Commentario abbreviato:

Romani 4

1 Capitolo 4

La dottrina della giustificazione per fede è dimostrata dal caso di Abramo Rom 4:1-12

Ha ricevuto la promessa attraverso la giustizia della fede Rom 4:13-22

E siamo giustificati nello stesso modo di credere Rom 4:23-25

Versetti 1-12

Per venire incontro alle opinioni dei Giudei, l'apostolo fa innanzitutto riferimento all'esempio di Abramo, di cui i Giudei si gloriavano come del loro più rinomato capostipite. Per quanto esaltato sotto vari aspetti, egli non aveva nulla di cui vantarsi al cospetto di Dio, essendo salvato per grazia, mediante la fede, come gli altri. Senza contare gli anni trascorsi prima della sua chiamata e i fallimenti, a volte, nella sua obbedienza e persino nella sua fede, la Scrittura dice espressamente che "credette a Dio e gli fu riconosciuto come giustizia" (Gen 15:6). Da questo esempio si osserva che, se un uomo potesse operare in tutta la misura richiesta dalla legge, la ricompensa dovrebbe essere calcolata come un debito, cosa che evidentemente non avvenne nemmeno nel caso di Abramo, visto che la fede gli fu computata come giustizia. Quando i credenti sono giustificati per fede, "la loro fede viene computata come giustizia", la loro fede non li giustifica come una parte, piccola o grande, della loro giustizia, ma come il mezzo stabilito per unirli a Colui che ha scelto come nome con cui sarà chiamato "il Signore nostro Giusto". Il popolo perdonato è l'unico popolo benedetto. Dalle Scritture risulta chiaramente che Abramo fu giustificato diversi anni prima della sua circoncisione. È quindi evidente che questo rito non era necessario per la giustificazione. Era un segno della corruzione originale della natura umana. E si trattava di un segno che era anche un sigillo esteriore, destinato non solo a confermare le promesse di Dio a lui e alla sua discendenza, e il loro obbligo di essere del Signore, ma anche ad assicurargli di essere già un reale partecipante della giustizia della fede. Così Abramo fu il capostipite spirituale di tutti i credenti, che camminarono sull'esempio della sua fede obbediente. Il sigillo dello Spirito Santo nella nostra santificazione, che ci rende nuove creature, è l'evidenza interiore della giustizia della fede.

13 Versetti 13-22

La promessa fu fatta ad Abramo molto prima della legge. Indica Cristo e si riferisce alla promessa, Gen 12:3. In Te saranno benedette tutte le famiglie della terra". La legge opera l'ira, mostrando che ogni trasgressore è esposto al dispiacere divino. Come Dio ha inteso dare agli uomini un titolo alle benedizioni promesse, così ha stabilito che esse avvenissero per fede, in modo che fossero interamente di grazia, per renderle sicure a tutti coloro che avevano la stessa preziosa fede di Abramo, sia ebrei che gentili, in tutti i tempi. La giustificazione e la salvezza dei peccatori, il prendere a sé i Gentili che non erano un popolo, erano una chiamata benevola di cose che non sono, come se lo fossero; e questo dare un'esistenza a cose che non erano, dimostra l'onnipotenza di Dio. La natura e la potenza della fede di Abramo sono mostrate. Egli credette alla testimonianza di Dio e attese l'adempimento della sua promessa, sperando fermamente quando il caso sembrava senza speranza. È la debolezza della fede che fa sì che un uomo giaccia sulle difficoltà che si frappongono alla promessa. Abramo non lo considerò un punto che potesse essere oggetto di discussione o di dibattito. L'incredulità è alla base di tutti i nostri tentennamenti di fronte alle promesse di Dio. La forza della fede si manifesta nella sua vittoria sulle paure. Dio onora la fede e una grande fede onora Dio. Gli è stata imputata come giustizia. La fede è la grazia che più di ogni altra dà gloria a Dio. La fede è chiaramente lo strumento con cui riceviamo la giustizia di Dio, la redenzione che è per mezzo di Cristo; e ciò che è lo strumento con cui la prendiamo o la riceviamo, non può essere la cosa stessa, né può essere il dono così preso e ricevuto. La fede di Abramo non lo giustificava per i suoi meriti o per il suo valore, ma gli dava una parte in Cristo.

23 Versetti 23-25

La storia di Abramo e della sua giustificazione è stata registrata per insegnare agli uomini di altri tempi, in particolare a quelli a cui il Vangelo era stato reso noto allora. È evidente che non siamo giustificati per il merito delle nostre opere, ma per la fede in Gesù Cristo e nella sua giustizia; questa è la verità sottolineata in questo capitolo e in quello precedente, come la grande sorgente e il fondamento di ogni consolazione. Cristo ha operato meritoriamente la nostra giustificazione e la nostra salvezza con la sua morte e la sua passione, ma la sua potenza e la sua perfezione, nei nostri confronti, dipendono dalla sua risurrezione. Con la sua morte ha pagato il nostro debito, nella sua risurrezione ha ricevuto la nostra assoluzione, Is 53:8. Quando è stato assolto, noi, in Lui e insieme a Lui, abbiamo ricevuto l'assoluzione dalla colpa e dalla punizione di tutti i nostri peccati. Quest'ultimo versetto è un riassunto dell'intero Vangelo.

Commentario del Nuovo Testamento:

Romani 4

1 Romani 4:1-25 LA GIUSTIFICAZIONE PER FEDE DI TUTTI I CREDENTI È CONFORME ALL'INSEGNAMENTO CONTENUTO NELLA STORIA DEL PATRIARCA ABRAMO

Romani 4:1-8 Abramo giustificato per fede

La rivelazione della legge per mezzo di Mosè segna un momento importante nella storia delle dispensazioni divine che hanno preparato la manifestazione della Grazia in Cristo. Ma non è la sola. Prima di porre il suo popolo sotto la disciplina legale, si trattava., per Dio, di eleggersi un popolo speciale per farlo depositario dei suoi oracoli e strumento, dei suoi disegni d'amore verso tutte le altre genti. Questo aveva fatto Iddio col rivelarsi ad Abramo e col chiamar lui e la sua progenie a quell'alta missione religiosa. Abramo era stato l'uomo di Dio per eccellenza ed i Giudei si gloriavano d'esser i suoi discendenti. Or, l'esempio del patriarca prescelto da Dio, parlava esso di fede o di merito d'opere? di particolarismo esclusivo o di universalismo? Tale la questione che l'Apostolo solleva, col fare egli stesso l'obbiezione che s'era sentita ripetere, le tante volte, dai Giudei.

Che diremo dunque che il nostro antenato (testo emendato) Abramo abbia ottenuto secondo la carne?

Questa la traduzione del testo secondo l'ordine delle parole nei K L P, ecc., mentre altri documenti (Sin. A C D), ecc., portano: Che diremo che abbia ottenuto Abramo il nostro antenato secondo la carne? E altri ancora (B 47): Che diremo dunque di Abramo?... Sembra difficile che Paolo abbia chiamato Abramo «l'antenato secondo la carne» di una comunità in gran maggioranza d'origine pagana, mentre nei Romani 4:11-16 lo chiama, per l'autorità del suo esempio, il loro padre in senso spirituale.

Nel testo che pare più probabile, «la carne indica, come spesso, la natura umana isolata dal soffio divino, abbandonata alle sole sue forze naturali» (Godet). Abramo ha egli ottenuto qualcosa per virtù propria, in forza di un qualche merito suo? L'Apostolo non risponde subito; ma togliendo in esame la narrazione biblica della vita del patriarca, egli mostra come il favor di Dio e tutto quello ch'esso implicava di benedizioni temporali e spirituali gli sia stato concesso, non in via di retribuzione di meriti, ma in via di grazia, sotto l'unica condizione della fede che si abbandona all'Iddio della promessa. Egli è l'eroe della fede. E siccome è il tipo e modello del popolo di Dio secondo lo spirito, l'Apostolo fa risaltare con particolare cura gl'insegnamenti contenuti nel suo esempio, poichè quello che si verificò nel padre, ha da verificarsi sostanzialmente nella famiglia di cui è il capo.

a) La sua fede nel Dio delle promesse, è quella che gli ha procurata giustificazione davanti a Dio Romani 4:1-8.

b) La fede che gli fu imputata a giustizia, egli l'ebbe quand'era ancora incirconciso, e l'adempimento delle promesse divine concessegli non fu fatto dipendere dall'osservanza di precetti legali impostigli, ma dalla fede. Se legata a condizioni impossibili all'uomo, la promessa sarebbe stata vana. Questo dimostra come Dio non faccia differenza., per la salvazione, tra circoncisi ed incirconcisi, tra chi possiede la legge mosaica e chi non l'ha. Per fede, essi sono ugualmente eredi del regno di Dio ed Abramo è il padre spirituale di tutti i credenti Romani 4:9-17.

c) La fede di Abramo nel Dio onnipotente e fedele fu robusta e salda, esempio ai credenti di tutti i tempi, specie a coloro che godono di una più chiara rivelazione della salvazione in Cristo Romani 4:18-25.

2 Se, infatti, Abramo è stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che gloriarsi,

egli avrebbe motivo di vanto, e l'esempio suo contraddirebbe alla dottrina della giustificazione per fede, la quale esclude ogni vanto. Ma lo ha egli in realtà? Risulta egli che l'abbia? Certo, egli è molto vantato presso agli uomini ed i suoi discendenti sono disposti ad attribuirgli ogni sorta di meriti; ma come stanno le cose agli occhi di Dio?

Ma questo egli non l'ha presso a Dio.

Dinanzi a Lui, Abramo non ha motivo, di vanto. E donde risulta.. questo? Dalla dichiarazione della Scrittura ch'è la parola ispirata di Dio.

3 Infatti, che dice la Scrittura?

Ella si esprime così:

"Ed Abramo credette a Dio e ciò (cioè la sua fede) gli fu messo in conto di giustizia".

La citazione di Romani 4:3 è tolta da Genesi 15:6. Dopo la separazione da Lot e la spedizione contro i re orientali, Dio appare ad Abramo e gli rinnova le promesse di benedizioni. Eppure risponde Abramo, tu non mi hai dato finora un erede. Dio fa allora uscire il patriarca dalla tenda, gli mostra il cielo stellato, e gli dice: Così sarà la tua progenie. Ogni nube sparisce, Abramo afferra la promessa dell'Onnipotente. «Abramo credette a Dio e Dio gl'imputò ciò a giustizia». Paolo segue la LXX che traduce, «gli fu imputato a giustizia», ossia portato in conto di perfetto adempimento d'ogni suo dovere.

Questa «imputazione a giustizia» implica un atto di grazia per il quale, mancando la effettiva personale giustizia in Abramo, la sua fede gli venne contata per tale.

4 Ora a chi opera, la mercede non è messa in conto di, grazia, ma di debito;

a chi adempie effettivamente all'obbligo suo, la ricompensa non gli è portata in conto per grazia, ma gli è pagata come cosa dovuta.

5 mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli è messa in conto di giustizia.

A chi non opera, cioè a chi sa di non poter sussistere sul terreno delle opere, e si appiglia all'unica via che gli rimane aperta: quella della fede che gli rimane nel Dio che giustifica anche colui che ha negato a Dio e dovutegli a chi crede, avviene come ad Abramo: «la sua fede gli è imputata a giustizia» per effetto di grazia divina.

Si è rimproverato a Paolo di aver troppo cristianizzata la fede di Abramo la quale non avrebbe avuto che fare colla salvazione, ma solo con la promessa di numerosa progenie or, che Abramo non avesse della salvazione una nozione così chiara come quella d'un Apostolo, è cosa ovvia (cfr. Matteo 11:11 (Giovanni); 1Pietro 1:10-12 (i profeti)). Ma che le promesse fattegli fossero di natura meramente terrena, e che, nella eredità promessagli, nella posterità in cui tutte le famiglie della terra sarebbero benedette, Abramo scorgesse solo il dono di una proprietà fondiaria è di una prole numerosa, è cosa che contraddice a tutto il Nuovo Testamento (cfr. Galati 3; Ebrei 11), e, specialmente, la parola di Cristo riportata Giovanni 8:56, che ci dà della fede di Abramo una ben altra idea. Nelle promesse fattegli, il patriarca afferrò la grazia di Dio, la salvazione che dalla sua posterità dovea, sorgere per tutte le famiglie della terra. Gli Ebrei solevano studiare ogni atto della vita del loro grande progenitore e i loro dottori ne facevano materia di discussioni nelle scuola. Non c'è quindi da stupirsi se anche nel Nuovo Testamento, il nome d'Abramo s'incontra nelle Epistole ai Galati ed ai Romani, nell'Epistola agli Ebrei ed in quella di S. Giacomo, nonchè nei Vangeli. Gl'insegnamenti che dall'esempio del patriarca traggono Paolo e Giacomo, sembrano a prima vista contraddittori giacchè Paolo, citando Genesi 15:6, ne conclude che Abramo fu giustificato per fede ad esclusione d'ogni merito d'opere; mentre Giacomo, accennando al sacrificio d'Isacco Genesi 22, ne trae la conclusione che Abramo fu giustificato per opere, in quanto le sue opere d'ubbidienza manifestavano la realtà della sua fede e la completavano. Come l'abbiam notato nel Commento su Giacomo 2:21-24, la diversità delle formule dei due scrittori mette in luce, due aspetti della verità che rispondono a situazione diverse. Paolo combatte l'illusione del borioso fariseo che si stima in regola con Dio perchè osserva esteriormente la legge. Un tale si crede salvato in virtù dei propri meriti e non si cura della grazia. Giacomo combatte invece l'illusione del cristiano superficiale dalla fede meramente intellettuale senza frutti è morta. Non è quella la fede d'Abramo, la fede che salva, e non è quella di cui parla, Paolo poichè, anche per lui, la fede, è fiducia del cuore che unisce l'anima a Cristo ed è viva ed operante per mezzo dell'amore. «È la fede sola che giustifica ma la fede che giustifica non può mai esser sola».

6 Ma non è soltanto nel Pentateuco che il carattere gratuito della giustificazione viene rivelato. Già l'Apostolo ha citato Habacuc 1:17; qui egli reca un'altra testimonianza profetica tolta da Salmi 32, composto dopo che Davide si è umiliato per i suoi peccati davanti a Dio.

Allo stesso modo anche Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio imputa la giustizia senza le opere

cioè mette in conto una giustizia che non deriva, dalle sue opere, ma gli è imputata per grazia. Propriamente, Davide celebra beato chi è perdonato dei suoi peccati. Ma l'esser perdonato, implica, il godere del favor di Dio, l'esser da lui trattato come se non si fosse peccatori.

7 dicendo: "Beati quelli le cui iniquità son rimesse e i cui peccati sono coperti. Beato l'uomo al quale il Signore non imputa il peccato".

Il perdono è significato coll'immagine del rimettere un debito Matteo 18:23-35, e del coprire che si fa d'un velo una cosa che non si vuol più vedere nè ricordare. Altrove si parla. «di cancellare il peccato, di gettarlo in fondo al mare, di allontanarlo Salmi 103, d'imbiancarlo Isaia 1, ecc. Se, per Paolo, il perdono dei peccati e l'imputazione della giustizia sono, in fondo, una stessa cosa, ciò vuol dire che, per lui, giustificare non è lo stesso che render moralmente giusto.

9 Romani 4:9-17 Il favor di Dio assicurato ad Abramo senza circoncisione e senza legge

Stando all'esempio d'Abramo dall'inno Davidico, la giustificazione è per grazia, mediante la fede. Ma a chi si estende? A un popolo particolare o a tutti gli uomini? La risposta, Paolo la trae, anche questa volta Romani 4:9-10, dalla storia stessa d'Abramo in cui si vede come la promessa divina, la fede del patriarca, l'imputazione a giustizia, hanno preceduto; di molti anni l'istituzione della, circoncisione qual segno esterno distintivo dell'antico popolo di Dio Genesi 17.

Questa beatitudine, dunque,

dei giustificati, domanda Paolo,

è ella soltanto per i circoncisi o anche per gl'incirconcisi?

Lett. per la circoncisione... per l'incirconcisione.

10 Poichè noi diciamo che la fede fu ad Abramo messa in conto di giustizia. In che modo dunque gli fu messa in conto? Quand'era circonciso, o quand'era incirconciso?

Lett. nella circoncisione... nell'incirconcisione.

11 Non quand'era circonciso, ma quand'era incirconciso; poi ricevette il segno della circoncisione qual suggello della giustizia ottenuta per la fede che avea quand'era incirconciso,

Il suggello era destinato a confermare uno scritto, autenticandolo 1Re 21:8. Così il sacramento della circoncisione era destinato a servir di conferma al patto di Dio con Abramo e colla sua progenie. È chiamato Genesi 17:10-13, «il segno del patto», «il patto di Dio nella carne», e i rabbini parlano del suggello di Dio nella nostra carne». Abramo non fu dunque giustificato perchè circonciso, ma fu circonciso perchè giustificato. E le cose furono in tal modo da Dio dirette e dallo scrittore sacro narrate,

affinchè

per l'esempio della sua fede,

fosse il padre di tutti coloro che in istato d'incirconcisione, come Abramo, credono perchè venga loro imputata la giustizia;

12 e il padre

spirituale,

della circoncisione...

ossia dei circoncisi Giudei i quali, al segno esterno che li distingue come progenie di Abramo, aggiungono la fede del cuore che li fa figli suoi in senso assai più profondo.

di quelli cioè, che non solo sono circoncisi, ma seguono anche le norme della fede del nostro padre Abramo quand'era ancora incirconciso.

(Cfr. Giovanni 8:39 e segg.; Galati 3).

13 Si tratta dunque, per esser vero figlio d'imitare la sua fede.

Poichè la promessa d'esser erede del mondo non fu fatta ad Abramo e alla sua progenie in base alla legge, ma in base alla giustizia che vien dalla fede.

Lett. giustizia di fede. Non fu fatta sotto la condizione di una legge data, ma sotto la condizione di posseder la giustizia che, s'ottiene per fede. La promessa divina, va connessa sempre in Paolo coll'idea di grazia, e infatti, implica una misericordiosa iniziativa di Dio che annunzia quel ch'Egli vuol fare per la salvezza, a condizione che l'uomo, secondi l'intento divino colla fede sua. Il contenuto della promessa è qui riassunto da Paolo coll'espressione:«esser erede del mondo». Ad Abramo era stato, detto che sarebbe padre di popoli e di re, che la sua posterità dominerebbe sui suoi nemici, che Dio sarebbe con lui e lo benedirebbe. Queste indicazioni generiche, i profeti le precisarono annunziando il dominio, perfetto ed eterno del Re-Messia (Salmi 2; Isaia 9:11; Daniele 7:25; cfr. Apocalisse 11:15). Gesù pronunzia «beati i mansueti, perciocchè erederanno la terra», il che torna a dire: «entreranno nel regno di Dio», lo vedranno, lo «erederanno». L'espressione implica la vittoria finale dei credenti sopra ogni potestà nemica, il tranquillo possesso della felicità del regno di Dio giunto al suo compimento nei nuovi cieli e nella nuova terra, di cui la Canaan terrena non era che una imperfetta immagine (cfr. Ebrei 4;11; Romani 8:18-25; 1Corinzi 15; 2Pietro 3).

14 Romani 4:14-15 dimostrano come, se la promessa fosse stata legata alla condizione di una giustizia legale, sarebbe stata inutile, poichè per lo stato di peccato dell'uomo, la legge che traccia i suoi obblighi non serve che ad accrescere la sua condanna.

Perchè, se quelli, che son della legge,

quelli che cercano giustizia nella osservanza della legge,

sono eredi, la fede è resa vana,

non c'entra più per nulla,

ed è annullata

di fatto

la promessa,

perchè è un miraggio che non si potrà mai trasformare in realtà.

15 La legge, infatti, genera ira;

ira di Dio sul peccatore che la trasgredisce Romani 3:20; 5:20;

ma

(così i 4 più antichi MSC)

dove non c'è legge, non c'è neppur trasgressione.

Vi può esser peccato senza legge rivelata; ma non assume quel carattere di positiva disubbidienza a un dato precetto, che provoca maggiormente l'ira.

16 Perciò,

poichè per la via legale si giungerebbe a più grave condanna, ma non a felicità, Dio ha stabilito che l'eredità fosse assicurata sulla base della fede:

l'eredità è per fede, affinchè sia per grazia,

Lett. «è di fede, affinchè sia secondo grazia». È questa l'unica àncora di salvezza per il peccatore.

onde sia sicura la promessa,

essendone reso possibile e sicuro il conseguimento,

per tutta la progenie, non soltanto per quella che è sotto la legge,

cioè per i Giudei,

ma anche per quella che ha la fede d'Abramo il quale è padre di noi tutti

credenti.

17 (secondo che è scritto: " Io ti ho costituito padre di molte nazioni") dinanzi al Dio a cui egli credette,

Abramo è padre di tutti i credenti che formano una sola grande famiglia spirituale (cfr. Efesini 3) di uomini appartenenti a varie nazioni, lingue e tribù. In questo fatto, Paolo, vede adempiuta, nel modo più glorioso, la parola Genesi 17:5, che costituiva il patriarca «padre di molte nazioni». Certo, l'oracolo qui ricordato in una rapida, parentesi, ha avuto il suo adempimento carnale nella moltitudine dei discendenti d'Abramo che formarono svariate tribù; ma al disopra di questo, Paolo ne addita uno spirituale più grande e più completo. Agli occhi di Dio, a cui «soli note ab eterno tutte l'opere sue», e che guarda più alla parentela spirituale, sola permanente, creata dalla fede, che non a quella passeggera carnale agli occhi di Dio e secondo, il suo disegno, Abramo, l'eroe della fede, è padre dell'intiera famiglia dei credenti di tutti i tempi e di tutti i luoghi. E se Dio lo contempla tale, fin dal momento in cui egli è ancora solo credente nella promessa, e se parla del suo proponimento, come di cosa già adempiuta e presente, si è perchè Egli è l'Onnipotente

il quale vivifica i morti, e chiama le cose che non sono, come se fossero

a quel modo che disse nel principio: Sia la luce, e la luce fu Ebrei 11:3.

«La personalità d'Abramo appare qui in tutta la grandezza della parte assegnatagli. Egli è colui in cui principia l'opera sistematica della salvezza e la cui storia ne incarna i principi fondamentali. Paolo scopre nella sua vita, prima del momento in cui, colla nascita d'Isacco e colla circoncisione, fu fondata la nazione, teocratica, un periodo in cui il patriarca apparteneva ancora all'umanità in genere, e dimostra che, appunto in questo, egli ricevette per fede la giustificazione e la salvezza. Così, dai fatti, emerge la grande e sublime idea di una paternità d'Abramo relativa non solo ad Israele, ma a tutti i credenti circoncisi ed incirconcisi» (Godet).

18 Romani 4:18-25 La grandezza della fede, del padre dei credenti

Se Abramo è padre dei credenti, non è soltanto perchè egli trovasi a capo d'un nuovo periodo nello svolgimento del piano divino, periodo in cui il popolo di Dio prende forma, di società esterna (famiglia e poi nazione); non è soltanto perchè a lui furon fatte rivelazioni nuove, più esplicite; ma è perchè la sua fede nel Dio delle promesse è di una eccezionale grandezza, se si tien conto del tempo e dell'ambiente in cui viveva, della luce che possedeva, delle circostanze avverse in mezzo alle quali dovette la sua fede mantenersi e svolgersi.

Egli, sperando contro speranza, credette.

Quando, guardando alle possibilità umane, non c'era più luogo a sperare che divenisse padre di nazioni, pure non venne meno la sua speranza, perchè fondata sulla potenza e fedeltà divine. Si confronti, per l'espressione Salmi 16:8; 1Corinzi 9:10; Tito 1:2. Trattandosi di fede che concerne cose future, le due nozioni di fede e di speranza per poco si fondono in una sola. (cfr. Ebrei 11), ed altri luoghi di quell'Epistola.

per diventar padre di molte nazioni secondo quel che gli era stato detto: "Così sarà la tua progenie".

La sua fede rispose al fine di Dio significatogli nella promessa Genesi 15:5. Questo per «contiene lo scopo divinamente ordinato del credette, presenta la fede di Abramo come il mezzo voluto per la realizzazione del piano di Dio» (Meyer).

19 Romani 4:19-21 svolgono il concetto dello «sperare contro speranza». I codici e le versioni orientali hanno qui una variante interessante, generalmente accettata dai critici, la quale però non muta il senso. Essi leggono:

E vide bensì che il suo corpo era svigorito (avea quasi cent'anni), e che Sara non era più in grado d'esser madre; ma dinanzi alla promessa di Dio, non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella sua fede dando gloria a Dio, ed essendo pienamente convinto che ciò che avea promesso, Egli era anche potente da effettuarlo.

Abramo considerò bensì la ormai accertata impossibilità naturale di diventar padre, ma questo non fece vacillar la sua fede nella promessa dell'Onnipotente. Col testo occidentale, il senso è: non si fermò a considerare la senile impotenza sua e di Sara, ma tenne fisso lo sguardo della fede sulla promessa. È nota la lunga prova a cui, Dio sottopose, la fede del patriarca. Durante 25 anni, egli è in presenza di una esplicita promessa divina il cui adempimento, continuamente ritardato, par diventare sempre più problematico, finchè, secondo le leggi di natura, diviene assolutamente impossibile. Ed a misura che la cosa si fa più disperata, Dio fortifica la fede di Abramo con nuove e più precise dichiarazioni, talchè se decrescono le forze dell'uomo esterno, quelle dell'interno aumentano sotto i raggi della promessa che brilla di luce sempre più viva. Mentre il dubbio rispetto a Dio è il primo grado dell'incredulità Genesi 3 ed è fonte di debolezza, la fede è fonte di forma spirituale. Abramo fu fortificato nella sua fede, o per la sua fede, dando gloria a Dio inquanto non revocò in dubbio la sua potenza nè la sua fedeltà. Chi non crede fa Dio bugiardo e lo disonora 1Giovanni 5:10.

22 Perciò ancora,

per questo carattere ch'è proprio della fede, di esser cioè un abbandono completo dell'uomo a Dio ed alle sue promesse misericordiose,

[la sua fede] gli fu messa in conto di giustizia.

Se il credere non è un merito, anzi è la rinuncia ad ogni merito per ricevere semplicemente il dono di Dio, esso è però tale atto morale che ha le sue radici nel fondo dell'essere umano e sta alla base delle sue relazioni con Dio.

23 Con questo l'Apostolo ritorna all'argomento principale che sta trattando: la giustificazione; e chiude col ricordare Romani 4:23-25 l'importanza dell'esempio di Abramo per i credenti di tutti i tempi,

Or, non per lui soltanto sta scritto che questo gli fu messo in conto di giustizia,

non per narrare una circostanza meramente personale, che non interessa se non lui solo,

24 ma anche per noi,

come cosa che riguarda noi pure, poichè l'esempio d'Abramo è normativo, e pone in luce il metodo divino della giustificazione del peccatore. Questo riconoscevano i rabbini quando dicevano: «Quanto è detto d'Abramo, è detto dei figli di lui»;

ai quali sarà così messo in conto; a noi, dico, che crediamo in Colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore.

Abramo credette, nel Dio che da corpi de crepiti trasse Isacco, l'erede delle promesse messianiche, lo stipite della progenie da cui dovea scaturire benedizione per tutte le Genti; noi crediamo in Colui che, in Cristo, ha realizzata la redenzione, e che risuscitandolo, ha posto il suo suggello sull'opera di lui.

25 La risurrezione di Cristo, implica la sua morte. Di questi due grandi fatti, l'Apostolo delinea in due brevi tratti il significato o la ragione ultima.

Il quale è stato dato

da Dio, alla morte Isaia 53:12, da lui per altro accettata Galati 2:20; Efesini 5:2,

a cagione delle nostre offese,

Non i suoi, ma, i nostri falli han resa necessaria la sua morte, poichè non potevano in altro modo venir espiati e cancellati (Cfr. Matteo 26:39: «padre mio, s'egli è possibile...»)

ed è stato risuscitato da Dio a cagione della nostra giustificazione.

Tenendo presente l'affermazione di Romani 4:24 ed il parallelismo tra il dare e il risuscitare che sono da considerare ambedue come atti di Dio, si deve tradurre l' ηγερθη come passivo: è stato (da Dio) risuscitato... Di quest'ultima clausola sono possibili due sensi, giacchè il δια coll'accusativo può significare: a cagione di, ovvero: a pro di, per, mirando al futuro anzichè al passato. Dio ha risuscitato Cristo per render possibile la nostra giustificazione, dando una, base certa alla fede che n'è la condizione indispensabile. Senza la risurrezione non avremmo una prova evidente e sicura che Dio ha accettato il sacrificio di Cristo come valevole ad espiare i peccati del mondo. La Diodatina: dato per... risuscitato per... rende bene questo concetto. L'altro senso mantiene alla preposizione δια il valore causativo: a cagione della nostra giustificazione virtualmente avvenuta. «Come i nostri peccati hanno moralmente fatto capo alla morte del Cristo, così la nostra giustificazione ha moralmente fatto capo alla sua risurrezione. La nostra condannazione l'aveva ucciso, la nostra giustificazione lo ha risuscitato» (Godet). La giustificazione obbiettiva dei peccatori che crederebbero è stata pronunziata in base alla morte espiatoria di Cristo. La sua risurrezione è ad un tempo l'effetto e la prova di questa giustificazione nel suo sangue. «Il debito di Cristo è il nostro. Saldato questo, il nostro mallevadore deve uscir dal carcere del sepolcro, ove non è sceso se non per noi... La morte di Cristo è, il pagamento del nostro debito; la sua risurrezione è la quietanza di cui s'impadronisce e si prevale la fede.» (Godet). La morte di Cristo dice: È compiuta l'espiazione dei falli. La sua risurrezione dice: È avvenuta la giustificazione dei peccatori uniti a Cristo per fede (cfr. 1Corinzi 15:17-20). Quest'ultima interpretazione sembra più semplice e si collega bene colla frase che segue: Giustificati dunque per fede...

RIFLESSIONI

1. Dall'alta missione e dai privilegi ricevuti da Dio, la massa del popolo giudeo non seppe trarre che argomento di vanto borioso di fronte agli altri popoli. Quanto facilmente dai beni materiali, dalla posizione, sociale, dai doni intellettuali, dalla morale educazione e perfino dai privilegi religiosi ricevuti, noi pure facciamo sgabello al nostro orgoglio naturale!

2. Finchè non è dal nostro cuore esclusa ogni tendenza a gloriarci di pretesi meriti, come se fossimo noi gli autori, se non in tutto, almeno in parte, della nostra salvazione, finchè non sentiamo la nostra indegnità ed impotenza non siamo entrati veramente nella via di salvazione. Se la nostra fede è genuina e salutifera, essa uccide ogni vanto.

3. Finchè ciascun individuo, ciascuna famiglia, ciascuna Chiesa o società, ciascun popolo esalta orgogliosamente la propria superiorità sugli altri, non è possibile che, regni armonia e pace. Dio ha fatto di Giudei e Pagani un'unica famiglia spirituale, mediante la fede che recide ogni vanto umano ed esalta la grazia di Dio. Una fede più profonda e più potente nel Cristo opererà miracoli simili fra gli uomini del presente e dell'avvenire.

4. L'unico vero Dio è l'Iddio di tutte le genti e vuole che tutti gli uomini sieno salvati. Quale incentivo allo zelo missionario dei cristiani diretto a recare l'Evangelo della salvazione, ai popoli d'ogni lingua, e d'ogni tribù

5. «I migliori hanno bisogno d'esser salvati per fede in Cristo; ed i peggiori non han bisogno d'altro. È questo il terreno comune ove s'incontrano tutti i peccatori salvati e sul quale sussisteranno in eterno» (D. Brown).

6. Di ogni cosa può abusare un cuore corrotto: sprezza la, pazienza di Dio, non trema dinanzi alle sue minacce, e converte talvolta la grazia in licenza di peccare. L'Evangelo, inteso rettamente, lungi dallo scemare gli obblighi morali dell'uomo, li accresce; ma fornisce, insieme la capacità di adempierli come dimostra la vita di coloro che, per fede, sono uniti a Cristo. «La fede adempie tutte le leggi; mentre le opere non osservano un punto solo della legge» (Lutero).

7. Paolo trae tesori dalla Scrittura. Una lettura attenta, sotto la guida dello Spirito di verità, te ne farà scoprire di sempre nuovi per i bisogni dell'anima nostra e dei tempi e delle circostanze in cui viviamo.

8. L'anima veramente beata, è quella ch'è certa del perdono di Dio. Possono abbondare altri motivi di felicità; ma finchè manca la pace con Dio, manca il fondamento, della vera beatitudine. Il perdono di Dio apre l'anima agli inni dell'allegrezza.

9. Paolo, come pure l'autore dell'Epistola agli Ebrei, sente il bisogno di mettere in luce, non quello soltanto che distingue l'Evangelo dalle precedenti rivelazioni, ma quello altresì che dimostra la fondamentale unità del disegno di Dio in tutte le dispensazioni. L'Evangelo appare così nella divina sua maestà e verità, non come «parola d'uomini, ma com'esso è veramente, Parola di Dio» 1Tessalonicesi 2:13. Non, è illegittimo il ricercare le armonie della Rivelazione di Dio colle altre opere sue nella natura, nella storia, e nell'uomo stesso. Si tratta solo di osservare con pazienza e con attenzione, senza lasciarsi distogliere da chi con troppa fretta sgrida all'abisso od alla facile armonia tra la scienza e la Bibbia.

10. È vano l'aver nelle vene il sangue di genitori od antenati pii, se non imitiamo la fede che li fece tali. Il legame stabilito dalla fede tra le anime è più alto, più saldo, e più duraturo di ogni legame terreno. Il pagano che crede è figlio d'Abramo in senso più vero e più profondo di quanto lo sia il Giudeo incredulo. «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?», ha esclamato Gesù. Estese la mano sui suoi discepoli Matteo 12:46-50.

I genitori possono trasmettere ai loro figli, insiem colla vita fisica, i loro titoli, ed i loro beni; ma il loro più alto privilegio è quello di diventar, col loro insegnamento e col loro esempio, padri spirituali dei loro figli, generandoli a vita nuova mediante l'Evangelo 1Corinzi 4:15,17; Filemone 10.

11. Donde è venuta nella mente di Paolo, l'antico fariseo discepolo di Galati, l'idea sublime d'una fratellanza universale, d'una famiglia di Dio che abbraccia Greci e Barbari, schiavi e liberi, colti ed incolti? Rispondono i fatti che questa fratellanza la crea la fede in Cristo morto e risorto. Senza Cristo, tali raggi non illuminavano la terra.

12. La fede d'Abramo è rimarchevole per molti suoi caratteri: Essa poggia, non sopra la parola dell'uomo, ma su quella di Dio; e della promessa divina afferra il midollo: la grazia salvatrice. Essa non è cieca; non ignora, le difficoltà naturali che si oppongono alla realizzazione della promessa, ma non ignora neppure, nè vuol rimpicciolire la potenza di Dio per cui le leggi di natura non sono catene, nè la sua fedeltà che non può venir meno. Così glorifica Dio, ed in questo sta la sua eccezionale grandezza. Essa è perseverante e si affina al fuoco di lunga prova. Essa è il mezzo della salvazione individuale del patriarca e concorre all'adempimento dei disegni divini riguardo all'umanità. Per essa, Abramo diventa padre del popolo di Dio, e l'esempio di lui è fecondo attraverso i secoli.

13. La circoncisione non creò la fede, in Abramo nè fu quella che lo consacrò a Dio. Essa fu il suggello della fede già esistente ed il segno esterno d'interna consacrazione. Così il Battesimo d'acqua non rigenera chi lo riceve; ma può esser solo segno visibile di grazia invisibile che lo Spirito dà quando vuole. Negli adulti è suggello della grazia promessa alla fede che il battezzando professa di aver nel cuore. Nei bambini, non può esser se non quel che fu la circoncisione per Isacco, il figlio del patriarca, e per tutti i bambini Israeliti.

14. La morte espiatoria di Cristo e la sua Risurrezione sono le due colonne della fede evangelica. Chi cerca smuoverle, o ne fa senza, non si può dir cristiano secondo l'Evangelo. Ad ognuno il vedere cosa sono per lui questi fatti fondamentali.

15. «La risurrezione di Cristo occupa un posto considerevole nell'insegnamento, di San Paolo e questo spiega l'enfasi e la cura con cui ne reca le prove nel 1Corinzi 15.

1. La risurrezione è la prova più concludente della divinità di Cristo Romani 1:4; Atti 17:31.

2. In quanto prova la divinità di Cristo, la risurrezione è anche la prova più decisiva del valore espiatorio della morte di lui. Senza la risurrezione, non ci sarebbe stato alcun segno, chiaro e convincente che il crocifisso del Golgota era più che un uomo; e se, fosse stato un semplice uomo, non ci sarebbe stata ragione per attribuire alla morte di lui una, particolare efficacia: la fede dei cristiani sarebbe «vana» ed essi «sarebbero ancora nei loro peccati».

3. Inoltre, senza la risurrezione, il sacrificio del Calvario sarebbe incompleto. È la risurrezione che ha posto su quel sacrificio il suggello dell'approvazione di Dio, mostrando che il sacrificio ora accettato e che la nube dell'ira divina, trattenuta per tanto tempo dallo scrosciare Romani 3:25-26, si è dileguata. È questo il pensiero che sta alla base di Romani 6:7-10.

4. La risurrezione di Cristo è la più forte garanzia della risurrezione del cristiano 1Corinzi 15:20-23; 2Corinzi 4:14; Romani 8:11; Colossesi 1:18.

5. Ma la risurrezione del cristiano ha un duplice aspetto: non è soltanto un futuro risorgere a vita fisica, ma è anche, morale e spirituale, ossia un risorgere attuale dalla morte nel peccato ad una vita di giustizia. In virtù della sua unione con Cristo, dell'intima relazione del suo spirito collo spirito di Cristo, il cristiano è chiamato a riprodurre in sè gli atti redentori di Cristo e questi atti non li può ripetere che in senso morale e spirituale. Paolo esporrà questa dottrina ampiamente in Romani 6:1-11» (Sanday-Headlam).

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