Commentario abbreviato:

1Giovanni 3

1 Capitolo 3

L'apostolo ammira l'amore di Dio nel fare dei credenti i suoi figli 1G 3:1-2

L'influenza purificatrice della speranza di vedere Cristo e il pericolo di fingere e vivere nel peccato 1G 3:3-10

L'amore verso i fratelli è il carattere dei veri cristiani 1G 3:11-15

Quell'amore descritto dai suoi atti 1G 3:16-21

Il vantaggio della fede, dell'amore e dell'obbedienza 1G 3:22-24

Versetti 1-2

Il mondo sa poco della felicità dei veri seguaci di Cristo. Poco pensa il mondo che questi poveri, umili, disprezzati, sono i beniamini di Dio e abiteranno in cielo. I seguaci di Cristo devono accontentarsi di una vita dura, poiché si trovano in una terra di stranieri, dove il loro Signore è stato trattato così male prima di loro. I figli di Dio devono camminare per fede e vivere per speranza. Possono attendere con fede, speranza e desiderio ardente la rivelazione del Signore Gesù. I figli di Dio saranno conosciuti e resi manifesti dalla somiglianza con il loro Capo. Saranno trasformati nella stessa immagine, grazie alla loro visione di lui.

3 Versetti 3-10

I figli di Dio sanno che il loro Signore ha occhi più puri di quelli che permettono a qualsiasi cosa empia e impura di abitare con lui. È la speranza degli ipocriti, non dei figli di Dio, che permette di appagare desideri e concupiscenze impure. Possiamo seguirlo come suoi cari figli, mostrando così il nostro senso della sua indicibile misericordia ed esprimendo quell'animo obbediente, grato e umile che ci contraddistingue. Il peccato è il rifiuto della legge divina. In lui, cioè in Cristo, non c'era peccato. Egli ha preso tutte le debolezze senza peccato che erano conseguenze della caduta, cioè tutte quelle infermità della mente o del corpo che sottopongono l'uomo alla sofferenza e lo espongono alla tentazione. Ma le nostre infermità morali, la nostra propensione al peccato, non le aveva. Chi rimane in Cristo non continua a praticare il peccato. La rinuncia al peccato è la grande prova dell'unione spirituale con il Signore Cristo, della sua permanenza e della sua conoscenza salvifica. Attenzione all'autoinganno. Chi fa la giustizia è giusto e, per essere un seguace di Cristo, deve dimostrare un interesse per la fede nella sua obbedienza e nelle sue sofferenze. Ma un uomo non può agire come il diavolo e allo stesso tempo essere un discepolo di Cristo Gesù. Non serviamo o assecondiamo ciò che il Figlio di Dio è venuto a distruggere. Nascere da Dio significa essere rinnovati interiormente dalla potenza dello Spirito di Dio. La grazia rinnovatrice è un principio permanente. La religione non è un'arte, una questione di destrezza e abilità, ma una nuova natura. La persona rigenerata non può peccare come faceva prima di nascere da Dio e come fanno gli altri che non sono nati di nuovo. C'è quella luce nella sua mente che gli mostra il male e la malignità del peccato. C'è quel pregiudizio nel suo cuore che lo dispone a detestare e odiare il peccato. C'è il principio spirituale che si oppone alle azioni peccaminose. E c'è il pentimento per il peccato, se commesso. È contro di lui peccare in modo premeditato. I figli di Dio e i figli del diavolo hanno caratteri distinti. Il seme del serpente si riconosce per la negligenza della religione e per l'odio verso i veri cristiani. È giusto davanti a Dio solo il credente giustificato, che è istruito e disposto alla giustizia dallo Spirito Santo. In questo si manifestano i figli di Dio e i figli del diavolo. Che tutti i professori del Vangelo abbiano a cuore queste verità e si mettano alla prova con esse.

11 Versetti 11-15

Dobbiamo amare il Signore Gesù, valorizzare il suo amore e quindi amare tutti i nostri fratelli in Cristo. Questo amore è il frutto speciale della nostra fede e un segno certo della nostra nascita di nuovo. Ma chi conosce bene il cuore dell'uomo non può meravigliarsi del disprezzo e dell'inimicizia degli empi nei confronti dei figli di Dio. Sappiamo di essere passati dalla morte alla vita: lo possiamo sapere dalle prove della nostra fede in Cristo, di cui fa parte l'amore per i fratelli. Non è lo zelo per un partito della religione comune, né l'affetto per coloro che hanno il nostro stesso nome e i nostri stessi sentimenti. La vita di grazia nel cuore di una persona rigenerata è l'inizio e il primo principio di una vita di gloria, di cui devono essere privi coloro che odiano il loro fratello nel loro cuore.

16 Versetti 16-21

Ecco la condiscendenza, il miracolo, il mistero dell'amore divino, che Dio riscatti la Chiesa con il proprio sangue. Certamente dovremmo amare coloro che Dio ha amato, e così amato. Lo Spirito Santo, addolorato dall'egoismo, lascerà il cuore egoista senza conforto, pieno di tenebre e di terrore. Come si può sapere se un uomo ha un vero senso dell'amore di Cristo per i peccatori in via di estinzione, o se l'amore di Dio è stato piantato nel suo cuore dallo Spirito Santo, se l'amore per il mondo e per il suo bene supera i sentimenti di compassione per un fratello in via di estinzione? Ogni caso di questo egoismo deve indebolire le prove della conversione di un uomo; quando è abituale e permesso, deve decidere contro di lui. Se la coscienza ci condanna per un peccato noto o per la negligenza di un dovere noto, lo fa anche Dio. Pertanto, la coscienza deve essere ben informata, ascoltata e seguita diligentemente.

22 Versetti 22-24

Quando i credenti hanno fiducia in Dio, grazie allo Spirito di adozione e alla fede nel grande Sommo Sacerdote, possono chiedere ciò che vogliono al loro Padre riconciliato. Lo avrebbero ricevuto, se fosse stato un bene per loro. E come la benevolenza verso gli uomini è stata proclamata dal cielo, così la benevolenza verso gli uomini, in particolare verso i fratelli, deve essere nel cuore di coloro che vanno a Dio e al cielo. Chi segue così Cristo, abita in Lui come arca, rifugio e riposo, e nel Padre attraverso di Lui. Questa unione tra Cristo e le anime dei credenti avviene per mezzo dello Spirito che egli ha dato loro. Un uomo può credere che Dio è benevolo prima ancora di saperlo; ma quando la fede si è appoggiata alle promesse, mette la ragione all'opera. Questo Spirito di Dio opera un cambiamento; in tutti i veri cristiani passa dal potere di Satana al potere di Dio. Considera, credente, come cambia il tuo cuore. Non desideri forse la pace con Dio? Non rinunceresti a tutto il mondo per essa? Nessun guadagno, piacere o preferenza ti impedirà di seguire Cristo. Questa salvezza è costruita sulla testimonianza divina, persino sullo Spirito di Dio.

Commentario del Nuovo Testamento:

1Giovanni 3

1 L'esortazione a rendersi ben conto che chi pratica la giustizia è nato da Dio, conduce l'apostolo ad un'altra esortazione che gli sgorga dal cuore pieno di ammirazione per l'amore di Dio verso creature peccatrici:

Vedete di quale amore ci è stato largo il Padre, dandoci d'esser chiamati figliuoli di Dio.

Dice letteralmente: «Vedete quale amore ci ha donato il Padre che noi siamo chiamati...» Non tanto la grandezza quanto la qualità di quell'amore è indicata dal termine quasi dicesse: Vedete di quale immeritato, di quale sublime, di quale infinito, inconcepibile amore ci è stato largo il Padre. Certo, anche la grandezza di quell'amore è implicata. «Dio ha tanto amato il mondo...» Giovanni 3:16. In Giovanni 1:12 Giovanni dice: "...a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figliuoli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non son nati da sangue, nè da volontà di carne, nè da volontà d'uomo, ma son nati da Dio". L'esser "chiamati figliuoli di Dio" non è titolo vano, ma implica la realtà della cosa, cioè l'essere adottati e riconosciuti per figli di Dio, il possedere la libertà dei figli che hanno accesso presso a Colui che chiamano Abba, Padre, l'essere infine eredi di Dio e coeredi di Cristo, il nostro fratello maggiore. Nel testo emendato che poggia sull'autorità dei quattro più autorevoli e più antichi manoscritti si legge l'aggiunta:

E tali siamo

intesa ad affermare che fin d'ora possediamo la realtà del privilegio indicato dal nome. Fin d'ora siamo stati stretti al seno del Padre come figli, perdonati; fin d'ora Dio ci ha dato una nuova natura che deve svilupparsi fino a riprodurre in noi l'immagine del Padre; fin d'ora godiamo della libertà dei figliuoli di Dio.

Perciò

perchè siamo di nome e di fatto figliuoli di Dio,

non vi conosce il mondo; perchè non ha conosciuto lui.

Il mondo ch'è estraneo ed avverso a Dio, non comprende, non può apprezzare il privilegio dei credenti d'esser figliuoli di Dio. Per lui, cotali profonde e dolci esperienze e speranze sono sogni di mente inferma che provocano odio e persecuzione da parte sua.

2 Diletti, ora siam figliuoli di Dio, e non è ancora reso manifesto quel che saremo.

Quantunque non conosciuti, anzi odiati, dal mondo, siamo nondimeno fin da ora figliuoli di Dio, noi tutti, quanti siamo credenti nel suo Figliuolo; ma questa prerogativa non si realizza in tutta la sua pienezza se non in successivi stadi. Nella vita attuale stessa, la pace e la libertà dei figliuoli di Dio crescono a misura che crescono la fede e la leale ubbidienza dei cristiani, e quanto allo stato futuro dei figliuoli di Dio non possiamo che intravederlo attraverso le promesse della Sacra Scrittura espresse per lo più sotto forma di figure e di similitudini.

Non è ancora manifesto nè agli occhi del corpo nè agli occhi dell'intelligenza quel che saremo. «Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia...» 1Corinzi 13:12.

Sappiamo che quand'egli sarà manifestato, saremo simili a lui perchè lo vedremo com'egli è.

Una parte degli interpreti traduce: «Sappiamo che quando ciò (che saremo) sarà manifestato...» e intende: saremo simili a Dio perchè lo conosceremo quale egli è nella sua intima e gloriosa essenza. La ragione che si fa valere in favore di questa traduzione è che il «quando sarà manifestato» riprende la frase precedente "non è ancor manifestato ciò che saremo". Non si può negare la legittimità di un tale senso; però conviene osservare che in 1Giovanni 2:28 l'apostolo ha scritto, parlando della venuta di Cristo in gloria «quando sarà manifestato...»; e in 1Giovanni 3:5,8, parlando della venuta di Cristo in carne, adopera l'espressione: "egli è stato manifestato". Il pensiero quindi dell'apparizione gloriosa del Salvatore, è presente nella mente di Giovanni. D'altra parte si deve riconoscere che l'esse resi simili al Cristo glorioso fa parte della speranza cristiana quale ci è descritta nel N.T.: «Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria» Colossesi 3:4. «Padre io voglio che dove son io, siano meco anche quelli che tu m'hai dati, affinchè veggano la mia gloria che tu m'hai data; poichè tu m'hai amato avanti la fondazion del mondo». Ci pare quindi preferibile tradurre: quand'egli, cioè Cristo, sarà manifestato. Il N.T. intero presenta la risurrezione e la glorificazione dei redenti come eventi che accompagneranno la seconda venuta di Cristo. Perciò l'apostolo può dire: Sappiamo. Saranno simili a lui, non uguali. Il perchè indica la ragione e il modo della trasfigurazione dei fedeli: il contemplar il Cristo glorioso cogli occhi e del corpo spirituale e dell'anima, trasformerà i redenti all'immagine del loro Signore, secondo la parola di S. Paolo 2Corinzi 3:18: «E noi tutti, contemplando a viso scoperto, come in uno specchio (e allora sarà faccia a faccia) la gloria del Signore, siamo trasformati nell'istessa immagine di lui, di gloria in gloria...». Se Mosè usciva col volto raggiante dalla presenza invisibile dell'Eterno, a fortiori saranno trasfigurati coloro che contempleranno del continuo «la gloria di Dio rifulgente nel volto di Gesù Cristo» 2Corinzi 4:6.

AMMAESTRAMENTI

1. Quanto opportuno e necessario l'invito a considerare la grandezza e la spontaneità dell'amor di Dio verso di noi! Il popolo d'Israele era spesso invitato dai suoi profeti a riflettere all'amore del suo Dio che di una tribù nomade e oppressa aveva fatto il suo popolo prediletto; e quando noi ricordiamo la nostra pochezza, le nostre ingratitudini, le nostre ribellioni, la nostra indegnità, ben possiamo contemplare con maraviglia e adorazione l'amore di Dio che ci ha voluto accogliere nella sua famiglia facendo di noi suoi figli ed eredi. Se gli angeli si curvano su di un tanto mistero d'amore senza poterne misurare tutta la profondità, ben poteva l'apostolo Paolo piegare le ginocchia davanti al Padre chiedendo che i cristiani, fossero resi capaci d'abbracciare con tutti i santi qual sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amor di Cristo che, però, sorpassa ogni conoscenza Efesini 3:18-19; e ben può S. Giovanni esclamare: "Vedete di quale amore ci sia stato largo il Padre dandoci d'essere chiamati figliuoli di Dio!" Se il mondo, non comprende i nostri principii, i moventi della nostra condotta, la sorgente delle nostre gioie e consolazioni; se ci considera come dei pazzi o degli allucinati perchè rinunziamo ai suoi piaceri ed ai suoi scopi terreni; se anche ci sprezza e ci odia, non ci dev'esser grave il soffrirlo per poco che riflettiamo al privilegio d'esser fin d'ora figli di Dio, ed alle speranze ineffabili che un tale stato apre dinanzi a noi per l'eternità.

3 Sezione Seconda. 1Giovanni 3:3-10. L'ESSER FIGLI DI DIO IMPLICA LA SEPARAZIONE DAL MALE. CHI FA IL MALE È FIGLIO DEL DIAVOLO. CHI È NATO DA DIO PRATICA LA GIUSTIZIA.

Più sono alti i privilegi del cristiano e più sono grandi e stringenti i doveri che a quelli vanno connessi.

E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com'esso è puro.

La speranza è quella d'esser un giorno simili al Cristo nella sua santità e gloria, speranza che si fonda sulle promesse di Cristo, sull'opera da lui compiuta sulla terra a beneficio dei fedeli e su quella ch'egli compie ora nel cielo e compirà nel suo glorioso avvento. Cristo è perciò chiamato: "la nostra speranza". Una parte degli interpreti intende, in lui di Dio e delle sue promesse; ma chi applica 1Giovanni 3:2 a Cristo deve di necessità applicare il v. 3 pure a lui ch'è il fondamento della speranza cristiana e il modello perfetto dei figliuoli di Dio. La speranza loro non può esser cosa morta, senza influenza sulla vita. Solo la speranza degli ipocriti permette loro di soddisfare i loro desideri impuri. Chi spera sinceramente d'esser un giorno simile a Cristo, chi aspira a questo come alla perfezione cui è chiamato, non può non fare ogni sforzo per purificarsi da ogni macchia e sozzura nei pensieri, nei sentimenti e negli atti. Sol chi è pazzo o inganna se stesso può pensare a portar qui l'immagine del diavolo e di là l'immagine di Cristo. "Poichè dunque, scrive Paolo 2Corinzi 7:1, abbiam queste promesse (d'esser figliuoli e figliuole di Dio), purifichiamoci d'ogni contaminazione di carne, e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timor di Dio". E S. Pietro, 2Pietro 3:14: "Perciò, aspettando queste cose (i nuovi cieli e la nuova terra), studiatevi d'esser trovati agli occhi Suoi, immacolati e irreprensibili, nella pace". Procedendo, come suole, per via di contrasti, Giovanni mostra come colui che, invece di purificarsi, vive nel peccato, operi in modo contrario alla esplicita volontà di Dio di cui si professa figlio.

4 Chiunque fa il peccato commette anche la violazione della legge.

Il pensiero è affatto generico; non si tratta qui di questo o di quel peccato, ma del peccato, in genere. Chi non rinunzia al peccato, anzi vive in esso, si rende con ciò stesso colpevole di trasgressione o di aperta violazione della legge di Dio ch'è la norma di vita delle creature morali. L'apostolo fa notare questo per mostrare la gravità del peccato a chi lo considerasse come cosa di lieve momento e per far risaltare l'assoluta incompatibilità tra il vivere nel peccato e l'essere figliuoli di Dio. Come possono esser figliuoli coloro che invece di imitare il loro Padre ispirandosi ai suoi sentimenti e propositi, invece di ubbidire alla di lui volontà esplicita, operano in opposizione alla legge di Dio? Il termine anomia infatti non significa semplicemente il vivere senza legge come se la legge non esistesse, ma il vivere in opposizione alla legge, disubbidendo ai suoi precetti nei sentimenti, nelle parole, nelle azioni, sia che si tratti della legge di Dio scritta nella coscienza, o rivelata dai profeti antichi, e meglio ancora da Cristo. Ribadendo in modo scultorio, il pensiero espresso, Giovanni aggiunge:

e il peccato è

non è altro che

la violazione della legge

Le due cose sono identiche.

5 Chi vive nel peccato non solo agisce in opposizione alla volontà di Dio, ma opera in modo contrario ai fini dell'opera che Cristo è venuto a compiere nel mondo colla sua incarnazione, col suo insegnamento e col suo sacrificio.

E voi sapete ch'egli,

cioè Cristo,

è stato manifestato per togliere i peccati;

per toglierne la colpa espiandoli e dando alla coscienza la pace del perdono: per toglierli via dal cuore creando nei credenti, col suo Spirito, nuove disposizioni e somministrando loro la forza di vincere il male. Questo secondo concetto predomina in questo versetto (Cfr. 1Giovanni 3:8). Per questo il Figliuol di Dio è stato manifestato: per distruggere le opere del diavolo.

e in lui non c'è peccato.

Egli è puro, egli è giusto, egli è santo, innocente, separato dai peccatori. Come mai potrebbero i figliuoli di Dio aspirare ad esser un giorno simili a lui e vivere quaggiù in modo contrario al carattere del loro modello ed in opposizione col fine ultimo dell'opera da lui compiuta?

6 Chiunque dimora in lui non pecca;

Giovanni ha di già adoperata l'espressione: dimorare in Cristo in 1Giovanni 2:27-28, per indicare la intima e costante comunione del credente col suo Salvatore. Gesù stesso se n'era servito nei suoi ultimi discorsi e l'aveva illustrata colla similitudine della vite e dei tralci. Qui afferma che la comunione di vita con Cristo e il peccare sono cose che si escludono a vicenda. Certo l'apostolo non intende insegnare che il cristiano sincero non cada più in alcun peccato; ciò sarebbe in contraddizione con 1Giovanni 3:3, ove ha parlato del dovere di "purificar se stesso" come Cristo è puro; e specialmente con quanto ha scritto in 1Giovanni 2:2 ed in 1Giovanni 1: "se diciamo d'esser senza peccato, inganniamo noi stessi..." ecc.; ma, come notò già Agostino, viene a dire che, in quanto dimora in Cristo ch'è senza peccato, ch'è la fonte della vita e della santità, il cristiano non pecca. A misura che cresce la sua comunione col Cristo, diminuisce in lui il peccato; a misura che l'uomo nuovo si fortifica, sparisce l'uomo vecchio che non costituisce più il suo vero io, che aderisce ancora a lui come un nemico da vincere; come un veleno da espellere completamente, come un residuo di malattia che sparirà colla pienezza della salute. Il cristiano non fa più il peccato, ne soffre, ne geme, ne piange.

chiunque pecca, non l'ha veduto, nè l'ha conosciuto.

Chi ama il peccato e vive in esso, mostra di non aver avuto e di non avere la visione vera della persona e dell'opera di Cristo, di non possederne quella conoscenza ch'è fatta di nozioni esatte, di fede, di amore, di esperienza personale: Chi pecca mostra d'esser rimasto estraneo in realtà a Cristo ed alla salvezza, sebbene professi d'esser suo discepolo.

7 Figliuoletti, nessuno vi seduca. Chi opera la giustizia è giusto, com'egli è giusto.

L'esortazione affettuosa a non lasciarsi sedurre lascia supporre che vi fossero in seno alle chiese dell'Asia proconsolare, se non addirittura degli antinomisti per i quali il cristiano non, era obbligato ad osservare la legge, anche morale, per lo meno delle persone che davano scarsa importanza alla pratica del bene. L'accento è infatti sul chi opera la giustizia; non basta la professione di cristianesimo, l'osservanza dei riti, la conoscenza della morale evangelica, non basta il parlarne, ci vuole l'opera, la pratica della giustizia per esser giusto come Cristo è giusto. Si tratta qui, non dell'esser giustificato nel senso di Paolo, ma dell'esser moralmente giusto conforme all'esempio perfetto di Cristo. Cfr. 1Giovanni 2:29. In questa vita il cristiano non raggiunge che una giustizia morale relativa. La giustizia perfetta sarà sua quando sarà del tutto simile a Cristo.

8 Chi commette il peccato è dal diavolo, perchè il diavolo pecca dal principio.

Invece di dire chi vive nel peccato come nel suo elemento è ingiusto, Giovanni, allo scopo di porre in vie maggior rilievo l'incompatibilità morale tra una vita peccaminosa e la qualità di figliuol di Dio, dice Chi commette (abitualmente) il peccato è dal diavolo cioè procede moralmente da lui, riceve da lui gl'impulsi, le direttive, i principi, i sentimenti che animano e reggono la sua vita morale. Gesù, parlando ai Giudei increduli, dice loro addirittura "Voi siete progenie del diavolo ch'è vostro padre e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato, omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perchè non c'è verità in lui...". "Voi fate le cose che avete udite dal padre vostro... Voi fate le opere del padre vostro" Giovanni 8:44,39-41. L'apostolo dice in modo generale che il diavolo, l'angelo di luce che, ha colla sua ribellione a Dio "abbandonato la sua origine", pecca dal principio ossia dal principio della storia umana ed anche prima. Egli peccò ribellandosi, peccò seducendo Adamo ed Eva, seguita a peccare e a spinger gli uomini al peccato. Egli è detto perciò «il principe di questo mondo».

Per questo,

a questo fine,

il Figliuol di Dio è stato manifestato,

è venuto in carne:

per distruggere le opere del diavolo

o: come si esprime in 1Giovanni 3:5, "per togliere i peccati" che sono opera del diavolo. Gesù li distrugge non solo col renderne possibile la remissione, ma coll'impiantar nei cuori una vita nuova destinata a vincere gradualmente il peccato fino a farlo sparire del tutto. Chi è unito per fede al Figliuol di Dio trionfa del male.

9 Chiunque è nato da Dio non commette peccato

In 1Giovanni 3:6 diceva: "Chiunque dimora in Cristo non pecca", cioè non vive più nel peccato come nel suo elemento, perchè c'è assoluta opposizione tra l'esser nato da Dio e il peccare. Chi è nato da Dio ha la natura del padre suo, che è luce e amore.

perchè il seme d'Esso dimora in lui;

Dio generando spiritualmente i suoi figli, ha posto in loro il germe di una vita nuova, e questo germe divino creato nei cuori mediante la parola della verità e colla virtù dello Spirito della vita, dimora nei credenti, non è destinato a morire ma a crescere rigoglioso e forte. È l'uomo nuovo destinato a vivere in eterno, mentre il vecchio decade e muore. Dio che l'ha creato non l'abbandona, anzi lo nutre, lo fa crescere finchè raggiunga la "statura di Cristo", perchè Dio è fedele e vuol condurre l'opera sua al compimento.

e non può peccare perchè è nato da Dio

ch'è la fonte onnipotente della vita e della vita santa ch'è la negazione del peccato. Chi è nato da Dio ha ricevuto disposizioni, inclinazioni, volontà, norme di condotta che sono agli antipodi del peccato; quindi non può moralmente, seguendo gl'impulsi della sua natura nuova, nè approvare, nè praticare quel ch'è contrario alla volontà di Dio. Alla domanda: "Rimarremo noi nel peccato onde la grazia abbondi" Paolo risponde: "Così non sia. Noi che siam morti al peccato, come vivremmo ancora in esso...". Il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Cristo affinchè il corpo del peccato fosse annullato, onde noi non serviamo più al peccato. Secondo si esprime il Düsterdieck: 'La verità ideale del principio qui enunziato galleggia del continuo al disopra della vita attuale dei credenti come loro norma e scopo; talchè la parola dell'apostolo trova nella vita attuale soltanto un adempimento relativo; ma tutti riconoscono che nella vita dei fedeli c'è una conferma del "non può peccare". Nella misura in cui si manifesta in loro la vita nuova che procede da Dio, essi non possono peccare. La loro vita li porta a odiare il peccato, a combatterlo incessantemente. In questo conflitto il cristiano riceve delle ferite, ma non depone le armi nè fa la pace col nemico. Il peccato non domina; più la sua vita; egli è divenuto da servo del peccato, servo della giustizia. Secondo l'uomo interno egli vuole operare giustamente e se la carne non è del tutto mortificata, egli ne soffre, se ne umilia, ne chiede perdono e si sforza di purificarsi'.

10 Da questo sono manifesti i figliuoli di Dio e i figliuoli del diavolo.

Da questo, cioè dal non vivere o dal vivere nel peccato, secondo quanto l'autore è venuto esponendo. Le fonti della vita sono nel cuore e restano di necessità nascoste all'occhio umano, quantunque palesi agli occhi di Colui che scruta i cuori. Ma la, intima natura, le disposizioni morali si rivelano agli uomini e specialmente a chi ha i sensi esercitati nel discernere il bene dal male, mediante le opere, il tenor di vita, così come la natura dell'albero si rende manifesta dai frutti. Il fare rivela l'essere. Per quanto simili di corpo, di condizione, di coltura intellettuale, di occupazione terrena, gli uomini sono profondamente dissimili quanto alle loro disposizioni interne riguardo a Dio, al peccato, alla salvazione recata da Cristo, alla legge morale, al fine ultimo della vita, alle loro speranze; sono figli di Dio o figli del diavolo; non c'è via di mezzo. Come lo esprimeva Socino: "non ci sono uomini medi". L'orientazione della loro vita si rende manifesta in tutta la loro condotta.

Chiunque non opera la giustizia,

ossia il bene,

non è da Dio,

non è nato da Lui

e così pure chi non ama il suo fratello.

l'amor fraterno, essendo parte essenziale del dovere dei figliuoli di Dio, come esporrà Giovanni nel brano seguente.

AMMAESTRAMENTI

1. Il principale ammaestramento che scaturisce dalla sezione 1Giovanni 3:3-10 si riassume nelle parole di 1Giovanni 3:7: «Figliuoletti, nessuno vi seduca». Il seduttore antico dei nostri progenitori li trascinò al male presentando loro il peccato come cosa da poco, che non poteva aver le gravi conseguenze minacciate, anzi come cosa che avrebbe effetti benefici; e lo stesso mezzo ei continua ad usare per sedurre i cristiani. Contro le arti della menzogna cui il cuor carnale presta volentieri ascolto, l'apostolo ci mette in guardia mostrandoci nel peccato, in ogni peccato, sia esso di sentimenti, di parole o di atti, la violazione della legge di Dio, la disubbidienza alla di lui volontà. Conviene quindi guardar bene addentro nella legge intiera ch'è la norma data da Dio alla vita umana.

Il peccato dei cristiani è inoltre in aperta opposizione all'opera che il Figliuol di Dio è venuto a compiere sulla terra. Li tiene avvinti alle catene che Cristo è venuto a rompere. Considerando il peccato sotto questo aspetto, quanto appare tragicamente colpevole la condotta di coloro che si professano seguaci di Cristo, che ne portano il nome a milioni, e che a milioni agiscono in opposizione al fine per cui Cristo si abbassò, sofferse e morì sulla croce! Egli venne a togliere il peccato, a distruggere le opere del diavolo, ed essi seguitano a vivere nel peccato.

Non solo fanno contro a Cristo, ma sono positivamente dalla parte del diavolo, figli suoi moralmente, imitatori delle sue disposizioni ed opere, sulla via della perdizione che attende il diavolo ed i suoi angeli con tutti gli operatori d'iniquità. A nulla serve il vantarsi figliuoli di Dio, il possedere qualche conoscenza di Dio e di Cristo, il praticar certi riti cristiani, quando il cuore e la vita pratica sono al servizio di Satana. Imparino da Giovanni i predicatori a non creare illusioni nei loro uditori, ma ad avvertirli con ogni fedeltà e verità che non c'è via dimezzo: o si è figliuoli di Dio o si è figliuoli del diavolo; la pietra di paragone sta nel praticare o no la giustizia.

2. L'insegnamento di Giovanni, come quello degli altri apostoli e del Signor Gesù stesso è esplicito circa l'esistenza, la personalità e l'opera di Satana. Non si tratta soltanto di un'astrazione, di una personificazione del male, ma di una vera e propria persona che pensa ed agisce come nemico di Dio e dell'uomo, e ciò fin dal principio della storia dell'umanità. Giovanni non ci dice nulla sul quando e sul come della caduta di quell'angelo eccelso; ma attesta l'opera malvagia ed incessante ch'egli compie nel mondo, finche sia completamente vinto dal Figliuol di Dio e condannato dalla sentenza dell'Onnipotente. L'esortazione di Pietro va quindi ricordata: «Vegliate, il vostro avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leon ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli, stando fermi nella fede...» 1Pietro 5:8-9.

11 Sezione terza. 1Giovanni 3:11-24. L'AMORE È LA PROVA DELLA VITA DIVINA IN NOI; MA NON DEVE CONSISTERE IN PAROLE SOLTANTO, ANZI HA DA ESSER, COME QUELLO DI CRISTO, UN DAR LA VITA PER I FRATELLI. COSÌ SI AVRÀ LA DOLCE CONFIDANZA DEI FIGLI DI DIO DINANZI AL LORO PADRE

Giovanni ha detto 1Giovanni 3:10 che l'amore per i fratelli è parte essenziale della giustizia ch'è il dovere dei figliuoli di Dio, anzi, può dirsi che ne sia il contenuto essenziale, quando si ponga mente alla dichiarazione di Paolo: "Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge" Romani 13:8-10, o ancora: "Tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: Ama il tuo prossimo come te stesso" Galati 5:14. Già in 1Giovanni 2 l'apostolo ha accennato al comandamento nuovo dell'amor fraterno come al sommario dei comandamenti divini e ritorna qui sopra questo dovere capitale presentandolo come la prova della vita nuova in noi quando sia praticato come Cristo lo praticò.

Poichè questo è il messaggio che avete udito dal principio:

cioè fin da quando vi fu annunziato l'evangelo,

che ci amiamo gli uni gli altri.

Infatti, mentre l'evangelo reca agli uomini da parte di Dio, un messaggio di grazia per chiunque si pente e crede, esso reca ai credenti come riassunto dei loro doveri di figli di Dio il messaggio: Amatevi gli uni gli altri come Dio vi ha amati in Cristo.

12 E non facciamo come Caino, che era dal maligno, e uccise il suo fratello.

La frase greca è ellittica: "e non come Caino era dal maligno e uccise...". Il miglior modo di completarla è fornito dalla diodatina e dalla riveduta: "E non facciamo come Caino il quale era...". La storia di Caino e d'Abele che sta agli inizi della storia umana pare a Giovanni come il tipo delle relazioni tra i figliuoli di Dio e i figlioli del diavolo, tra il mondo e i cristiani, tra la progenie della donna e la progenie del serpente. Da una parte domina l'odio, dall'altra l'amore. Mentre Abele è il tipo dell'uomo pio, generato da Dio a vita nuova, Caino è il tipo dell'uomo mondano, non rigenerato; rimasto sotto l'influenza del maligno e che manifesta la sua antipatia per una vita di giustizia e di pietà coll'odiare il suo fratello e da ultimo coll'ucciderlo.

E perchè l'uccise? Perchè le sue opere erano malvage, e quelle del suo fratello giuste.

Il racconto della Genesi ci narra che l'odio cupo di Caino per Abele giunse al suo parossismo non già perchè avesse una ingiuria o un torto da vendicare, ma quando vide gradito il sacrificio offerto da Abele e rigettato il proprio; però non fu questa se non l'occasione che determinò Caino al fratricidio. L'odio segreto covava da tempo nel suo cuore malvagio e il racconto attesta indirettamente che l'omicidio non fu se non la manifestazione esterna e violenta di un sentimento che aveva le sue radici nell'empietà di Caino, la cui vita era agli antipodi di quella d'Abele, che, per via di contrasto, ne metteva in luce la malvagità: "Se tu fai bene non rialzerai tu il volto? Ma se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri son volti a te, ma tu lo devi dominare!" Genesi 4:6-7. Invece Caino si lasciò dominare dal male.

13 Non vi maravigliate, fratelli, se il mondo vi odia.

Come Caino odiava Abele perchè l'orientazione della sua vita era opposta a quella del suo fratello, perchè l'uno s'ispirava al nemico di Dio e l'altro temeva e serviva il Signore, così il mondo alieno da Dio non può provar simpatia, deve anzi nutrire odio per i figliuoli di Dio. Gesù aveva avvertito di questo i suoi quando diceva loro: «Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quel ch'è suo; ma perchè non siete del mondo..., perciò vi odia il mondo» Giovanni 15:18-20. L'odio del mondo è, in certa guisa, il suggello della vita divina nei discepoli di Cristo.

14 Noi sappiamo che siam passati dalla morte alla vita, perchè amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.

Sebbene odiati, ed anche odiati a morte dal mondo, i cristiani hanno però la consolazione di sapere che posseggono la vera vita. L'amore che sentono per i figliuoli di Dio che sono loro fratelli è il segno, è la prova di fatto che sono passati, per la fede in Cristo e per opera dello Spirito, dalla morte spirituale in cui si trovavano, alla vita nuova. Il loro amore non è la causa della vita spirituale ma n'è l'effetto e la manifestazione. Nello stato suo naturale di alienazione da Dio, l'uomo è incapace di vero amor fraterno; ma quando lo rigenera l'Iddio ch'è amore, l'uomo è fatto capace d'amare. Ove manca l'amore, è segno che dura lo stato di morte. Da confrontar la parola di Cristo in Giovanni 5:24: «Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita».

15 Chiunque odia il suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in se stesso.

Secondo Giovanni, chi non ama, odia; non c'è stato intermedio di indifferenza del cuore umano. L'odio potrà esser più o meno cosciente, più o meno nascosto, più o meno violento, ma secondo la psicologia ad un tempo semplice e profonda di Giovanni, chi odia è omicida. E questo non solo perchè, in molti casi, l'odio conduce all'omicidio materiale del prossimo, ma perchè, secondo l'espressione di Gesù, chi odia è omicida "nel proprio cuore". Confr. Matteo 5:28. Egli desidera, vuole, cerca il male del fratello, si rallegra se male gl'incoglie; e se non giunge sempre, come Caino, a levare il braccio omicida contro al fratello, è perchè gliene manca il coraggio o la forza o la possibilità o la convenienza, poichè facendolo si esporrebbe alle sanzioni delle leggi civili. Il suo malanimo lo dimostra nei modi accennati da Cristo Matteo 5:21-22 o in altri simili. Il diavolo a cui s'ispira chi odia il fratello, è chiamato da Gesù "omicida fin dal principio" Giovanni 8:44, perchè, col sedurre Adamo ed Eva, li ha fatti cadere nella morte spirituale e nella morte fisica. Giovanni aggiunge, appellandosi al buon senso cristiano dei suoi lettori, che chi è omicida evidentemente «non ha la vita eterna dimorante in sè»; dal che risulta sempre più chiaro che chi odia rimane nella morte. Quella che l'apostolo chiama qui la vita eterna è la stessa vita nuova, procedente da Dio, che ha chiamata in 1Giovanni 3:14 "la vita" senz'altro, vita che il credente possiede fin d'ora e che possederà in tutta la sua, pienezza e gloria nell'eternità.

16 L'amore è il segno autentico della vita divina in noi; di questo amore vero 1Giovanni 3:16-18 ci danno la definizione:

Noi abbiam conosciuto l'amore da questo: che egli ha dato la sua vita per noi; noi pure dobbiam dare la nostra vita per i fratelli.

"Mentre chi appartiene al mondo, odia, il fratello ed è, per tal guisa omicida, i cristiani seguendo l'esempio di Cristo, hanno invece l'obbligo di dar la vita per i fratelli" (Huther). In Cristo è apparso al mondo l'amore nella sua vera natura e nella sua ideale perfezione. In Cristo i credenti lo possono contemplare e conoscere a fondo. L'amore consiste nel dare quel che si ha, nel dare se stesso, nel dare fin la propria vita, qualora ciò sia necessario, per il bene dei fratelli. Cristo, che Giovanni non nomina neppure tanto è chiaro per i lettori l'egli, Cristo ha dato la sua vita per noi quando ha lasciato la gloria del cielo per assumer la nostra natura e viver quaggiù una vita umile, povera, dolorosa per lui nell'ambiente del peccato; l'ha data quando è andato attorno facendo del bene ai corpi e alle anime senza risparmiarsi i disagi nè le fatiche nè le inimicizie; l'ha data quando l'ha offerta in sacrifizio per espiare i peccati del mondo. "Il Figliuol dell'uomo non è venuto per esser servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti" Matteo 20:28. "Il buon pastore mette la sua vita per le pecore". "Nessuno ha amore più grande che quello di dar la sua vita per i suoi amici" Giovanni 10:11; 15:13. "L'ha data per noi mentre eravamo ancora senza forza... mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" Romani 5:6-9. Ispirandosi ai sentimenti di Cristo che sono quelli di Dio stesso, e uniformandosi all'esempio di lui, i cristiani, se l'amor loro è genuino, devono essi pure dare la loro vita per i fratelli. Non già che la loro vita possa servire come quella del solo Giusto, di prezzo di riscatto per gli altri; ma sarà pur sempre il mezzo migliore di far loro del bene. Non saranno forse spesso chiamati dalla Provvidenza di Dio a sacrificar la vita per i loro fratelli; ma il vivere non per sè ma per servire a Dio ed al bene dei fratelli, consacrando ad essi sostanze, lavoro, tempo, capacità, salute, è anche un dar la vita per i fratelli. L'apostolo chiarisce d'altronde il suo pensiero con un esempio tolto dalla sfera della beneficenza, in cui si tratta, non di sacrificar la salute o la vita per i fratelli, ma semplicemente di far loro parte, nei loro bisogni, dei beni materiali che possediamo.

17 Ma se uno ha dei beni di questo mondo

letteralmente: "la vita del mondo" ossia quei beni che servono a sostentar la vita terrena,

e vede il suo fratello nel bisogno

θεωρη: 'contempla', vede non casualmente, ma abitualmente, come il ricco epulone vedeva tutti i giorni Lazaro giacente alla porta di casa sua, e

gli chiude le proprie viscere

considerate come sede degli affetti, il che torna a dire: chiude il proprio cuore ad ogni sentimento di simpatia e di pietà,

come dimora l'amor di Dio in lui?

Se non ama il fratello, il figlio di Dio di cui vede il bisogno, come amerà il Padre che non vede? La cosa è impossibile. Alcuni intendono: come dimora l'amore ch'è in Dio e di cui ha dato prova col darci l'Unigenito suo, nel cuore di chi è spietato, senza amore per il fratello? Come potrà dar la propria vita se non è capace neppure di dare una parte dei beni materiali di cui abbonda?

18 Figliuoletti, non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e in verità.

Da confrontare Giacomo 2:14-17: "Se un fratello o una sorella son nudi e mancanti del cibo quotidiano, e un di voi dice loro: Andatevene in pace, scaldatevi, e satollatevi; ma non date loro le cose necessarie al corpo, che giova?" Amare a parole, è un professar belle teorie sulla carità, saperle applicare e insegnare agli altri, aver, sulle labbra parole di simpatia, di amore, mentre il cuore resta freddo e gli atti non corrispondono a quel che dice la lingua. Un tale amore manca di verità cioè di sincerità; in realtà non esiste. Questo non toglie che l'amore genuino possa e debba manifestarsi anche colle parole, ma non con parole soltanto.

19 La pratica sincera ed a fatti dell'amor fraterno avrà un primo effetto consolante per noi, in quanto ci darà la certezza che siamo della verità.

Da questo,

cioè dall'amare in verità,

conosceremo che siam della verità,

non solo che siam sinceri, ma cha siamo discepoli e sostenitori della verità, che siam dalla parte della verità del Vangelo contro ogni menzogna ed ipocrisia

e renderem sicuri i nostri cuori dinanzi a lui,

cioè nel cospetto di Dio nella cui presenza siamo e viviamo. Il verbo πεισομεν vale propriamente: persuaderemo e s'intende: li persuaderemo ad abbandonare i loro dubbi, i loro timori, li calmeremo, li tranquilleremo col pensiero che il nostro amor fraterno sincero, nonostante le sue imperfezioni, è prova indubbia dell'opera della grazia in noi, è frutto della vita nuova dei figli di Dio.

20 Poichè se il cuor nostro ci condanna, Dio è più grande del cuor nostro e conosce ogni cosa.

Il cuore negli scritti di Giovanni come nell'A.T., include la coscienza, quella voce di Dio in noi che accusa o assolve la nostra condotta ed è come il giudice anticipato della creatura morale. Se la nostra coscienza che pure è così imperfettamente illuminata ci condanna per la nostra mancanza d'amor fraterno a fatti, sarà per noi impossibile goder pace e sicurezza interna dinanzi a Dio e al pensiero del suo giudicio; perchè Dio, il santo, il giusto, l'Altissimo, è più grande del cuor nostro, è superiore alla nostra debole coscienza umana e conosce ogni cosa, conosce quel che dimentichiamo, quel che nascondiamo agli altri ed a noi stessi, l'egoismo che v'è in noi, le scuse, i pretesti coi quali cerchiam di giustificare la pochezza del nostro amore, la scarsa rispondenza dei fatti alle nostre belle parole. Ne risulta che se, ci sentiamo condannati anche dalla nostra stessa coscienza, il nostro stato è pericoloso e richiede pronto rimedio di ravvedimento e di mutamento di condotta, altrimenti non possiamo attendere che, la condanna riservata agli ipocriti e descritta in Matteo 25:31-46.

La traduzione che abbiam seguita e l'esposizione data suppongono un lieve errore di copista nel testo greco attuale, errore consistente nella ripetizione della particella ὁτι (poichè) davanti al nome Dio. La maggioranza infatti dei manoscritti più antichi che possediamo contiene questo secondo poichè il quale, per quanti sforzi, si facciano, non dà un senso intelligibile. La frase sarebbe letteralmente questa: «poichè se il nostro cuore ci condanna, poichè Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa». Si è cercato di supplire: è perchè Dio è più grande...; ma se la frase resta corretta grammaticalmente, il senso non è più chiaro. Altri han fatto del primo ὁτι due particelle e si avrebbe questo testo: "...renderem sicuri i nostri cuori dinanzi a lui, qualunque sia la cosa nella quale il cuor nostro ci condanna, perchè Dio è più grande...". Ma, senza contare la stranezza della locuzione greca supposta, notiamo che Giovanni sta inculcando in tutto il brano la necessità di un amor fraterno sincero; e non si vede come potrebbe poi insegnare che riusciremo a tranquillare il nostro cuore davanti a Dio "qualunque sia la cosa nella quale il cuor nostro ci condanna". Un pensiero siffatto, anzichè a nuovo zelo, indurrebbe piuttosto al rilassamento. Inoltre codesto modo di risolvere la difficoltà esige che si dia alle parole: "Dio è più grande..." un senso poco probabile che sarebbe il seguente: "Quali che siano i rimproveri della nostra coscienza, se amiamo, riusciremo a tranquillare i nostri cuori pensando che Dio è infinitamente grande nella sua misericordia e conosce non solo le nostre imperfezioni, ma conosce pure la nostra sincerità, la realtà della vita divina che il suo Spirito ha creata in noi". Anche qui osserviamo che un tal pensiero, atto a confortare i cristiani dalla coscienza delicata, non è atto a scuotere quelli che sono propensi a contentarsi d'un amore fraterno a parole.

21 Com'è suo costume Giovanni ripete nel v. 21, in forma negativa, il concetto espresso dianzi in forma positiva:

Diletti, se il cuor nostro non ci condanna,

perchè abbiamo coscienza d'esser sinceri nel nostro amor fraterno, nonostante le sue imperfezioni,

noi abbiam confidanza dinanzi a Dio,

abbiam la dolce sicurezza d'essere suoi figli genuini e abbiamo la libertà dei figli di Dio. Di questa libertà filiale piena di fiducia nel Padre celeste, l'apostolo reca un esempio nel verso seguente.

22 e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da Lui perchè osserviamo i suoi comandamenti e facciam le cose che gli son grate.

Un concetto identico si trova espresso in altre parole in 1Giovanni 5:14: «E questa è la confidanza che abbiamo in lui: che se domandiamo qualcosa secondo la sua volontà, Egli ci esaudisce». Gesù avea detto: "Se chiederete qualche cosa nel nome mio, io la farò" Giovanni 14:14. L'espressione assoluta qualunque cosa chiediamo, che pare, a prima vista, una esagerazione pericolosa, in realtà si trova limitata e circoscritta dal fatto che chi chiede è figlio di Dio e un figlio non chiede quel che sa esser contrario alla volontà del suo Padre; e si tratta qui di figli che dimostrano colla loro ubbidienza filiale ai comandamenti di Dio d'esser dei veri figli suoi. Perciò Dio può manifestar loro le ricchezze della sua bontà esaudendo le loro preghiere. Non già che la loro ubbidienza costituisca un merito dinanzi a Dio, poichè, fuor di Cristo, il credente non può fare nulla che sia veramente buono, ed egli è fatto capace di compiere opere buone dal rinnovamento operato in lui dallo Spirito di Cristo; ma la sua ubbidienza filiale è la prova di fatto ch'egli è passato dalla morte alla vita. Osservare i comandamenti e far le cose che son grate a Dio sono espressioni parallele di una medesima realtà; solo, la prima presenta la vita cristiana come vita di ubbidienza alle norme date da Dio nella coscienza o mediante la rivelazione alla sua creatura; la seconda la presenta come una manifestazione spontanea e riconoscente dell'amor filiale che si sforza di compiacere al Padre celeste. L'idea cattolica che nelle "cose che gli son grate" vi sia un accenno ai così detti consigli evangelici di continenza, di ubbidienza e di povertà è del tutto estranea al contesto.

23 Riassumendo i comandamenti di Dio mentovati in 1Giovanni 3:22, Giovanni ne fa un solo comandamento che ha però due parti inseparabili l'una dall'altra.

E questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del suo Figliuolo Gesù Cristo e vi amiamo gli uni gli altri, com'egli ve ne ha dato il comandamento.

Dell'amore fraterno ha parlato come essendo il sunto della legge cristiana; qui presenta la fede in Gesù come parte del comandamento di Dio perchè essa è la fonte della vita cristiana, la condizione senza la quale non esiste amor fraterno vero. S. Paolo dice la fede «operante per mezzo dell'amore» Galati 5:6. Essa è quindi inseparabile dall'amore. Nè questo è il solo passo ove la fede sia considerata come comandata da Dio. In Giovanni 6:29 Gesù dice ai Giudei: "Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che Egli ha mandato" e dal contesto si vede che "opera di Dio" significa opera voluta, comandata da, Dio. In un senso la fede è anche opera di Dio nel cuore dell'uomo, ma è opera che Dio non compie senza l'uomo, poichè il credere in Cristo è l'atto morale più profondo e più decisivo che possa darsi nell'esistenza umana. Perciò si parla di "ubbidire alla fede"; perciò l'uomo è responsabile della sua incredulità. "Voi, dice Gesù ai Giudei increduli, non volete venire a me". Credere nel nome di Gesù, torna a dire credere in Gesù quale è stato rivelato da Dio mediante la predicazione evangelica, quale Gesù stesso si è fatto conoscere coll'insegnamento e colle opere. L'ultimo egli può riferirsi a Dio ovvero a Cristo che ha ripetutamente dato ai suoi il comandamento di amarsi gli uni gli altri. La cosa non ha importanza per la sostanza perchè i comandamenti di Cristo sono anche di Dio.

24 E chi osserva i suoi comandamenti dimora in Lui ed Egli in esso

colla quale espressione si descrive la intima, beata e costante comunione del credente fedele col suo Dio. Cfr. 1Giovanni 2:28; 3:6, e le espressioni simili del Vangelo di Giovanni. Anche questo versetto si può applicare tanto al Figliuol di Dio come a Dio e gli interpreti variano nelle loro preferenze al riguardo.

E da questo conosciamo ch'Egli dimora in noi: dallo Spirito ch'Egli ci ha dato.

Accanto alla prova delle opere che attestano la comunione del credente con Dio, egli possiede una testimonianza interna: quella dello Spirito ch'è dato a tutti i figliuoli di Dio e che dimora in loro. In 1Giovanni 2:20 ha parlato dell'unzione dal Santo per accennare al dono dello Spirito ad essi concesso. Lo Spirito è la sorgente della vita spirituale nel cristiano, è il segno e l'arra della sua adottazione qual figlio di Dio e della sua unione con Dio in Cristo.

AMMAESTRAMENTI

1. Fin dal principio dell'Evangelo l'amore è stato predicato come il gran dovere dei cristiani e tale resta dopo venti secoli di storia della Chiesa e dell'umanità. Mentre l'odio satanico ha continuato a seminare tormenti, e stragi, l'amore divino creato nei cuori rigenerati semina frutti di pace e di bontà. Agostino lasciò scritto ad ammonimento di chi professa il cristianesimo: «L'amore solo distingue i figliuoli di Dio dai figliuoli del diavolo. Portino pur tutti il segno della croce di Cristo; rispondano pur tutti: Amen; cantino pur tutti Alleluia, siano tutti battezzati, entrino nelle chiese, edifichino basiliche; ma non si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo se non dalla carità». Ed altrove: 'Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita. E come lo sappiamo? Perchè amiamo i fratelli. Niuno interroghi gli uomini; ma ciascuno rientri nel proprio cuore e se ivi trova carità, stia pur certo ch'egli è passato dalla morte alla vita. Non importa se per ora la, gloria sua resta nascosta. La vita c'è; quando verrà il Signore allora anch'egli apparirà nella gloria. Egli vive, ma come d'inverno; vive la radice sebbene i rami siano spogli; il midollo che vive è nell'interno; son dentro le foglie, e i frutti; aspettan solo l'estate'.

2. Praticamente l'amore cristiano consiste nel «dar la vita per i fratelli» secondo l'esempio datoci da Cristo. È dovere questo di tutti i credenti indistintamente. "I ministri non debbono fuggire quando infierisce un morbo, nè lo debbono i medici, i genitori, i fratelli, le sorelle in caso d'epidemia; e neppure le autorità in caso d'insurrezione, come non debbon fuggire i soldati nella battaglia, nè deve la madre abbandonare il figlio che allatta, nè l'uomo il proprio dovere" (Braune). Ed all'infuori dei casi speciali in cui si tratta di esporre o di sacrificar la vita del corpo, il "dar la vita per i fratelli" trova la sua applicazione in tutti gli atti, anche minimi, di abnegazione, di rinunziamento, di bontà, ispirati dall'amor dei fratelli e in genere del prossimo. Il coltivare e il tradurre in atti pratici lo spirito di sacrifizio nella vita quotidiana, rende il cristiano capace di compiere, quando sia necessario, anche il massimo dei sacrifizi.

3. Come non s'improvvisano gli atti eroici dell'amor cristiano, così non si giunge d'un tratto ai grandi delitti. Prima dell'omicidio in atto, c'è l'omicidio nell'intenzione, nei sentimenti d'odio accolti e nutriti nel cuore. E come in Caino il fratricidio non fu atto improvviso, così non fu nemmeno atto isolato. Tutta la sua vita morale è inquinata. La sua pietà esterna è ipocrisia e quindi il suo sacrifizio non può essere accetto a Dio; l'odio che nutre verso Abele non deriva da offesa ricevuta, ma è espressione dell'antipatia che prova per una vita giusta e pia ch'è una continua, per quanto tacita, accusa contro di lui; è scontento di Dio e arrogante perchè Dio condanna la sua vita di peccato e cerca di ritrarlo al bene. Il suo delitto è il frutto maturo di un albero corrotto. La sua storia ci deve mettere in guardia contro i primi sentimenti di rancore, d'ira, di odio, di malevolenza, di empietà, che scorgiamo dentro di noi, onde combatterli coll'aiuto della grazia. Eva si era rallegrata come di un grande acquisto quando era nato Caino che le recò poi il più gran dolore; avea invece chiamato Abele (vanità) quell'altro figlio che le diede le più grandi soddisfazioni e le lasciò il ricordo di una vita santa.

4. Il dovere della beneficenza non è soltanto per i ricchi, sebbene essi debbano vedere nell'abbondanza dei beni affidati alla loro amministrazione un invito chiaro a "far del bene, ad esser ricchi in buone opere, pronti a dare, a far parte dei loro averi in modo da farsi un tesoro ben fondato per l'avvenire" e a non riporre la loro speranza nell'incertezza delle ricchezze 1Timoteo 6:17-19. È però dovere, di tutti i cristiani; «poichè se c'è la prontezza dell'animo, essa è gradita in ragione di quello che uno ha e non di quello che non ha»: Le chiese di Macedonia citate da, Paolo come esempio di generosità, erano chiese povere che avean dato poi fratelli poveri di Gerusalemme «secondo il poter loro, anzi al di là del poter loro» 2Corinzi 8:9. La Bibbia non dà regole minute per l'esercizio della beneficenza. L'anima ne dev'esser l'amor cristiano sincero. Lo scopo il sollievo dei fratelli realmente bisognosi, sia che lo chiedano sia che non lo chiedano. I metodi migliori son lasciati alla, coscienza illuminata di ognuno.

5. Quanto è preziosa all'anima cristiana la dolce sicurezza di non aver nulla da temere da parte di Dio perchè le sono rimessi i peccati, perchè si sente all'ombra della grazia e oggetto della costante e fedele bontà del Padre celeste! Una cotal sicurezza è possibile ottenerla. Paolo scriveva: «Io so a chi ho creduto e son persuaso ch'egli è potente da custodire il mio deposito fino a quel giorno... del rimanente mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno». Ma quella sicurezza tranquilla dinanzi a Dio, quella libertà filiale nella preghiera, non si trovano che sulla via della fede e della buona coscienza. Chi è sincero e leale nel riconoscere i propri falli e nel confessarli, chi è leale nel condursi come un figliuolo di Dio ubbidiente e ripieno d'amor fraterno, vedrà crescere gradatamente in sè la tranquilla sicura fiducia dei figliuoli dinanzi al Padre loro.

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