di Gesù Cristo», e nei versetti seguenti egli ne enumera parecchie ragioni. Prima. L'ipocrisia vien tosto o tardi smascherata, facciano pur uso di qualsivoglia stratagemma od equivoco; ricorran pure alle menzogne ed agli inganni più astuti, per quanto operino con segreto e prudenza, gli ipocriti saranno scoperti e proclamati fin sui tetti. Seconda. Il potere dei nemici loro e nostri è molto limitato, possono al più toglierei la vita del corpo, perciò il timore di dispiacer loro non deve, neppur per un momento, bilanciare quello di incorrere l'ira dell'altissimo, «il quale, dopo avere ucciso, ha la podestà di gettar nella geenna». Terza. Dio, nella sua santa provvidenza, veglia con cura speciale sul popolo suo credente. «I capelli del loro capo son tutti annoverati». Quarta. Al giorno del giudizio, Cristo li riconoscerà o no, secondo che essi stessi lo avranno o no confessato dinanzi agli uomini. Quinta. Il rinnegare Cristo sarebbe un bestemmiare lo Spirito Santo, disconoscendo la sua protezione: mentre la sua saviezza, la sua assistenza ed il suo potere venivan loro specialmente promossi quando sarebbero accusati dinanzi alle sinagoghe ed ai magistrati. Or chi avrà bestemmiato a quel modo «non sarà perdonato» Luca 12:1-12.

2. Avvertimenti contro la cupidigia, appoggiati da una parabola. L'occasione di questo discorso del Signore sulla cupidigia fu la domanda rivoltagli da uno che era o suo discepolo, o fratello di uno fra i discepoli, affinché usasse la sua influenza ed autorità sul suo fratello che si era impadronito della maggior parte del loro patrimonio comune (forse la doppia porzione del primogenito), affinché la eredità venisse divisa ugualmente fra di loro. Questo il Signore ricusò subito di fare, perché non era parte del suo mandato invadere la provincia dei governi e dei tribunali terrestri, e perché eranvi dei giudici e delle corti scelti espressamente dalle autorità giudaiche per far giustizia fra gli uomini. D'altronde dall'avvertimento dato da Gesù dopo quel rifiuto: «Avvisate, e guardatevi dall'avarizia», par probabile che egli riconosce nel postulante uno spirito cupido, che domandava più di quanto gli si competesse, o ricusava al fratello la parte che era legalmente sua. Per illustrare la sua dichiarazione: «Benché alcuno abbondi, egli non ha però la vita per i suoi beni», Gesù aggiunge una parabola, lo scopo della quale è di mostrare la follia di uomini carnali e mondani mentre vivono, e la loro rovina quando li coglie la morte. Narra loro la storia di un uomo ricco ed avaro, lasciando ad essi di conchiudere se era pure un uomo felice, ma non senza aggiungere la significante conclusione: «Così avviene a chi fa tesoro a se stesso, e non è ricco in Dio» Luca 12:13-21.

3. Ammonizioni ed incoraggiamenti relativi alla soverchia sollecitudine per le cose necessarie alla vita. Sono dati con parole quasi identiche a quelle che troviamo già nel discorso in sul Monte Matteo 5-7. Lo spirito cupido può manifestarsi così nei poveri che desiderano cibo, vestiario ed alloggio migliori, come nei ricchi che bramano ricchezze sempre più grandi. Or siccome i discepoli nella loro povertà erano maggiormente esposti a quella prima forma di tentazione, egli li ammonisce contro di essa accertandoli che se pur cercano il regno di Dio il loro Padre celeste, il quale ha cura dei gigli dei campi, degli uccelli dell'aria, della crescenza dei corpi, e della conservazione della loro vita, dar loro altresì cibo, vestire ed ogni cosa utile e necessaria. Li mette in guardia contro una rodente ansietà a questo riguardo, perché così facendo, invece di dare un esempio al mondo col glorificare Iddio, mettendo in lui tutta la lor fiducia, starebbero sul livello medesimo che i poveri pagani, che non conoscevano il vero Iddio, quale Dio di provvidenza, e quindi vivevano in costante ansietà, per il loro sostentamento terreno. Li incoraggia inoltre a cacciare in bando le soverchie cure, perché hanno in prospettiva cose migliori di quelle che la terra può dare, cioè il regno del cielo, che al Padre è piaciuto dar loro, ed in anticipazione di questo, essi vengono esortati a prepararsi tesori in cielo col crescere i n grazia e coll'esercitare una benevolenza attiva nella vita Luca 12:22-34.

4. La vigilanza raccomandata a motivo della certezza del ritorno del Signore, e delle ricompense che egli recherà con sé. Il più potente antidoto contro la troppa ansietà per le cose della vita è senza dubbio l'avere il cuore preoccupato dalla vigilante aspettazione di un evento di straordinario interesse, e che può accadere quando meno è aspettato; e, seguendo tal nesso di idee, il Signore passa a parlare del dovere di vegliare e di star preparati per il suo ritorno. Le parabole dei servi che aspettano il ritorno del loro Signore, e son da lui ricompensati per la loro fedeltà; del ladro che giunge inaspettato; e dei due economi, cadono tutte sotto il titolo della vigilanza. Nella prima, vien ricompensata la vigilanza fedele; nella seconda, son castigate la falsa sicurezza e l'inattenzione; e nella terza (in risposta ad una domanda di Pietro), vengon delineati i destini diversi dell'economo attivo, diligente e vigilante, e dell'economo negligente, egoista e ubbriacone. Gesù lascia che Pietro e gli altri concludano essi stessi, coll'aiuto della propria coscienza, quale di queste tre descrizioni meglio convenga al loro carattere. La ricompensa e la punizione seguono naturalmente l'osservanza o la trasgressione del dovere, ed il principio dietro al quale sì l'una che l'altra vengono accordate è chiaramente indicato. Maggiori cose si richiedono da quelli che hanno responsabilità maggiori e maggiori occasioni che gli altri di conoscere la volontà del Signore; e, quando egli verrà, la loro punizione sarà proporzionatamente più severa, se essi avranno trascurato di dare il cibo spirituale ai loro conservi, e di aspettare quel grande evento. «Tal servitore sarà battuto di molto battiture», perché il giudizio sarà fatto dietro al principio: «a chiunque è stato dato assai sarà ridomandato assai» Luca 12:35-48.

5. Divisioni provenienti dall'introduzione della vita spirituale, mediante la predicazione del vangelo. Non è molto apparente il nesso fra questa porzione del capitolo e quel che precede; ma può darsi che Gesù volesse inculcare sempre più nei suoi discepoli la necessità di vegliare, di operare e di esser fedeli, a motivo delle divisioni che non potrebbero mancar di sorgere nelle comunità e nelle famiglie, in seguito alla predicazione del vangelo. «Il «fuoco» che Gesù dice esser venuto a portare in sulla terra non è, come suppongono alcuni, quello della contenzione e dell'odio, ma l'elemento superiore della vita spirituale, il quale, coi suoi potenti effetti, risveglia tutto ciò che è della stessa sua natura, e distrugge tutto ciò che gli è contrario. È chiaro che Gesù desidera che già fosse acceso; ma prima che esso potesse bruciare in tutto il suo potere purificante, toccavagli sopportare il battesimo della morte in croce, ed un peso gravava sul suo spirito, finché ciò non fosse fatto. Ma egli ammonisce i suoi discepoli di non ingannar se stessi col supporre che il risultato dei loro lavori nel predicare il suo regno sarebbe l'introduzione della pace universale. Al contrario, in contatto coll'irreligione e col vizio, col paganesimo e col Giudaismo, il primo risultato ne sarebbe confusione, guerra, e persecuzione atroce, per parte del mondo, dei suoi pacifici seguaci, da rompere perfino i legami di famiglia e di parentela. La storia dei tre primi secoli della Chiesa prova la verità di questa predizione del Signore, e neppur ora può dirsi cessato «lo scandalo della croce», quando i membri di una famiglia mondana nascono a nuova vita; per opera dello Spirito di Dio. Il contatto del Dio santissimo col mondo peccatore produce inevitabilmente resistenza e lotta, non solo contro Dio stesso, ma pure contro gli uomini che si dichiarano sudditi del suo regno Luca 12:49-53.

6. Del discernimento dei segni dei tempi. Prima di conchiudere il suo discorso, Gesù rivolge un'ammonizione speciale alla spensierata moltitudine. Essi sono astuti abbastanza per indovinare i cambiamenti di tempo; osservando le nuvole che s'alzavano a Ovest, cioè dal Mediterraneo, prevedevano la pioggia, e se il vento saltava a mezzogiorno, da dove giungeva loro attraverso il deserto, potevano subito predire il caldo soffocante che egli portava invariabilmente seco; ma egli li accusa di ipocrisia, perché, quantunque fossero osservatori perspicaci nelle cose del mondo, fingevano di non vedere segni molto più notevoli dei tempi, quali l'universale aspettativa del Messia, la testimonianza del Battista, e i suoi propri miracoli. Li rimprovera perché si lasciano sedurre dai loro istruttori spirituali, invece di esercitare il proprio giudizio, per riconoscere che «l'Oriente dall'alto li avea visitati», e termina coll'esortarli a far pace con Dio, che è loro avversario a motivo del peccato, e ciò subito «mentre sono per via», come certo stimerebbero prudente accordarsi con quelli coi quali non possono contendere, e di fare i patti migliori possibili con un avversario terreno, anziché esporsi ai rigori della legge Luca 12:54-59.

Luca 12:1-12. ESORTAZIONI RIVOLTE AI DISCEPOLI CONTRO L'IPOCRISIA E LA CODARDAGGINE Matteo 10:26-33; 16:6-12; Marco 3:22

Per l'esposizione vedi Matteo 10:26-33.

1. Intanto, essendosi raunata la moltitudine a migliaia, talché si calpestavano gli uni gli altri, Gesù prese a dire a' suoi discepoli: Guardatevi imprima dal lievito de' Farisei ch'è ipocrisia.

Questo discorso consiste specialmente di detti ripetuti in altre occasioni, e trovati quasi parola per parola in Matteo. Mentre il Signore era in casa del Fariseo, la moltitudine si era riunita fuori ad aspettarlo, ed egli uscì tutto pieno del discorso che avea pronunziato, ammonendo i suoi discepoli contro quel tratto del carattere dei Farisei che era più pericoloso per loro. Non è la prima volta che li avesse avvertiti a quel modo. Matteo 16:6-12 narra che, attraversando essi un giorno il lago, l'ipocrisia dei Farisei era stato il soggetto dei loro discorsi, e allora Gesù, accorgendosi di essere stato frainteso dai discepoli, si era spiegato molto chiaramente. Come il lievito vien nascosto nella massa sulla quale opera, eppure la travaglia tutta intera e irresistibilmente, così è della ipocrisia. «L'ipocrisia è di due specie: pretender di esser quel che non siamo, e nascondere quel che siamo. Benché sieno connesse al punto di confondersi spesso l'una nell'altra, è contro l'ultima di questo due forme che il Signore mette in guardia i suoi discepoli. Quando non si poteva confessare il suo nome che arrischiando riputazione, libertà, beni e la stessa vita, la tentazione di nascondere codardamente quello che erano dovea naturalmente essere molto forte, ed il Signore addita loro le conseguenze di un nascondimento così traditore e vigliacco» (Brown).

Ma io vi mostrerò chi dovete temere; temete Colui, il quale, dopo aver ucciso, ha la podestà di gittar nella geenna;

Il razionalismo e l'incredulità si dàn la mano per rigettare la dottrina delle pene eterne, chiamando la geenna un mito, di cui ridono gli spiriti forti; ma noi osserviamo che Colui che è la VERITÀ, che scese dal cielo, e che conosce il fine di tutte le cose sin dal loro principio, dichiara solennemente qui ed altrove che esiste un luogo di eterni castighi, e che il Dio santo e giusto vi manderà tutti quelli che fanno il male, vedi Note Luca 16:23-26. Lettore, quale di queste due testimonianze ti par più degna di fede? Solo il timore di Colui che è maggiore può scacciare efficacemente dal nostro cuore quello di colui che è minore, cioè di coloro le cui crudeltà e persecuzioni non possono colpir che la vita terrena.

PASSI PARALLELI

Luca 5:1,15; 6:17; Atti 21:20

2Re 7:17

1Corinzi 15:3; Giacomo 3:17

Matteo 16:6-12; Marco 8:15-21; 1Corinzi 5:7-8

Luca 12:56; 11:44; Giobbe 20:5; 27:8; 36:13; Isaia 33:14; Giacomo 3:17; 1Pietro 2:1

10 10. Ed a chiunque avrà detta alcuna parola contro al Figliuol dell'uomo sarà perdonato, ma a chi avrà bestemmiato contro allo Spirito Santo non sarà perdonato.

Per l'esposizione vedi Matteo 12:31-32. A quello che le nostre note di Matteo contengono su questo solenne soggetto, aggiungiamo la seguente osservazione di Oosterzee: «Il peccato contro lo Spirito Santo presuppone una conscia ed ostinata inimicizia contro a Dio, e contro alla pietà nel suo più sublime sviluppo. Paolo prima di essere convertito, bestemmiò contro al Figliuol di Dio e fu perdonato. Se avesse «ricalcitrato contro agli stimoli», e resistito con tutta la sua forza all'impressione che avea ricevuto sulla via di Damasco, egli avrebbe commesso il peccato imperdonabile».

PASSI PARALLELI

Luca 23:34; Matteo 12:31-32; Marco 3:28-29; 1Timoteo 1:13; Ebrei 6:4-8; 10:26-31

1Giovanni 5:16

13 Luca 12:13-34. AMMONIZIONI CONTRO LA CUPIDIGIA ILLUSTRATE DALLA PARABOLA DEL RICCO INSENSATO

13. Or alcuno della moltitudine gli disse: Maestro, di' a mio fratello che spartisca meco l'eredità.

Questo fatto e la parabola cui esso diè luogo non son ricordati che da Luca. Nel mezzo del suo solenne discorso, Cristo fu interrotto da un uomo d'infra la folla, il quale non dava retta alle sue parole, essendo unicamente preoccupato da un suo proprio gravame. Dal racconto non è chiaro se egli seguisse regolarmente Cristo come suo discepolo, almeno di nome, o gli fosse affatto estraneo. Lagnavasi perché a parer suo il patrimonio paterno non era stato egualmente diviso fra gli eredi, e domandava a Cristo di valersi della sua autorità e della sua influenza sopra il suo fratello, che era forse un discepolo, affinché le parti venissero rifatte secondo giustizia. Non sappiamo se la cupidigia fosse dalla parte del fratello accusato di aver preso più che la parte sua, o dalla parte di colui che presentava a Cristo questa domanda, il quale geloso della doppia porzione» data dalla legge al primogenito, desiderava avvantaggiarsi, mediante una divisione uguale del patrimonio. L'ammonizione contro la cupidigia, che si può in ambo i casi dedurre da questo fatto, sembra più particolarmente appropriata, se consideriamo il querelante come colpevole.

PASSI PARALLELI

Luca 6:45; Salmi 17:14; Ezechiele 33:31; Atti 8:18-19; 1Timoteo 6:5

14 14. Ma egli disse: O uomo, chi mi ha costituito sopra voi giudice, o spartitore?

Eran questi uffizii separati, tenuti rispettivamente da un giudice nominato per decidere tali dispute intorno alle proprietà, e da un uomo incaricato dal tribunale di vegliare alla esecuzione della sentenza. È probabile però che il più delle volte, la divisione venisse fatta da un consiglio di famiglia, o da un amico comune invitato a farla da spartitore. Il tempo fissato dalla Santa Provvidenza di Dio per rovesciare lo stato ed il governo giudaico non ora ancora venuto, e la missione di Cristo adunque non includeva intervenzione alcuna coi tribunali istituiti per far giustizia fra un uomo e l'altro. Dinanzi a Pilato, egli dichiarò: «Il mio regno non è di questo mondo» Giovanni 18:36, e, con perfetta fedeltà a questo principio, egli ricusò di intervenire in questo caso, come pure in quello della donna colta in adulterio Giovanni 8:2-11. Anche ora, benché Cristo sia il più grande di tutti i principi, ed il suo vangelo il più potente di tutti i regni, egli se ne serve per governar le menti e i cuori degli uomini; e se esercita una influenza su i loro beni, non è per intervento diretto, ma per mezzo del cuore e della mente. V'ha una certa somiglianza fra le parole qui usate da Cristo, e quelle dell'egizio che respingeva l'intervento di Mosè Esodo 11:14; ma non è questa una ragione per asserire, come fanno alcuni, che Gesù alluda quivi a quel fatto.

PASSI PARALLELI

Luca 5:20; 22:58; Romani 2:1,3; 9:20

Esodo 2:14; Giovanni 6:15; 8:11; 18:35-36

15 15. Poi disse loro:

(Non a quest'uomo, come alcuni propongono di leggere, poiché in tal caso, Gesù si sarebbe chiaramente costituito giudice fra lui e suo fratello). Poco importa quale dei due fratelli avesse ragione: tal quistione Gesù la lascia appieno e con intenzione nell'ombra, per attirar tutta, la nostra attenzione sul peccato della cupidigia. Ma non è meno probabile per questo, che il torto stava dalla parte del querelante, e che Gesù parlò direttamente alla sua coscienza quando esortò tutti ad aver gli occhi aperti su questo insidioso nemico ed a vegliare che non prenda possesso dei loro cuori.

Avvisate (nel Greco pregate) e guardatevi dall'avarizia;

da e significa il desiderio di aver più di quello cui abbiam diritto, o che la Provvidenza ci ha dato; è una brama insaziabile di accrescere le nostre possessioni o beni terreni, che già possediamo come la nostra felicità suprema. È questo un peccato molto degradante, che ispira in quelli, nei quali domina, una passione così assorbente da venir chiamata una «idolatria», e quelli che ne sono schiavi «idolatri», perché prende il posto di Dio; ed il tempo, gli affetti, le forze, il culto che Dio vuole per sé vengono dati a quest'idolo. «Mortificate adunque le vostre membra che son sopra la terra, fornicazione... ed avarizia che è idolatria» Colossesi 3:5; Efesini 5:5.

perciocché, benché alcuno abbondi, egli non ha però la vita per i suoi beni.

Queste parole dànno la ragione dell'ammonizione che precede. La costruzione del testo greco è difficile, ma il senso è perfettamente chiaro. La parabola che segue mostra chiaramente che dobbiamo, intendere la parola «vita», nel suo senso più esteso, come quella che abbraccia la futura e la presente esistenza dell'uomo, ed il significato di questa massima importante è il seguente: Quando un uomo abbonda, la sua vera vita, cioè la sua felicità, la sua beatitudine, non vien fuori dai suoi beni terreni, Quella sola è felicità che è sicura e durevole. Ma la vita terrena, dalla quale dipende il godere le ricchezze, può terminare da un'istante all'altro. In opposizione a questo, la chiusa della parabola ci fa brillare dinanzi agli occhi la vera vita, parlandoci di chi è «ricco in Dio», come di colui che gode una felicità permanente ed eterna.

PASSI PARALLELI

Luca 8:14; 16:14; 21:34; Giosuè 7:21; Giobbe 31:24-25; Salmi 10:3; 62:10; 119:36-37

Proverbi 23:4-5; 28:16; Geremia 6:13; 22:17-18; Michea 2:2; Habacuc 2:9; Marco 7:22

1Corinzi 5:10-11; 6:10; Efesini 5:3-5; Colossesi 3:5; 1Timoteo 6:7-10; 2Timoteo 3:2; Ebrei 13:5

2Pietro 2:3,14

Giobbe 2:4; Salmi 37:16; Proverbi 15:16; 16:16; Ecclesiaste 4:6-8; 5:10-16; Matteo 6:25-26

1Timoteo 6:6-8

16 16. Ed egli disse loro una parabola: Le possessioni d'un uomo ricco fruttarono copiosamente. 17. Ed egli ragionava tra se medesimo, dicendo: Che farò? conciossiaché io non abbia ove riporre i miei frutti. 18. Poi disse: questo farò; io disfarò i mie granai, e n'edificherò di maggiori; e quivi riporrò tutte le mie entrate e i miei beni.

L'uomo scelto da Gesù in questa parabola per servirci di ammonimento è di carattere rispettabile, niente ci fa credere che le ricchezze fossero state acquistate per oppressione, estorsione o frode. «Non limite perturbato, non spogliato paupere, non circmvento simplice» (Agostino). Il Signore sceglie il modo più innocente di arricchire; quest'uomo avea possessioni estesissime, era diligente nel coltivarle, e, colla benedizione di Dio, i suoi campi gli avean reso trenta, sessanta e cento. Ogni anno cresceva la sua fortuna, e nella stessa proporzione la sua avarizia. Il desiderio di averne sempre più, e la sollecitudine di conservarle divenne la passione dominante della sua vita. Differiva da un avaro ordinario solo in quanto trovava piacere a spendere per se stesso. La sua provvista di grano, frutta, vino ed olio, li abbraccia tutti quanti, era cresciuta a segno da metterlo nell'imbarazzo, per non sapere dove riporla tutta, perché già erano ripieni gli estesissimi suoi granai. Perciò, dopo aver preso consiglio con se stesso, decide di edificare nuovi magazzini, dove le crescenti sue ricchezze troverebbero posto per molti anni avvenire. Non par che si sia presentata alla sua mente l'idea che v'eran modi più piacevoli e migliori di mettere a profitto la sovrabbondante sua ricchezza; che molti erano i poveri nel suo vicinato, i quali lo avrebbero benedetto, se avesse diviso con loro quello che sopravanzava, e non avrebbero avuto la più piccola difficoltà nel farne uso. Si osservi quanto diversamente agiva Giobbe nei giorni della sua prosperità Giobbe 29:12-13. La parola greca per beni non è, né qui né al versetto Luca 12:19, qualche altra consimile, ma quasi ché, usando quella parola, Gesù intendesse descrivere ironicamente l'inesprimibile follia di quest'uomo, nel mettere il cuor suo a queste cose, scordando Iddio, il solo vero bene.

PASSI PARALLELI

Luca 12:21; 18:4,6; Salmi 17:14; Giacomo 3:15; 4:15

19 19. E dirò all'anima mia: Anima, tu hai molti beni, riposati per molti anni; quietati, mangia, bei, e godi.

Presa una tal risoluzione, questo ricco crede potersi dare liberamente al pieno godimento di quanto può procurargli la ricchezza terrena, e come risultato promette all'anima sua perfetta e durevole felicità. Il suo egoismo si tradisce nel mia, cinque volte ripetuto in questi versetti. Il piacere che si promette è puramente egoistico ed epicureo. «Mangiamo e beviamo, perciocché domani morremo». «Venite, dicono, io recherò del vino, e noi c'inebbrieremo di cervogia; e il giorno di domani sarà come questo, anzi vie più grande» 1Corinzi 15:32; Isaia 56:12. «Come i suoi piani di felicità non sorgono più in alto che il "satollar la carne", v'ha un'ironia non meno malinconica che profonda nel farlo parlare, non al suo corpo, ma all'anima sua, poiché questa, benché potesse avvilirsi nei più bassi servizi della carne, era pure capace di venire informata dallo Spirito divino, e di conoscere, di amare e di glorificare Iddio» (Trench).

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 6:11-12; 8:12-14; Giobbe 31:24-25; Salmi 49:5-13,18; 52:5-7; 62:10

Proverbi 18:11; 23:5; Isaia 5:8; Osea 12:8; Habacuc 1:16; Matteo 6:19-21; 1Timoteo 6:17

Giacomo 5:1-3

Giobbe 14:1; Proverbi 27:1; Giacomo 4:13-15

Luca 16:19; 21:34; Giobbe 21:11-13; Ecclesiaste 11:9; Isaia 5:11; 22:13; Amos 6:3-6

1Corinzi 15:32; Filippesi 3:19; 1Timoteo 5:6; 2Timoteo 3:4; Giacomo 5:5; 1Pietro 4:3; Apocalisse 18:7

20 20. Ma, Iddio gli disse: Stolto,

Come è terribile questo conciso giudizio pronunziato sopra una vita intera, dall'onnisciente Jehova: Stolto! Come son diversi i giudizii di Dio da quelli dell'uomo, riguardo a quel che costituisce la saviezza. Dio chiama quest'uomo stolto, il mondo lo loda come un modello di prudenza, di sagacità e di buona riuscita. Dopo molti anni di duro lavoro, il successo avea coronato i suoi sforzi; ma egli non avea l'intenzione di travagliarsi fino alla morte, come fanno tanti seguaci della fortuna. Deciso di godere negli ultimi anni di sua vita i frutti del suo lavoro, gli parve di aver fatto un progetto pieno di previdenza e di saviezza. Perché dunque chiamare stolto un uomo così prudente, così laborioso, così fortunato? Brown risponde molto bene:

«1. Perché considerava come la somma felicità una vita di godimenti terreni sicuri ed abbondanti.

2. Perché essendoseli acquistati, si lusingava di possederli per lunghi anni, e credeva perciò non aver altro da fare che a darvisi tutto intero. Questa è la sola accusa che venga mossa contro di lui».

questa stessa notte, l'anima tua ti sarà ridomandata;

Osserviamo le tre antitesi risultanti da questo versetto. Stolto in opposizione all'alto concetto che egli avea della propria saviezza; questa notte in contrasto coi molti anni che prometteva a se stesso; e quell'anima che egli considerava come sua proprietà, e che voleva accarezzare e far godere, ridomandata e ritolta. Quell'anima, per la quale egli formava piani così lussuriosi, non gli apparteneva. gli era stata prestata per un tempo dall'onnipotente Creatore, affinché ne facesse uso per la sua gloria; egli ne era responsabile a Dio, ed ora Iddio fa conoscere, in che modo non c'è detto che senza tempo per prepararsi, dietro avviso di un momento, questa notte, egli deve renderla a Colui che l'avea data. Il vocabolo greco sarà ridomandata, tradotto esattamente significa: essi domandano» il tempo presente essendo usato per indicar quanto fosse imminente l'esecuzione della sentenza, mentre la terza persona plurale essi deve probabilmente intendersi degli angoli vendicatori, dei ministri della giustizia, l'opposto degli angeli che portavano Lazaro nel seno di Abrahamo Luca 16:22. Questo richiama alla nostra memoria il giudizio finale, poiché «bisogni che noi tutti compariamo davanti al tribunale di Cristo, acciocché ciascuno riceva la propria retribuzione delle cose ch'egli avrà fatto nel corpo; secondo ch'egli avrà operato, o bene o male» 2Corinzi 5:10; ma il Signore non interrompe il suo discorso prima di averlo coronato colla solenne applicazione.

e di cui saranno le cose che tu hai apparecchiate?

Egli ha cessato per sempre di possederle; i proprietari di fortune colossali, non meno che il più povero mendicante, devon dire: «Io sono uscito ignudo dal ventre di mia madre, ignudo altresì ritornerò là» Giobbe 1:21. La follia di accumulare a quel modo delle ricchezze, affinché altri le possano scialacquare, è bene espressa nelle parole del Salmista: «Adunano beni, senza sapere chi li raccorrà» Salmi 39:7, ed in quelle di Salomone: «Ho enziandio odiata ogni fatica che io ho durata sotto il sole, la quale io lascerò a colui che sarà savio o stolto? e pure egli sarà signore d'ogni mia fatica» Ecclesiaste 2:18-19.

PASSI PARALLELI

Luca 16:22-23; Esodo 16:9-10; 1Samuele 25:36-38; 2Samuele 13:28-29; 1Re 16:9-10

Giobbe 20:20-23; 27:8; Salmi 73:19; 78:30; Daniele 5:1-6,25-30; Nahum 1:10

Matteo 24:48-51; 1Tessalonicesi 5:3

Luca 11:40; Geremia 17:11; Giacomo 4:14

Ester 5:11; 8:1-2; Giobbe 27:16-17; Salmi 39:6; 49:17-19; 52:5-7; Proverbi 11:4

Proverbi 28:8; Ecclesiaste 2:18-22; 5:14-16; Geremia 17:11; Daniele 5:28; 1Timoteo 6:7

21 21. Così avviene a chi fa tesoro a se stesso, e non è ricco In Dio.

Il Signore ci assicura che il ricco stolto è il tipo di chiunque in ogni età e paese vive solo per questo presente secolo malvagio, e spende il suo tempo, e la sua fatica per i propri fini egoistici, per il proprio piacere, per le ricchezze, per ottenere onori mondani. In una parola «avendo cura della carne a concupiscenza» Romani 13:14. Se continueremo a vivere solo per tali oggetti, periremo come lui. La proposizione in quest'ultima clausola, tradotta in Dio da Diodati, significa altresì verso, e può prendersi qui nei due sensi. Esser ricco in Dio, è aver Dio come nostro Padre, nostro amico, nostro aiuto quaggiù, e nostra porzione in eterno, in forza del patto che ha fatto con noi in Cristo; e quelli che vivono in intima comunione con lui, osservando le cose da lui istituite, sono ricchi davvero. La morte, invece di spogliar tali persone delle loro ricchezze, le mette in possesso di «un soprammodo eccellente peso eterno di gloria» 2Corinzi 4:17. Esser ricco verso Dio, gli è abbondare in fede, in saviezza, in tutte le grazie dello Spirito, in zelo per la conversione delle anime che periscono, e l'avanzamento del regno di Dio, in opere di benevolenza e di misericordia verso i nostri simili, in una parola esser «compiuti in ogni buona opera per far la volontà di Dio» Ebrei 13:21. Quelli soli che son ricchi in Dio, mediante la gloriosa sua grazia, possono esser ricchi verso Dio, dedicandogli la loro vita.

PASSI PARALLELI

Luca 12:33; 6:24; Osea 10:1; Habacuc 2:9; Matteo 6:19-20; Romani 2:5; 1Timoteo 6:19; Giacomo 5:1-3

Luca 16:11; 2Corinzi 6:10; 1Timoteo 6:18-19; Giacomo 2:5; Apocalisse 2:9

RIFLESSIONI

1. Il rifiuto del Signore di occuparsi, come giudice, delle cose di questa vita, contiene una lezione importantissima per tutti i ministri della religione. La loro influenza nelle cose esterne della vita sarà grandissima, se verrà usata indirettamente, ma se si occupano direttamente di cose Secolari e politiche, corrono il rischio di perderla affatto, perché sotto qualunque partito si schierino, gli avversarii di quello inchineranno a considerarli come nemici. Hanno il diritto di esercitare i loro privilegi politici, come cittadini dello stato, ma questo essi posson fare senza trasmutarsi essi stessi in capi di partiti politici. Dimorando così nella loro sfera saranno rispettati da tutti, e spesso potranno attutire le ire, e riconciliare gli interessi contrarii.

2. In che modo terribilmente vero, Gesù descrive in questa parabola la follia della mondanità. Ci fa vedere quell'uomo che fa dei piani intorno ai suoi beni, come se fosso padrone della propria vita, ed avesse sol da dire "voglio questa cosa", perché venga fatta. Quindi voltato il quadro, ci presenta Iddio che ridomanda, all'improvviso, l'anima di quel mondano e gli chiede «di cui saranno le cose, che tu hai apparecchiate?» È cosa solenne il pensare che il carattere delineato da Gesù in quella parabola non è punto raro. Migliaia di uomini in ogni età han fatto quello che vien qui condannato, e migliaia continuano a farlo. Si fan tesori in terra, ad altro non pensando che ad accrescerli, quasiché li dovessero godere per sempre, e non ci fosse né morte, né giudizio, né vita avvenire. E questi son gli uomini che vengon chiamati abili, prudenti, savi, che son lodati, adulati e proposti all'ammirazione universale! Ma «il Signor non riguarda a ciò a che l'uomo riguarda», poiché egli chiama tali uomini STOLTI! Gli uomini sono propensi a invidiare i ricchi; preghiamo piuttosto per essi, poiché le loro anime versano in grave pericolo.

3. Come è bestiale e indegno di un uomo, il confortar l'anima sua, come fece costui coll'abbondanza di cose terrene, invitandola «a mangiare, e bere e godere». Oimè! l'anima non può mangiare, bere e godere le cose carnali, più che il corpo possa cibarsi di cose spirituali ed immateriali. Essa non può nutrirsi del pane che perisce; ma la si porti a contatto con un Dio riconciliato in Cristo col patto della grazia, colle dolci promesse dell'evangelo, colle gioie e colle consolazioni dello Spirito Santo, ed essa ne farà un ricco banchetto. Le cose spirituali sole sono il cibo che conviene ad anime spirituali, epperciò quell'uomo ben si meritò l'appellativo di stolto, quando disse: «Anima, tu hai molti beni, riposati per molti anni; quietati, mangia, bei, e godi».

22 Luca 12:22-34. AMMONIZIONI ED INCORAGGIAMENTI CONTRO LA SOVERCHIA SOLLECITUDINE PER LE COSE NECESSARIE ALLA VITA Matteo 6:25-34

Per l'esposizione, Vedi Matteo 6:25-34.

22. Poi disse a' suoi discepoli: Perciò, io vi dico: Non siate solleciti per la vita vostra, che mangerete; né per lo corpo vostro, di che sarete vestiti.

Dopo aver condannato la cupidigia, ossia la sete di beni temporali, il Signore si accinge con bontà a dissipare l'ansietà naturale dei discepoli, i quali vivevano precariamente, relativamente al futuro loro sostentamento, accertandoli che essi saranno sempre oggetto di cure speciali per parte del loro Padre celeste. Questo ci fa ripetendo, con alcune variazioni di poca importanza, una porzione del sermone in sul Monte Matteo 6:25-34. Egli appoggia la sua esortazione alla fiducia filiale nella onnipotenza e nella provvidenza di Dio su tre considerazioni:

l. la cura che Dio si prende delle piante, rivestendo i gigli del campo di risplendente bellezza.

2. quella che stendo sulle creature inferiori, poiché provvede al nutrimento degli uccelli dell'aria.

3. quella che ha di essi stessi, non dipendendo dal proprio loro volere, ma dalla cura benigna di Dio, la crescenza del loro corpo; e se egli così si dà pensiero delle cose minori, quanto più se ne darà egli delle più importanti, come il sostentamento e la conservazione delle loro vite?

Il dovere loro adunque, è di cercare il regno di Dio, e se così fanno, Gesù li accerta che Dio avrà cura dei loro interessi temporali, e provvederà ad ogni loro bisogno.

PASSI PARALLELI

Luca 12:29; Matteo 6:25-34; 1Corinzi 7:32; Filippesi 4:6; Ebrei 13:5

29 29. ...e non ne state sospesi.

Il vocabolo greco alzare in alto, viene impiegato in sensi molto varii dagli scrittori classici, e si dice in particolare di una nave alternativamente inalzata e abbassata dai flutti; applicato qui ai discepoli, proibisce loro di essere sempre fluttuanti fra la speranza ed il timore, ossia di vivere in dolorosa incertezza relativamente al loro pane quotidiano.

PASSI PARALLELI

Luca 12:22; 10:7-8; 22:35; Matteo 6:31

32 32. Non temere, o piccola greggia;

Doppio diminutivo che abbraccia non solo la compagnia degli Apostoli, ma la Chiesa degli eletti di Dio in ogni età, in opposizione agli uomini del mondo.

perciocché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno.

L'espressione applicata a Dio è piena di enfasi e di significato. Essa include due idee, scopo e beneplacito, in altre parole c'insegna che non solo è intenzione di Dio il dare il regno alla greggia di Cristo, ma pure che egli si diletta nel farlo. Il commento più soddisfacente di queste parole si trova in un'altra dichiarazione di Cristo, laddove egli parla pure dei credenti come della sua greggia Giovanni 10:27-29. Il regno di Dio in questo versetto include le benedizioni del vangelo quaggiù, e più tardi nel cielo; le prime essi già le posseggono; più tardi essi crederanno «il regno che è stato preparato per loro fino dalla fondazione del mondo» Matteo 25:34. La loro salvezza finale è assicurata!

PASSI PARALLELI

Cantici 1:7-8; Isaia 40:11; 41:14

Isaia 53:6; Matteo 7:15; 18:12-14; 20:16; Giovanni 10:26-30

Luca 10:21; Matteo 11:25-27; Efesini 1:5-9; Filippesi 2:13; 2Tessalonicesi 1:11

Geremia 3:19; Matteo 25:34; Giovanni 18:36; Romani 6:23; 8:28-32; 2Tessalonicesi 1:5; Ebrei 12:28

Giacomo 2:5; 1Pietro 1:3-5; 2Pietro 1:11; Apocalisse 1:6; 22:5

33 33. vendete a vostri beni, e fatene limosina; fatevi delle borse che non invecchiano ecc.

Pretendono alcuni scoprire in queste parole «la salvazione mediante il valore meritorio della povertà volontaria e delle elemosine», ma questa nozione assurda è confutata appieno dal fatto che quelli cui è rivolta l'esortazione di vendere i loro beni e di darli ai poveri sono già stati accertati della loro salute, quali membri della piccola greggia, cui è piaciuto al Padre di dare il regno. Questa ingiunzione non è che la ripetizione, sotto forma più viva, di quanto è detto negativamente in Matteo 6:19. Lì abbiamo la proibizione: «non fate tesori», qui l'ordine: «vendete i vostri beni», e la prima spiega il secondo. Vien loro qui ingiunto di coltivare una disposizione generosa, invece di inclinazioni cupido, di dare ai poveri e bisognosi della «loro profonda povertà» 2Corinzi 13:5 - molto più del loro superfluo, anziché serbare il poco che sopravanzava loro per il giorno della fame, ricordandosi che «chi dona al povero presta al Signore, ed egli gli farà la sua retribuzione» Proverbi 19:17. Questo il modo migliore di mettere a frutto le ricchezze di questo mondo. Non è qui comandato al cristiano di vendere, alla lettera, tutto quanto possiede. Nel trasporto di gioia, riconoscenza ed amore prodotto dalla effusione dello Spirito alla Pentecoste, lo si fece per qualche tempo, per provvedere alle necessità dei credenti poveri in Gerusalemme; ma non appena la Chiesa fu organizzata, tal sistema cadde in disuso e non troviamo indizio alcuno di una simile usanza fra le Chiese di origine Gentile 1Corinzi 7:30.

35 Luca 12:35-48. LA VIGILANZA RACCOMANDATA A MOTIVO DELLA CERTEZZA DEL RITORNO DEL SIGNORE, E DELLE RICOMPENSE CHE EGLI RECHERÀ CON SÉ Matteo 24:42-51

Le ricompense che spettano ai servitori fedeli, Luca 12:35-40

35. I vostri lombi sien cinti,

Essendo già preparato il regno per «la piccola greggia» Gesù li esorta ora a star sempre pronti a prenderne possesso, lasciando da banda ogni impedimento. Di questa preparazione, egli dà esempi tolti dalla loro vita giornaliera. Gli Orientali vestono una lunga tunica o toga stretta che giunge fino alla noce del piede, e su quella una veste più larga, della medesima lunghezza; ma per correre, per fare un lungo viaggio, o per lavorare nei campi, bisogna raccoglierne i lembi intorno alla vita e legarveli fermamente con una cintura, perché non impediscano la libertà dei loro movimenti. E come i Giudei preparavano i loro corpi in questo modo pel giornaliero lavoro, così doveano i credenti tener i cuori e gli affetti sempre parati al servizio del Signore.

e le vostre lampane accese. 36. E voi, state simili a coloro che aspettano il lor signore, quando egli ritornerà dalle nozze; acciocché, quando egli verrà, e picchierà, subito gli aprano.

L'altro paragone famigliare col quale Gesù descrive la vigilanza, è quello di tener le lor lampane in buon assetto e piene d'olio, per poter bruciar tutta la notte, sia che aspettino un corteo nuziale lungo la via, o il ritorno a casa del loro padrone che è andato a qualche festa di nozze. Le parole del ver. 36 mostrano che quest'ultima era l'idea che Gesù voleva esprimere. Non parla delle nozze del padrone, perché l'esortazione di tener le lampade pronte, la notte in cui egli dovea condurre a casa sua la sposa, doveva essere affatto superflua. Non è, come suppone Oostorzee, che Gesù rappresenti se stesso, come «celebrante le sue nozze in cielo, circondato da convitati e da amici, per tornar quindi alla sua dimora dopo la cena nuziale, affin di incoronar di gioia e di onore i servi suoi fedeli», perché allo sposalizio dell'Agnello e della sua sposa, la terra attuale sarà passata, e i servi fedeli saranno incorporati colla sposa celeste, partecipando a tutto le sue glorie, a tutti i suoi onori. Tralasciando ogni questione del tempo, in cui la Chiesa intera si alzerà al grido: «Lo sposo viene», il Signore sceglie come esempio di vigilanza la condotta dei servi di un padrone qualunque, il quale essendo stato invitato ad una festa da nozze, non poteva tornare a casa che a notte inoltrata. Invece di sdraiarsi in terra, avvolti nelle loro lunghe toghe per dormire, finché non picchiasse il padrone (lusingandosi colla speranza di svegliarsi al minimo rumore), questi fedeli servitori vegliano con costanza, uscendo di tanto in tanto per ispiare il rumore dei suoi passi, e non appena ha egli picchiato alla porta, vien questa spalancata per lasciarlo entrare. Simil prontezza e vigilanza richiede Cristo dai suoi in ogni età, perché egli pure verrà, a suo tempo, a picchiare all'uscio di ciascuno di noi. Non dobbiamo escludere da questa venuta, il giudizio della provvidenza di Dio, nella distruzione di Gerusalemme, poiché era, su questo che Gesù voleva primieramente attrarre l'attenzione dei suoi uditori, né la manifestazione spirituale del suo potere reale nel periodo del millennio, per mezzo di una più abbondante manifestazione dello Spirito Santo; ma al tempo stesso lo si deve intendere in un senso così esteso da renderlo applicabile a tutte le persone, in tutte le età. L'interpretazione ordinaria, e senza dubbio la vera, consiste a dire che la venuta del Signore accade in via provvidenziale, alla morte di ciascun individuo, ed accadrà in modo letterale, personale e visibile al giorno del giudizio.

PASSI PARALLELI

1Re 18:46; Proverbi 31:17; Isaia 5:27; 11:5; Efesini 6:14; 1Pietro 1:13

Matteo 5:16; 25:1,4-10; Filippesi 2:15

37 37. Beati que' servitori, i quali il Signore troverà vegghiando, quando egli verrà. Io vi dico in verità, ch'egli si cignerà, e li farà mettere a tavola, ed egli stesso verrà a servirli.

L'approvazione del Padrone non si limita a mere parole di lode, si dimostra nell'accordare ai suoi servi fedeli i più alti onori; egli muta posto con loro, li fa sedere ad un banchetto, si avvicina ad ognuno in turno, che questo può significare la parola e gioisce di servirli. Si paragoni con questo il passo in cui Gesù lava i piedi dei suoi discepoli Giovanni 13:1-10, il che era un simbolo dell'onore qui predetto. Questa promessa di servire egli stesso ai suoi servitori, è una delle più maravigliose fatte al credente nel Nuovo Testamento, e contiene il più grande e il più alto segno di onore. Il significato ne è evidentemente non esservi grado di onore e di gloria, che il Signor Gesù non sia disposto a concedere a quelli che troverà aspettandolo al suo ritorno in terra. Così egli riceverà, e servirà ed onorerà in cielo tutti i fedeli suoi servitori. «L'Agnello che è in mezzo del trono li pasturerà» Apocalisse 7:17.

PASSI PARALLELI

Luca 12:43; 21:36; Matteo 24:45-47; 25:20-23; Filippesi 1:21,23; 2Timoteo 4:7-8; 1Pietro 5:1-4

2Pietro 1:11; 3:14; Apocalisse 14:13

Isaia 62:5; Geremia 32:41; Sofonia 3:17; Giovanni 12:26; 13:4-5; 1Corinzi 2:9; Apocalisse 3:21

Apocalisse 7:17; 14:3-4

38 38. E, s'egli viene nella seconda vigilia, o nella terza, e la trova in questo stato, beati que' servitori.

I Giudei, come i Greci ed i Romani, dividevano la notte in veglie militari, invece di ore, ogni vigilia essendo il tempo durante il quale le sentinelle e, i picchetti restavano di guardia. Originalmente i Giudei avevan tre vigilie solamente, cioè rash ashmurot, «il principio delle vegghie» Lamentazioni 2:19, che durava dal tramonto alle dieci pom. «ashmoret atikuna, vegghia della mezza notte» Giudici 7:19, dalle 10 pom. alle 2 ant.; e ashmoret boker, «la vegghia della mattina» Esodo 14:24; 1Samuele 11:11, dalle 2 ant. al levar del sole. Più tardi però i Giudei adottarono l'uso romano, dividendo la notte in quattro vigilie, le quali erano chiamate o secondo il loro ordine numerico, come in questo passo, ed in Matteo 14:25 (dove è mentovata la quarta vigilia), o dalle appellazioni: la sera, la mezzanotte, il cantar del gallo e la mattina Marco 13:35. Calcolando che la notte principii alle 6 pom., la seconda vigilia sarebbe dalle 9 alle 12, la terza dalla mezzanotte alle 3 ant. Il senso di questo versetto è che non importa se il Signore torni presto o tardi, i servi devono sempre essere all'erta per aspettar la sua venuta, e quelli che saran trovati così al suo ritorno, egli li ricompenserà con abbondanti benedizioni.

PASSI PARALLELI

Matteo 25:6; 1Tessalonicesi 5:4-5

39 39. or sappiate questo, che, ne il padron della casa sapesse a qual ora il ladro verrà, egli veglierebbe, e non si lascerebbe sconficcar la casa. 40. Ancora voi dunque siate presti; perciocché, nell'ora che voi non pensate, il Figliuol dell'uomo verrà.

Per l'esposizione vedi note Matteo 24:42-44.

Lungi dall'essere una interpolazione, come lo suppone Schieiermacher, questi versetti stanno in intima connessione coi precedenti. Contengono un altro potente argomento per la vigilanza, basato sulla incertezza del tempo in cui il Signore ritornerà. «Ben sapete», dice egli, «che se il padrone di casa sapesse a qual'ora il ladro intende entrar per effrazione nella casa sua, starebbe così bene in guardia da rendere inutile il suo tentativo; egli è solo quando il padrone è trascurato, o si crede al sicuro e si occupa di altro cose, che il ladro può riuscir nel suo intento. Siccome dunque egli è impossibile dire a qual ora egli verrà non c'è altra sicurezza che di star sempre all'erta». La forza di questa parabola non istà in quel che il ladro abbia rubato (benché alcuni scrittori dieno molta importanza a questo), ma nel suo entrare in modo subitaneo e senza far rumore alcuno, quando tutti quelli di casa giacciono sepolti nel sonno. L'insegnamento della parabola è chiaro e distinto: Il padron di casa sarebbe naturalmente ben contento di saper in che ora comparirà il ladro, perché si terrebbe allora pronto a riceverlo; ma siccome questo è impossibile, egli deve vegliare del continuo. Quindi segue l'applicazione: Fate ciascun di voi per se stesso quel che fa quel padron di casa: Vigghiate! «Ancora voi, adunque, siate presti, perciocché nell'ora che voi non pensate, il Figliuol dell'uomo verrà». Come il giorno del giudizio finale sorprenderà il mondo in generale, così nel caso degli individui, il giorno della loro partenza da questa vita è non di rado una cosa subitanea, e troppo spesso giunge come una sorpresa fatale. Il ladro della parabola è figura del Signore stesso nel modo della sua venuta, come egli dichiara in modo anche più esplicito in due passi dell'Apocalisse 3:3; 16:15. Questa figura sembra aver fatto una profonda impressione sui discepoli, poiché Paolo e Pietro vi fanno allusione nei loro scritti 1Tessalonicesi 5:2; 2Pietro 3:10. Mirabili son qui le parole di Godet: «Questa figura indica il vero senso del dovere dell'aspettazione della seconda venuta di Cristo. Non è compito della Chiesa il fissare anticipatamente quel tempo, quel momento indeterminabile; essa non ha altro da fare, in ragione di quella stessa sua ignoranza, dalla quale non deve neppur desiderar di venir fuori, che di starsene incessantemente nell'aspettazione».

PASSI PARALLELI

Matteo 24:43-44; 1Tessalonicesi 5:2-3; 2Pietro 3:10; Apocalisse 3:3; 16:15

Luca 21:34-36; Matteo 24:42,44; 25:13; Marco 13:33-36; Romani 13:11,14; 1Tessalonicesi 5:6

2Pietro 3:12-14; Apocalisse 19:7

41 

I due economi Luca 12:41-48

Per l'esposizione vedi Matteo 24:45-51.

41. E Pietro gli disse: Signore, dici tu a noi questa parabola, ovvero anche a tutti?

Riferendoci la conversazione del Signore, dopo la partenza del giovane ricco Matteo 19:27, ci dice che Pietro, mettendo in opposizione la condotta di questi con quella dei dodici, i quali aveano «abbandonato ogni cosa, per seguir Gesù», domandò al Signore: «Che ne avrem dunque?» aspettando evidentemente onori e ricompense sostanziali. L'onore che il Maestro, nei versetti precedenti promette di dare nel santuario celeste ai suoi vigili e fedeli servitori, svegliò probabilmente in lui consimili aspettazioni, e preoccupò i suoi pensieri. Egli non dubita punto che il suo divino Maestro abbia in vista i suoi Apostoli, nel pronunziar le parole del ver. 37, ma vuol sapere se quella bella promessa è comune all'universalità dei credenti, ovvero è eredità speciale dei dodici, indi la sua domanda. Gesù avrebbe potuto rispondere categoricamente che tali onori erano destinati a tutti i suoi santi, in proporzione della loro abnegazione ed attività nelle loro varie sfere di lavoro, ma preferisce lasciar che la risposta esca dalla coscienza stessa di Pietro, e da quella di tutti gli astanti perciò domanda: «Qual'è quel dispensator leale ed avveduto?» «La coscienza rende essa ad ognuno di voi la testimonianza che tali qualificazioni ai trovano in voi?» Siete così accecati da non comprendere che chiunque sarà fedele, vigilante e laborioso nell'opera del mio regno, e nel nutrire con cibo spirituale le anime dei suoi conservi, affidati alla sua cura, è un tal dispensatore, qualunque siasi il suo rango nella Chiesa di Dio?» Qual colpo è questo all'orgoglio della successione apostolica come esso si sviluppa oggidì! L'ordinazione episcopale, la trasmissione del potere apostolico, mediante una catena non interrotta sin dai giorni della Chiesa primitiva, ci vengon presentate come le sole cose necessarie a costituire un servitore di Cristo, appieno fornito per l'opera sua; ma Cristo ignora affatto simili qualificazioni, e ne dà qui altre che tutti possono acquistare. L'uffizio apostolico, era per la stessa sua condizione Atti 1:21-22 eccezionale e temporaneo nella Chiesa, e non c'è nulla nei versetti 42-44 che indichi che l'apostolato dovesse venir continuato fino al ritorno di Cristo, benché in essi sia fortemente e fuor di dubbio stabilito il ministero della parola (che includeva gli Apostoli), come quello che dovea durare fino alla fine del mondo. economo o dispensatore, era un mediatore fra il maestro di casa e i suoi servi, incaricato, come Eliezer in casa di Abrahamo, e Giuseppe in quella di Potifarre, di sorvegliar tutta la servitù. Fra i Greci ed i Romani un tale uffizio veniva spesso dato a qualche schiavo degno di fiducia, cui non di rado si accordava la libertà in ricompensa di lunghi e fedeli servizii.

PASSI PARALLELI

Matteo 24:43-44; 1Tessalonicesi 5:2-3; 2Pietro 3:10; Apocalisse 3:3; 16:15

46 46. Il Signore di quel servitore verrà... e lo riciderà ecc.

La Dichotomia era un castigo ben noto nell'Oriente. I discepoli non dovevano esser sorpresi di udirlo mentovato; ma alcuni credono che non lo si debba prender qui letteralmente, perché il Signore parla di questo servo, come essendo tuttor vivente, anche dopo questa punizione. È stato consigliato di interpretar quella parola nel senso di: «separato», «tolto d'infra i suoi conservi», e mandato in prigione o a lavorar nelle miniere. È dover nostro indicare questa interpretazione benché non la possiamo ammettere; poiché l'esser riciso, e messo nel numero degli infedeli, sono espressioni che descrivono le pene eterne Matteo 13:50; Apocalisse 19:20.

PASSI PARALLELI

Luca 12:19-20,40; Apocalisse 16:15

Salmi 37:9; 94:14

Giobbe 20:29; Salmi 11:5; Matteo 7:22-23; 13:41-42,49-50

Matteo 24:51

47 47. or il servitore che ha saputo la volontà del suo Signore, e non si è disposto a far secondo la volontà d'esso, sarà battuto di molte battiture. 48. Ma colui che non l'ha saputo, se fa cose degne di battitura, sarà battuto di poche battiture;

In questo e nel seguente versetto, Luca riferisce, relativamente al malvagio servitore, una parte del discorso di Gesù che non è ricordata da Matteo. Essa si occupa del grado di punizione che gli verrà inflitta, quando il Signore sarà tornato, e gli avrà assegnato «la sua parte cogli infedeli». infedeli, in questo versetto, non è un mero equivalente di Matteo 24:51, o di servi indegni di fiducia; ma introduce una classe peggiore, della cui salvezza non c'è speranza alcuna, perché non hanno mai creduto, e la cui eterna distruzione è espressa figurativamente coll'esser «gittati nelle tenebre di fuori, ove sarà il pianto e lo stridor dei denti» Matteo 8:12. Come in cielo sono riserbati ai santi gradi maggiori o minori di beatitudine e di gloria 1Corinzi 15:41-42, così per quelli che verranno rinchiusi per tutta la eternità nella prigione della geenna, la scala delle pene sarà proporzionata alle circostanze delle colpe di ciascuno. Queste circostanze son qui enumerate: conoscere la volontà del Padrone e non farla, e far cose che meritano punizione, in ignoranza della volontà del Padrone. Tale ignoranza deve intendersi della conoscenza diretta della volontà di Dio; ma anche quella non li salverà dalla punizione, solo scemerà l'intensità del castigo che il giusto Giudice pronunzierà su di loro all'ultimo, giorno; perché da Romani 2:12-16 sappiamo che anche fra i pagani vi era sufficiente, conoscenza della volontà di Dio, così per la coscienza come per la luce di natura, da renderli inescusabili e da sottoporli a giudizio per le loro trasgressioni. I servi infedeli non sono qui solamente i ministri di Cristo, i quali, per pigrizia, ambizione o vizio trascurano la volontà del Padrone, che ha loro comandato di cercar le anime, e di fortificar la sua Chiesa; ma pure uomini di ogni rango che han ricevuto da Dio uffizio e dignità, come Apocalisse, Magistrati, Legislatori, Maestri, Genitori, Padroni di officine, i quali deliberatamente trascurano, nelle varie loro sfere di influenza, di far la sua volontà. Questi saranno battuti di molte battiture. Quel servo, al contrario, le cui azioni malvagie e la cui trascuranza del proprio dovere nacquero dal non essere egli esattamente informato della volontà del Padrone, sarà battuto di meno battiture. Fuvvi un tempo in cui le Scritture non erano tradotte nella lingua di molti popoli, quando pochi erano i pastori ed i dottori, ed allora ben potevasi mettere avanti la ignoranza della volontà di Dio, in attenuazione del castigo Atti 17:30; ma ora non può il peccatore derivare da questa dichiarazione, un incoraggiamento a peccare, poiché il fatto solo che egli conosce questo passo lo esclude da ogni esenzione. Possiamo facilmente comprendere quanto la sorte di uno che perisce dopo aver goduto i più alti privilegi, e la chiara conoscenza della volontà di Dio, deve esser più terribile di quella di chi è stato meno privilegiato di lui. Il genere di pena qui mentovato, battiture, era sanzionato dalla legge di Mosè, e veniva ordinariamente inflitta dai Giudei ai malfattori. Quaranta battiture meno una (equivalenti alle «molte» di questo passo) eran date per le offese più gravi, siccome quelle che meritavano tutti i rigori della legge, ma delitti minori venivano puniti meno severamente Deuteronomio 25:2-3.

ed a chiunque è stato dato assai, sarà ridomandato assai; ed appo cui è stato messo assai in deposito, da lui ancora sarà tanto più richiesto.

Queste parole contengono la massima, sulla quale riposano le procedenti esortazioni, vale a dire che la nostra responsabilità, cresce coi talenti che ci sono affidati, ed al giorno del giudizio l'ammontar di questi e l'uso che ne avrem fatto, determinerà la grandezza del nostro castigo, o della nostra ricompensa. Ma c'insegnano di più, che quando ci vien detto dover gli uomini esser giudicati secondo «i loro fatti» Matteo 16:27, Romani 11:16, dobbiamo intendere, non già i fatti in astratto, ma i principii e le circostanze tutte secondo cui vennero compiuti. Il secondo assai, in questa clausola, non significa semplicemente il rendere il già ricevuto in origine, ma un'addizione a quello; una somma di servizio e di diligenza proporzionata a quello, come 10 per 5, e 4 invece di 2 nella parabola dei talenti Matteo 25:15-16.

PASSI PARALLELI

Luca 10:12-15; Numeri 15:30-31; Matteo 11:22-24; Giovanni 9:41; 12:48; 15:22-24; 19:11

Atti 17:30; 2Corinzi 2:15-16; Giacomo 4:17

Deuteronomio 25:2-3

Levitico 5:17; Atti 17:30; Romani 2:12-16; 1Timoteo 1:13

Luca 16:2,10-12; Genesi 39:8-23; Matteo 25:14-29; Giovanni 15:22; 1Corinzi 9:17-18

1Timoteo 1:11,13; 6:20; Tito 1:3; Giacomo 3:1

RIFLESSIONI

1. È evidente che la parabola degli economi fedele ed infedele si applica in modo speciale ai predicatori del vangelo, i quali trovandosi in una situazione di maggior responsabilità di altri, sono altresì esposti a maggiori pericoli. Hanno gran bisogno di portar sempre quella responsabilità con loro. «Se Satana rovina le anime degli uomini, egli ne risponderà solo come omicida, non come ministro, cui è stata affidata la cura delle anime. Ma se il dispensatore non provvede, se il pastore non pasce, se la vedetta non dà il grido d'allarme, dovranno rispondere, non solo per le anime perdute ma, pure per il trascurato ministero, per il talento nascosto, per l'amministrazione infedelmente tenuta. Guai a noi se all'ultimo giorno udremo anime disperate lagnarsi di noi dinanzi a Dio, ed accusarci dicendo: "Signore, i nostri dispensatori ci hanno frodati, le nostre sentinelle ci hanno traditi, le nostre guide ci hanno condotti sulla falsa via"» (Burkitt).

2. Questi versetti contengono un'altra lezione alla quale tutti i Cristiani faranno bene di dare ascolto. Quello per cui l'economo fedele fu lodato e ricompensato (e per la trascuranza di cui l'altro venne condannato) fu il lavorar diligentemente nella sfera in cui lo ha posto Iddio. Ad ogni credente è assegnata una sfera nella quale egli deve lavorare per il suo Signore, ovvero meritar la condanna minacciata all'economo infedele; ma i più mettono quel peso sulle spalle dei loro ministri, quasiché il dovere di aver cura delle anime, di promuovere il benessere religioso e morale della società, di far progredire la causa di Cristo, a questi appartenesse unicamente. Quando un tal dovere vien raccomandato all'attenzione di quelli che si contentano di mere professioni di amore a Cristo o di simpatia per le opere filantropiche, non è raro udir tali persone dichiarare che il parlare di «lavorare», di «fare» è un ritornare alla legge, un ricondurre i cristiani in ischiavitù. Ma questo linguaggio è frutto di ignoranza o di perversità. La lezione che ci sta dinanzi non tratta della giustificazione, ma della santificazione, non della fede; ma della santità. La quistione non è: che cosa deve far l'uomo per essere salvato? bensì: che cosa dove far l'uomo che già è salvato per testimoniare il suo amore a Colui che l'ha redento? L'insegnamento della Scrittura su questo punto è chiaro ed esplicito, deve «aver cura d'attendere a buone opere» Tito 3:8. Così facendo imitiamo Cristo, il quale «andò attorno facendo benefici» Atti 10:38. Così facendo imitiamo pure gli apostoli: «La mia propria vita non mi è cara, appresso all'adempiere con allegrezza il mio corso, ed il ministero, il quale io ho ricevuto dal Signor Gesù» Atti 20:24. Così facendo glorifichiamo Iddio: «In questo è glorificato il Padre mio che voi portiate molto frutto» Giovanni 15:8.

3. La conoscenza del nostro dovere aggrava il nostro peccato, se lo trascuriamo. Giusta Sarà la sentenza di Dio nell'infliggere maggior castigo sul servo che conobbe la volontà del suo padrone per aver fatto cattivo uso dei mezzi di istruzione a lui concessi, poiché il peccato contro conoscenza arguisce un grado maggiore di perversità e di disprezzo di Dio. A quelli che hanno facoltà mentali più potenti, conoscenze più estese, maggior famigliarità colle Scritture è stato dato molto, e verrà richiesto in proporzione.

49 Luca 12:49-59. DIVISIONI PRODOTTE DALL'INTRODUZIONE DELLA VITA SPIRITUALE MEDIANTE L'EVANGELO. DEL DISCERNERE I SEGNI DEI TEMPI Matteo 10:34-36; 16:2-3

Per la esposizione vedi le note su ambo quei passi.

49. Io son venuto a mettere il fuoco in terra;

C'è gran diversità d'opinione fra gli scrittori relativamente alla parola fuoco, in questo versetto. Le sono stati dati i sensi seguenti: La parola di Dio; la predicazione del Vangelo; l'amore; lo Spirito Santo; e le persecuzioni, afflizioni e lotte che dovevano accompagnare l'introduzione del vangelo in terra. Praticamente però i primi quattro sono assai vicini in quanto al loro senso, e dal loro punto di vista il «fuoco» deve essere considerato come una benedizione che Cristo concede. Secondo l'ultimo mentovato di quei sensi, esso sarebbe invece una prova, un conflitto che «i nati di nuovo» devono sopportare per parte di quelli che son di mente carnale, per il loro odio all'evangelo. È questo il senso dato più frequentemente a questa parola dai commentatori, nel qual caso la «discordia» di ver. 51; è una mera ripetizione della stessa idea, il che noi non possiamo accettare. Il fuoco di questo versetto, lungi dall'essere sinonimo di divisione, ver. 51, e la spada di Matteo 10:34, è evidentemente impiegato qui dal Salvatore come la causa accidentale che produce gli altri due. Lo scopo della venuta di Cristo in sulla terra, delle sue sofferenze e della sua morte era interamente misericordioso ed amorevole. Egli è venuto, acciocché gli uomini «abbiano vita ed abbondino» Giovanni 10:10. Il fuoco deve dunque esser qui la vita, sia il dono dello Spirito o quella vita spirituale, la quale, mediante la predicazione di un Salvatore crocifisso, egli dovea impiantar nel cuore di quelli che erano tuttora nemici di Dio. Il pieno effetto di questo fuoco celeste i dodici stessi non lo avevano ancora sperimentato, né lo potevano sperimentare fino alla Pentecoste; ma dopo quel gran giorno, esso dovea riscaldare e vivificare i cuori di moltitudini senza numero.

e che voglio, se già è acceso?

Nel greco lo stile di questa frase è rotto e conciso, ed il senso preciso ha, dato molto da fare ai commentatori, benché sia ovvio il significato generale del discorso. Ewald: "E perché mi lagnerei io, se è già acceso?" Schulemacher: "Che posso io desiderar di più, quantunque sia già acceso?" Lightfoot: "Questo io vorrei, che fosse già acceso". Campbell, Olshausen Foote e Brown: "Che posso io desiderare, se non che fosse già acceso?" Grotius, Meyer, Stier, Alford (dando ad il senso di utinam, fosse pure, come in Luca 19:42): "e che voglio io? Fosse esso pur già acceso!" Queste interpretazioni non sono molto discoste l'una dall'altra; ma persuasi che il Signore, nella prima clausola, allude al fuoco che dovea scender dal cielo alla Pentecoste, e di cui desiderava la venuta mentre al ver. 50 parla di un ostacolo che deve esser tolto dalla via, l'ultima di queste interpretazioni a parer nostro è decisamente la migliore.

PASSI PARALLELI

Luca 12:51-52; Isaia 11:4; Gioele 2:30-31; Malachia 3:2-3; 4:1; Matteo 3:10-12

Luca 11:53-54; 13:31-33; 19:39-40; Giovanni 9:4; 11:8-10; 12:17-19

50 50. Or io ho ad esser battezzato d'un battesimo;

La congiunzione or, colla quale principia questo versetto significa ma prima, cioè prima che questo fuoco possa essere acceso e sparso ovunque. Non era questo un battesimo d'acqua, né di Spirito, ma di sofferenze, di sangue, terminante nella morte ignominiosa della croce. In Matteo 20:22, va unito col bere in Getsemane e sul Calvario l'assegnatogli calice di dolore, poiché prima della conversazione coi figli di Zebedeo in quel passo ricordata, egli avea espressamente annunziato ai suoi discepoli che sarebbe condannato a morte, deriso, flagellato e messo in croce. Gesù chiama la sua passione un battesimo, perché in quella dovea venire immerso nel sangue anziché nell'acqua, e così consecrato e preparato ad entrare nel regale suo uffizio. Già avea ricevuto battesimo d'acqua e battesimo di Spirito Santo; ma stava in serbo per lui un terzo battesimo, quello del sangue, e come una donna in travaglio, egli era angosciato e tormentato dal desiderio che i suoi patimenti fossero adempiuti.

e come sono io distretto, finché sia compiuto!

distretto indica acuti dolori corporali Matteo 4:24; Luca 4:38; il potere costringitore della carità 2Corinzi 5:14; la perplessità prodotta da opposti desideri Filippesi 1:23; uno stato di mentale agonia Luca 8:37; e qui esso significa un ardente desiderio, un santo zelo perché fosser consumate quelle sofferenze che il nostro Signore sapeva dover precedere l'espansione del «fuoco» Salmi 68:19; Atti 2:33. Questo versetto c'insegna che le sofferenze del Signore furono molto terribili, che egli ben conosceva qual ne dovesse essere l'intensità; che esse erano volontarie, e che egli le accettò con gioia. Quando l'ora di quel battesimo si avvicinò, invece di indietreggiare, dinanzi ad esse, condusse egli stesso i suoi discepoli a Gerusalemme, con tal risolutezza da farli rimanere stupefatti Matteo 10:32.

PASSI PARALLELI

Matteo 20:17-22; Marco 10:32-38

Salmi 40:8; Giovanni 4:34; 7:6-8,10; 10:39-41; 12:27-28; 18:11; 19:30

Atti 20:22

51 51. Pensate voi che io sia venuto a mettere pace in terra? No, vi dico, anzi discordia ecc.

Se i discepoli si fossero tuttora lusingati colla speranza che, stabilito il regno messianico quale essi se lo sognavano, essi godrebbero tranquillità e pace, questo ed i seguenti versetti avrebbero tolto loro ogni consimile aspettazione. L'introduzione del regno dell'evangelo ed il potere dello Spirito Santo per convertire le anime, lungi dall'apportar pace, ingenererebbero necessariamente lotte e contenzioni nel seno delle famiglie, e nella società in generale. La colpa di questo non si può però dare alla religione di Cristo, perché essa reca pace ad ogni cuore che la riceve; ma le sue leggi son così moleste e fastidiose per gli uomini inconvertiti, e la sua influenza così temuta da Satana, che tutto il veleno del cuore carnale si solleva contro di essa, contro il suo autore, contro tutti quelli che a lui si uniscono fermamente come suoi discepoli. Coll'allegoria dei figli di Agar e di Sara, Paolo esprime in modo molto calzante questo odio amaro degli uomini carnali, contro quelli che sono stati rinnovati nel loro cuore Galati 4:25-29. Queste cose non si limitarono ai primi tempi della Chiesa; si manifestano tuttora dovunque un soffio vivificante dello Spirito Santo sveglia a nuova vita spirituale una congregazione od una comunità; dovunque la nuova nascita accade in uno o più membri di una famiglia mondana, Per la esposizione dei ver. 51-53 vedi Matteo 10:34-36.

PASSI PARALLELI

Luca 12:49; Zaccaria 11:7-8,10-11,14; Matteo 10:34-36; 24:7-10

54 54. or egli disse ancora alle turbe:

Gli avvertimenti del Signore riguardo ai segni dei tempi, a parere dei più, principiano con questo versetto; ma questo è senza dubbio un grande errore, poiché qual segno più grande dei nuovi tempi. Sorti allora per il mondo intiero, e per la Giudea in particolare, si sarebbero potuti indicare di quelli mentovati nei versetti precedenti Luca 12:49-53, cioè un fuoco che egli dovea accendere in sulla terra, un battesimo di qualche sorta che egli stesso dovea subire, e contese, discordie e sangue versato, nella società, e perfino fra i membri delle stesse famiglie come risultato di quel fuoco? L'appello rivolto alla folla leggiera ha per iscopo di svegliare l'attenzione degli uomini su questi segni loro rivelati, affinché sieno in aspettazione del loro adempimento, e ne approfittino, come ben sapevano approfittare della loro conoscenza dei segni del tempo e dell'atmosfera.

Quando voi vedete la nuvola che si leva dal Ponente, subito dite: La pioggia viene; e così è.

Il mar Mediterraneo è il confine occidentale della Palestina, e le nuvole prodotte dalle sue evaporazioni sono spesso trasportate dai venti ponenti al disopra di questo paese, sul quale cadono in pioggie rinfrescanti. Egli è perché conosceva questo fatto che Elia, mentre pregava sulla china N. E. del Carmelo, vicino alla vetta, per ottenere la pioggia, mandò il suo servo in sulla cima, stessa del monte, dalla, quale si gode piena vista sul mare, per ispiare ed annunziargli la prima apparizione di una nuvola che doveva adacquare la terra inaridita. Da Elia fino a noi, il vento che salta all'ovest è per il contadino della Siria segno infallibile di vicina pioggia.

PASSI PARALLELI

1Re 18:44-45; Matteo 16:2-4

55 55. E, quando sentite soffiar l'Austro, dite: Farà caldo; e così avviene.

Siccome il vento meridionale, prima di giungere in Palestina, deve soffiare sopra le arenose ed ardenti solitudini dell'Arabia Petrea e Deserta, esso vi arriva carico di calore, attalché nell'estate lo si direbbe uscito da una fornace. Il Simoon è il terrore di tutti i viaggiatori nell'oriente e nel Mezzodì. La moltitudine ignorante non conosceva probabilmente la causa scientifica di questo fenomeno; ma il fatto stesso era così noto a tutti, che il cambiamento del vento a mezzogiorno era segno sicuro della venuta del caldo. In Matteo 16:2, il Signore parla di altri segni dei tempi che erano da tutti conosciuti come veri.

PASSI PARALLELI

Giobbe 37:17

56 56. ipocriti, voi sapere discernere l'aspetto dei cielo e della terra; e come non discernete voi questo tempo?

Come Dio ci dà sempre nei cieli visibili dei segni naturali che chi li osserva impara ad interpretare, così la sua provvidenza; ci dà continuamente, nel mondo spirituale, dei segni che solo la cecità del nostro cuore c'impedisce di leggere. Gesù chiama «ipocriti» i suoi uditori, perché non mancanza di potere, bensì mancanza di volontà impedivali di discernere i maravigliosi eventi che andavano compiendosi nel mezzo di loro, colla stessa facilità colla quale leggevano i segni del cielo e della terra. «Lo scettro era stato rimosso da Giada»; tutti aspettavano il Messia, come si vede dagli storici secolari contemporanei; il predetto precursore era comparso ad annunziar che già era giunto il Messia; la guerra fra «carne e spirito» descritta nei ver. Luca 12:51-53, poteva dirsi impegnata; e la dottrina ch'egli aveva già insegnata, avvalorata da miracoli quali il mondo non ne avea visti mai, faceva chiaro a chiunque volesse riflettere esser egli veramente colui del quale Mosè avea detto: «Il Signore Iddio tuo ti susciterà un profeta come me, del mezzo di te, dei tuoi fratelli, ecc.» Deuteronomio 18:15,18. Questi tutti erano segni di «quel tempo» del quale Gesù parlava; ma siccome poco premeva al maggior numero, la venuta del regno spirituale di Dio, essi non si curarono di usar la loro attenzione su quei fenomeni del mondo morale, i quali però provavano ad evidenza che «era venuto il compimento di tempo» Galati 4:4.

PASSI PARALLELI

1Cronache 12:32; Matteo 11:25; 16:3; 24:32-33

Luca 19:42-44; Daniele 9:24-26; Aggeo 2:7; Malachia 3:1; 4:2; Atti 3:24-26; Galati 4:4

57 57. E, perché da voi stessi non giudicate ciò ch'è giusto?

Gesù fa questa domanda ai Giudei a guisa di rimprovero perché agivan diversamente nelle cose spirituali ed in quelle che toccavano i loro interessi terreni. Né Fariseo, né Scriba avrebbe mai potuto convincerli, contro alla evidenza dei propri sensi, che il vento del mezzodì portava la pioggia, e quello di ponente la siccità; perché dunque in cosa di tanto momento come lo stabilimento del regno di Dio, e la salvezza delle loro anime, accettavano essi cecamente l'insegnamento dei loro dottori, anziché osservare e giudicare da per sé stessi? Dovea pure ammonirli della loro imprudenza nel lasciare i giorni della loro gloriosa visitazione passare inosservati, senza pentirsi, senza riconciliarsi con la legge di Dio, mentre ancora era tempo.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 32:29; Matteo 15:10-14; 21:21,32; Atti 2:40; 13:26-38; 1Corinzi 11:14

58 58. Perciocché quando tu vai col tuo avversario al rettore, tu dei dar opera per cammino che tu sii liberato da lui; che talora egli non ti tragga al giudice, e il giudice ti dia in man del sergente, e il sergente ti cacci in prigione. 59. lo ti dico, che tu non ne uscirai, finché tu abbia pagato fino all'ultimo picciolo.

Per la esposizione vedi Matteo 5:25-26.

In questi ultimi versetti, Gesù ripete con lievissimo divergenze di parole quello che aveva già detto nel sermone sul Monte. Al quattrino di Matteo, è qui sostituito il picciolo, moneta che valeva solo la metà di quello, e ciò per indicare l'impossibilità di sfuggire mai alle giuste e rigorose domande dell'avversario. Erra Alford nel supporre che Gesù alluda nuovamente, nel chiudere il suo discorso, alla disputa fra i due fratelli che gliene avea dato l'occasione. Fu bensì l'urgente pericolo dei suoi uditori; il destino che li aspettava alla distruzione di Gerusalemme; la sorte più tremenda ancora che li minacciava se morivano impenitenti, che spinse il Signore ad esortarli, mediante questa similitudine, già usata altre volte, a far pace con Dio, mentre ancora era tempo, mentre egli li aspettava per perdonarli, se no, al giorno del giudizio, cadrebbe loro addosso una condanna eterna ed irrevocabile. L'esortar la moltitudine al gran dovere di cercare immediata riconciliazione con Dio era una degna conclusione di tutto il discorso.

PASSI PARALLELI

Proverbi 25:8-9; Matteo 5:23-26

Luca 14:31-32; Genesi 32:3-28; 1Samuele 25:18-35; Giobbe 22:21; 23:7; Salmi 32:6

Proverbi 6:1-5; Isaia 55:6; 2Corinzi 6:2; Ebrei 3:7-13

Luca 13:24-28; Giobbe 36:17-18; Salmi 50:22

Matteo 18:30; 1Pietro 3:19; Apocalisse 20:7

Luca 16:26; Matteo 18:34; 25:41,46; 2Tessalonicesi 1:3

Marco 12:42

RIFLESSIONI

1. «Se la religione di Cristo è come un fuoco gettato in sulla terra che consuma tutto quello che gli si oppone e sempre progredisce verso il suo fine, che è di sottomettersi l'uomo tutto intero, è facile vedere perché l'opera sua è così lenta e così piccola in certi momenti, in certi luoghi, in certe persone. Il fuoco è spento da sforzi sistematici di servire due padroni. Gesù richiede che noi ci decidiamo unicamente per lui, anche a costo di mettere in discordia gli amici e le famiglie, di strappare i legami più cari come i più distanti. Ma se questa prova è dolorosa, giunge però al suo termine naturale. Più saranno risoluti i servitori di Cristo, più presto cesserà l'opposizione che incontrano. Quando la lotta attiva verrà riconosciuta inutile, gli oppositori desisteranno; mentre la fedeltà e la forza di carattere comandano il rispetto, e spesso sono ricompensati col guadagnare anche i più determinati avversari» (Brown).

2. I Giudei, al tempo di Cristo, chiusero gli occhi ai fatti più significativi che occorrevano a' loro dì, ricusando di riconoscere l'adempimento delle profezie messianiche. Fu questo che fece dire a Gesù: «Come non discernete voi questo tempo?» Tal domanda si applica a molti Cristiani di nome. I servi di Dio, in ogni età, devono studiare gli eventi del tempo loro, paragonandoli colle profezie, ma molti trascurano un tal dovere. Nulla v'ha di lodevole in una ignorante indifferenza per la storia contemporanea. Vigilino gelosamente i cristiani la carriera dei governi e delle nazioni, e salutino con gioia ogni benché minimo segno della loro sottomissione, non alla Chiesa come corpo, ma a Cristo, nella sua parola; imperocché la gloria del periodo millenario consisterà nell'esser tutti «i regni del mondo» non «il regno del mondo», come dice Diodati, divenuti i regni del nostro Dio e del suo Cristo. L'architettar teorie su profezie non adempiute è il più delle volte un cader nell'orrore; ma è profittevole dovere il seguire lo sviluppo della storia contemporanea, per scoprire ogni cosa che in essa possa corrispondere alla profezia. Non vi sono forse nei tempi in cui viviamo dei segni indicanti l'avvicinarsi del millennio? Lo spirito missionario che si è svegliato in seno a tutte le chiese protestanti a favore così dei Giudei come dei pagani, la decadenza del Maomettismo, la caduta del potere temporale dei papi, accompagnata dal risveglio del Romanesimo, l'avvicinarsi dell'impero russo al mezzogiorno dell'Europa, lo stato d'incertezza dei regni europei dopo la grande rivoluzione francese, sono fatti innegabili; meritano d'esser chiamati «segni dei tempi», e di venire da noi studiati con attenzione e con preghiera.

3. Il Signore si servì della similitudine dei vers. 58 e 59 in due occasioni diverse, e con applicazioni affatto differenti. Nel sermone in sul Monte, le sue parole han per iscopo di urgere il gran dovere del perdono dei peccati. Qui egli ci esorta solennemente a riconciliarci in tempo con Dio. La vita è la via; la legge, o la morte come agente della legge, l'avversario; il rettore rappresenta il giudice supremo; la prigione l'inferno. Ora è il tempo accettevole, domani potrebbe essere troppo tardi. Pentitevi senza indugio!

4. «Si osservi qui», dice Burkitt, «che Dio e l'uomo una volta erano amici; ora son nemici; che l'uomo non già Dio si oppone alla riconciliazione; che è saviezza, dovere, interesse dell'uomo caduto l'accettare le condizioni di pace e di riconciliazione con Dio; e che una carcere eterna aspetta chi muore senza essersi riconciliato con Dio».

5. Sull'ultimissime parole di questo capitolo Paolo osserva: «L'uso che i papisti fan di questo passo, in appoggio della dottrina del Purgatorio, è una prova della loro povertà di validi argomenti come se Gesù parlasse di una prigione da cui le anime potranno uscire!» Teofilatto (citato da Ryle) dice: «Se dobbiamo rimanere in carcere finché non abbiamo pagato, e se pagare è cosa impossibile per noi, è certo che le pene future sono eterne».

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