Commentario abbreviato:

Luca 15

1 Capitolo 15

Parabole della pecora smarrita e della moneta d'argento Lc 15:1-10

Il figlio prodigo, la sua malvagità e la sua angoscia Lc 15:11-16

Il suo pentimento e il suo perdono Lc 15:17-24

Il fratello maggiore offeso Lc 15:25-32

Versetti 1-10

La parabola della pecora smarrita è molto applicabile alla grande opera di redenzione dell'uomo. La pecora smarrita rappresenta il peccatore che si è allontanato da Dio e che è esposto a una sicura rovina se non viene ricondotto a Lui, ma che non desidera tornare. Cristo è solerte nel riportare a casa i peccatori. Nella parabola del pezzo d'argento perduto, quello che si perde è un pezzo solo, di scarso valore rispetto al resto. Eppure la donna lo cerca diligentemente finché non lo trova. Questo rappresenta i vari mezzi e metodi di cui Dio si serve per riportare a sé le anime perdute e la gioia del Salvatore per il loro ritorno a lui. Quanto dovremmo essere attenti a che il nostro pentimento porti alla salvezza!

11 Versetti 11-16

La parabola del figlio prodigo mostra la natura del pentimento e la disponibilità del Signore ad accogliere e benedire tutti coloro che tornano a lui. Essa espone pienamente le ricchezze della grazia del Vangelo; è stata e sarà, finché il mondo resterà in piedi, di indicibile utilità per i poveri peccatori, per indirizzarli e incoraggiarli a pentirsi e a tornare a Dio. È un male, e l'inizio di un male peggiore, quando gli uomini considerano i doni di Dio come un debito nei loro confronti. La grande follia dei peccatori, che li rovina, è quella di accontentarsi in vita di ricevere i loro beni. I nostri primi genitori rovinarono se stessi e tutta la loro razza per la sciocca ambizione di essere indipendenti, e questo è alla base della persistenza dei peccatori nel loro peccato. Tutti noi possiamo scorgere alcuni tratti del nostro carattere in quello del figliol prodigo. Lo stato di peccato è un allontanamento e una distanza da Dio. Lo stato di peccato è uno stato di spesa: i peccatori intenzionali impiegano male i loro pensieri e le forze della loro anima, sprecano il loro tempo e tutte le loro opportunità. Lo stato di peccato è uno stato di mancanza. I peccatori mancano del necessario per le loro anime; non hanno né cibo né vestiario per loro, né alcuna provvidenza per l'aldilà. Lo stato di peccato è uno stato vile e servile. L'attività dei servi del diavolo è quella di provvedere alla carne, di soddisfare le sue voglie, e questo non è meglio che nutrire i porci. Uno stato peccaminoso è uno stato di costante insoddisfazione. Le ricchezze del mondo e i piaceri dei sensi non soddisfano nemmeno il nostro corpo, ma cosa sono per le anime preziose! Lo stato di peccato è uno stato che non può cercare sollievo in nessuna creatura. Invano gridiamo al mondo e alla carne; essi hanno ciò che avvelena l'anima, ma non hanno nulla da dare per nutrirla e alimentarla. Lo stato di peccato è uno stato di morte. Il peccatore è morto nei debiti e nei peccati, privo di vita spirituale. Lo stato di peccato è uno stato di perdita. Le anime separate da Dio, se la sua misericordia non le previene, saranno presto perdute per sempre. Lo stato miserabile del prodigo fa solo una debole ombra sulla terribile rovina dell'uomo a causa del peccato. Eppure, quanti pochi sono consapevoli del proprio stato e del proprio carattere!

17 Versetti 17-24

Dopo aver visto il prodigo nel suo stato di miseria, dobbiamo considerare la sua guarigione. Questo inizia con il suo ritorno a se stesso. Questo è un punto di svolta nella conversione del peccatore. Il Signore gli apre gli occhi e lo convince del peccato; allora vede se stesso e ogni oggetto in una luce diversa da quella che aveva prima. Così il peccatore convinto percepisce che il più meschino servitore di Dio è più felice di lui. Guardare a Dio come a un Padre, e come Padre nostro, sarà di grande utilità per il nostro pentimento e per il nostro ritorno a Lui. Il prodigo si alzò e non si fermò finché non raggiunse la sua casa. Così il peccatore pentito abbandona risolutamente la schiavitù di Satana e delle sue passioni e torna a Dio con la preghiera, nonostante le paure e gli scoraggiamenti. Il Signore gli viene incontro con segni inaspettati del suo amore che perdona. Ancora: l'accoglienza del peccatore umiliato è come quella del prodigo. Viene rivestito della veste della giustizia del Redentore, reso partecipe dello Spirito di adozione, preparato dalla pace della coscienza e dalla grazia del Vangelo a camminare nelle vie della santità, e nutrito con le consolazioni divine. I principi della grazia e della santità sono operati in lui, sia per fare che per volere.

25 Versetti 25-32

Nell'ultima parte di questa parabola abbiamo il carattere dei farisei, anche se non solo di loro. Essa mette in evidenza la gentilezza del Signore e il modo orgoglioso in cui la sua gentilezza viene spesso accolta. I Giudei, in generale, mostravano lo stesso spirito nei confronti dei Gentili convertiti; e in ogni epoca c'è chi si oppone al Vangelo e ai suoi predicatori per lo stesso motivo. Quale deve essere il carattere che spinge l'uomo a disprezzare e ad aborrire coloro per i quali il Salvatore ha versato il suo sangue prezioso, che sono oggetto della scelta del Padre e templi dello Spirito Santo? Questo nasce dall'orgoglio, dall'auto-preferenza e dall'ignoranza del cuore dell'uomo. La misericordia e la grazia del nostro Dio in Cristo brillano quasi altrettanto nel suo tenero e gentile comportamento con i santi scontrosi, quanto nell'accogliere i peccatori prodighi al loro pentimento. L'indicibile felicità di tutti i figli di Dio che si tengono stretti alla casa del Padre è che sono e saranno sempre con Lui. Felice sarà per coloro che accettano con gratitudine l'invito di Cristo.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 15

1 CAPO 15 - ANALISI

1. L'udienza dinanzi alla quale vennero dette le seguenti parabole. Essa era composta in modo molto marcato di due elementi: gli orgogliosi Farisei, pieni della loro propria giustizia; e gli odiati e sprezzati pubblicani, insieme ai più vili rifiuti della società. L'ignominia universale in cui venivan tenuti i pubblicani, la loro completa esclusione da ogni società all'infuori della propria, li spingeva ad affollarsi intorno ad uno che non fu mai troppo orgoglioso per riceverli e dar loro istruzione; la sua presenza e i suoi insegnamenti svegliavano poi il bisogno e la speranza del perdono, anche nel cuore di quelli la cui vita era stata più viziosa ed impura. Nell'occasione qui ricordata, un numero considerevole di questi proscritti dalla società stavano riuniti intorno a Gesù, e da lui venivano istruiti con tutta la serietà, e tutta la compassione di uno che sempre avea presente alla memoria il suo mandato di «cercare e salvare ciò che era perito». Una violazione più grande delle convenienze sociali degli Ebrei, un maggiore insulto al loro amor proprio, una più forte condannazione del loro sistema religioso, morale e giudiziario, ed in conseguenza, a giudizio dei Farisei, una prova più diretta che egli non era un profeta, ma un reprobo indegno, non poteva darsi di questa sua benevola accoglienza dei pubblicani e dei peccatori, e dello zelo col quale egli li insegnava, quasiché l'anima loro avesse valore alcuno. Il loro scontento si manifestò in lagnanze brontolato sottovoce gli uni agli altri: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Egli è dinanzi a queste due classi che furono dette le seguenti parabole. Esse aveano per iscopo di recar maggior conforto a quella classe proscritta, facendo vedere quanto sia ansioso Iddio di salvare i peccatori, e con qual bontà egli riceva quelli che si rivolgono a lui; come pare di far risaltare il contrasto fra i «mormorii» di quelli che si credevano i più santi sulla terra, nel veder Gesù sforzarsi di condurre un pubblicano alla conoscenza della grazia di Dio, colla gioia che riempie i cieli in presenza di Dio e dei suoi santi angeli, per ogni peccatore penitente Luca 15:l-2.

2. Parabole della pecora e della dramma perdute. Il punto importante di entrambe queste parabole sembra essere lo zelo e la perseveranza con cui venne fatta la ricerca degli oggetti perduti e la gioia esuberante prodotta dal ritrovarli. Lasciando il resto della greggia, nel deserto di Giudea, racchiuso nell'ovile, e in vicinanza delle tende, il pastore sen va in cerca della pecora smarrita, e conoscendo i rischi che corre di venir divorata dalle bestie feroci, o di cadere nei precipizii, non cessa di cercarla, per quanto sia lunga e faticosa la via, finché non l'abbia ritrovata e riportata in trionfo nell'ovile. E quando è riuscito nell'intento, la sua gioia è così grande che egli non la può tenere in petto, la vuol divisa dai suoi parenti e vicini, spesso esposti essi pure a consimili rischi; perciò li chiama a festeggiar nella sua tenda, e a prender parte alla sua contentezza. Il pastore di questa parabola rappresenta Cristo medesimo, il quale è spontaneamente sceso a ricercare i perduti figliuoli degli uomini, per condurli nell'ovile dell'evangelo. Quell'ardore nel cercare, quella gioia nel trovare la pecora smarrita, il Salvatore se ne serve qui per dipingere l'ardente brama di Dio per la salute del peccatore, la compassione sovrana e spontanea di Dio nostro Salvatore, e l'alta gioia delle gloriose persone della Trinità e dei santi angeli, quando un peccatore in procinto di perire è stato riscattato e ricondotto all'ovile dal «gran Pastore delle pecore». È affatto simile nello scopo la parabola delle dieci dramme. Se quella somma era quanto la donna possedeva in quel momento, essa ne doveva venir tanto più stimolata a ricercare la dramma perduta e a rallegrarsi, e ad invitare i vicini a rallegrarsi con lei, per averla ritrovata. Il Figlio di Dio, che ben sa come stieno le cose in cielo, novamente dichiara, per fissarlo più profondamente nella memoria dei Farisei, dei pubblicani e di tutti i lettori di queste parabole, che assai più di questa donna si rallegrano le persone della Divinità, e gli angeli che sono «spiriti ministratori, mandati a servire, per amor di coloro che hanno ad eredar la salute», quando un peccatore si pente, si converte ed è salvato. Che contrasto fra l'odio dei Farisei verso i pubblicani e i peccatori che essi avrebbero veduti con piacere precipitare nella perdizione, e la gioia dei cieli, quando un ribelle, un errante è stato «convertito dalle tenebre alla luce, e dalla podestà di Satana a Dio» Luca 15:3-10.

3. La parabola del figliuol prodigo. Appartiene allo stesso soggetto che le precedenti, anzi è necessaria per completarle. Nelle parabole della pecora e della dramma smarrite, si vede solo la parte di Dio nella salvezza delle anime; in questa, l'efficacia della grazia divina sul peccatore per cambiare il suo cuore e svegliare in lui il desiderio di tornare a Dio, nonché l'amorevole accoglienza che gli fa il Signore, vengono a completare il quadro. Il figliuol prodigo, che abbandona la casa paterna, e si rovina col vivere dissolutamente, corrisponde alla pecora smarrita e ricercata dal pastore, e rappresenta lo stato miserabile di tutti gli inconvertiti in generale, ma specialmente di quella classe che includeva i pubblicani e i peccatori; però questa parabola rappresenta pure, quel che non fanno le altre, gli effetti prodotti sul cuore dei peccatori dall'amore di Dio nel far ricerca di lui. Dalla profonda sua miseria il prodigo è condotto a pentimento; si opera in lui un completo mutamento di cuore; ed egli decide di tornar da suo padre per impetrarne il perdono ed il più umile uffizio nella sua casa. In breve, la prima parte della parabola ci espone il principio, il progresso ed il risultato del pentimento nel cuore del peccatore, mediante l'azione efficace dello Spirito Santo. La gioia del cuore del padre e la calda accoglienza che egli fa al figlio prodigo, nella seconda parte, contrastano colla scontentezza e la mancanza di carità del fratello maggiore che rappresenta gli orgogliosi ed inflessibili Farisei, il cui cuore duro e vendicativo fa schifoso contrasto colla tenera compassione e l'amore sovrabbondante di Dio verso i peccatori. Trench osserva che le due prime parabole mostrano l'amor di Dio che ricerca i peccatori; l'ultima, quello stesso amore che li riceve. Gioverà forse a far meglio scorgere il parallelismo di queste tre parabole, l'ordinarle una accanto all'altra nella seguente tabella:

La Pecora

  • Smarrita dall'ovile. Rappresenta il peccatore caduto. Ricercata dal pastore

  • Trovata e riposta all'ovile.

  • Gioia del pastore divisa da tutti i suoi amici, simbolo della gioia dei cieli per la conversione di un peccatore. Contrasto non espresso da sottinteso.

La dramma

  • Smarrita dalla borsa. Rappresenta il peccatore caduto. Ricercata dalla donna.

  • Trovata e rimessa nella borsa.

  • Gioia della donna, divisa dalle sue amiche, simbolo della gioia del cielo, per la conversione di un peccatore. Contrasto non espresso, ma sottinteso.

Il Figliuol Prodigo

  • Smarrito dalla casa paterna. Rappresenta il peccatore caduto. Ricercato dallo Spirito di Dio che conduce il pentimento.

  • Convertito e spinto a ritornare alla casa paterna, e ricevuto con grandissimo amore.

  • Gioia del padre al ritorno del Figliuol prodigo, divisa da tutta la sua famiglia, simbolo della gioia del cielo, ecc. Contrasto fra i sentimenti dei Farisei e quelli dei gloriosi abitanti dei cieli, riguardo al peccatore penitente, espresso da quello fra la gioia del padre a della sua casa, e lo scontento disprezzante del figlio maggiore.

Luca 15:1-3. I PUBBLICANI E I PECCATORI RICEVUTI DA GESÙ. PARABOLE ILLUSTRATIVE DEL PRINCIPIO SECONDO IL QUALE EGLI AGIVA

L'udienza mista, Luca 15:1-2

1. Or tutti i pubblicani, e peccatori, s'accostavano a lui, per udirlo.

Luca non fa precedere queste parabole da qualsiasi indicazione di tempo o di luogo. Alcuni le considerano come la continuazione del discorso cominciato negli ultimi versetti del capitolo precedente; altri le ritengono pronunziato in occasione diversa: basti per noi che Luca, colla breve sua introduzione storica, ci mette subito al vero punto di vista per comprendere tutto il susseguente discorso. Le parole propriamente significano che i pubblicani e i peccatori usavano avvicinarsi in ogni occasion propizia, a Gesù per udire le sue parole, implicano pure che molti fecero così nel caso presente, poiché quello fu lo spettacolo che eccitò l'indegnazione dei Farisei. La parola (tutti i pubblicani), omessa dalla Volgata, non significa di tutte le specie o da ogni parte; ma è una espressione popolare per dire tutti quelli che erano lì presenti. Verso Colui che era «santo, immacolato, separato dai peccatori», sentivansi potentemente attratti i meschini che l'orgoglioso Fariseo sbandiva dalle sinagoghe e consegnava ad una eterna perdizione, perché aveano scoperta in lui quella compassione per il miserando loro stato che ovunque veniva loro negata, e perché i benigni suoi insegnamenti coincidevano appieno coi loro bisogni, e facevano cadere un balsamo soave sui loro cuori feriti. Persino quelli che non erano ancora stanchi delle loro vie malvagie, non potevano resistere al fascino di colui che «ammaestrava come avendo autorità e non come gli Scribi»; mentre che i cuori che lo Spirito Santo già aveva svegliati cercavano e trovavano in lui la vita eterna. Notisi che nessun evangelista ricorda tanti esempi della misericordia del Signore verso i peccatori quanto Luca, vedi Luca 7:37; 13:34; 18:10. Si suppone, e con ragione, che così egli facesse per incoraggire i convertiti d'infra i Gentili ai quali questo Vangelo era specialmente destinato.

PASSI PARALLELI

Luca 5:29-32; 7:29; 13:30; Ezechiele 18:27; Matteo 9:10-13; 21:28-31; Romani 5:20

1Timoteo 1:15

2 2. E i Farisei e gli scribi ne mormoravano (il vocabolo greco significa: mormorare ad alta voce in crocchi, fra di loro), dicendo: Costui accoglie i peccatori, e mangia con loro.

Il segreto dell'ira dei Farisei in questo caso, oltre alla loro generale inimicizia contro a Gesù, sta nel fatto che, dal loro punto di vista, il suo modo di trattare i peccatori tra un diretto insulto per essi come maestri di religione, ed una pubblica accusa contro il loro sistema di disciplina religiosa, poiché egli trattava la loro scomunica come non avendo peso alcuno, e incoraggiva i contumaci, mangiando con loro. Anziché riconoscere in Gesù uno che capiva i fini di misericordia di Dio verso i peccatori, essi preferirono spiegare la compassione colla quale li accoglieva accusandolo di nutrir segreta simpatia per il peccato, secondo il principio: "Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei". I Vangeli ricordano due, soli casi in cui Gesù mangiò in compagnia dei pubblicani in casa di Levi e in quella di Zaccheo Luca 5:29; 19:5: è perfettamente possibile che egli abbia seguito la stessa regola anche in altre occasioni che non sono mentovate; ma dall'altra parte non è punto improbabile che quest'accusa generica, portata contro di lui dai suoi poco scrupolosi avversari, non ebbe altro fondamento che la sua visita alla casa di Levi, poiché, il convito in casa di Zaccheo, accadde solo dopo questo discorso. Ma come è ineffabilmente preziosa la verità alla quale, senza volerlo, essi rendono testimonianza: «Egli riceve i peccatori!» Per questo scopo appunto aveva egli assunto l'uffizio suo mediatorio prima della fondazione del mondo, e per questo apparve in terra sotto forma umana, «nel compimento dei tempi». Queste parole dei Farisei sono la chiave di tutto il capitolo; perché le tre parabole in esso contenute illustrano il principio dietro al quale egli chiamava a sé quelli che la società bandiva dal suo seno, e salutava con gioia i più piccoli sintomi del loro ritorno a Dio. Il grande scopo di tutte queste parabole è lo stesso; tutto e tre mostrano l'amore e la misericordia di Dio in Cristo verso i peccatori ma sotto aspetti differenti, ed esse contengono le risposte di Gesù ai mormorii dei Farisei.

PASSI PARALLELI

Luca 15:29-30; 5:30; 7:34,39; 19:7; Matteo 9:11; Atti 11:3; 1Corinzi 5:9-11; Galati 2:12

3 

Parabola della pecora smarrita, Luca 15:3-7

3. Ed egli disse loro questa parabola. 4. Chi è l'uomo d'infra voi, Il quale avendo cento pecore,

Matteo riporta egli pure questa parabola; ma la lezione che essa era destinata ad insegnare non è esattamente la stessa nei due vangeli. In Matteo è usata per far conoscere quanto sono preziosi i credenti agli occhi di Dio, poiché essi sono come pecore cui Dio ha dato per pastore il proprio Figlio, e che non possono perciò venir lasciate a perire; qui par piuttosto intesa a giustificare la perseveranza ed il successo del divino Pastore nella sua ricerca degli smarriti, rivelandoci la gioia che la loro salvezza eccita nei cortili celesti, il suo scopo è di manifestare il carattere e l'opera del Figlio di Dio nella salvezza dei peccatori. Colle parole colle quali cominciano così questa parabola, come quella della dramma smarrita, il Signore fa appello a quell'impulso umano universale che spinge uomini e donne ugualmente a cercar le cose che hanno perdute, ed a rallegrarsi se le ritrovano. È come se dicesse: "Non v'ha un solo fra voi che mi accusato, che non farebbe lo stesso in analoghe circostanze. La diversità fra noi giace in questo che voi ricercate le vostre possessioni terrene; mentre io, cerco le anime perdute che a me appartengono". Le cento pecore sono la fortuna di un uomo relativamente povero, non le greggie immense di qualche ricco proprietario che le avesse affidate alle cure di un mercenario. Le pecore appartengono a colui che le pasce, egli ne ha cura, e ciascuna di loro individualmente gli è preziosa.

4 se ne perde una,

La perdita di una pecora su cento non poteva impoverir molto il pecoraio se anche la lasciava andar dove voleva; egli è l'affetto che egli le porta il quale lo spinge a seguirla. Le relazioni fra la greggia ed il suo pastore sono in Palestina tutt'altre che nei nostri paesi. Il pastore ivi ama le sue pecore, come se fossero figli suoi. La descrizione che ne dà Gesù in Giovanni 10:3-5, rimane la stessa oggidì: «Le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome... e quando ha messo fuori le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguitano, perciocché conoscono la sua voce». È dunque l'affetto per la pecora, la compassione per le sue sofferenze e i suoi pericoli che principalmente spingono il pastore a ricercarla. Gesù, che questo pastore rappresenta, ci fa questo evidente nella sua preghiera intercessoria Giovanni 17:12: «Io ho guardati coloro che tu mi hai dati, e niun di loro è perito, se non il figliuolo della perdizione».

non lasci le novantanove nel deserto, e non vada dietro alla perduta,

Si accuserebbe ingiustamente il pastore di negligenza, per aver egli lasciato le novantanove pecore senza protezione nel deserto. Probabilmente il Signore pensava al deserto di Giudea, lungo tratto di terra incolta, ondulata come i flutti dell'oceano con valli e monti, scarsamente popolato ma ricco di pasture naturali, fuorché nei mesi più caldi dell'estate. Secondo gli usi invariabili dell'oriente, i Beduini ed i fellachin della Palestina conducono le loro gregge in questo deserto, dopo le prime pioggie autunnali, e vi rizzano dei parchi nei quali stan rinchiuse le pecore giorno e notte, eccetto le ore in cui i pastori le conducono al pascolo. In un tal recinto, custodito dalle proprie tende, a breve distanza di quelle dei suoi compagni, quell'uomo lasciò la maggior parte del suo gregge in perfetta sicurezza, per andare in traccia della pecora smarrita. Le novantanove pecore rappresentano in primo luogo il popolo d'Israele, che viveva nell'osservanza esterna della legge levitica, quindi, in modo più generico, quanti fanno professione di fede in Cristo; mentre la pecora smarrita rappresentava i pubblicani di quel giorno, e nel nostro, gli eletti prima della loro conversione, non meno che i mondani e gli irreligiosi in generale, i quali vivono «senza Dio, e senza speranza».

finché l'abbia trovata?

Non permette a qualsiasi ostacolo di interrompere le sue ricerche; prova ogni mezzo che possa condurlo al successo. Questo indica spiritualmente i varii mezzi che Dio mette in opera per richiamare a sé i peccatori, e la pazienza e la perseveranza con cui continua a farne uso. Nel caso di ogni peccatore convertito, se Gesù avesse abbandonato la ricerca, non ci sarebbe stata salvazione.

PASSI PARALLELI

Luca 13:15; Matteo 12:11; 18:12; Romani 2:1

Salmi 119:176; Isaia 53:6; Geremia 50:6; Ezechiele 34:8,11-12,16,31; Matteo 18:12-13

Giovanni 10:15-16,26-28; 1Pietro 2:25

5 5. E, avendola trovata, non se la metta sopra le spalle tutto allegro? 6. E, venuto a casa, non chiami insieme gli amici e i vicini, dicendo: Rallegratevi meco; perciocché io ho trovata la mia pecora, ch'era perduta?

Stanca di errare, fiaccata forse dalle cadute, la pecora non può venir condotta all'ovile; ma il pastore anziché affidarla alle cure di un servo, la prende in ispalla; non la sgrida per aver essa errato; non si lagna del suo peso; ma contento di riaver quella che «era vicina a perire», la riporta a casa e invita tutti a dividere la sua gioia. Stier mette grande enfasi sulla parola la casa stessa del pastore, ver. 6, come usata in opposizione a l'ovile Giovanni 10:11, dove erano rinchiuse le altre pecore, e insiste che questa casa è il cielo dove Cristo porta direttamente ogni anima da lui salvata. Sia benedetto Iddio, Cristo adempirà un giorno tutto ciò che egli ha promesso a questo riguardo Giovanni 14:2. Ma se si considera che la tenda o la capanna del pastore era sempre rizzata nel deserto accanto all'ovile, rimarrà evidente che questa, e non già la sua distante abitazione, viene indicata nella parabola come la sua casa, tanto più che l'ovile, nella Scrittura, rappresenta la Chiesa visibile di Cristo in sulla terra, nella quale, alla loro conversione, egli introduce tutti quelli che ha riscossi da un mondo che giace nelle tenebre. Egli è dalle tende sparse all'intorno che il pastore chiama gli amici e i vicini a rallegrarsi con lui per la riuscita delle sue ricerche. È un bel principio della nostra natura che ogni profondo sentimento così di tristizia come di gioia è superiore alle forze nostre individuali, che ci sentiamo sollevati nel dividerlo con altri. Questo principio il Signore lo proclama qui in opera anche nel modo di procedere di Dio.

PASSI PARALLELI

Luca 19:9; 23:43; Isaia 62:12; Giovanni 4:34-35; Atti 9:1-16; Romani 10:20-21

Efesini 2:3-6; Tito 3:3-7

Isaia 40:10-11; 46:3-4; 63:9; Michea 5:4; Efesini 1:19-20; 2:10; 3:7; 1Tessalonicesi 1:5

2Timoteo 2:26; 1Pietro 1:5

Luca 15:23-24,32; Isaia 53:10-11; 62:5; Geremia 32:41-42; Ezechiele 18:23; 33:11

Michea 7:18; Sofonia 3:17; Giovanni 15:11; Ebrei 12:2

Luca 15:7,10,24; 2:13-14; Isaia 66:10-11; Giovanni 3:29; 15:14; Atti 11:23; 15:3

Filippesi 1:4; 2:17; 4:1; 1Tessalonicesi 2:19; 3:7-9

Salmi 119:176; 1Pietro 2:10,25

7 7. lo vi dico, che così vi sarà letizia in cielo per un peccatore penitente,

Benché la forma di questa parabola non permetta di descrivere l'effetto prodotto sul peccatore dalla carità del buon pastore verso di lui, quell'effetto è chiaramente indicato dalla parola penitente, e corrisponde a quanto vien detto più appieno del figlio prodigo. Di questo peccatore penitente Gesù dice, come gli amici e i vicini del pastore dividono la sua gioia, così la gioia del Salvatore è divisa da tutti gli abitanti del cielo, dalle gloriose persone della Trinità, dagli angeli, e dagli spiriti dei giusti fatti perfetti. Al ver. 10 Gesù varia così l'espressione: «Vi sarà allegrezza appo gli angeli di Dio ecc.». Che l'Iddio trino ed uno prenda diletto della conversione del peccatore è conseguenza naturale del piano maraviglioso che egli stesso ideò per effettuarla Giovanni 3:16; ma ne abbiamo prove dirette dalle sue stesse parole in Ezechiele 33:11; Geremia 31:18-20, ed altri passi consimili. Che il passaggio di un peccatore dalla morte alla vita diffonda allegrezza fra gli eserciti angelici non può maggiormente esser messo in quistione, quando ci ricordiamo che essi sono tutti «spiriti ministratori, mandati a servire per amor di coloro che hanno ad eredar la salute» Ebrei 1:14. E siccome i santi glorificati sono «sempre col Signore», non può esser temerario il credere che essi partecipano alla gioia che una tale notizia diffonde nei cortili celesti. Le parole essendo in tempi diversi al ver. 7 e al 10 dànno qualche ragione di supporre che vi sono due occasioni in cui questa gioia è sentita in cielo, cioè al momento in cui accade nel peccatore il grande cambiamento salutare, mediante la sua unione con Cristo, e novamente quando, terminata la guerra terrena, egli «entra nella gioia del suo Signore». Si desume generalmente dalle espressioni di questi due versetti che gli angeli nell'esercizio delle loro inerenti facoltà conoscono in qualche modo le conversioni delle anime umane in terra, e la Chiesa Romana ha fatto capitale di questi versetti in favore delle preghiere indirizzate agli angeli e ad altri spiriti creati. Ma le parole del Salvatore Luca 15:10 non dànno appoggio alcuno a tali idee. La gioia degli angeli ben lungi dall'originare in una loro specie di onniscienza subordinata, è, nella sua origine, interamente indipendente da casi, e solo mostrata nella loro presenza, perché essi possano essere partecipi. Così nel caso della pecora, come in quello della dramma, questa gioia ebbe la sua prima origine in colui che ritrovò le cose perdute, il quale poi chiamò gli amici e i vicini a prendervi parte. E siccome l'applicazione nei versetti 7 e 10 comincia con così, nello stesso modo, è chiaro che questa gioia divina ebbe la sua origine nel trono di Dio e di là si sparse fra gli eserciti celesti. Colui che ha salvato il peccatore se ne rallegra e lo fa noto ai suoi servitori, invitandoli a dividere la sua gioia. L'abituale solenne affermazione colla quale Gesù annunzia l'effetto prodotto in cielo dalla conversione di un peccatore ci dimostra che egli parla come testimone oculare di cose che conosce, e come interprete dei pensieri di Dio.

più che per novantanove giusti che non han bisogno di penitenza.

Il sapere chi sieno questi novantanove giusti ha dato luogo a molte supposizioni. Chi vede in essi gli angeli che non han mai peccato; chi gli abitanti di altri mondi rimasti immuni di caduta; chi i santi ora in gloria, che non peccano più. Trench ci vede i membri della Chiesa dell'Antico Testamento, i quali possedevano giustizia legale, benché non fossero arrivati alla giustizia dell'evangelo, come se questi non avessero bisogno di penitenza dinanzi a Dio! Diodati nelle sue Annotazioni li definisce «i fedeli perseverati nella lor santificazione, senza alienarsi da Dio per alcun grave peccato, che richieda speciale riconciliazione e conversione». Secondo altri, le novantanove pecore rappresentano i veri figli di Dio in terra, i quali non hanno bisogno di conversione, perché già hanno sperimentato quel cambiamento e son salvi dalla condanna per Cristo, benché abbisognino di pentimento per i loro errori giornalieri. Ma è stata messa avanti un'interpretazione di queste parole, assai preferibile secondo noi a tutte l'altre, perché consuona esattamente coi sentimenti di quelli cui esse erano rivolte, cioè che il nostro Signore non parla qui di gente assolutamente giusta, ma allude ironicamente a quelli che, come i Farisei ed altri Giudei, sicuri della propria giustizia, si lusingano di esser senza colpa agli occhi di Dio, epperciò una sorgente per lui di gioia e di allegrezza. La credenza, il contegno, il carattere di quei Farisei sono esattamente dipinti in queste parole di Gesù. Essi «confidavano in loro stessi d'esser giusti e sprezzavano gli altri» Luca 18:9; consideravano se stessi come non avendo bisogno di pentimento; «giustificavano se stessi davanti agli uomini», e si credevano tanto perfetti che gli occhi di Dio non potessero scoprire colpa alcuna in loro Luca 18:11-12; in una parola erano appieno convinti di essere per l'Altissimo speciali oggetti di compiacimento e di gioia. Gesù li accerta che sbagliano, che, se anche la loro giustizia fosse completa e perfetta come se la figuravano, essa ecciterebbe in cielo minore entusiasmo di gioia che non il ritorno a Dio di un solo di quei peccatori da, essi messi al bando della società. La ragione della grandezza di questa gioia per un peccatore salvato nasce dall'esser stata la sua salvezza in apparenza inaspettata, difficilissima, disperata, epperciò eccitante la più viva ansietà. Così il cuore di un parente sente maggiore allegrezza per i primi sintomi di guarigione che egli osserva in un bambino malato a morte, che per tutti gli altri che stanno in buona salute. Questa parabola risponde direttamente alla obiezione: «Costui riceve i peccatori». I Farisei tendevano ad insinuare che il Messia doveva associarsi solo coi buoni ed evitare i malvagi; ma egli insegna loro che la salvazione dei malvagi cagiona la maggior gioia in cielo e che se essi fossero veramente giusti, se i loro cuori cioè battessero all'unisono con quello di Dio, essi non sarebbero meno di lui ardenti nel ricercare «le pecore perdute della casa d'Israele».

PASSI PARALLELI

Luca 15:32; 5:32; Matteo 18:13

Luca 15:29; 16:15; 18:9-11; Proverbi 30:12; Romani 7:9; Filippesi 3:6-7

8 Parabola della dramma perduta, Luca 15:8-10

8. Ovvero, qual'è la donna, che avendo dieci dramme, se ne perde una, non accenda la lampana, e non ispazzi in casa, e non cerchi studiosamente, finché l'abbia trovata? 9. E, quando l'ha trovata, non chiami insieme le amiche, e le vicine dicendo: Rallegratevi meco; perciocchè io ho trovata la dramma, la quale io avea perduta? 10. Così, vi dico, vi sarà allegrezza appo gli angeli di Dio per un peccatore penitente.

Le dieci dramme che costituivano tutti i risparmi di quella donna erano uguali a dieci denari romani ossia L.it. 8, una dramma valeva dunque 80 centesimi. Col cambiamento del sesso della persona che cerca, e della natura della roba perduta, questa parabola è la stessa che l'altra; ed ai Farisei inculcava la stessa grande lezione del valore delle anime che periscono, e della gioia provata nei cieli per la loro salvezza. Per molti scrittori la donna rappresenta lo Spirito Santo o la Chiesa; ma la somiglianza di costruzione e l'intenzionale ripetizione delle stesse parole in questa e nella precedente parabola ci conduce a concludere che le persone che in entrambe ricercano e ritrovano le cose perdute, rappresentano tutte e due lo stesso cercatore degli uomini perduti, il Signor Gesù Cristo. Non possiamo trovare, come fanno alcuni, un senso allegorico alla donna, al numero dieci, alla lampada accesa, allo spazzar la casa, ecc. Crediamo che queste non sono se non le circostanze accessorie di un racconto, inteso ad imprimere più fortemente e sotto nuova forma, nella memoria, la grande verità che Cristo ha cura dei peccatori e si diletta nel salvarli. Due valenti critici moderni hanno indicato due tratti che distinguono questa parabola dalla precedente, val la pena di notarli, benchè sieno più ingegnosi che di peso.

1. Godet suggerisce che siccome non è la compassione ma l'interesse che anima questa donna nella sua ricerca, così l'amor di Dio vien qui rivelato sotto una forma tutta nuova. Il peccatore non è più solamente ai suoi occhi un essere sofferente come la pecora, ma è una creatura preziosa, fatta alla sua imagine, una sua proprietà la cui perdita fa un voto nel suo tesoro. Egli lo ama, perchè prezioso al suo cospetto.

2. Coll'idea che la ripetizione della lezione contenuta nella prima parabola deve essere stata necessaria per introdurvi qualche insegnamento che quella non poteva presentare, Arnot lo scuopre nella diversa natura della cosa perduta e ritrovata in ciascuna. «Siccome la pecora», dice egli, «è perduta per il proprio atto e volere, e la moneta per il proprio peso ed inerzia, così, negli uomini caduti, il peccato è al tempo stesso attivo e progressivo. I peccatori scelgono il proprio corso, e vanno errando per propria decisione; essi pure gravitano verso il male in virtù di una corruzione innata, che agisce come legge nelle loro membra».

Però, lo scopo principale della parabola si è, col rifondere la forma del racconto, di fissar maggiormente nel cuore degli uditori lo zelo di Cristo per la salvezza dei peccatori, nonchè il notevole contrasto fra la gioia di Dio e dei suoi angeli per un peccatore salvato, e l'avversione crudele dei Farisei che non avrebbero mosso un dito per ritirarlo dall'inferno.

PASSI PARALLELI

Luca 19:10; Ezechiele 34:12; Giovanni 10:16; 11:52; Efesini 2:17

Luca 15:6-7

Luca 2:1-14; Ezechiele 18:23,32; 33:11; Matteo 18:10-11; 28:5-7; Atti 5:19; 10:3-5

Ebrei 1:14; Apocalisse 5:11-14

Luca 7:47; 13:5; 2Cronache 33:13-19; Matteo 18:14; Atti 11:18; 2Corinzi 7:10; Filemone 15

11 

Parabola del Figliuol Prodigo, Luca 15:11-32

11. Disse ancora: Un uomo avea due figliuoli.

Questa parabola, per la sua sublimità, completezza e beltà suprema, venne a ragione, chiamata la perla e la corona di tutte le parabole della Scrittura. Sola quella del «Seminatore» può venirle paragonata per la comprensiva completezza del disegno, e la chiara finitezza dei dettagli. Completa, le precedenti. In quelle vengono specialmente dipinti l'amore e lo zelo del Salvatore nel cercare e salvare il peccatore perduto; questa ci presenta l'effetto prodotto dallo Spirito Santo sul peccatore medesimo, facendogli comprendere che così maravigliosa carità è destinata anche a lui; come pure il contrasto fra l'accoglienza che riceve da Dio e quella che gli fanno i Farisei. Il padre qui rappresenta Dio, nostro padre celeste, non Cristo, che sempre si presenta a noi come Figlio, benché spesso pure come un padrone od un signore. I due figli non rappresentano, come suppongono alcuni, gli angeli e gli uomini. I sentimenti del fratello maggiore sono in sì flagrante contradizione con quelli attribuiti agli angeli Luca 15:10, che è incredibile come mai una tal supposizione sia venuta in mente a persone ragionevoli. Né possono rappresentare, come altri sostengono, i Giudei ed i Gentili, classificazione che includeva tutti gli abitanti della terra ai tempi di Cristo; perché a quel tempo l'ammissione dei Gentili nella Chiesa di Dio, per formare una sola famiglia coi Giudei, era un mistero che neppure i discepoli potevano ancora intendere. «Di più adottata una tale interpretazione», dice Alford «i Gentili, a rigor di termini, sarebbero il fratello maggiore, i Giudei non essendo fatti superiori agli altri popoli che 2000 anni dopo la creazione». I due figli rappresentano esattamente i due partiti che Cristo avea di fronte, entrambi appartenenti alla stessa famiglia, come figliuoli di Abrahamo, e queste parabole ebbero in vista prima di tutto la loro istruzione. Il figlio maggiore sta pei Farisei, gonfi di propria giustizia, il minore pei pubblicani e pei peccatori. Questo non toglie punto che il figlio minore sia pure il tipo di tutti i peccatori non convertiti, ed il suo ritorno alla casa paterna l'emblema del vero pentimento; anzi di necessità ne viene una tale conclusione. Oosterzee osserva giustamente che «a rigor di termini, entrambi erano figli prodighi: uno rovinato dal peccato che lo avvilisce, l'altro dalla propria giustizia che lo acceca».

PASSI PARALLELI

Matteo 21:23-31

12 12. E il più giovane di loro disse al padre: Padre, dammi la parte de' beni che mi tocca. E il padre spartì loro i beni.

Dai Luca 15:12-19 abbiamo la prima parte della storia del figliuol prodigo, e la si può dividere in tre,

1. suo peccato;

2. la sua miseria;

3. il suo pentimento.

La legge Giudaica non permetteva ad un padre di disporre del suo patrimonio a capriccio: ne dovea far porzioni uguali, di cui due per il primogenito, ed una per ciascuno degli altri suoi figli Deuteronomio 21:16-17. Niente però nel codice civile degli Ebrei dava ad un figlio il diritto di chieder la sua porzione, mentre viveva tuttora il genitore. In questo caso, il padre, con singolare abnegazione, sacrificò sé stesso per amor di suo figlio (il che rende tanto più vile la condotta di questi), e dividendo i suoi beni a norma di legge, ritenne in poter suo la parte che dovea spettare un giorno al primogenito, dando fin d'allora al più giovane quella che toccava a lui. La sua domanda rivela nel fratello minore egoismo non solo, ma pure mancanza di amore pel padre, impazienza dei ritegni della casa paterna, e smodato amore di indipendenza. In senso spirituale, quella domanda esprime il desiderio dell'uomo carnale di scuotere il giogo di Dio, di divenir Dio a sé stesso, e di disporre della vita sua a proprio piacere e pel proprio conto. Questo è il peccato per eccellenza, da cui vengon tutti gli altri. Come il padre accordò al figlio la sua richiesta, così Iddio abbandona il peccatore ai desiderii del proprio cuore Salmi 81:13; Romani 1:28, finché egli non sia condotto in sull'orlo della distruzione, avendo già fin dal principio stabilito di ricondurlo a pentimento ed a vita. «Quando il servizio di Dio più non gli pare libertà perfetta, e l'uomo si promette qualcosa di meglio altrove, gli vien concesso di farne la prova, ed una dura sperienza lo convincerà tosto che la sola vera libertà è quella che si trova nel servire a Dio; che l'allontanamento da lui non è un liberarsi da ogni giogo, bensì scambiarne un leggiero per un pesantissimo; lasciare, un dolce Signore per mille tiranni imperiosi» (Trench).

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 21:16-17; Salmi 16:5-6; 17:14

Marco 12:44

13 13. E, pochi giorni appresso, il figliuol più giovane raccolta ogni cosa, se ne andò in viaggio in paese lontano;

Per quanto sospetta la sua domanda, il padre doveva sperare che egli si stabilisse poco lontano dalla casa paterna, e cominciasse a lavorar per proprio conto, ma presto fu disingannato. Non era sotto gli occhi del padre che poteva viver la vita che sospirava; altra alternativa non gli rimaneva che di convertire in denaro o in gioie la sua parte di beni, e andarsene lontano per poter fare il piacer suo senza tema di interruzioni e di rimproveri, e così ei fece.

e quivi dissipò tutte le sue facoltà, vivendo dissolutamente

L'avverbio dissolutamente, non si trova altrove nel N. T.; ma che significhi nella lussuria, o nella deboscia lo sappiamo non solo dalla definizione datane dal fratello maggiore Luca 15:30, ma pure dai passi nei quali il nome è usato, Vedi Efesini 5:18; Tito 1:6; 1Pietro 4:4. Denaro e salute presto si consumano nella fiamma della lussuria. La completa dissipazione dei suoi beni rappresenta la libertà umana spinta ai suoi limiti più estremi, ed il «paese lontano» ove fuggì è l'emblema dello stato dell'anima che è andata errando sì lungi, che non le si affaccia neppur più il pensiero di Dio. Egli è solo quando uno è o si crede lontano da Dio, che ardisce dar libero corso ai suoi vizii; e per conseguenza quelli che sono decisi a vivere nel peccato allontanano da sé il pensiero di Dio, per non venire interrotti nei loro piaceri.

PASSI PARALLELI

2Cronache 33:1-10; Giobbe 21:13-15; 22:17-18; Salmi 10:4-6; 73:27; Proverbi 27:8

Isaia 1:4; 30:11; Geremia 2:5,13,17-19,31; Michea 6:3; Efesini 2:13,17

Luca 15:30; 16:1,19; Proverbi 5:8-14; 6:26; 18:9; 21:17,20; 23:19-22; 28:7; 29:3

Ecclesiaste 11:9-10; Isaia 22:13; 56:12; Amos 6:3-7; Romani 13:13-14; 1Pietro 4:3-4

2Pietro 2:13

14 14. E, dopo che ebbe spesa ogni cosa, una grave carestia venne in quel paese, talché egli cominciò ad aver bisogno.

Dio manda, nella sua provvidenza, la fame in quel lontano paese, appunto quando il figlio prodigo maggiormente ne doveva sentire il rigore, avendo speso ogni soldo che aveva; era questo un primo appello a tornare a casa! Ma il suo orgoglio ancora non è vinto; la sua fiducia nelle proprie risorse non è esaurita. I rimproveri e i terrori della coscienza di rado conducono subito il peccatore alla porta del perdono; troppo spesso indurano il suo cuore, facendovi nascere amari sentimenti verso Dio, e lo spingono a provare successivamente varii altri modi per ottener sollievo.

PASSI PARALLELI

2Cronache 33:11; Ezechiele 16:27; Osea 2:9-14; Amos 8:9-12

15 15. E andò, e si mise con uno degli abitatori di quella contrada, il quale lo mandò a' suoi campi, a pasturare i porci.

La parola si accostò, si allogò, sembra indicare che l'uomo cui si rivolse non lo voleva ricevere, e solo in seguito alla urgente sua preghiera lo mise al più vile uffizio della, sua casa, quello di porcaro. Anche i Gentili disprezzavano tali persone per il loro impiego. Erodoto ci dice che i soli porcai venivano esclusi dai templi egiziani, e che anche i più vili fra il popolo ricusavano di imparentarsi con loro. Siccome poi la legge mosaica dichiarava i porci immondi, e malediva chiunque si dava ad allevarli, il Signore non poteva presentare ai suoi uditori una caduta più terribile, una degradazione più profonda, che quella del figlio minore di una ricca ed onorata casa israelitica ridotto a custodire i porci per un incirconciso. Or siccome le cose spirituali eccedono di gran lunga quelle carnali, la degradazione del figlio prodigo simboleggia una caduta ben più grande e ben più terribile, quando cioè colui che fu creato ad immagine di Dio, e trattato come suo figlio, è incatenato dalle proprie, passioni e fatto schiavo di Satana. In questo degradante asservimento di un giovane Israelita sotto un Gentile, non possiamo se non vedere, insieme con Godet, un'allusione ai pubblicani giudei al servizio del potere romano.

PASSI PARALLELI

Luca 15:13; Esodo 10:3; 2Cronache 28:22; Isaia 1:5,9,10-13; 57:17; Geremia 5:3; 8:4-6

Geremia 31:18-19; 2Timoteo 2:25-26; Apocalisse 2:21-22

Luca 8:32-34; Ezechiele 16:52,63; Nahum 3:6; Malachia 2:9; Romani 1:24-26; 6:22; 1Corinzi 6:9-11

Efesini 2:2-3; 4:17-19; 5:11-12; Colossesi 3:5-7; Tito 3:3

16 16. Ed egli desiderava d'empiersi li corpo delle silique, che i porci mangiavano; ma niuno gliene dava.

silique erano i baccelli del carrubo, Ceretonia siliqua di Linneo, così chiamati perché somiglianti ad un corno, Quest'albero abbonda nell'Europa meridionale e nell'oriente. Divien molto grosso e produce baccelli piatti e sottili lunghi da 15 a 20 centimetri, con una polpa dolcigna, e dei semi che l'uomo non può mangiare. I baccelli stessi vengon talvolta mangiati dai più poveri abitanti della Palestina e della Siria, ma servono generalmente a ingrassare i maiali. È pur chiamato l'albero delle locuste, e pane di S. Giovanni, a motivo della tradizione fratesca che Giovanni Battista non viveva veramente di locuste, bensì del frutto di quest'albero. Mandato ai campi o nei boschi dove i porci dovean campar di quel che trovavano, interamente negletto dal suo padrone, che non gli provvedeva nemmanco il cibo più meschino, né trovando alcuno che, avesse un po' più compassione di lui, altra alternativa, non gli restava che di mangiare il cibo dei porci (che poteva bensì attutire, ma non saziare la sua fame), o morir d'inedia. Secondo Oosterzee, indicherebbe che la crudeltà del padrone trattenevalo dal riempiersi il corpo di silique: ma questo non è probabile, poiché egli era nei campi fuori dalla vista di lui. In questo suo vano conato di riempirsi il corpo colle silique, vediamo l'immagine del peccatore che cerca indarno di dissetar l'anima, sua, sciogliendo la briglia ai suoi appetiti carnali. «Niuno glie ne dava». Nessuno dei suoi compagni di prima, che lo avean corteggiato ed eran vissuti a spese sue, al tempo della sua spensieratezza, gli stese una mano soccorritrice in quella dura estremità. Come son vere le parole di Salomone: «Chi va, dietro agli uomini da nulla sarà saziato di povertà». «Non esser dei bevitori di vino, né dei ghiotti mangiatori di carne. Perciocché l'ubriaco ed il ghiotto impoveriranno, e il sonnecchiare farà vestire stracci» Proverbi 38:19; 23:20-21. Il prodigo è ora rovinato al fondo d'ogni miseria; perisce senza che alcuno ne abbia compassione; è solo nel mondo, e sta per sparirne senza lasciar traccia di sé; vero tipo del peccatore, che raccoglie come conseguenze del peccato la vergogna e la più completa miseria. Ma gli è quando, maggiore il bisogno dell'uomo, che vien per Dio il momento di agire. Ci vollero le carceri di Babilonia per rompere lo spirito altero di Manasse, e condurlo a pentimento 2Cronache 33:11-12, e per molti peccatori occorre la perdita della salute o dei beni terreni per convincerli che «il procedere dei perfidi è duro» Proverbi 13:15, e che nessuno «si è mai indurato contro a Dio ed è prosperato» Giobbe 9:4.

PASSI PARALLELI

Isaia 44:20; 55:2; Lamentazioni 4:5; Osea 12:1; Romani 6:19-21

Salmi 73:22

Salmi 142:4; Isaia 57:3; Giona 2:2-8

17 17. ora, ritornato a se medesimo,

Fin qui il Signore ha messo dinanzi ai suoi uditori il peccato e la miseria del figliuol prodigo, ora comincia a descrivere il suo pentimento. L'ora più nera della notte è quella che precede l'aurora. Fu lo stato suo disperato che lo condusse a pensare alla casa che avea abbandonata. «La tua malvagità ti castigherà, e i tuoi sviamenti ti condanneranno, e tu saprai e vedrai che egli è una mala ed amara cosa che tu abbia lasciato il Signore Iddio degli eserciti» Geremia 2:19. Tutto il tempo che visse dissolutamente, era stato trasportato da una specie di follia che impediva ogni seria riflessione; ora è tornato in sé, come chi è stato inebriato, o svenuto, o insano, o posseduto dal diavolo. «È un tratto distintivo della follia», dice Arnot, «che la sua, vittima non conosce e non confessa la sua insanità, finché quella non sia passata; solo quando è "ritornata a se medesima" scuopre di essere stata fuori di sé». Così fu di questo giovane; il primo suo atto, una volta guarito della sua follia, fu di riflettere, sotto l'influenza di una coscienza risvegliata, sulla sua vita passata, sull'abbandono della casa paterna, sulla susseguente vita d'infamia, e sulla disperata condizione cui quella l'avea ridotto. Questa rivista del passato lo riempì di disgusto e di vero pentimento; per grazia di Dio non era troppo tardi per lui. Il più terribile tormento dei dannati, quello che invero costituirà il loro stato di tormento sarà di ritornare a, se, medesimi quando l'ora del pentimento sarà passata per sempre.

disse: quanti mercenari di mio padre han del pane largamente, ed io mi muoio di fame:

A misura che costata la fame, la nudità, la vergogna della presente sua posizione, gli torna, per contrasto, in mente la sorte felice di quelli che tengono anche i posti più umili in casa di suo padre; essi non si cibavano di silique come lui; v'era pane a sufficienza per tutti; anzi sarebbe bastato all'occorrenza anche per altri servi. Qual follia era stata la sua di abbandonare una tal casa! E perché morrebbe egli ora d'inedia, mentre c'era anche pei più umili tanta abbondanza in casa di suo padre? Questo suo tornare in sé indica quel salutare convincimento di peccato che è la prima operazione dello Spirito Santo nella conversione del peccatore, e lo conduce all'odiare le sue vie passate al vero pentimento. Finché, questo non sia stato fatto, non si può sperare che ritorni a Dio, mediante la fede nella propiziazione del gran Mediatore.

PASSI PARALLELI

Luca 8:35; 16:23; Salmi 73:20; Ecclesiaste 9:3; Geremia 31:19; Ezechiele 18:28; Atti 2:37; 16:29

Atti 16:30; 26:11-19; Efesini 2:4-5; 5:14; Tito 3:4-6; Giacomo 1:16-18

Luca 15:18-19; Lamentazioni 1:7

18 18. io mi leverò, e me ne andrà a mio padre, e gli dirò: Padre, io ho peccato contro al cielo, e davanti a te; 19. E non sono più degno d'esser chiamato tuo figliuolo; fammi come uno de' tuoi mercenari. 20. Egli adunque si levò, e venne a suo padre;

In molti casi, oimè! il pentimento non va più in là del rimorso per il passato, e di un indefinito desiderio di vivere un vita migliore, che Satana presto «toglie via», perché non lo si mette subito in pratica. Ma pel figliuol prodigo la cosa prese tutt'altro aspetto; il contrasto fra la propria miseria e l'abbondanza della casa paterna lo condusse ad una pronta risoluzione. Il suo pentimento era genuino, senza tentativo di palliare la mala sua vita. Era pronto a confessare di avere oltraggiato non solo il padre, ma Iddio stesso, colla sua condotta. Il suo orgoglio era vinto; servire uno straniero! perché non cercare un posto consimile nella casa paterna? Era nata in lui la vera umiltà, ed egli sentivasi indegno di riempire anche il posto di un servo; aveva al tempo stesso preso possesso del cuor suo la fede nella compassione di suo padre e nella prontezza ad accordargli la sua domanda. Risolvette dunque di ribatter la strada della casa che avea abbandonata, e senza un momento d'indugio, mette la sua risoluzione in pratica e parte. Non solo parte subito, ma parte qual'era: macilente, nudo, cencioso, affamato! Non indugia (come per ignoranza sono tentati di fare tanti peccatori risvegliati) finché abbia potuto rendersi in qualche modo degno di riprendere in famiglia il suo posto di prima; ma viene dal padre, bisognoso di ogni cosa, affinché dalla pienezza di lui possano venire soddisfatti tutti i suoi bisogni. In breve, il suo pentimento è qui descritto nei suoi tratti caratteristici come una completa rivoluzione in conoscenza, sentimenti, volontà, e susseguente condotta. Nella descrizione dataci in questi versetti della condotta del figliuol prodigo, vediamo i varii stadii in cui si divide la conversione dei peccatori, e sono: il sentimento profondo ed invincibile del peccato in tutte le sue forme, in tutti i suoi pericoli; il vero dolore di averlo commesso; la certezza della misericordia di Dio in Cristo; e la fede che prende possesso di Cristo come di un Salvatore perfetto, e di Dio come un Dio riconciliato in lui. Gli è questo sapere e comprendere che Dio è disposto a mostrar misericordia, che costituisce la differenza fra il rimorso di Giuda ed il pentimento a vita di Pietro. Per qual segreto e soprannaturale potenza sul cuore venga operato questo cambiamento nelle vedute e nei sentimenti del peccatore, questa parabola non lo dice, né potrebbe dirlo senza un'incongrua e confusa mistura della similitudine e della cosa figurata, della storia esterna e della realtà nascosta sotto di essa, ma noi lo sappiamo da 1Corinzi 15:10; Filippesi 2:13. Lo scopo principale della parabola è di presentarci l'accoglienza affettuosa nella casa paterna del più grande dei peccatori.

20 ed essendo egli ancora lontano, suo padre lo vide, e n'ebbe pietà; e corse, e gli si gittò al collo, e io baciò.

I versetti 20-24 ricordano la gioia e, la bontà con cui il povero prodigo fu ricevuto dal suo padre, il quale non solo lo aspettava ansiosamente, ma stava spiando il suo ritorno. Egli era ancora lontano quando l'occhio del padre lo scorse e lo riconobbe. La compassione, la gratitudine, la, gioia erano troppo potenti in quel cuore di padre, perché aspettasse l'arrivo, le preghiere, le confessioni del figlio; affinché non rimanesse indietro per timore, corre ad incontrarlo, e col caldo suo abbraccio gli dà piena certezza di completo perdono, prima ancora che egli abbia pronunziato una sola parola. Nelle parole di Cristo si versa il cuore di Dio! Con quale esattezza questo quadro corrisponde con quello che Dio stesso ha detto di Efraim penitente! Geremia 31:20. Dice Godet: «Dio ode il più debole sospiro verso il bene, che sfugge al cuore dell'errante; e se questi fa un passo verso di lui, Dio ne fa dieci per incontrarlo, per mostrargli qualche cosa del suo amore». In tal guisa, Dio si avvicinava mediante il suo Figliuolo Gesù Cristo, ai pubblicani lì presenti. Questi pegni di profonda affezione paterna rivelano la verità che Dio, il quale discerne le più intime emozioni del cuore del peccatore verso il pentimento, le incorona e le benedice, svegliandovi il sentimento e la coscienza della sua grazia e del suo buon volere; cosicché il peccatore possiede una esperienza benedetta della affezione di suo Padre, e da quella vien confermato nella sua fede e nella sua speranza.

PASSI PARALLELI

1Re 20:30-31; 2Re 7:3-4; 2Cronache 33:12-13,19; Salmi 32:5; 116:3-7

Geremia 31:6-9; 50:4-5; Lamentazioni 3:18-22,29,40; Osea 2:6-7; 14:1-3; Giona 2:4; 3:9

Luca 11:2; Isaia 63:16; Geremia 3:19; 31:20; Matteo 6:9,14; 7:11

Luca 18:13; Levitico 26:40-41; 1Re 8:47-48; Giobbe 33:27-28; 36:8-10; Salmi 25:11

Salmi 32:3-5; 51:3-5; Proverbi 23:13; Matteo 3:6; 1Giovanni 1:8-10

Luca 15:21; Daniele 4:26

Luca 5:8; 7:6-7; Genesi 32:10; Giobbe 42:6; 1Corinzi 15:9; 1Timoteo 1:13-16

Giosuè 9:24-25; Salmi 84:10; Matteo 15:26-27; Giacomo 4:8-10; 1Pietro 5:6

Deuteronomio 30:2-4; Giobbe 33:27-28; Salmi 86:5,15; 103:10-13; Isaia 49:15; 55:6-9

Isaia 57:18; Geremia 31:20; Ezechiele 16:6-8; Osea 11:8; Michea 7:18-19; Atti 2:39

Efesini 2:13,17

Genesi 33:4; 45:14; 46:29; Atti 20:37

21 21. E il figliuolo gli disse: Padre, io ho peccato contro al cielo, e davanti a te, e non sono più degno d'esser chiamato tuo figliuolo.

Benché già conscio del perdono paterno, il figliuolo non si ristà dal confessare il suo peccato; anzi lo riconosce tanto più volentieri che più si sente amato. Di quel peccato il Padre non avea detto verbo; ma egli lo vuol confessare, come ora lo vede, in tutta la sua laidezza, dinanzi a Dio e dinanzi a suo padre. Più il peccatore prova e gusta l'amor di Dio, più gli duole di averlo offeso Ezechiele 36:25-31. Nella sua confessione, il figliuol prodigo segue esattamente il piano che si era fissato quando avea deciso di alzarsi e di andar da lui, eccetto in un punto solo. Non dice nulla del suo desiderio di venire impiegato come mercenario, benché in alcuni MSS. questo sia stato copiato dal ver. 19, i copiati non comprendendo evidentemente il bel significato dell'omissione. Qual ne può esser la causa? Dobbiamo cercarla nella esuberante tenerezza del padre, che lo interruppe nel modo più benigno, non lasciando tempo al figlio di dir tutto ciò che voleva dire. Altri però la trovano nel fatto che lo spirito di servitù, che era nel suo cuore quando si risolse a far quella domanda, ne era stato bandito dalla esperienza dell'amore paterno, ed avea dato luogo allo spirito di adozione, sicché egli più non poté finire il discorso che avea cominciato. «La compiuta carità caccia fuori la paura!» Egli non poteva più chiedere il posto di un servo, perché, reclinando sul seno del padre, egli già occupava quello di un figlio.

PASSI PARALLELI

Luca 15:18-19; Geremia 3:13; Ezechiele 16:63; Romani 2:4

Salmi 51:4; 143:2; 1Corinzi 8:12

22 22. Ma il padre disse a' suoi servitori:

Questa parabola ha tre parole per dinotare i servi: misthioi ver. 17, servi presi e pagati a giornata Matteo 20:1 ecc., fra i quali il figliuol prodigo voleva essere annoverato; douloi, ver. 22, schiavi domestici che dimoravano nella casa per un tempo più o meno lungo; e paides, vers. 26, che erano forse impiegati nelle stalle, in sull'aia ecc. La menzione indiretta di queste varie specie di servi indica la ricchezza di quel padre.

portate quà la più bella vesta, e vestitelo, e mettetegli un anello in dito, e delle scarpe ne' piedi. 23. E menate fuori il vitello ingrassato, e ammazzatelo; e mangiamo, e rallegriamoci;

La profonda ed esuberante gioia del padre, presto si converte in atti; i servi son chiamati, al prodigo si toglie ogni vestigio della passata sua degradazione, egli indossa vesti ed onori conformi al rango di figlio di un ricco proprietario (letteralmente la prima veste, non vuol dire, come credono taluni, quella che egli portava prima di abbandonare la casa paterna, né il posto che essa occupava nel guardaroba, ma, come è chiaro dal testo, la più bella, la più preziosa di quelle che eran tenute in serbo per gli ospiti, vedi Note Matteo 6:19; Matteo 22:11). Sin dai primi tempi, le persone di rango usavano anche in Palestina degli anelli, come lo si vede nel caso di Giuda, Genesi 38:18; ma in quelli di Giuseppe, di Jezebel, di Aman, e di Mardocheo, l'anello o sigillo reale, loro affidato, era un emblema di autorità Genesi 41:42; 1Re 21:8; Ester 3:10; 8:2. L'anello posto in dito al figliuol prodigo può esser stato simbolo non solo della restituzione del suo rango, ma pure dell'autorità che egli dovea ricominciare ad avere in casa insieme al padre ed al fratello maggiore. Le scarpe non erano portate dai servi o dagli schiavi, il riceverne era dunque una nuova prova che egli ritornava ad occupare la sua posizione di prima. L'articolo prima del vitello ingrassato indica, non già che non ci fosse che quello nella stalla, ma che quello lo si ingrassava specialmente per qualche sacrifizio o qualche festa. Quasi tutti i commentatori antichi e moderni dànno un significato spirituale a ciascuno di questi doni conferiti al figliuol prodigo. La veste rappresenterebbe la giustizia di Cristo, di cui deve esser coperto il peccatore per ottenere il suo perdono da Dio. Qui la dottrina è senza dubbio ortodossa, ma la interpretazione è erronea, perché, in quanto al tempo, il peccatore deve già esser vestito di quella giustizia prima di avventurarsi alla presenza di Dio; ed è precisamente, perché egli è rivestito di quella giustizia per fede, che il Padre lo riceve amorevolmente. Se deve darsi alle vesti un senso spirituale, dovrebb'esser piuttosto quello della santificazione, il rivestire per parte dell'anima perdonata e accettata da Dio, delle varie grazie della vita divina, i frutti dello Spirito, i quali essi pure vengono paragonati a dei vestimenti Romani 13:12; Efesini 4:24; Colossesi 3:10. In tal caso troviamo un passo parallelo in Zaccaria 3:1-5. L'anello secondo questa interpretazione spirituale significa il suggello dello Spirito, e le scarpe sono una indicazione che il perdonato peccatore cammina in novità di vita; mentre l'ammazzare il vitello ingrassato, Origene, Girolamo ed Agostino (contradicendo in modo strano le summentovate spiegazioni), lo ritengono come un simbolo del sacrifizio di Cristo! Tali interpretazioni sono ingegnosissime, ma a parer nostro, non sono conformi alla mente di Cristo. Nessun significato simbolico dev'essere assegnato a ciascuno di questi articoli di vestiario o di ornamento: sono semplici accessorii del racconto, destinati a dare una più viva impressione del completo ristabilimento del figliuol prodigo nella sua posizione primiera, e della attività esuberante della gioia del padre. L'espressione della gioia del padre raggiunge il suo apice e si diffonde nella festa cui prendon parte con lui e col figlio minore tutti i servi della casa. Come il pastore e la donna nelle precedenti parabole, chiamarono i loro amici e vicini a rallegrarsi seco loro per aver essi trovato quello che avean perduto, così in questa il padre chiama tutti i membri della sua famiglia a dividere la gioia del suo cuore.

PASSI PARALLELI

Salmi 45:13; 132:9,16; Isaia 61:10; Ezechiele 16:9-13; Zaccaria 3:3-5; Matteo 22:11-12

Romani 3:22; 13:14; Galati 3:27; Efesini 4:22-24; Apocalisse 3:4-5,18; 6:11; 7:9,13-14

Apocalisse 19:8

Genesi 41:42; Ester 3:10; 8:2; Romani 8:15; Galati 4:5-6; Efesini 1:13-14; Apocalisse 2:17

Deuteronomio 33:25; Salmi 18:33; Cantici 7:1; Ezechiele 16:10; Efesini 6:15

Genesi 18:7; Salmi 63:5; Proverbi 9:2; Isaia 25:6; 65:13-14; Matteo 22:2-14

24 24. Perciocché questo mio figliuolo era morto, ed è tornato a vita; era perduto, ed è stato ritrovato. E si misero a far gran festa.

Qui vien letta, la raggione per cui il padre desidera che la sua gioia sia divisa da tutta la sua famiglia: egli avea considerato suo figlio come morto; il suo ritorno era dunque come una risurrezione dai morti; lo riteneva perduto per sempre, ed ecco, quando meno lo si aspettava, egli ricomparve! Non possiamo scoprire con certi scrittori un parallelismo fra le parole «egli era morto ed è tornato a vita», e la dramma perduta, cui né, vita né morte possono applicarsi; più naturale è quello fra le parole «era perduto ed è ritrovato», e la parabola della pecora smarrita. Tali parole corrispondono in modo molto calzante colla descrizione dataci in altre parti della Scrittura dello stato del peccatore prima e dopo la conversione. Lo stato di peccato è sempre considerato come uno stato di morte, e la conversione come un ritorno alla vita Matteo 8:22; Efesini 2:1; 1Timoteo 5:6; 1Pietro 2:25; 1Giovanni 3:14. La festa giuliva celebrata dal padrone e dalla sua famiglia ci riporta alla descrizione contenuta nei ver. 7 e 10 perché la gioia provata in quella casa corrisponde all'«allegrezza appo gli angeli di Dio per un peccatore ravveduto». Importa, sommamente ricordarci che chiunque, da questa parabola, conchiude che Dio accoglie i peccatori senza propiziazione, erra grandemente. L'idea che un mediatore non è necessario, perché non lo si trova specificamente rappresentato in questa parabola, proviene dall'erroneo concetto che ogni parabola deve contenere tutta quanta la verità evangelica. Nell'opera della grazia v'ha un lato divino ed un lato umano, ed entrambi non potevano venire al tempo stesso delineati in ciascuna delle parabole contenute in questo capitolo; perciò nelle due prime abbiamo rappresentato il lato divino di quell'opera, mentre in questa ne troviamo il lato umano, cosicché esse si completano a vicenda.

25 25. or, il figliuol maggiore di esso era, a' campi;

Nei vers. 25-30, troviamo un ritratto somigliantissimo degli Scribi e dei Farisei. Oosterzee suggerisce «che il visibile dispiacere dei Farisei per questa triplice ripetizione della stessa idea principale possa avere spinto il Signore a sviluppare l'allusione già fatta nei ver. 7 e 10, dipingendo nella condotta del figlio maggiore il loro proprio egoismo»; ma la menzione fatta fin dal ver. 11 di due fratelli dovea naturalmente destar fin dal principio l'aspettazione che a suo tempo anche il fratello maggiore verrebbe introdotto in sulla scena, ed eccolo infatti che viene a far la parte degli Scribi e dei Farisei. Sembra che fosse stato occupato nei campi, lontano dalla casa. Se fosse pel servizio del padre, o pel proprio piacere, non sappiamo; ma è probabile che seguisse i proprii piaceri ed interessi, pur persuadendosi che erano anche quelli del padre. «Ecco», dice Godet, «l'immagine del Fariseo, affaccendato nei suoi riti, mentre i peccatori penitenti si rallegrano nella luce della grazia. Ogni libero ed allegro impulso è abborrito dallo spirito formale del Farisaismo»

e, come egli se ne veniva, essendo presso della casa, udì il concerto, e le danze. 26. E chiamato uno de' servitori, domandò che si volesser dire quelle cose.

Non era pervenuta fino a lui nei campi notizia alcuna del mutamento avvenuto in casa a cagione del ritorno del penitente fratello, grande dunque fu la sua sorpresa, quando, avvicinandosi alla sua dimora, udì il canto e le danze ed altri evidenti segni di gioia. Danze miste dei due sessi erano, a quel tempo, come oggidì, cose ignote, nell'oriente; la figlia di Erodiade è una eccezione. I ballerini doveano essere, in questa occasione, o i servi della casa, o più probabilmente donne pagate, come se ne trovavano in ogni villaggio, pronte così a danzar nelle feste, come a piangere ai funerali Isaia 5:12; Matteo 9:23. Invece di entrar subito nella sala del festino, pronto a dividere di cuore la gioia di suo padre, qualunque ne potesse essere la causa, il figlio maggiore s'adombrò e chiamò uno dei servì per saper di che si trattasse.

PASSI PARALLELI

Luca 15:11-12

Luca 7:32; Esodo 15:20; 2Samuele 6:14; Salmi 30:11; 126:1; 149:3; 150:4; Ecclesiaste 3:4

Geremia 31:4

27 27. Ed egli gli disse: il tuo fratello è venuto, e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato; perciocché l'ha ricoverato sano e salvo. 28. Ed egli si adirò, e non volle entrare;

Notisi, nella risposta del servo, la squisita delicatezza del quadro. Non apparteneva ad uno nella sua posizione di esprimere i sentimenti del suo padrone in tale emergenza; semplicemente dice che il fratello più giovane è tornato sano e salvo e, quello che forse avea fatto maggiore impressione sulla sua mente, che il vitello ingrassato era stato ucciso in onore di quel fatto. Ben lungi dal simpatizzare con questa dimostrazione, l'invidia e la durezza, di cuore verso il fratello, l'indegnazione per il tenero amore di suo padre, la sorpresa e il dispiacere che una così gran festa fosse stata organizzata a sua insaputa, preser possesso del suo cuore, e pieno di egoismo egli voltò sdegnosamente le spalle alla casa paterna. Questa parte della parabola rappresenta l'accoglienza che il peccatore penitente riceve dai suoi simili, in contrasto con quella che riceve da suo Padre Matteo 18:27,30.

28 laonde suo padre uscì e lo pregava d'entrare.

Ben avrebbe potuto il padre adirarsi per tal condotta del figlio maggiore, come per un insulto fatto a lui stesso; ma, ben lungi da ciò, la stessa paterna compassione che lo spinse ad abbracciare il prodigo, lo conduce ora a rivolgere al fratello maggiore parole di affettuosa esortazione. Il figlio non voleva venire; il padre dunque si alza e va da lui. Così spiccano l'amore ed il perdono del padre, in contrasto colla completa mancanza di amore e di umiltà del figlio. L'atto del padre nell'uscire ad esortare suo figlio, è realizzato nella conversazione che il figlio di Dio, mandato dal Padre, teneva quell'ora stessa coi Farisei.

PASSI PARALLELI

Luca 15:30; Atti 9:17; 22:13; Filemone 16

Luca 15:23; 5:30; 7:39; 1Samuele 17:28; 18:8; Isaia 65:5; 66:5; Giona 4:1-3; Matteo 20:11

Atti 13:45,50; 14:2,19; 22:21-22; Romani 10:19; 1Tessalonicesi 2:16

Luca 13:34; 24:47; Genesi 4:5-7; Giona 4:4,9; 2Corinzi 5:20

29 29. Ma egli, rispondendo, disse al padre: Ecco, già tanti anni io ti servo, e non ho giammai trapassato alcun tuo comandamento;

Anziché cedere alle preghiere paterne, quest'uomo mette avanti duramente e senza rossore i motivi della sua ira. Il caro nome di padre, pronunziato con tanta emozione del figliuol prodigo, non gli esce dalle labbra. I due punti principali della sua risposta sono la sua inattaccabile giustizia, che merita le più alte ricompense, ed una accusa di ingiusta parzialità contro a suo padre. L'orgogliosa sua giustizia propria si manifesta nel fare il conto di tutti gli anni durante i quali egli avea fedelmente servito suo padre e nella sua pretesa di avergli prestato sempre perfetta ubbidienza. Così facendo, egli ci rivela che la sua è stata la vita di uno schiavo, non di un figlio; che l'osservanza dei comandamenti di suo padre non era scaturita da un cuore pieno di amore per lui, ma dal desiderio della ricompensa. Che fedele ritratto è questo del perfetto Fariseo! Lo schiavo, fino a quell'ora nascosto nel figlio, si tradisce col lamentarsi delle fatiche che ha dovuto sopportare; mentre che il suo criterio di perfetta ubbidienza si accorda perfettamente col vanto del Fariseo nel tempio: «O Dio, io ti ringrazio che non sono come, gli altri uomini». Tale è pure il concetto che si fanno tutti gli uomini irrigenerati della giustizia secondo la legge, sulla quale riposano le loro speranze di salute; essa è un lavoro nel quale chi faticosamente persevera meriterà una ricompensa. Per la propria sua natura, essa è totalmente priva delle delizie che appartengono unicamente alla sfera del gratuito amore di Dio: anzi lo scandalizzano le prove di quella delizia che vede nella condotta dei peccatori riconciliati con Dio. È degno di nota che la vanità del vanto di quest'uomo, che egli non aveva «giammai trapassato alcun comandamento» di suo padre, si vede dalla sua condotta in questa circostanza, perché se fosse stato fino a quell'ora così ubbidiente come pretendeva, sarebbe egli ora divenuto iracondo, ostinato, e colpevole di tali accuse contro suo padre?

e pur giammai tu non mi hai dato un capretto, per rallegrarmi co' miei amici;

Qui confessa apertamente che in tutti i suoi lavori è stato guidato non dall'affetto o dalla gratitudine, ma dalla speranza di una ricompensa che non ha mai ottenuta. Lo stare allegro cogli amici dev'esser considerato come un mero complemento della parabola, non già come un indizio che non gli piacesse stare in compagnia di suo padre, e perché i Farisei che egli rappresenta, pretendevano che tutti i loro amici erano amici di Dio. Egli s'inganna però sul senso di quella festa; essa non era data per far piacere al figlio prodigo; bensì per esprimere la gioia del padre, a motivo del suo ritorno.

PASSI PARALLELI

Luca 17:10; 18:9,11-12,20-21; 1Samuele 15:13-14; Isaia 58:2-3; 65:5; Zaccaria 7:3

Matteo 20:12; Romani 3:20,27; 7:9; 10:3; Filippesi 3:4-6; 1Giovanni 1:8-10; Apocalisse 3:17

Luca 15:7; 19:21; Malachia 1:12-13; 3:14; Apocalisse 2:17

30 30. Ma quando questo tuo figliuolo,

Niente potrebbe esprimere al pari di queste parole il supremo disprezzo ed odio pel suo fratello, e maraviglia per la pusillanimità del padre. "Sarà vostro figlio, se volete; ma io non lo riconoscerò mai come fratello". Tali erano precisamente i sentimenti ed il linguaggio dei Farisei verso i pubblicani e i peccatori» Luca 18:11.

che ha mangiati i tuoi beni colle meretrici,

Opposto sin dal principio alla cessione di una parte del patrimonio al fratello minore, protesta ora retrospettivamente contro questo fatto, esagerando la cosa, come, se il figlio prodigo avesse scialacquato tutta quanta la fortuna di suo padre, anziché la sola sua porzione Luca 15:12-13, e con malizia propensa, egli mette la cosa nel suo più brutto aspetto, svelando tutta la profligatezza del fratello. È probabile assai che il prodigo avesse mangiato il suo insieme a delle meretrici, però questo è una gratuita supposizione per parte di suo fratello; poiché egli non poteva aver conoscenza alcuna di quanto era accaduto in si lontano paese, ed ora la mette avanti, da figlio ribelle, per far comparire suo padre infatuato e pazzo.

e venuto, tu gli hai ammazzato il vitello ingrassato.

Qui abbiamo il secondo tratto della sua risposta, cioè l'accusa di parzialità e di ingiustizia portata contro a suo padre, e questa egli esprime sotto due forme; egli avea preferito il figlio prodigo, ritornato nella casa paterna al figlio che era sempre stato ubbidiente, attivo, e coscienzioso, e per il primo avea ucciso il vitello ingrassato, mentre al secondo non avea dato neppure un capretto, che però costava tanto meno in paragone. All'occhio suo invidioso parea che il padre desse molto a quest'altro che meritava poco, e poco a lui che meritava molto; che non solo trattava il figlio prodigo sul piede dell'uguaglianza con lui (il che era già un'ingiustizia), ma lo metteva al disopra di quel figlio che stimava se stesso modello di ogni virtù. V'era molta ingratitudine in questa accusa contro suo padre; perché non gli avea il padre assegnata la sua porzione al tempo stesso che a quell'altro? Non aveva egli sempre continuato a vivere lautamente nella casa paterna? non aveva egli diviso tutte le gioie di suo padre? Ci sia di ammonimento la condotta di quest'uomo. Siamo grati a Dio per i molti ed immeritati favori da lui, ricevuti, e non li troviamo piccoli, perché maggior grazia è stata mostrata ad altri.

PASSI PARALLELI

Luca 15:32; 18:11; Esodo 32:7,11

Luca 15:13,22-23

31 31. Ed egli gli disse: Figliuolo (teknon, parola più affettuosa di huios), tu sei sempre meco, ed ogni cosa mia è tua.

Ad onta del contegno poco rispettoso e dell'accusa indegna di un figlio ricordati nei precedenti versetti, il padre non se ne torna in casa adirato, ma continua a ragionare col figlio, respingendo la sua accusa di parzialità. Gli mostra che non c'era occasione di fare una festa speciale per lui, né di dargli qualche regalo particolare, poiché, tutto quanto il padre possedeva ancora era suo di diritto; egli dimorava di continuo nella casa come l'erede legittimo, sicché la sua vita era una festa perpetua ed ininterrotta. Ma ben altro era il caso quando il fare o il non fare una tal festa: doveva indicare al figliuol prodigo la natura della sua accoglienza. Ammesso che il figlio maggiore rappresenta gli Scribi e i Farisei ai cui mormorii il Signore risponde in questa parabola, come fossero applicate ad essi queste parole del padre? Solo riguardo al loro patto con Dio, quali discendenti di Abrahamo ed ai privilegi religiosi che erano allora i soli a godere. Erano sempre con Dio, poiché avevano in ogni tempo entrata appo lui, mediante i servizii del tempio; tutto quello che il Signore possedeva, per quanto spetta almeno ai privilegi esterni, apparteneva ad essi soli, poiché nessun altro popolo divideva tali privilegi con loro. Nel senso spirituale, il maggior numero di essi non erano figli di Dio, e, mediante le rimostranze del padre a suo figlio, il Signore mostra loro che se fossero stati giusti quanto pretendevano, si sarebbero rallegrati della conversione e della riconciliazione di altri con Dio, che non poteva recar loro danno alcuno. Lungi dal concedere che non abbiano bisogno di pentimento, col ritratto che fa di loro, li dichiara essi pure peccatori, e diversi dai pubblicani solo in quanto che non si pentivano e non abbandonavano i loro peccati Coll'irritarsi orgogliosamente per l'ammissione di altri nel regno di Dio, dimostravano senza saperlo, ma in modo evidente, di non esservi entrati essi per i primi. «Lo spirito che è soddisfatto di se stesso, che non si è umiliato dinanzi a Dio, e non sente amore per gli uomini, non ha parte con Cristo. È questo l'orgoglioso che Dio conosce da lontano, non l'umile che egli si diletta di onorare». (Arnot).

PASSI PARALLELI

Luca 19:22-23; Matteo 20:13-16; Marco 7:27-28; Romani 9:4; 11:1,35

32 32. or conveniva far festa, e rallegrarsi; perciocché questo tuo fratello era morto, ed è tornato a vita; era perduto, ed è stato ritrovato.

Quivi il padre chiaramente e pienamente dichiara al figlio maggiore, come già avea dichiarato alla sua casa, i motivi pei quali si rallegrava in quel, giorno per il prodigo ritornato nella casa paterna più che per quello che non l'avea mai abbandonata. «È una regola universale costatata e ricevuta nella esperienza umana, che quantunque un figlio che non è mai stato perduto non sia meno prezioso di quello che fu perduto eppoi ritrovato, i genitori provano una gioia più viva nel ricevere il figlio perduto, che nel continuo possesso di quello che essi non hanno mai perduto di vista». Egli è a questa regola che si riferisce (conveniva), di questo versetto; perché sarebbe stato interamente contrario alla natura umana, se al figlio perduto si fosse semplicemente detto di riprendere il suo posto, da tanto tempo vuoto nel cerchio della famiglia, senza alcun segno speciale di gioia per il suo ritorno. La parabola non ci dice qual sia stato il risultato delle esortazioni del padre né se il figlio maggiore si sia lasciato vincere da quelle o no. Questo è lasciato incerto di proposito deliberato. Siccome egli rappresentava una classe di individui che avrebbero potuto esser vinti essi stessi dal pentimento, Gesù la interrompe qui, e lascia che ognuno risponda pel proprio conto.

PASSI PARALLELI

Luca 7:34; Salmi 51:8; Isaia 35:10; Osea 14:9; Giona 4:10-11; Romani 3:4,19; 15:9-13

Luca 15:24; Efesini 2:1-10

RIFLESSIONI

1. Benché fermamente convinti che la retta esposizione di questa terza parabola trovasi nei rapporti reciproci dei Farisei e dei pubblicani, quali rappresentanti di due classi diverse di uomini, e non in quelli delle nazioni fra di loro, concediamo che vi sono alcuni punti di rassomiglianza fra la posizione e il portamento dei due fratelli, e quelli dei Giudei e dei Gentili. Ammesso per un momento, che la nazione giudaica è rappresentata dal fratello maggiore e i Gentili dal minore, è verissimo che questi ultimi si sono allontanati da Dio dopo il diluvio, e ne hanno raccolto tenebre, miseria e dura schiavitù sotto il giogo di Satana; è verissimo pure che incontrarono per parte dei Giudei una dimenticanza biasimevole per tutto il tempo che continuarono nel loro stato di degradazione pagana e disprezzo ed amarissimo odio quando cominciarono ad entrar nel regno di Dio per la fede, trattamento che contrasta colla gioia provata in cielo per ogni peccatore penitente. Oltre a questo, la rassomiglianza non va, perché storicamente i Gentili erano il fratello maggiore, i Giudei il minore; poiché Abrahamo, Gentile, fu dalla provvidenza di Dio scelto d'infra i suoi fratelli per divenir lo stipite di una nuova nazione, almeno 430 anni dopo il diluvio.

2. Il completo allontanamento del cuore umano da Dio, come vien dipinto sotto le figure della pecora errante, della dramma smarrita, e del figliuol prodigo, è la più profonda e la più universale infermità della nostra natura. Nella descrizione del figlio minore abbiamo un ritratto fedelissimo del cuore naturale, dello stato di mente in cui tutti siamo nati. Siamo per natura orgogliosi, amanti di fare il proprio volere, e ci allontaniamo da Dio, perché non troviamo piacere alcuno nella comunione con lui. Spendiamo il tempo e le forze, le facoltà e gli affetti in cose di nessun profitto. L'avaro lo fa in un modo; lo schiavo della lussuria e delle passioni carnali, in un altro; il ricercatore dei piaceri, in un altro ancora. I nostri cuori dicono a Dio: «Dipartiti da noi, perciocché noi non prendiamo piacere nella conoscenza delle tue vie». La sperienza prova che l'inconvertito fa consistere la sua felicità nello starsene più lontano che sia possibile dalla sorgente e dal centro di ogni vero bene; ma non vi può essere errore più grossolano e più fatale. Che cosa è la felicità del cielo, se non l'immediata ed eterna presenza di Dio? Che cos'è la miseria dell'inferno, se non l'esilio e l'allontanamento eterno dal suo cospetto? Più persistiamo a starcene lontani da Dio, e più ci avviciniamo alla miseria che non avrà mai fine, «al verme che non muore, al fuoco che non si spegne».

3. «L'estensione in cui prevale questo allontanamento da Dio varia, come variano gli uomini fra di loro. Può prendere la forma di impazienza o di ribellione contro l'autorità divina, o semplicemente quella, di antipatia per le cose nelle quali egli si compiace. Ma per quanto importi distinguere fra queste varie forme di allontanamento da Dio, esse si compenetrano e sono inseparabili. Nelle nature placide e tranquille si vede soprattutto il poco amore alle cose spirituali. Questo non assume talvolta nessuna forma esterna; lo si vede solo nella completa contentezza del cuore senza Dio. In altri, e specialmente nei giovani, questo allontanamento da Dio si manifesta nell'impazienza dei ritegni che impone l'autorità divina, e nel desiderio di liberarsene». (Brown),

4. La prima volta che egli s'avvede della follia e del pericolo di tal sua condotta, il peccatore, invece di ritornare a Dio, si sente spesso mosso a fuggir più lontano ancora nei sentieri del peccato, cercandovi invano un contento che non vi si può trovare. Gl'inconvertiti non sono mai veramente felici. Sotto un sembiante di allegria e di vivacità, nascondono il più delle volte vera infelicità; col cuore vuoto, scontenti di se medesimi, stanchi dei loro piaceri, essi domandano sempre: «Chi ci farà veder qualche bene?» ma lo ricercano dove non lo si può trovare. Per quanto si sforzino di nasconderlo, le loro anime sono tormentate dalla fame.

5. Nel cambiamento che avvenne nel caso del figliuol prodigo e nelle risoluzioni che prese ed eseguì in seguito, vediamo vivamente dipinti i vari stadii della conversione e del ritorno a Dio del peccatore. Egli prima «aveva delle follie al cuore»; ed i suoi atti erano contrari alla ragione ed ai suoi interessi spirituali, ma è restituito «in buon senno», quando lo Spirito del Signore opera efficacemente sopra lui, mediante la sua parola e le dispensazioni della sua provvidenza, e lo risveglia per fargli dolorosamente sentire il suo peccato e la sua miseria. Questo non è ancora un cambiamento di cuore, ma ne può essere il principio; l'esser convinto non è ancora l'esser convertito, ma è un primo passo sul retto sentiero. Stiamo però in guardia contro il fermarci ad un semplice convincimento del nostro peccato, o anche ad un pentimento parziale; imperocché molti dopo avere avuto una passeggiera esperienza di tali cose sono tornati ai loro peccati, come «il cane al suo vomito» 2Pietro 2:22. Il peccatore nel quale lo Spirito ha cominciato ad operare convincendolo di peccato, non si ferma a quel punto; non appena ha preso una risoluzione, la mette in pratica, e ritorna con fede e preghiera dal Padre suo celeste.

6. Il perdono del peccato è assolutamente gratuito per parte di Dio, per i meriti del nostro divino Redentore. Perciò è del tutto erronea la conclusione che i Pelagiani ed i Razionalisti derivano da questa terza parabola, che cioè i peccatori possano tornare a Dio senza l'intervento di un mediatore. Essa non solo è contraria all'insegnamento diretto della Scrittura, ma è basata sulla ipotesi interamente gratuita che il Signore abbia descritta in una sola parabola tutta quanta la via della salute, e che questa non abbia nulla che fare colle precedenti. Al contrario, la conversione del peccatore viene rappresentata in questo gruppo di parabole in due quadri distinti. Nel primo, il Redentore esce spontaneamente per ricercare e condurre indietro gli smarriti; nell'altra, l'errante peccatore si pente, si alza, e ritorna a suo padre. Ma entrambi riproducono lo stesso evento. Nel primo, lo consideriamo, per così dire, dall'alto, e contempliamo la divina compassione all'opera; nel secondo, dal basso, e vediamo la lotta del convincimento nella coscienza del peccatore e il ritorno spontaneo del penitente.

7. Il sentimento della riconciliazione con Dio, anziché attutire il dolore del credente per il fallo che gli è stato rimesso, non fa che ravvivarlo. È questo il naturale impulso di un cuore veramente riconoscente; è altresì quello che Dio aspetta da coloro sovra i quali ha esteso il suo perdono, vedi Ezechiele 16:63; e Riflessioni N. 6 in Luca 7:50.

8. Com'è maravigliosa e commovente la conoscenza che Gesù ci comunica dell'amore del suo Padre Celeste per il peccatore, dipingendoci il desiderio ardente del cuore compassionevole del padre per il prodigo suo figlio, la vigilante aspettazione con cui ne spiava il ritorno, l'ardore col quale lo accoglie nelle sue braccia, l'affetto con cui dimentica tutte le passate sue offese, e gli rende quel rango di figlio che esso avea perduto a causa del suo peccato. Ma più maravigliosa ancora è la descrizione che il Salvatore ci dà dell'effetto prodotto in cielo dalla conversione di ogni peccatore, la gioia che ne risentono le persone della Divinità, ciascuna delle quali ebbe la sua parte in quell'opera, ed il diffondersi di quella lieta notizia fra tutti gli abitanti glorificati di quella regione gloriosa - angeli immacolati, e «spiriti dei giusti resi perfetti» - affinché essi pure sieno partecipi di quella gioia. È questo un misterio rimasto fino a quell'ora nascosto ai mortali, e la rivelazione del quale, finché durerà il mondo, sarà una prova cui nessuna mente spregiudicata potrà resistere che colui che l'ha dichiarata deve essere uscito dal seno stesso del Padre. «Noi parliamo ciò che sappiamo, e testimoniamo ciò che abbiamo veduto» Giovanni 3:11.

9. La condotta del fratello maggiore ritrae il disprezzo e l'odio degli Scribi e dei Farisei per i loro fratelli caduti, e contrasta colla gioia che sovrabbonda in cielo per la conversione di ogni peccatore. Ma tale descrizione si applica molto bene alla condotta ed ai sentimenti dei Farisei di tutti i tempi. Essi sono proclivi a deridere la conversione come il risultato di sentimenti esagerati o di nervi in disordine, e ne sparlano come di una superstizione che conviene reprimere. Ben lungi dall'accogl iere con gioia quelli che sono stati condotti all'ovile del Redentore, non cercano nemmeno di nascondere il disprezzo che nutrono verso di loro, e non si vergognano di perseguitarli quando se ne presenta la occasione. E quantunque per motivi farisaici, certi uomini si sforzino di nascondere il loro dispetto nel vedere accogliere con gioia un convertito, ed il loro odio verso i più che gli stendono le braccia, e ciò sotto pretesto di rispetto alla religione e alla moralità, questo non è però che una pretesa che aggrava tanto più la loro colpa. «Ascoltate la parola del Signore, voi che tremate alla sua parola. I vostri fratelli che v'odiano, e vi scacciano per cagion del mio nome, hanno detto: Apparisca pur glorioso il Signore. Certo egli apparirà in vostra letizia, ed essi saranno confusi» Isaia 66:5. Il contrasto fra i sentimenti dei Farisei e dei Formalisti di quaggiù e «l'allegrezza appo gli angeli di Dio» insegna una lezione che tutti dovrebbero imparare. Niente dovrebbe rallegrarci quanto la conversione delle anime. Si beffino pure i mondani delle conversioni, ne mormorino e le neghino quelli che si credono giusti in sé stessi; ogni vero cristiano peserà le parole di Gesù in questo capitolo, e si sentirà il cuore ripieno di gioia e di gratitudine ogni qual volta gli giungerà la nuova di un'altr'anima salvata, mediante la grazia; anzi si sforzerà di essere egli stesso lo strumento terreno per diffondere spesso una tal gioia in mezzo ai gloriosi abitanti del cielo.

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