Commentario abbreviato:

Luca 10

1 Capitolo 10

Settanta discepoli inviati Lc 10:1-16

La beatitudine dei discepoli di Cristo Lc 10:17-24

Il buon samaritano Lc 10:25-37

Gesù in casa di Marta e Maria Lc 10:38-42

Versetti 1-16

Cristo mandò i settanta discepoli a due a due, affinché si rafforzassero e si incoraggiassero a vicenda. Il ministero del Vangelo chiama gli uomini a ricevere Cristo come Principe e Salvatore; ed Egli verrà sicuramente con la potenza del suo Spirito in tutti i luoghi dove manderà i suoi fedeli servitori. Ma la sorte di coloro che ricevono invano la grazia di Dio sarà molto temibile. Coloro che disprezzano i fedeli ministri di Cristo, che pensano male di loro e li guardano con disprezzo, saranno considerati disprezzatori di Dio e di Cristo.

17 Versetti 17-24

Tutte le nostre vittorie su Satana sono ottenute grazie al potere che deriva da Gesù Cristo, e a Lui va tutta la lode. Ma guardiamoci dall'orgoglio spirituale, che è stato la distruzione di molti. Nostro Signore si rallegrò della prospettiva della salvezza di molte anime. Era giusto che si notasse in particolare quell'ora di gioia; ce n'erano poche, perché Egli era un uomo di dolore: in quell'ora in cui vide Satana cadere e sentì del buon successo dei suoi ministri, in quell'ora si rallegrò. Egli ha sempre resistito ai superbi e dato grazia agli umili. Quanto più dipendiamo semplicemente dall'insegnamento, dall'aiuto e dalla benedizione del Figlio di Dio, tanto più conosceremo il Padre e il Figlio; tanto più saremo benedetti nel vedere la gloria e nell'ascoltare le parole del Salvatore divino; e tanto più saremo utili nel promuovere la sua causa.

25 Versetti 25-37

Se parliamo della vita eterna e della via per raggiungerla in modo noncurante, rendiamo vano il nome di Dio. Nessuno potrà mai amare Dio e il suo prossimo con una qualche misura di amore puro e spirituale, se non è reso partecipe della grazia della conversione. Ma il cuore orgoglioso dell'uomo si oppone con forza a queste convinzioni. Cristo ha raccontato il caso di un povero ebreo in difficoltà, soccorso da un buon samaritano. Questo povero uomo era caduto tra i ladri, che lo avevano lasciato morire per le ferite. Fu trascurato da coloro che avrebbero dovuto essergli amici e fu curato da un estraneo, un samaritano, della nazione che i Giudei più disprezzavano e detestavano e con cui non volevano avere a che fare. È deplorevole osservare come l'egoismo governi tutti i ranghi; quante scuse gli uomini adducono per evitare problemi o spese nel soccorrere gli altri. Ma il vero cristiano ha la legge dell'amore scritta nel suo cuore. Lo Spirito di Cristo abita in lui; l'immagine di Cristo si rinnova nella sua anima. La parabola è una bella spiegazione della legge di amare il prossimo come noi stessi, senza badare alla nazione, al partito o a qualsiasi altra distinzione. Essa illustra anche la bontà e l'amore di Dio, nostro Salvatore, verso gli uomini peccatori e miserabili. Eravamo come questo povero viaggiatore in difficoltà. Satana, il nostro nemico, ci ha derubati e feriti: tale è il male che il peccato ci ha fatto. Il beato Gesù ha avuto compassione di noi. Il credente considera che Gesù lo ha amato e ha dato la vita per lui, quando era un nemico e un ribelle; e dopo avergli mostrato misericordia, lo invita ad andare e a fare altrettanto. È dovere di tutti noi, al nostro posto e secondo le nostre capacità, soccorrere, aiutare e alleviare tutti coloro che sono in difficoltà e in difficoltà.

38 Versetti 38-42

Un buon sermone non è peggiore se viene predicato in una casa; e le visite dei nostri amici dovrebbero essere gestite in modo da farli rivolgere al bene delle loro anime. Sedersi ai piedi di Cristo significa essere pronti a ricevere la sua parola e sottomettersi alla sua guida. Marta stava provvedendo all'intrattenimento di Cristo e di coloro che venivano con lui. Qui c'erano il rispetto per il Signore Gesù e la giusta cura dei suoi affari domestici. Ma c'era qualcosa da rimproverare. Voleva servire molto, in abbondanza, con varietà ed esattezza. Gli affari mondani sono un'insidia per noi, quando ci impediscono di servire Dio e di ottenere il bene delle nostre anime. Quanto tempo inutile viene sprecato e quante spese vengono spesso sostenute anche per intrattenere i professori del Vangelo! Sebbene in questa occasione Marta fosse difettosa, era comunque una vera credente e nella sua condotta generale non trascurò l'unica cosa necessaria. Il favore di Dio è necessario per la nostra felicità; la salvezza di Cristo è necessaria per la nostra sicurezza. Se ci si occupa di questo, tutte le altre cose saranno perseguite correttamente. Cristo ha dichiarato: "Maria ha scelto la parte buona". Perché una cosa è necessaria, quest'unica cosa che ha fatto, abbandonarsi alla guida di Cristo. Le cose di questa vita ci saranno tolte, al massimo, quando ci saranno tolte; ma nulla ci separerà dall'amore di Cristo e dalla partecipazione a questo amore. Gli uomini e i diavoli non possono togliercelo, né lo faranno Dio e Cristo. Teniamo presente l'unica cosa necessaria in modo più diligente.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 10

1 CAPO 10 - ANALISI

1. Gesù manda in missione i settanta discepoli. Matteo 10:1; Marco 6:7 mentovano entrambi la missione data ai dodici apostoli; Luca solo ricorda quella affidata ai settanta, che Cristo probabilmente diede loro al momento di partire dalla Galilea. Lo scopo di quella missione si fu che una chiara ed enfatica, testimonianza venisse resa al suo carattere messianico, dinanzi all'intera nazione, affinché se poi lo rigettassero, tutti rimanessero senza scusa. Sino allora tal testimonianza l'avea resa solo Giovanni Battista, essendo stato proibito agli Apostoli di proclamarlo apertamente durante il suo pubblico ministero, perché i suoi miracoli ed i suoi insegnamenti erano più che bastanti a rimuovere ogni dubbio dalla mente degli uomini sulla sua divina missione, se non fossero stati accecati da pregiudizi. Ma era venuto il tempo in cui il suo carattere messianico doveva esser pubblicamente affermato, affinché tutta la nazione potesse conoscere che egli era il CRISTO, il Figlio di Dio, il Apocalisse di Israele, e che se lo rigettavano, lo rigettavano qual Messia. Tal reiezione non dovea esser fatta per ignoranza, ma per atto pubblico, compiuto dai capi e dai rettori del popolo. In Giudea, egli avea già testificato di sé stesso come Figliuol di Dio, ma invano; ora stava per tornarvi, affin dì proclamarvi nuovamente il suo diritto e l'intero popolo ne dovea essere informato. A questo scopo, ordina questi settanta, per mandarseli innanzi in ogni luogo dove avea fissato di andare, per annunziare la prossima venuta del regno di Dio, nella persona stessa del Apocalisse. Un numero così grande di battistrada deve necessariamente aver dato una gran pubblicità a tutti i movimenti del Signore, e radunato grandi folle a lui d'intorno, nei vari luoghi ch'egli visitò. Il loro mandato era molto simile a quello dato già ai dodici Apostoli, colla sola eccezione che i poteri miracolosi loro concessi non furono così estesi (Confr. Luca 10:9; Matteo 10:8) Luca 10:1-16.

2. Il ritorno dei settanta, e il discorso che seguì la loro relazione. L'evangelista non segue i settanta nelle loro peregrinazioni. È probabile che i loro lavori furono principalmente confinati alla Perea, quantunque Luca sembri indicare Luca 17:11, che ad un periodo posteriore di quest'ultimo suo viaggio, il Signore passò una volta di più lungo la frontiera fra la Samaria e la Galilea. Il Signore diede loro un appuntamento, e quivi, quando ebbero compiuta l'opera loro, essi si affrettarono per fargli il loro rapporto. Viaggiavano a due a due, né poteva prender loro molti giorni il visitare le principali città e villaggi della Perea. Con gioia infantile, essi annunziano che Dio avea accordato loro doni miracolosi maggiori di quanto aveano sperato, poiché i demoni si erano inchinati alla loro voce. Gesù indica loro una più alta causa di gioia e di gratitudine, inquantoché essi stessi erano stati liberati dalla schiavitù di Satana, e i loro nomi trovavansi scritti nel libro della vita. Quindi l'Evangelista ricorda che Cristo si rallegrò in ispirito, al pensiero che cominciava la rovina del dominio di Satana, e ciò per mezzo di quei deboli strumenti che, alla saviezza del suo Padre celeste, eran parsi meglio atti allo scopo Luca 10:17-24.

3. La domanda del dottor della legge sul modo di eredare la vita eterna, e la parabola del buon Samaritano. Quest'uomo non venne probabilmente da Gesù con intenzioni ostili, bensì per mettere alla prova la sua saviezza, proponendogli una quistione, che egli avea senza dubbio accuratamente preparata prima: «Come potrò io eredar la vita eterna?» Essendo egli dottor della legge, Gesù lo rimandò immediatamente a quello che la legge insegnava su questo soggetto; e quando esso ebbe dato una citazione piena e corretta, il Signore dichiarò la sua approvazione colle parole: «Fa' ciò, e viverai». Non v'ha dubbio che se un uomo adempie perfettamente tutto ciò che la legge richiede, egli avrà la vita eterna, ma qual uomo mortale è da tanto? Col suo enfatico «fa' ciò» Gesù vuol suscitar la riflessione: «Posso io, o può qualsiasi uomo mortale far questo?» ma il dottore della legge non lo prese per sé. Ridotto al silenzio e confuso da mia risposta così completa, cercò di coprire la sua ritirata col domandare definizione della parola «prossimo», colla quale finisce la sua citazione. Allora il Signore pronunziò una parabola nella quale un uomo Samaritano e straniero mostra compassione ad un ferito, che due dei suoi propri concittadini, un prete ed un levita avrebbero senza compassione lasciato perire. L'argomento era così perfettamente espresso, che il dottor della legge dovette riconoscere che il compassionevole Samaritano era il vero prossimo dell'uomo che era caduto in mezzo ai ladroni Luca 10:25-37.

4. Gesù visita Marta e Maria in Betania. Il villaggio di Betania non è mentovato nel testo, né conosciamo esattamente il tempo in cui fu fatta quella visita, se cioè durante quest'ultimo viaggio a Gerusalemme, o ad un'epoca anteriore. Non sappiamo neppure per quale scopo l'evangelista la introduca a questo punto del suo racconto, perciò questo fatto è sempre stato un soggetto molto attraente per la perspicacità dei critici. Alcuni Suppongono che esistessero due coppie di sorelle aventi gli stessi nomi, una in Betania, l'altra in Galilea; altri suggeriscono che la famiglia di Lazaro avea due case, una in Galilea, l'altra in Betania, e che questa visita Gesù la fece quando essi erano in Galilea! Ecco a che son ridotti gli Armonisti, per soddisfare alle esigenze della cronologia. Ma il lettore ragionevole ha solo da studiare le abitudini e il carattere delle donne mentovate in Giovanni 11:2-3, per esser convinto che sono le stesse persone che vengon qui descritte, Marta occupata a preparare l'occorrente per trattar degnamente il Signore, mentre Maria siede ai suoi piedi, avida di udire le sue istruzioni Luca 10:38-42.

Luca 10:1-24. MISSIONI DEI SETTANTA DISCEPOLI. IL LORO RITORNO. DISCORSO CUI DIEDE LUOGO IL LORO RAPPORTO

Missione dei settanta discepoli Luca 10:1-16

1. Or, dopo queste cose, il Signore ne ordinò ancora altri settanta,

Altri vien detto per rapporto ai dodici Apostoli che erano stati mandati prima, non già ad un'altra compagnia di settanta. Credono taluni che Gesù scegliesse questo numero perché era quello del Sinedrio; altri perché, secondo l'idea giudaica (fondata su Genesi 10), la razza umana era composta di 70 o 72 popoli; ma è più probabile che se gli Apostoli furon dodici, a motivo delle dodici tribù d'Israele, questi furono settanta in memoria del numero degli anziani sui quali lo Spirito si posò nel deserto Numeri 11:24-25. Questa nomina, a differenza di quella dei dodici, fu affatto temporaria, poiché non è fatta menzione alcuna di questi settanta nella storia della Chiesa nascente che questo stesso Evangelista ci ha trasmessa nel libro degli Atti degli Apostoli, né in alcun altro scritto del Nuovo Testamento. Tutte le istruzioni che vengono loro date son quali si richiedono per una breve missione di pionieri, e da queste considerazioni siamo autorizzati a conchiudere che i settanta non ricevettero altra missione che di annunziare in quel momento speciale, l'arrivo del Signore in certe città e distretti; dopo che essi l'ebbero adempiuta, la loro compagnia nuovamente si sciolse, mescolandosi al rimanente dei discepoli.

e il mandò a due a due innanzi a sé, in ogni città e luogo, ove egli avea da venire.

Furon mandati in paia, affinché l'uno potesse giovare all'altro, in caso di pericolo o di difficoltà per la via, e per poter trattare con uomini di temperamenti diversi; ma soprattutto perché la loro testimonianza fosse inappuntabile, essendo sostenuta da un numero competente di testimoni, quale lo richiedeva la legge: «Acciocché ogni parola sia confermata, per la bocca di due o tre testimoni» Deuteronomio 19:15; Matteo 18:16; 2Corinzi 13:1; Ebrei 10:28. L'esempio lasciato in tal modo dal Signore è di grande importanza per la guida di quei rami della Chiesa di Cristo, i quali, penetrati essi stessi dalla vita divina, mandano missionari ai pagani ed agli Israeliti. L'Antica Chiesa delle Valli del Piemonte seguì l'esempio del Signore, allorquando centinaia d'anni avanti la Riforma del sedicesimo secolo, mandava missionari non solo in Italia, ma in Ungheria, Boemia, Francia ed Inghilterra; mentre altre Chiese e società nei tempi moderni, mandando missionari isolati nell'India, nella China, nell'Africa, hanno perduto anziché guadagnare con una economia così fuor di luogo. I settanta non son mandati invece di Cristo, per compiere un dovere cui egli non avea tempo di accudire; dovean solo precederlo, e preparargli la via. Le parole dell'Evangelista sono: ove egli avea da venire. Lange crede che il campo della lor missione fosse la Samaria; Oosterzee inclina piuttosto per la Giudea, ma se questo viaggio, come crediamo, è identico con quello narrato da Matteo e da Marco, esso deve essere stato la Perea, più alcune parti della Giudea settentrionale fra il Giordano e Gerusalemme. In un distretto così fertile e popoloso non dovea essere difficile trovare 35 città o villaggi né dovea prender molto tempo il visitarli tutti; ma, coll'eccezione di Gerusalemme, di Efraim e di Gerico, non ci vien dato nissun nome.

PASSI PARALLELI

Numeri 11:16,24-26

Atti 13:2-4; Apocalisse 11:3-10

Luca 1:17,76; 3:4-6; 9:52

2 2. Diceva va loro adunque: Bene è la ricolta grande, ma gli operai son pochi; pregate adunque il Signore della ricolta, che spinga degli operai nella sua ricolta.

Le istruzioni date da Gesù ai settanta sono, a molti riguardi, le stesse che quelle già date agli Apostoli, Confr. Luca 9:1-6; Matteo 10:1 ecc.; Marco 6:7-12; ma i doni miracolosi accordati agli Apostoli erano molto più importanti di quelli dati ai settanta, ed a questi ultimi non vien detto verbo delle persecuzioni predette ai dodici, né del soccorso straordinario dello Spirito Santo loro promesso Matteo 10:17-24. Non vien loro neppure proibito di entrare in qualsiasi città dei Samaritani. La notevole ingiunzione di non salutare alcuno per istrada, è particolare ai settanta, e indica la rapidità colla quale doveano compiere la loro missione. In ambo i casi Gesù, prima di dar mandati ai suoi discepoli, dice loro che pochi sono gli operai, ed ingiunge loro di pregare il signor della ricolta, perché spinga degli operai nella sua ricolta. Per l'esposizione vedi note Matteo 9:37-38; Matteo 10:7-16, Matteo 10:40.

PASSI PARALLELI

Matteo 9:37-38; Giovanni 4:35-38; 1Corinzi 3:6-9

Matteo 20:1; Marco 13:34; 1Corinzi 15:10; 2Corinzi 6:1; Filippesi 2:25,30; Colossesi 1:29; 4:12

1Tessalonicesi 2:9; 5:12; 1Timoteo 4:10,15-16; 5:17-18; 2Timoteo 2:3-6; 4:5; Filemone 1

1Re 18:22; 22:6-8; Isaia 56:9-12; Ezechiele 34:2-6; Zaccaria 11:5,17; Matteo 9:36

Atti 16:9-10; Filippesi 2:21; Apocalisse 11:2-3

2Tessalonicesi 3:1

Luca 9:1; Numeri 11:17,29; Salmi 68:11; Geremia 3:15; Marco 16:15,20; Atti 8:4; 11:19

Atti 13:2,4; 20:28; 22:21; 26:15-18; 1Corinzi 12:28; Efesini 4:7-12

1Timoteo 1:12-14; Ebrei 3:6; Apocalisse 2:1

17 

Ritorno dei settanta. Discorso cui diede luogo il loro rapporto Luca 10:17-20

17. Or que' settanta tornarono con allegrezza, dicendo: Signore, anche i demoni ci son sottoposti nel nome tuo.

Non furono probabilmente assenti molti giorni, e il vocabolo greco sembrerebbe indicare che il Signore rimase ad aspettarli, nel luogo stesso dal quale li avea mandati. L'evangelista ci dà il risultato delle loro esperienze in complesso poiché è chiaro che non potevano esser tutti ritornati lo stesso giorno. Non ci sono dati particolari del loro viaggio, ma la gioia che li animava ed il fatto unico al quale annettevano tanta importanza, provano che dovevano aver riuscito, e che non aveano incontrato seria opposizione. Era stato loro conferito il dono miracoloso di guarire i malati, ma nell'eseguir la loro missione, presto vennero a contatto con persone possedute dal demonio, e considerando questa come la forma più distruttiva di malattia, l'attaccarono con gran coraggio e fede, ordinando ai demoni, nel nome di Gesù, di andarsene, e quelli ubbidirono. La loro gioia, benché comprendesse tutti gli incidenti del loro viaggio, giungeva al suo colmo per questo fatto, per essi tanto meraviglioso, che aveano potuto scacciar dei demoni, come lo si vede dalla parola anche, e senza dubbio si espresse con parole come queste: «Signore, tu hai ecceduta la tua promessa, anche mentre ne facevamo la prova, speravamo appena di riuscire». Se ci ricordiamo che poco prima, nove degli Apostoli aveano tentato invano di compiere quello stesso miracolo Luca 9:40, capiremo anche meglio la gioia dei settanta.

PASSI PARALLELI

Luca 10:1,9; 9:1; Romani 16:20

18 18. Ed egli disse loro: io riguardava Satana cader dal cielo, a guisa di folgore.

il Figliuol di Dio avea visto Satana e gli angeli ribelli suoi aderenti cader letteralmente dal cielo, quando ne furono espulsi per la loro ribellione, vedi le allusioni a questo fatto in Isaia 14:12-15; Ezechiele 28:12-16; 2Pietro 2:4; Apocalisse 12:1-9; ma non è a questo che Gesù fa qui allusione, neppure intende egli parlare, come lo suppone Lange, della sconfitta di Satana nel deserto, o della sua distruzione finale, quando egli sarà buttato nello stagno di fuoco e di zolfo Apocalisse 20:10; ma «il Signore condensa in questa grandiosa parola profetica, che riguarda così il passato come il futuro, il progresso e la consumazione della caduta di Satana». L'uso dell'imperfetto, indica chiaramente che la contemplazione in cui il suo spirito era impegnato, non abbracciava soltanto la missione dei discepoli, ma si estendeva molto al di là di quella, cioè fino alla fine dei secoli. Non fu una mera visione, quali Jehova ne fece spesso passar dinanzi agli occhi degli antichi profeti, rivelando loro le cose che doveano accadere, ma fu una intuizione spirituale del Figliuol dell'uomo una scena che passava dinanzi agli occhi della sua mente, riempiendo il suo cuore di gioia, ad onta delle sofferenze che stavano in serbo per lui. Queste sue parole significano: «Osservando le vostre vittorie sugli emissari di Satana, si presentò alla mia vista uno spettacolo più maestoso ancora, cioè la rovina completa dello stesso Principe delle tenebre, e l'intera distruzione dell'usurpato suo regno, di cui i vostri successi non sono che il preludio». Godet lo esprime mirabilmente così: «Mentre scacciavate i satelliti, io vedeva cadere il padrone. Sulla scena esterna, lottavano da ambo le parti i luogotenenti; nella intima coscienza di Gesù, i due capi erano in presenza». Il folgore «non può indicare la rapidità e la subitaneità della caduta del regno di Satana, poiché quella è andata compiendosi per ben 1900 anni, fin da quando cioè Gesù esclamò in sulla croce: "Ogni cosa è compiuta"» (benché, dopo tutto, la consumazione quando essa verrà, possa essere istantanea e sorprendente come un fulmine); ma quella parola dipinge mirabilmente una potenza di abbagliante splendore, spenta ad un tratto. Non pochi oggidì negano l'esistenza di Satana, affermando che quel termine è usato solo figurativamente come la personificazione dell'elemento del male, ma ricordiamoci che Gesù, insegnando alle moltitudini, o ai soli discepoli, sempre parla di Satana come di una personalità distinta, e lo stesso fanno tutti gli scrittori sacri. In origine egli fu uno degli angeli di Dio, e la caduta non produsse cambiamento alcuno nella sua natura fisica o metafisica perciò Paolo lo chiama «il principe della podestà dell'aria, lo spirito che opera al presente nei figliuoli della disubbidienza» Efesini 2:2, ed altrove dice che dobbiamo combattere non già «contro a sangue e carne, ma contro a' principati, contro alle potestà, contro ai rettori del mondo, e delle tenebre, di questo secolo, contro agli spiriti maligni nei luoghi celesti» Efesini 6:12. La parola «cielo», in questo versetto, è evidentemente uguale a quest'ultimo passo, e indica quella sfera superiore dalla quale Satana, agisce sulla coscienza umana: il «cader dal cielo» significa dunque la perdita di quel potere mediante il quale rendeva nazioni ed individui soggetti al suo impero.

PASSI PARALLELI

Giovanni 12:31; 16:11; Ebrei 2:14; 1Giovanni 3:8; Apocalisse 9:1; 12:7-9; 20:2

19 19. Ecco, io vi do la podestà di calcar serpenti e scorpioni; vi do eziandio potere sopra ogni potenza del nemico; e nulla vi offenderà.

Questa promessa è fatta ai settanta non per rinnovar la loro missione, che era stata solo temporanea (quantunque non sia punto improbabile che molti di loro divenissero più tardi ministri dell'evangelo), ma semplicemente come discepoli. Tisebendorf insiste su Io vi ho dato, come essendo la lezione corretta; in quel caso i discepoli devono esser stati maravigliati di aver capito così poco l'estensione del potere contenuto nel loro mandato; ma Io do del Textus Receptus che si riferisce al futuro, e deve avere svegliato in loro una maraviglia più grande ancora, a motivo delle più altre prospettive loro riserbate, presenta un senso anche più adatto e significativo. Varian le opinioni se «calcar i serpenti», deve intendersi letteralmente o figurativamente. Pel senso letterale si può citar la promessa del Signore in Marco 16:18, ed il fatto che Paolo morsicato (da una vipera la scosse da sé, e ne rimase illeso Atti 28:5. Stanno per il senso figurativo il fatto che Satana è chiamato «il serpente antico», che i suoi agenti partecipano della sua natura, e la promessa Genesi 3:15, che «la progenie della donna triterà il capo del serpente», promessa in cui tutti i cristiani sono interessati. Non siamo punto costretti a scegliere fra quei due sensi, poiché quelle parole son vere, in qualunque maniera vengano interpretate, e sono confermate dalle più ampie benedizioni della clausola seguente, che promette loro l'impero «sopra ogni potenza del nemico». Questo nemico è Satana, ed il suo potere pervade assai più che non crediamo l'intera natura, e tutte le sfere create della terra. Abbraccia tutte le forze naturali; quelle della società umana e quelle proprie dell'ordine spirituale, di cui il principe di questo mondo ha podestà di far uopo, per opporsi all'opera di Gesù. Ai settanta ed ai loro contemporanei furono accordati dei doni miracolosi, per vincere tutti gli ostacoli; ma essi vinsero, come fanno ora i credenti, specialmente per la potenza della fede che è «la vittoria del mondo», «spegnendo tutti i dardi infocati del maligno».

PASSI PARALLELI

Salmi 91:13; Isaia 11:8; Ezechiele 2:6; Marco 16:18; Atti 28:5; Romani 16:20

Luca 21:17-18; Romani 8:31-39; Ebrei 13:5-6; Apocalisse 11:5

20 20. Ma pure non vi rallegrate di ciò che gli spiriti vi sono sottoposti; anzi rallegratevi che i vostri nomi sono scritti ne' cieli.

La parola anzi, piuttosto, mentre esprime una preferenza per una sorgente più elevata di gioia, conferma la convinzione che Gesù divideva la gioia provata dai settanta per il potere che era stato dato loro sui demonii. Ma dice il proverbio: «un calice pieno è difficile a sopportare». «L'orgoglio spirituale è un gran tranello. V'ha pericolo che il successo nella predicazione del vangelo, e la gioia da quello ispirata possa, se non ci si prende guardia, produrre l'orgoglio, la vanagloria e la millanteria. Forse il signore discerneva una tale tendenza in quei discepoli, perciò li avverte che v'ha una causa di gioia più nobile, più legittima, e più durevole nella contemplazione della propria personale salute, per grazia di Dio, una gioia che è invariabilmente accompagnata da umiltà e zelo fervente 2Corinzi 5:14-15» (Olshausen). Era l'uso, nei tempi antichi, che i cittadini di ogni stato venissero iscritti in un libro, e quando a qualcuno venivan dati i diritti di cittadinanza, il suo nome si aggiungeva alla lista. Fra i Giudei un tal registro serviva pure a ricordare la loro genealogia, ed il loro luogo di nascita Salmi 87:6. A questo fa figurativamente allusione il Signore. Questa registrazione dei loro nomi come cittadini del cielo, ed amici di Dio, come quelli che eran salvi da «ogni potenza del nemico», doveva essere la sorgente della loro più alta gioia. Paolo ha in vista la stessa idea parlando dei concittadini dei santi Efesini 2:19; della cittadinanza dei santi, non come Diodati, viviamo nei cieli Filippesi 3:20; della chiesa dei primogeniti scritti nel cielo Ebrei 12:23; e probabilmente Giovanni vi fa pure allusione nell'espressione libro della vita Apocalisse 3:5. I figli di Dio posson considerarsi come aventi i loro nomi scritti nel cielo, sia per rispetto al suo eterno proponimento secondo l'elezione di grazia, sia in seguito alla loro introduzione nel regno di Dio al momento della loro conversione. La prima idea, cioè il loro arruolamento per volontà divina, è specialmente quella di Apocalisse 17:8: e la seconda ossia, la loro entrata nella chiesa per la conversione, è indicata in modo speciale in Efesini 2:19.

PASSI PARALLELI

Matteo 7:22-23; 10:1; 26:24; 27:5; 1Corinzi 13:2-3

Esodo 32:32; Salmi 69:28; Isaia 4:3; Daniele 12:1; Filippesi 4:3; Ebrei 12:23; Apocalisse 3:5

Apocalisse 13:8; 20:12,15; 21:27

21 Luca 10:21-24. GIOIA DEL SALVATORE, E SUA FIDUCIA NELLA SOVRANITÀ DEL SUO PADRE Matteo 11:25-30

Per l'esposizione e le riflessioni vedi Matteo 11:25-30; Matteo 13:16-17.

21. In quella stessa ora, Gesù giubilò in ispirito, e disse: ecc.

spirito non si riferisce qui allo Spirito Santo, ma allo spirito di Gesù, quale elemento della sua umana natura, e giubbilò esprimeva gioia più che ordinaria, cioè un interno trasporto che commuove fino al fondo l'anima del Salvatore, come la parola fremere Giovanni 11:33, indica la profondità del suo dolore. Godet osserva a questo punto: «Quanto, nei nostri Vangeli, è presa in sul serio l'umanità di Cristo!» Come queste parole furono pronunziate in un'epoca anteriore del suo ministero ed in ben diverse circostanze, quando cioè Gesù si affliggeva della pochezza dei risultati visibili del suo ministero così non v'ha nulla di più naturale ed appropriato che la loro ripetizione in questo momento, quando cioè il suo cuore era rallegrato dai successi che gli riferivano i settanta e dalle trionfanti prospettive che si erano presentate alla, propria sua coscienza spirituale.

PASSI PARALLELI

Luca 15:5,9; Isaia 53:11; 62:5; Sofonia 3:17

Matteo 11:25-26; Giovanni 11:41; 17:24-26

Salmi 24:1; Isaia 66:1

Giobbe 5:12-14; Isaia 29:14; 1Corinzi 1:9-26; 2:6-8; 3:18-20; 2Corinzi 4:3

Colossesi 2:2-3

Salmi 8:2; 25:14; Isaia 29:18-19; 35:8; Matteo 13:11-16; 16:17; 21:16

Marco 10:15; 1Corinzi 1:27-29; 2:6-7; 1Pietro 2:1-2

Efesini 1:5,11

25 Luca 10:25-37. DOMANDA DI UN DOTTOR DELLA LEGGE SUL MODO DI EREDAR LA VITA ETERNA, E PARABOLA DEL BUON SAMARITANO

Domando del Dottor della Legge, e risposta di Gesù, Luca 10:25-29

25. Allora ecco, un certo dottor, della legge si levò,

Appartenevano questi uomini alla corporazione degli Scribi, che erano al tempo stesso i custodi, i copisti ed i commentatori della legge, ed erano rispettivamente chiamati scribi legali e dottori della legge. Si è provato, ma senza successo, di classificare questi varii termini. Secondo Lightfoot, gli Scribi si occupavano della Mikra. Subito al disopra di loro, erano i legali che studiavano la Misna, e riempivano nel Sinedrio, ma senza voto deliberativo, le funzioni di assessori. I dottori della legge erano gli espositori della Gamara e membri effettivi del Sinedrio se tale classificazione è giusta, questo uomo avrebbe appartenuto alla seconda categoria. Un attento paragone di questo passo con Matteo 12:37-40 e Marco 12:28-34 basta a convincere il lettore che essi furono pronunziati in occasioni diverse, perché non concordano né, il tempo, né il luogo, né, le domande. Non dobbiamo figurarci che questo legale fosse stato in compagnia di Gesù e dei suoi discepoli durante la conversazione precedente, ed ora si levasse ad un tratto a far la sua domanda colle parole: «si levò», l'Evangelista passa chiaramente ad un altro incidente del suo racconto, ma senza indicazione del tempo trascorso nell'intervallo.

tentandolo, e dicendo:

La parola tentando trattandosi dei rapporti delle sette giudaiche con Gesù, è generalmente intesa in senso sfavorevole, ed alcuni scrittori ne conchiudono che quest'uomo avea preparato un tranello per Gesù, affin di scoprire nel suo insegnamento qualche cosa di contrario alla legge di Mosè. La cosa è possibile ma, secondo noi, non c'è ragione, di supporre che questo legale fosse animato da qualsiasi intenzione ostile verso Gesù; né è necessario supporre come Stier, che fosse ironica la sua domanda. È assai più probabile che quest'uomo pieno di vanità per le molte sue conoscenze, volesse misurare le sue forze con quelle del gran profeta di Galilea, e veder quali cose nuove quest'ultimo potesse comunicare a chi già, ne, sapeva tanto.

Maestro facendo che, erediterò la vita eterna?

Era questa una domanda assai frequente fra i Giudei, perché, essi credevano generalmente nella risurrezione del corpo, ed in una esistenza imperitura al di là della tomba, ed erano perciò ansiosi di assicurarsi un posto nel «seno di Abrahamo», come, chiamavano il paradiso celeste. È la stessa che il giovane ricco fece a Gesù Luca 18:18, solo in un caso era fatta con uno scopo pratico da chi ardentemente desiderava, guadagnarsi il cielo colla propria giustizia, mentre nell'altro era mera quistione teologica proposta per mettere alla prova un maestro rivale, unicamente per far trionfare la vanità, o per ridurre al silenzio chi insegnava l'errore. La dottrina del legale, lo sappiamo Romani 2, era che la salute viene dalla legge. Altro ideale egli non avea che quello della sottomissione esatta alla lettera della legge. La formola qui usata «eredare la vita eterna» è senza dubbio derivata da un paragone tipico del regno celeste e della sua gloria imperitura coll'eredità di Canaan, assicurata ai figli di Abrahamo mediante un patto eterno e col riposo che essi vi avevano trovato.

PASSI PARALLELI

Luca 7:30; 11:45-46; Matteo 22:35

Luca 18:18; Matteo 19:16; Atti 16:30-31

Galati 3:18

26 26. Ed egli gli disse: Nella legge che è egli scritto? come leggi?

Il legale si aspettava senza dubbio una risposta ben diversa da quella che ricevette in forma di una domanda relativa all'insegnamento della legge sul punto in discussione. Così il Signore lo combatte colle proprie armi, e lo mette egli pure alla prova. Se quell'uomo fosse stato in qualche proporzione atto a «giudicare spiritualmente», il Signore gli avrebbe risposto in altro modo ma egli lo tratta, come trattò il giovane ricco, secondo la luce che era in lui, mettendogli innanzi la legge come «nostro pedagogo, aspettando Cristo» (o meglio come nelle versioni Inglese e Francese, «per condurci a Cristo»), affinché si convincesse di non poterla osservare né nella lettera né nello spirito, in modo da essere salvato. Se non possiamo ottenere la vita eterna mediante la legge, la colpa non è della legge, ma nostra Romani 3:20; 8:3; Galati 2:16.

PASSI PARALLELI

Isaia 8:20; Romani 3:19; 4:14-16; 10:5; Galati 3:12-13,21-22

27 27. E colui, rispondendo, disse: Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua; e il tuo prossimo come te stesso

Questa è la somma di tutta quanta la legge morale, ed è data nei termini stessi che Cristo scelse più tardi per rispondere ad un altro legale, il quale in Gerusalemme domandavagli qual fosse «il più grande comandamento della legge». Questo comandamento, in quanto almeno si riferisce a Dio, deve essere stato molto famigliare a questo legale, poiché i Giudei portavano nelle loro filatterie quelle parole, scritte su piccoli pezzi di pergamena, e le dovean ripetere due volte al giorno nelle loro preghiere. Il trovar la seconda clausola, in bocca a quest'uomo, unita colla precedente sembra provare che anche per quella si osservava la medesima regola, solo si restringeva il senso di «prossimo», unicamente ai Giudei. Per la esposizione del versetto vedi nota Marco 12:28-34.

PASSI PARALLELI

Deuteronomio 6:5; 10:12; 30:6; Matteo 22:37-40; Marco 12:30-31,33-34; Ebrei 8:10

Levitico 19:18; Matteo 19:19; Romani 13:9; Galati 5:13; Giacomo 2:8; 1Giovanni 3:18

28 28. Ed egli gli disse: Tu hai dirittamente risposto; fa' ciò, e vivrai.

Il Signore loda la risposta, ma egli è nell'applicazione che segue, che viene esposto il punto debole per il dottore della legge e per chiunque confida in una giustizia legale. «L'adempimento della legge è la carità» Romani 13:10, e con verità dice Paolo: «L'uomo che avrà fatte tutte queste cose viverà per esse» Galati 3:12; ma chi può adempiere appieno e senza fallo tutte le domande della legge? Egli è all'impossibilità di far questo, che il Signore vuole rendere attento il suo interrogatore, coll'enfasi che mette sulla parola ciò - «Fa' ciò e viverai». Sarebbe stato inutile parlargli di una via migliore; ma Gesù lo urge a mettere in pratica quello che conosce, perché provandovisi onestamente presto si sarebbe riconosciuto affatto sconfitto. «Il suo caso è tanto più triste che una conoscenza così chiara della legge si unisce ad una ignoranza così completa di sé stesso» (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Luca 7:43; Marco 12:34

Levitico 18:5; Nehemia 9:29; Ezechiele 20:11,13,21; Matteo 19:17; Romani 3:19; 10:4; Galati 3:12

29 29. Ed egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è mio prossimo?

Quest'uomo fu evidentemente confuso nel ricevere alla sua domanda una risposta così semplice e colle stesse sue parole. Si sentì in una posizione impacciata e ridicola, trovandosi così ridotto al silenzio, dopo il grande sfoggio che avea fatto, e le parole «per giustificarsi» indicano che egli si sforzò di uscire dalla difficoltà e di salvare le apparenze, appigliandosi a quel vocabolo «prossimo», e lasciandone a Gesù la definizione. Egli è come se avesse detto: "Come definisci prossimo, imperocché se uno conosce esattamente il significato dell'espressione è impossibile adempiere il comandamento?" La risposta del Signore non lascia luogo a discussioni speculative. Nel fatto immaginario che egli racconta, la risposta è data in modo così pratico che il legale è obbligato a confessare che essa è al tempo stesso precisa e completa.

PASSI PARALLELI

Luca 16:15; 18:9-11; Levitico 19:34; Giobbe 32:2; Romani 4:2; 10:3; Galati 3:11; Giacomo 2:24

Luca 10:36; Matteo 5:43-44

30 

La parabola del buon Samaritano. Luca 10:30-37

30. E Gesù, replicando, disse: Un uomo (un Israelita, come si vede da quel che segue) scendeva da Gerusalemme in Gerico,

La distanza è di cinque ore a cavallo (venti miglia all'incirca), e passato Betania, la via scende sempre ed in modo assai ripido; il livello di Gerico essendo parecchie centinaia di metri al disotto di quello di Gerusalemme.

e si abbattè in ladroni; i quali spogliatolo, ed anche dategli di molte ferite, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

Quella strada è pericolosa oggidì, come al tempo di Cristo. A metà strada, sorgono a man destra roccie isolate e precipitose che dànno asilo ai ladroni Beduini, e dalle quali essi fanno fuoco sui viaggiatori isolati, e quindi li derubano, mentre a sinistra un precipizio scende a picco, fino nel Wadi Kelt, molto al disotto, e toglie ogni via di scampo. Gli Europei non si arrischiano mai su quella strada, senza una scorta di Arabi, per i cui servizii si fa regolare contratto fra i consoli e i sheicks. Il Signore avea spesso seguito quella via, ed in queste poche parole ce ne descrive accuratamente i pericoli.

PASSI PARALLELI

Salmi 88:4; Geremia 51:52; Lamentazioni 2:12; Ezechiele 30:24

31 31. Or a, caso un sacerdote scendeva per quella stessa via; e veduto colui, passò oltre di rincontro

È molto appropriata la introduzione di preti e di leviti come personaggi di questa parabola, poiché Gerico era una delle città di Giuda che erano divenute, negli ultimi tempi, dimora di preti e di leviti, dimodoché ne contava parecchie migliaia fra i suoi abitanti; ma la loro presenza è specialmente appropriata alla lezione che la parabola ci doveva insegnare, poiché, essendo ministri della religione, si avea il diritto di aspettare che osservassero rigorosamente la legge per il proprio conto e dessero al popolo l'esempio nel fare il bene. Quest'uomo sfortunato era un concittadino del sacerdote, e come tale suo «prossimo» anche secondo la gretta interpretazione che i Giudei davano a quella parola, eppure dopo averlo attentamente osservato, dopo averne scoperto la condizione disperata, il sacerdote se ne andò dall'altra parte della strada e continuò la sua via, lasciando, per quanto lo concerneva, che il meschino perisse. Eppure la legge di Mosè proibiva nel modo più espresso di trascurare in quel modo anche la bestia di un altro e persino di un nemico Esodo 23:4-5; Deuteronomio 22:4; Isaia 53:7; tanto meno potevasi abbandonare un uomo.

PASSI PARALLELI

Ruth 2:3

2Samuele 1:6; Ecclesiaste 9:11

Geremia 5:31; Osea 5:1; 6:9; Malachia 1:10

Giobbe 6:14-21; Salmi 38:10-11; 69:20; 142:4; Proverbi 21:13; 24:11-12

Giacomo 2:13-16; 1Giovanni 3:16-18

32 32. Simigliantemente ancora un Levita, essendo venuto presso di quel luogo, e vedutolo, passò oltre di rincontro.

I Leviti (così detti per distinguerli dai sacerdoti che appartenevano esclusivamente alla famiglia di Aaronne), erano stati messi a parte da Mosè, per far tutte l'opere servili del Tabernacolo, e da Davide per le funzioni di coristi durante il culto, e fino alla cattività di Babilonia, sembrano essere stati maestri di scuole e insegnanti di religione per quelle tribù nei cui confini erano state loro assegnate delle città, come pure copisti della legge. Quest'ultimo uffizio però negli ultimi anni della storia giudaica non era più il monopolio della famiglia dei Leviti. Nel Nuovo Testamento è fatta pochissima menzione di loro, ma da Flavio sappiamo che fino alla presa di Gerusalemme, essi continuarono a fare, per mute, le opere servili del santuario, come uccidere vittime, lavare gli utensili sacri, come pure a cantare nelle sacre funzioni del tempio. Come il sacerdote, questo levita passò accanto al povero paziente senza rendergli assistenza alcuna, quantunque si fosse fermato abbastanza da conoscerne appieno la pericolosa situazione. Nel cuor di entrambi, la vista del povero ferito non sveglia che egoistici timori per il proprio conto, spingendoli a prendere subito la fuga. «La voce della umanità, della patria comune, perfino della religione non parlò nel loro cuore così forte come quella della propria salvezza». (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Salmi 109:25; Proverbi 27:10; Atti 18:17; 2Timoteo 3:2

33 33. Ma un Samaritano, facendo viaggio, venne presso di lui; e, vedutolo, n'ebbe pietà;

I Samaritani erano una razza mista che discendeva da quel resto di Israeliti che Salmanazar avea lasciati nel loro paese, e dai coloni pagani che quel medesimo re vi aveva trasportati dalla Media, e la loro religione era ai tempi di Cristo una combinazione del culto levitico, con dei riti idolatrici 2Re 17:24-34; Giovanni 4:22. Vedi Sette Giudaiche. Alford sbaglia certamente, quando asserisce che «i Samaritani erano interamente e non solo a metà Gentili», perché il nome di straniero, dato al lebbroso di Samaria Luca 17:18, che egli adduce in prova della sua asserzione, non ha in tal passo, il senso di «Gentile», ma significa semplicemente, come lo indicano i vocaboli di cui è composto: uno di altra nazione, uno straniero, un non-Giudeo. Il territorio dei Samaritani, ai tempi di Cristo, comprendeva tutta l'antica tribù di Efraim, e la mezza tribù di Manasse. Il terzo viaggiatore che passò per la via di Gerico, dopo il furto ed il ferimento, apparteneva a quella razza straniera e c'è lecito supporre, che si recasse in qualcuna delle città di Moab o della Perea, al di là del Giordano. Uno sguardo sul vestito del povero assassinato gliene scoprì la nazionalità, e non poté se non svegliare i suoi pregiudizii samaritani; ma ben più potenti furono sul cuor suo la pietà e la compassione per un suo simile in condizione sì disperata, ferito, e lasciato a morir per la perdita di tutto il suo sangue, e subito egli si accinse a venire in aiuto a quel suo prossimo che tanto ne avea bisogno.

PASSI PARALLELI

Luca 9:52-53; 17:16-18; Proverbi 27:10; Geremia 38:7-13; 39:16-18; Giovanni 4:9; 8:48

Luca 7:13; Esodo 2:6; 1Re 8:50; Matteo 18:33

34 34. E, accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra dell'olio, e del vino;

Vino ed olio erano, e sono tuttora usati in Palestina ed in tutto l'Oriente, come pure in parecchi paesi dell'Occidente, come rimedii efficaci per le ferite, quando nessuna parte vitale è rimasta offesa; il vino per le ferite, l'olio per attutirne il dolore Isaia 1:6.

poi lo mise sopra la sua propria cavalcatura, e lo menò nell'albergo, e si prese, cura di lui.

Questo compassionevole Samaritano non lasciò incompiuta l'opera sua. L'aiuto che già avea dato al Giudeo ferito sarebbe stato forse inutile, se egli lo avesse lasciato dove lo avea trovato, perciò risolvette di condurlo all'albergo dove egli stesso avea da alloggiare, e per questo scopo lo mise sulla sua cavalcatura, mentre egli stesso proseguiva la via a piedi reggendolo. Qui si presenta una quistione che ha più importanza che non pare a prima vista per la completa illustrazione della parabola: Il prete ed il Levita viaggiavano essi a piedi o a cavallo? Se essi andavano a piedi, mentre il Samaritano cavalcava un asino o un mulo, le parti non erano uguali, e non si potrebbe in quel caso avere un esatto paragone della loro benevolenza. «La dottrina che Gesù voleva insegnare richiedeva evidentemente che le persone la cui carità vien paragonata e messa a contrasto, fossero in termini di uguaglianza, dimodoché se non vogliamo far violenza alla parabola, dobbiamo supporre che il sacerdote ed il levita viaggiavano a cavallo, come il Samaritano. Con questa conclusione, risultante dalla natura del caso, le espressioni corrispondono nei più minuti particolari» (Arnot).

PASSI PARALLELI

Luca 10:34; Esodo 23:4,5; Proverbi 24:17-18; 25:21-22; Matteo 5:43-45; Romani 12:20; 1Tessalonicesi 5:15

Salmi 147:3; Isaia 1:5,6; Marco 14:8

Luca 2:7; Genesi 42:27; Esodo 4:24

35 35. E il giorno appresso, partendo, trasse fuori due denari (lire it. 1.65) e li diede all'oste, e gli disse: Prenditi cura di costui; e tutto ciò che spenderai di più io tel renderò quando io ritornerò.

La sua compassione non cessò quando egli lo ebbe condotto in salvo all'osteria. Avrebbe potuto dire con verità: "Ho fatto la parte mia verso il vostro concittadino, fate ora voi". Ma, invece di ciò pagò lo scotto di quel giorno, e si rese mallevadore, per ogni spesa avvenire. La somma, data partendo dal Samaritano, non prova punto che questo pandokeion fosse un albergo privato dove i viaggiatori pagavano il vitto e l'alloggio; la sua piccolezza ce la fa piuttosto considerare come la mancia (in arabo backshish), che si dà al custode del caravanserraglio, khandji. Il Giudeo ferito essendo stato spogliato di tutte le provviste ed effetti, il Samaritano, partendo, raccomanda al kandji di averne cura promettendogli di rimborsare al ritorno tutte le, spese che potrebbe fare per comprar cibo al misero suo protetto. Nobilissima condotta per parte di un amico e tanto più mirabile in uno che era forestiero ed apparteneva ad una razza ostile! «Si osservi la progressione: prima il cuore compassionevole, poi la mano soccorritrice, quindi il piede volonteroso, finalmente la previdenza amorevole dell'avvenire» (Oosterzee).

PASSI PARALLELI

Matteo 20:2

Romani 16:23

Luca 14:13; Proverbi 19:17

36 36. quale adunque di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che si abbattè nei ladroni?

Qui Gesù applica la parabola al suo interrogante. Si noti che non rispose direttamente alla domanda del legale: Chi devo io amare come mio prossimo? ma vi rispose ciò nonostante in modo chiarissimo, mostrando quell'amore esercitato da un forestiero verso uno che le sue antipatie nazionali lo avrebbero condotto ad evitare. Molto destramente volse egli la quistione dal modo di porla del legale: "Chi devo io amare come il mio prossimo" a quello più significativo: "Quale è l'uomo che dimostra un amore come quello?" costringendolo a dare una risposta ben diversa da quella che avrebbe amato dare, una risposta che condannava la propria nazione, e lodava un uomo che apparteneva ad una razza profondamente odiata.

PASSI PARALLELI

Luca 7:42; Matteo 17:25; 21:28-31; 22:42

Luca 10:29

37 37. Ed egli disse: Colui che usò misericordia inverso lui. Gesù adunque gli disse: Va' e fa' tu il simigliante.

Il caso era tanto chiaro che nessun'altra risposta era possibile, ma il legale la diede con riluttanza; l'orgoglio non gli consentì di nominare il Samaritano, egli lo designa semplicemente come colui. L'applicazione che Gesù fa della domanda «chi, è il mio prossimo?» benché rivolta al legale si estende a tutti gli uomini, ed è suo volere che ogni Cristiano l'applichi a se stesso. «Va' e fai tu il simigliante». Oltre a quest'ovvia e letterale applicazione della parabola, un gran numero di espositori insistono nel darle un senso allegorico, secondo il quale il ferito rappresenterebbe la nostra razza rovinata dal peccato; i ladri, le varie classi dei nostri nemici spirituali; il sacerdote ed il levita, l'insuccesso dei varii metodi legali inventati dalla saviezza umana per guarire il peccato; l'albergo e l'albergatore, la chiesa ed il ministro; mentre il Samaritano ci offrirebbe il tipo del Redentore nella sua venuta e nel suo uffizio; ma tutti i pregiudiziati interpreti la ritengono erronea. Non v'ha nulla nella parabola stessa o nel contesto che c'induca a supporre che il Signore volesse con quella insegnare più di una lezione, cioè la vera natura dell'amor del prossimo. L'interpretazione allegorica involve manifeste assurdità, specialmente per quanto concerne l'albergo e l'albergatore. Finalmente è un modo pericoloso di interpretare, la Scrittura, il considerar qualsiasi senso che si possa cavar fuori dalle parole, come una legittima illustrazione di esse. Per la natura stessa delle cose, non si può mancar di trovare una rassomiglianza col Redentore, ogni qual volta un cuore amorevole mostra pietà per un fratello caduto, e. gli stende in soccorso una mano robusta: ma non possiamo andar più in là di questa analogia generale. L'insegnamento di questa parabola è lo stesso che quello del passo: «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amati voi» Giovanni 15:12.

PASSI PARALLELI

Proverbi 14:21; Osea 6:6; Michea 6:8; Matteo 20:28; 23:23; 2Corinzi 8:9; Efesini 3:18-19; 5:2

Ebrei 2:9-15; Apocalisse 1:5

Luca 6:32-36; Giovanni 13:15-17; 1Pietro 2:21; 1Giovanni 3:16-18,23-24; 4:10-11

RIFLESSIONI

l. Per natura nel cuor di ogni uomo manca il principio dell'amore a Dio. Subito dopo il fallo, per effetto di paura, «Adamo con la sua moglie, si nascose dal cospetto del Signore, per mezzo degli alberi del giardino» Genesi 3:8, perché col ribellarsi contro Dio avean fatto naufragio in quanto al loro «primo amore». Gli uomini ci vengono ora descritti come «amatori della voluttà, anziché di Dio» 2Timoteo 3:4, e come «alieni e nemici con la mente, nelle opere malvage» Colossesi 1:21. Senza una rinnovazione della mente e del cuore, non può dunque trovarsi in noi amore a Dio. Questo santo affetto procede da Dio medesimo, essendo impiantato e cresciuto nell'anima, per l'influenza dello Spirito Santo Romani 5:5. Lo Spirito lo produce, facendo nascere nel cuor degli uomini la certezza dell'amor di Dio manifestato loro in Cristo Gesù. Esso consiste in alta stima per Dio come infinitamente glorioso, santo e compassionevole Salmi 73:25-26: in ardente desiderio di goder la sua comunione Salmi 72:2-3; è il risultato della convinzione deliberata dell'intelligenza, in opposizione a mero entusiasmo; è un principio attivo che non si soddisfa con semplici professioni di labbra, «Questo è l'amor di Dio, che noi osserviamo i suoi comandamenti» 1Giovanni 5:3; ed il vero amor di Dio regna supremo, sopra ogni altro affetto del cuore. È dovere nostro l'esaminare noi stessi, se quell'amore a Dio è stato impiantato nel nostro cuore dallo Spirito, e se ci sforziamo di accrescerne con diligenza la misura, mediante l'uso costante dei mezzi di grazia, ricordandoci che il nostro scopo deve essere sempre di amare il nostro Padre in cielo, con tutto il nostro cuore con tutta l'anima nostra, con tutta la nostra mente e con tutto il nostro cuore

2. L'amore al prossimo deve distinguersi da quell'«amor fraterno, che Gesù raccomanda ai suoi discepoli nel suo discorso di congedo Giovanni 13:34. Quest'ultimo ha per oggetto «coloro che hanno ottenuto fede di pari prezzo che noi»; per misura l'amore di Cristo; e la fede che salva per suo fondamento. Una grande proporzione degli abitanti del mondo che sono all'infuori dei limiti di quella scelta compagnia, non sono però all'infuori di quelli di questo comandamento. Né dobbiamo, come i Giudei, estendere il nostro affetto solo alle nostre famiglie, parenti ed amici. L'amore del prossimo abbraccia tutti gli uomini. È quel puro sentimento di filantropia che non chiede: «Chi è il mio prossimo!» ma vede in ogni uomo un fratello, e sente pietà di tutti gli sventurati. «La sua estensione», dice Oosterzee, «è illimitata, le sue caratteristiche sono l'operosità volenterosa, l'abnegazione, la liberalità e la perseveranza, che possiamo ammirare nella condotta del Samaritano; e la sua ricompensa, oltre l'approvazione della coscienza, e la lode involontaria di quelli di opposta opinione, è la testimonianza di Dio che presenta queste opere dell'amore, come modello ad altri». Invece di questa filantropia universale che inculca il Signore, l'egoismo è la caratteristica principale della gran maggioranza dell'umanità, e le parole stizzose di Caino: «Sono io guardiano del mio fratello?» è la risposta di molti alle domande di tempo e di denaro, che vengono loro fatte in pro' dei loro vicini poveri e bisognosi. Che facciamo noi, ognuno nella propria posizione, per provare che questa grandiosa parabola di Cristo è la regola della nostra vita giornaliera? Non dimentichiamo mai che nel proporci ad esempio la condotta del Samaritano, il nostro Maestro ci ha aggiunto il comandamento: «Va, e fa, tu il somigliante».

38 Luca 10:38-42. VISITA DI CRISTO A MARTA ED A MARIA IN BETANIA

38. Ora, mentre essi erano in cammino

Questo interessantissimo episodio della carriera terrestre del Signore viene ricordato dal solo Luca. Le parole del principio di questo versetto lo connettono evidentemente coll'ultimo viaggio del nostro Signore, dalla Galilea a Gerusalemme, il principio del quale è già stato studiato in Luca 9:51. Siccome esso durò dai quattro ai cinque mesi, durante i quali il Signore fece due volte una breve visita a Gerusalemme, e ritornò di nuovo all'opera alla quale egli si era accinto in Perea, e siccome Luca non assegna data alcuna a questa visita in Betania, val meglio lasciare interamente da parte le teorie degli Armonisti, le quali (quando non negano l'identità di queste Marta e Maria, colle sorelle di Lazaro, a noi cose note Giovanni 11) alternano fra il supporre che si trasferissero dalla Galilea alla Giudea, dopo che Gesù ebbe cominciato il suo viaggio, e il supporre che esse possedevano una casa in entrambe queste provincie, in ognuna delle quali esse risiedevano a turno.

avvenne ch'egli entrò in un castello;

Benché il villaggio non sia nominato, trattasi senza dubbio di Betania, situata quattro o cinque stadii, ossia circa due miglia ad E. di Gerusalemme, poiché in Giovanni 11:1, essa è espressamente detta «il castello di Maria e di Marta», e indicata come la dimora di Lazaro: or nessuna persona di giudizio crederà mai che gli evangelisti ci parlino di due paia di sorelle, portanti gli stessi nomi entrambe intime di Cristo, ma dimoranti in parti diverse del paese, senza far qualche distinzione fra di loro.

e una corta donna, chiamata per nome Marta, lo ricevette in casa sua.

Luca scrivendo per l'istruzione di Teofilo e dei Gentili, ricorda in modo molto generico gli accessori di questo fatto, come cose di poco interesse pei suoi lettori. Perciò dice un castello e non il castello di Betania; perciò pure ci parla dell'accoglienza del Signore in casa di Marta, come un semplice atto di ospitalità verso uno straniero. Non possiamo sapere in che modo Gesù entrò in relazioni di amicizia con quella famiglia, probabilmente fu nelle sue visite a Gerusalemme durante i due primi anni del suo ministero; ma l'accoglienza che ebbe dalle sorelle, l'attività di Marta nel preparargli cibo e ristoro, il contegno rispettoso ed attento di Maria nell'ascoltar le sue istruzioni, tutto nel racconto di Luca ci prova che Gesù non si presentò in quel giorno per la prima volta alla lor porta come un forestiero. Marta ci vien presentata come la padrona di casa, e questo ha fatto supporre ad alcuni che essa fosse una vedova, lasciata ricca dal marito; ma è una mera congettura, poiché mancano assolutamente notizie storiche su di lei, e sui rapporti in cui stava col fratello e colla sorella, ed invero gli evangelisti raramente entrano in tali particolari sulle persone di cui ci parlano.

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:1-5; 12:1-3

Luca 8:2-3; Atti 16:15; 2Giovanni 10

39 39. Ora ella avea una sorella, chiamata Maria la quale ancora,

Webster e Wilkinson traducono «là quale per parte sua», contrastandola con Marta.

postasi a sedere ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola.

Gli scolari fra gli Ebrei stavano seduti in terra attorno ai loro maestri, e perciò la frase «sedere ai piedi» di qualcuno equivaleva ad esser suo discepolo; questo senso essa ha senza dubbio qui, quantunque le parole debbano pure intendersi alla lettera dell'attitudine presa da Maria. Essa dava ascolto alle istruzioni rivoltele dal Signore, e ne faceva tesoro nel suo cuore e nella sua memoria. Come Davide, avrebbe potuto dire: «La legge della tua bocca mi è migliore che le migliaia d'oro e d'argento» Salmi 119:72.

PASSI PARALLELI

Luca 2:46; 8:35; Deuteronomio 33:3; Proverbi 8:34; Atti 22:3; 1Corinzi 7:32-40

40 40. Ma Marta era occupata intorno a molti servigi.

Guardiamoci dal credere, dietro a quanto ci vien qui detto di Marta, che non avesse amore alcuno per Gesù, e non si curasse della sua dottrina; né dobbiamo concludere che i molti servigi fossero le faccende domestiche, che si sarebbero potute rimandar fin dopo la partenza di Gesù, perché in quel caso il suo contegno sarebbe stato dei più scortesi. I molti servigi si devono intendere dei preparativi cui essa credette doversi accingere per onorare l'amato loro ospite; la sua devozione manifestavasi coll'affaticarsi per provvedere ai bisogni corporei di Gesù, ed essa non poteva da sola preparare il pasto che intendeva imbandire dinanzi a Lui.

Ed ella venne, e disse: Signore, non ti cale egli che la mia sorella mi ha lasciata sola a servire? dille adunque che mi aiuti.

Brown osserva che la parola venne fa credere che Marta venisse fuori da un'altra camera dove fosse occupata intorno a faccende domestiche per presentar la sua richiesta a Gesù. mi ha lasciata parrebbe indicare che per un tempo Maria avea prestato aiuto a sua sorella, e non si era seduta ai piedi di Gesù che quando le parve che Marta prolungasse di troppo i suoi preparativi. Il rimprovero di Marta era rivolto al Signore, non meno che alla sorella, come se avesse detto: "Questi preparativi, io li fo solo per onorarti il più che mi sia possibile, e non hai tu compassione di me, che la ritieni coi tuoi discorsi quando io ho tanto bisogno del suo aiuto?" Convinta che Gesù non può se non riconoscere giusta la sua lagnanza, e che una sua parola avrà influenza sulla sua sorella, cosa aggiunge: «Dille adunque che mi aiuti».

PASSI PARALLELI

Luca 12:29; Giovanni 6:27

Matteo 14:15; 16:22; Marco 3:21

Luca 9:55; Giona 4:1-4

41 41. Ma Gesù rispondendo, le disse: Marta, Marta,

Con questa ripetizione del suo nome, il Signore esprime affetto e compassione ad un tempo per Marta, mentre cerca pure di ritrarla con dolce fermezza dalla sua dissipazione di mente.

tu sei sollecita, e ti travagli.

La prima parola esprime la sua interna ansietà che i suoi preparativi fossero degni del suo Signore, l'ultima il suo affaccendarsi esterno per condurli a termine intorno a molte cose. Queste sono «i molti servizi» del ver. 40. Con queste molte cose, che distraevano la mente di Marta, e stancavano le sue forze, il Signore contrasta l'una cosa, di una importanza infinitamente superiore che avea impegnata tutta quanta l'attenzione di sua sorella.

PASSI PARALLELI

Luca 8:14; 21:34; Marco 4:19; 1Corinzi 7:32-35; Filippesi 4:6

Ecclesiaste 6:11; Matteo 6:25-34

42 42. Or, d'una sola cosa fa bisogno

Alcuni scrittori spiegano questo come se Gesù avesse detto: «Una vivanda mi basta»; ma se anche vi fosse nel polla una qualche allusione ad una preparazione sovrabbondante per provvedere a dei bisogni temporali, essa dev'essere rigettata qui poiché il Signore stesso indica distintamente che voglia dire colla «sola cosa», aggiungendole, come equivalente l'espressione: la buona parte. Né dobbiamo intendere la sola cosa necessaria, unicamente del ricevere convenientemente il Signore, come fa Olahausen, bensì della comunione con Cristo, del ricevere quelle verità salutari che egli come il Profeta Mediatore venne personalmente ad insegnare e che sole possono farci savi a salute. Marta, nella sua sollecitudine, perdeva il benefizio accettevole.

Ma Maria ha scelta la buona parte, la quale non le sarà tolta.

La grazia di Dio è la sola porzione che possa soddisfare il Cristiano; essa gli assicura benedizioni spirituali ed eterne, od in altre parole la grazia e la gloria, e questa fu la scelta di Maria. Gesù la chiama la buona parte, perché è la sola sostanziale, soddisfacente, reale e durevole. È «buona» in malattia ed in salute, in gioventù ed in vecchiaia, nell'avversa e nella prospera fortuna e di tutti i beni che possediamo in sulla terra è il solo di cui la morte non ci possa spogliare. In quell'ora, Gesù nudriva l'anima di Maria con quella grazia dietro alla quale l'anima sua anelava in modo così evidente; e l'avvertimento del Signore a Marta è al tempo stesso un invito che le vien rivolto di venire a partecipare essa pure di quel cibo spirituale. Questo passo è una bella illustrazione di quello che il Signore vuol dire in Giovanni 14:23; Apocalisse 3:20. Sarebbe un grande errore il supporre, come fanno alcuni, che Marta, benché di carattere, generoso ed ospitale, non fosse vera seguace di Gesù. Il suo contegno, verso Cristo, in occasione della morte di Lazaro, è una confutazione sufficiente di tale idea. Essa e sua sorella ci son presentate come esempi di due aspetti diversi del carattere cristiano, cioè l'interna divozione, e l'attività pratica. Quest'ultima è una qualità molto preziosa in un credente; ma in mezzo alle giornaliere occupazioni della vita, essa può, se non viene invigilata con continuo preghiere, divenire un tranello, permettendo alle cure ed ai fastidii delle cose mondane di indebolire la vita spirituale dell'anima. Ma c'è d'altra parte un pericolo che le meditazioni spirituali generino la pigrizia e la trascuranza dei doveri che, quali cristiani, abbiamo verso le nostre famiglie, verso la chiesa visibile e la società in generale, e contro questo pericolo le Marie devono stare in guardia, non meno che le Marte contro le attrazioni del mondo. Le parole di Cristo Luca 11:42, ben si possono applicare ad entrambe: «E si conveniva fare queste cose, e non lasciar quelle altre». Quel cristiano è più vicino alla perfezione del quale i caratteri delle due sorelle sono mescolati in parti uguali.

PASSI PARALLELI

Luca 18:22; Salmi 27:4; 73:25; Ecclesiaste 12:13; Marco 8:36; Giovanni 17:3; 1Corinzi 13:3; Galati 5:6

Colossesi 2:10-19; 1Giovanni 5:11-12

Deuteronomio 30:19; Giosuè 24:15,22; Salmi 17:15; 119:30,111,173

Salmi 16:5-6; 142:5

Luca 8:18; 12:20,33; 16:2,25; Giovanni 4:14; 5:24; 10:27-28; Romani 8:35-39

Colossesi 3:3-4; 1Pietro 1:4-5

RIFLESSIONI

1. Impariamo da questo racconto qual pericolo possono diventare per le anime nostre le cure di questo mondo, se permettiamo loro di occupar soverchiamente la nostra attenzione. È chiaro che lo zelo eccessivo di Marta per le cose temporali, e la sua ansietà di trattare in modo conveniente il suo Signore e Maestro la preoccuparono al punto di farle scordare per un tempo le cose dell'anima sua Questo orrore di Marta dovrebb'essere un continuo avvertimento ai Cristiani tutti. Se vogliamo crescere in grazia e prosperare in quanto all'anima, stiamo in guardia contro le sollecitudini del mondo. Se non vegliamo ed oriamo, esso roderanno insensibilmente la nostra spiritualità, ed impoveriranno le anime nostre. Nella gran maggioranza dei casi non è dai peccati aperti, dalle trasgressioni flagranti della legge di Dio, bensì dall'attenzione eccessiva data a cose legittime in sé che nasce quell'«amore al mondo», che perde gli uomini. Le cose buone di questo mondo, usate con moderazione, sono delle benedizioni per le quali dobbiamo esser grati a Dio; ma se permettiamo che preoccupino i nostri pensieri, cattivino i nostri cuori, e calpestino le cose sante, esse divengono una vera maledizione.

2. Questo rimprovero di Marta è dovuto all'eccesso di una preziosa qualità, che in altra occasione fu mantenuta nei limiti Giovanni 12:2. La qualità che vien lodata in Maria ha i suoi eccessi essa pure, e contro a quelli pure dobbiamo stare in guardia. «È vero che la predominanza dell'attività impulsiva di una delle due sorelle è sfavorevole alla profondità del pensiero, all'elevatezza del sentimento; ma la predominanza della docilità passiva dell'altra sorella è atta ad ingenerare una disposizione morbida, ed a condurre a speculazioni nebulose e sentimentali, anziché ad una conoscenza vera ad una soda saviezza. Una chiesa piena di Marie sarebbe forse un male non meno grande che una Chiesa tutta composte di Marte. Entrambe sono necessarie per completarsi a vicenda» (Brown).

3. Gli scrittori cattolici romani amano citar questo passo tutto intero, in appoggio della vita conventuale o monastica, asserendo che i frati e le monache cono simili a Maria, e le persone occupate in carriere secolari simili a Marta. Il loro paragone però non calza punto. Se di tutti i frati e di tutto le monache si potesse dire, che, «postisi a sedere ai piedi di Gesù, ascoltano le sue parole», vi potrebb'essere qualche cosa di vero in quel che dicono. Disgraziatamente i conventi ed i monasteri, come è stato provato con evidenza, sono gli ultimi luoghi dove possiamo sperar di trovare degli imitatori di Maria. Bucero, nel suo Commentario, parla molto saviamente su questo punto.

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