Commentario abbreviato:

Atti 25

1 Capitolo 25

Paolo davanti a Festo, si appella a Cesare At 25:1-12

Festo si confronta con Agrippa riguardo a Paolo At 25:13-27

Versetti 1-12

Vedete com'è irrequieta la malizia. I persecutori considerano un favore particolare l'appagamento della loro cattiveria. Predicare Cristo, fine della legge, non era un'offesa alla legge. Nei tempi di sofferenza la prudenza del popolo del Signore è messa alla prova, così come la sua pazienza; ha bisogno di saggezza. È proprio di chi è innocente insistere sulla propria innocenza. Paolo era disposto a rispettare le regole della legge e a lasciare che questa facesse il suo corso. Se meritava la morte, avrebbe accettato la punizione. Ma se nessuna delle cose di cui lo accusavano era vera, nessuno poteva consegnarlo a loro, con giustizia. Paolo non viene né liberato né condannato. È un esempio dei passi lenti della Provvidenza, che spesso ci fanno vergognare delle nostre speranze e dei nostri timori e ci fanno aspettare Dio.

13 Versetti 13-27

Agrippa aveva il governo della Galilea. Quanti giudizi ingiusti e affrettati la massima romana, a At 25:16, condanna! Questo pagano, guidato solo dalla luce della natura, seguiva esattamente la legge e la consuetudine, eppure quanti cristiani non seguono le regole della verità, della giustizia e della carità nel giudicare i loro fratelli! Le questioni relative al culto di Dio, alla via di salvezza e alle verità del Vangelo possono apparire dubbie e prive di interesse agli uomini di mondo e ai semplici politici. Vedete come questo romano parla poco di Cristo e della grande controversia tra Giudei e Cristiani. Ma è vicino il giorno in cui Festo e il mondo intero vedranno che tutte le preoccupazioni dell'impero romano non erano che inezie e di nessuna importanza rispetto alla questione della risurrezione di Cristo. Coloro che hanno avuto i mezzi di istruzione e li hanno disprezzati, saranno terribilmente convinti del loro peccato e della loro follia. Qui c'era una nobile assemblea riunita per ascoltare le verità del Vangelo, anche se intendevano solo appagare la loro curiosità assistendo alla difesa di un prigioniero. Molti, anche oggi, frequentano i luoghi di ascolto della parola di Dio con "grande sfarzo", e troppo spesso senza un motivo migliore della curiosità. E sebbene i ministri non si presentino come prigionieri per difendere la propria vita, tuttavia un certo numero di persone siede in giudizio su di loro, desideroso di renderli colpevoli per una parola, piuttosto che imparare da loro la verità e la volontà di Dio, per la salvezza delle loro anime. Qual era l'onore della loro bella apparizione, rispetto a quello della saggezza, della grazia e della santità di Paolo, del suo coraggio e della sua costanza nel soffrire per Cristo? Non è una piccola misericordia che Dio chiarisca la nostra giustizia come la luce, e il nostro giusto agire come il giorno di mezzogiorno; che non ci venga addebitato nulla di certo. E Dio fa sì che anche i nemici del suo popolo lo rendano giusto.

Commentario del Nuovo Testamento:

Atti 25

1 4. Paolo dinnanzi a Festo (Atti 25:1-12)

Festo

Vedi Atti 24:27.

2 E il sommo sacerdote ed i principali dei Giudei

Più esattamente: i capi dei sacerdoti ed i principali fra i giudei... La frase: i capi dei sacerdoti accenna qui ai sadducei, i quali, sappiamo già, costituivano la parte aristocratica del Sinedrio.

Comparvero dinnanzi a lui contro a Paolo. E lo pregavano

ecc. Meglio: Gli sparsero querela contro a Paolo ed insisterono presso lui, chiedendo come in favore (ma con intendimento ostile), ch'ei lo facesse ricondurre a Gerusalemme. Nel tempo stesso aveano l'idea di preparare un agguato per disfarsene per via. Festo rispose che Paolo era tenuto in custodia a Cesarea, e ch'egli stesso dovea recarvisi quanto prima: Quelli dunque d'infra voi che ne hanno il diritto, aggiuns'egli, mi accompagnino; e formulino la loro accusa, se in cotest'uomo v'è qualche colpa.

3 Chiedendo una grazia...

Erano i più ragguardevoli fra i giudei e credevano di aver quasi diritto ad un favore di Festo.

Ponendo insidie...

Aveano dunque in mente il vecchio piano che andò già a monte Atti 23:14-21.

4 Ma Festo rispose

con un rifiuto. Ebbe egli sentore dei segreti piani dei giudei? Non aveva egli proprio altro motivo, del suo rifiuto che il poco tempo che gli rimaneva disponibile a Gerusalemme? Lo storico non lo dice; ma è evidente che, in un modo o in un altro, anche qui è Dio che sapientemente dirige le cose.

5 Il che potranno

della diodatina non è chiaro; bisogna dire: Quelli che hanno il diritto, l'autorità di farlo.

Accusinlo.

Cioè: La querela che fanno qui a me in modo privato e confidenziale, vengano a farla a Cesarea pubblicamente e nelle forme dovute.

7 Molte e gravi accuse

Ve ne furono dunque, fra quei giudei, di quelli che risposero all'invito di Festo; ed eccoli qua che affollano l'apostolo, adducendo molte e gravi accuse contro di lui. Quali fossero queste molte e gravi accuse, non è detto; ma lo ricaviamo dalla risposta di Paolo.

8 Dicendo lui a sua difesa: io non ho peccato né contro alla legge dei Giudei, né contro al tempio, né contro a Cesare

Ecco le accuse: sono le tre solite accuse che gli erano state scagliate contro, dinnanzi a Felice: accuse di eresia, di sacrilegio, di sedizione Atti 24:5-21.

9 Ma Festo, volendo far cosa grata ai Giudei...

Festo ha capito subito che l'accusato era innocente dal punto di vista della legge romana; e, quanto all'abbandonare un cittadino romano in balia d'un tribunale straniero, non c'era neppur da pensarlo. Ma a Festo ripugna l'idea d'inaugurare la sua amministrazione con un atto, che avrebbe senza dubbio esasperato il partito aristocratico del Sinedrio; quindi è che cerca un mezzo di soddisfare ad un tempo la sua coscienza di giudice e le esigenze della sua politica. Egli propone a Paolo di farsi giudicare i n Gerusalemme davanti a lui. Egli stesso, Festo, avrebbe tutelato, nella misura del possibile, gli interessi di Paolo; e i giudei avrebbero intanto ottenuto quello che a lui aveano domandato a Gerusalemme. Festo non può forzar Paolo ad accettare la proposta che gli fa; forse, anzi, s'aspetta un rifiuto; ma non gliene importa; quello che gl'importa si è di mostrare ai giudei che ha fatto quello che era in lui per compiacerli.

10 Ma Paolo disse: io comparisco...

Ma Paolo rispose: io son qui davanti al tribunale di Cesare; ed è qui ch'io debbo esser giudicato. Io non ho fatto alcun torto ai giudei, come tu stesso lo sai molto bene. Se sono colpevole, ed ho fatto qualche cosa degna di morte, io non ricuso di morire; ma, se nelle accuse di costoro non v'è nulla di vero, niuno ha il diritto di consegnarmi a loro per atto di compiacenza. Io m'appello a Cesare. Paolo fa un passo al quale Festo non s'aspettava. Egli si vale d'un privilegio, ch'era fra i più importanti che godesse un cittadino romano, in base alla Lex Julia. Un cittadino sotto processo bastava che dicesse: - Appello! e, senz'altra formalità, il processo era sospeso ed il cittadino venia deferito alla corte imperiale. L'importanza di questo diritto era immensa, perché proteggeva il cittadino romano da ogni giudizio falso o capriccioso d'una corte locale. Paolo qui si appella a Cesare non contro una sentenza che non era peranco stata pronunciata, ma per protestare contro la competenza di un giudice che pareva assai disposto a far piegare il diritto in favore di quelli che non volea disgustare. Notisi com'è stringente il ragionamento di Paolo. Egli divide i vari capi di accusa in due categorie. Nella prima, include i torti contro i giudei e le loro leggi; quant'è a questi torti, il governatore sa molto meglio di quello che non mostri, che non esistono se non nella mente degli accusatori; quindi, non c'è luogo ad un rinvio dell'accusato al Sinedrio. Nella seconda categoria, la sola di cui si possa qui legittimamente trattare, sarebbe quella dei delitti contemplati dalla legge romana. E, quant'è a questi, non se n'esce: o io son colpevole, dice Paolo, e mi si giudichi e mi si condanni; o sono innocente, e niuno ha il diritto di mandarmi ad un altro tribunale. E, seccato di tutte queste chiacchiere e di tutte queste perdite di tempo, ei domanda d'esser giudicato dalla corte dell'imperatore.

11 Niuno può donarmi loro nelle mani

La diodatina qui non rende bene il senso e la forza del verbo greco ( χαριζομαι). Bisogna dire: niuno ha il diritto di consegnarmi loro per atto di compiacenza. Paolo ha letto nell'animo di Festo e sa di che si tratta.

A Cesare.

A togliere ogni equivoco, si potrebbe tradurre: all'imperatore. Ma ognuno sa che Cesare è il titolo che si dà agl'imperatori e che viene da Cesare Augusto, che fu il fondatore dell'impero a Roma. Vedi Matteo 22:17; Marco 12:14; Luca 20:22 e seg. In tutti questi passi si legge Cesare; ma è inteso che il Cesare dei tempi di Gesù era Tiberio, e che il Cesare dei tempi di Paolo era Nerone.

12 Tenuto parlamento...

Allora Festo, dopo aver conferito col suo Consiglio, rispose: A Cesare ti sei appellato, ed a Cesare andrai. Il Consiglio era formato dai legali assessori, che in ogni corte provinciale avean l'ufficio d'illuminare i procuratori su tutto quello che si riferiva alle leggi romane. Si chiamavano: Consiliarii (Svetonio, Tiber. c. 33) e Assessores (Svetonio, Galba c. 19). Il diritto d'appello, che era negato in certi casi speciali, come quelli di briganti, di pirati ecc., non poteva esser negato nel caso di Paolo. La forma interrogativa della diodatina: Ti sei richiamato a Cesare?... è condannata dai migliori interpreti, come il Griesbach, il Mever l'Alexander ecc. Ella toglie molto peso alla solennità della decisione del Consiglio; gli è per questo che anch'io non l'accetto

Riflessioni

1. I re muoiono; i governatori si succedono gli uni agli altri Atti 25:1, e più o meno si somigliano; ma Cristo, il supremo Pastore della Chiesa, vive in eterno e rimane "lo stesso, ieri, oggi ed in eterno" Ebrei 13:8.

2. L'agire di Festo l'abbiamo esaminato e conosciuto. I giudei pensano ai loro interessi; Festo pensa ai suoi; ma intanto, la vita di Paolo è in pericolo; e da questo pericolo è la Provvidenza che lo salva, senza ch'ei forse neppure conosca l'esistenza di cotesto pericolo, Atti 25:3-5. Chi sa da quanti pericoli la Provvidenza ci ha liberati, senza che noi ne abbiamo mai saputo nulla? Lo sapremo quando saremo dinnanzi al trono di Dio.

3. Festo "comanda che Paolo gli sia condotto dinnanzi" Atti 25:6. Paolo non è di quelli che alla più piccola occasione ricorrono ai tribunali: Egli aspetta finché gli comandino di comparire dinnanzi al giudice; e, quand'è dinnanzi al giudice, espone con calma e con verità i fatti, senz'ombra di spirito di vendetta o di risentimento. Anch'egli come Gesù, "si rimette nelle mani di Colui che giudica giustamente" 1Pietro 2:23; e così deve fare ogni vero cristiano.

4. Festo non era uno scellerato; era un uomo integro, come ho detto commentando Atti 24:27; nondimeno, ei non era un uomo rigenerato dallo Spirito di Dio. Quindi, qual meraviglia s'egli batte una via di conciliazione fra la propria coscienza e la propria politica? (Atti 25:9). Quando s'ha da fare con uomini cosiffatti, è pur sempre vera la parola del Salmista che dice:

"È meglio cercare un rifugio nell'Eterno,

che fidarsi dell'uomo;

È meglio cercare un rifugio nell'Eterno,

che fidarsi nei grandi." Salmi 118:8-9

5. Privilegi legali, salvacondotti, diritti civili e cose simili, sono dei mezzi dei quali la Provvidenza, che li ha creati, si serve per il trionfo del Regno di Dio. La lex Julia che dà a Paolo il diritto d'appellarsi a Cesare Atti 25:11, è il mezzo per il quale Paolo andrà a Roma come testimone di Cristo. A Roma ei non avrà grandi speranze che giustizia gli sarà fatta, ch'è il Cesare che siede sul trono di Roma, si chiama Nerone; non importa; quel che importa si è che il desiderio da anni nutrito nel cuore sarà soddisfatto Atti 19:21, e che il vaticinio di Dio avrà il suo compimento Atti 23:11.

6. E Paolo andrà a Roma Atti 25:12. Notiamolo bene; andrà a Roma non perché la lex Julia lo concede, non perché Festo lo propone, non perché il Consiglio lo delibera; vi andrà perché Iddio lo vuole Atti 23:11. La Provvidenza procede maestosa per la via reale della verità e della giustizia; per la via, che mena al trionfo dei disegni di Dio; gli uomini, che lo vogliano o no, debbono cooperare a cotesto trionfo.

13 5. Paolo ed il re Agrippa (Atti 25:13-26:32)

a) Festo e Agrippa (Atti 25:13-27)

Il re Agrippa

Questo Agrippa era Erode Agrippa II, figlio del re Erode Agrippa che fece trucidare Giacomo, e la cui fine è narrata nel capo 12 Atti 12:1-2,21-23. L'imperatore Claudio gli avea dato il piccolo principato di Calcide, che era al nord-est della Palestina, sul versante orientale del Libano. Questo, nel 48: Quattro anni più tardi, egli ricevette la tetrarchia ch'era stata governata da Filippo e da Lisania Luca 3:1, e s'ebbe il titolo di re. Nel 55, Nerone gli aggiunse alcune città della Galilea. Quando suo padre morì, ei non avea che diciassette anni. Visse tanto da vedere la distruzione di Gerusalemme, e morì sotto Traiano (anno 100) a 73 anni. Con lui si spense la famiglia degli Erodi (Giuseppe Flavio Ant. 19:9, § 1; 20:1, § 3; 8 § 5).

Bernice

Bernice o Berenice è lo stesso. Bernice sembra essere una forma macedone del nome Pherenice. Questa donna, che era sorella del re Agrippa del nostro passo (e quindi sorella di Drusilla Atti 24:24), ha lasciato nella storia dei ricordi infami, che non hanno riscontro se non in quelli di Messalina e di Lucrezia Borgia. Era la figlia maggiore di Erode Agrippa I e fu, giovinetta ancora, data in moglie allo zio; all'Erode, che fu re di Calcide. Morto lui, rimase vedova per parecchi anni; ma fama corre che vivesse incestuosamente col fratello, il quale, come si vede nel nostro passo, le dava onori regali. Per mettere al coperto il suo incesto, indusse Polemone, re della Cilicia, a sposarla; e Polemone, per isposarla, si fece circoncidere. Ma Berenice lo abbandonò; a Polemone non parve vero di dirle addio, e ritornò pagano. Era una donna che possedeva un fascino infernale. Ammaliò tutti e due i Flavii; Vespasiano e Tito. Tito pare che avesse promesso addirittura di sposarla; e che l'avrebbe fatto, se la pubblica opinione non gli fosse stata contro; e finì col mandarla via, ma molto a malincuore. Dimisit invitus invitam, dice Svetonio (Svet. Titus, c. 7; Tacito, Hist. 2:81; Giuseppe Flavio Ant. 20.7. § 3. Vedi anche Giovenale Sat. vi. 155-9.

Per salutar Festo.

La visita ch'egli fa al nuovo governatore, è l'atto di omaggio d'un piccolo vassallo dell'impero al rappresentante del governo dell'imperatore: e questo atto era tanto più significativo, se Agrippa veniva direttamente dalla sua provincia per fare la sua prima visita a Festo; se non veniva che da Gerusalemme, ove stava abitualmente, e dove esercitava una certa influenza sui pubblici affari, la visita consisteva senza dubbio soltanto nella restituzione di un atto di cortesia.

14 Per molti giorni

I primi giorni passarono, si capisce, in mezzo alle feste che si davano in onore dei nobili ospiti. E quando la gazzarra di quei primi giorni fu calmata, Festo ripensò a Paolo.

15 Chiedendo sentenza di condannazione contro di lui

Domandando la sua punizione. È un particolare importante, che chiarisce quello che non e specificamente detto in Atti 7:1 giudei dunque volevano strappare a Festo una sentenza di condanna; probabilmente, senza passar neppure per la trafila del processo.

16 Ai quali risposi

ecc. Traduciamo meglio. Ai quali risposi che i romani non hanno l'abitudine di consegnar chicchessia per far atto di compiacenza ad alcuno, prima che l'accusato sia posto a confronto con i suoi accusatori, e ch'egli abbia avuto i mezzi di giustificarsi dell'accusa che gli è mossa. Le parole per farlo morire mancano nei codici maggiori (A. B. C. E. Sinaitico) e non sono che un'aggiunta di qualche copista; debbono quindi esser cassate. L'esposizione che Festo fa della causa ad Agrippa, fino qui, è semplice e naturale dal punto di vista del diritto romano. Noti soltanto questo il lettore; che quel: non hanno l'abitudine di consegnar chicchessia per far atto di compiacenza ad alcuno, Festo non lo pronunciò subito, come avrebbe dovuto, in faccia ai giudei; ei cercava delle scappatoie per dare un colpo al cerchio e l'altro al tino, come ho mostrato Atti 25:7-9. Quelle parole è Paolo che le ha ricordate a Festo; è Paolo che gli ha mostrato quale sarebbe stata la via ch'egli Festo, avrebbe dovuto seguire, se avesse voluto fare il proprio dovere. E Festo cita, tale e quale, l'espressione di Paolo Atti 25:11: ουδεις με δοναται αυτοις χαρισασθαι; e qui: ουκ εστιν... χαριζεσθαι τινα ανθρωπον.

19 Intorno alla loro superstizione

La parola dell'originale δεισιδαιμονια (deisidaimonia) vuol dire, letteralmente: timor degli dei ( δειδω, δαιμων); quindi, in buon senso, pietà; in senso cattivo, superstizione. Festo è pagano; ma parla ad un re giudeo, che avea rispetto per la legge e per il tempio; non è supponibile quindi ch'ei volesse usare la parola in senso sprezzante ed offensivo, come non è supponibile che Paolo la usasse in senso sprezzante ed offensivo, quando la usa nell'Areopago d'Atene (Atti 17:22 κατα παντα ὡς δεισιδαιμονεσερους... per ogni rispetto voi siete religiosissimi). Quindi, il vero modo di tradurla qui è, senza dubbio, questo: l'attaccarono su certe controversie relative alla loro propria religione e ad un certo Gesù ecc.

Intorno ad un certo Gesù morto...

ecc. Non c'è sprezzo, né offesa, è vero; ma le parole di Festo tradiscono qui una certa indifferenza sdegnosa, che, si sente, sarebbe stata più ironica, se il governatore non avesse temuto di urtare le suscettibilità di Agrippa. Queste parole di Festo ci mostrano che del discorso di Paolo dinnanzi al Sinedrio Atti 23:16 e della sua difesa dinnanzi a Felice Atti 24:10-21 noi non abbiamo nel nostro libro che un rapido schizzo. In cotesto discorso ad in cotesta difesa non troviamo il nome di Gesù; eppure, da queste parole risulta che di Gesù aveva parlato, e largamente parlato.

20 Stando in la dubbio

Festo dà la proposta fatta a Paolo di farsi giudicare a Gerusalemme, come una proposta fatta con rette e pure intenzioni. La spiega come nata dal desiderio di affidare la istruttoria del processo di Paolo ad un tribunale più competente del suo. Ma noi sappiamo già che Festo era convinto dell'innocenza di Paolo; e che, sebbene non fosse uomo, come sarebbe stato Felice, di rendersi complice del delitto che i giudei meditavano Atti 25:3, pure non era neanche uomo da posporre i propri interessi politici alle esigenze della serena giustizia.

21 Ad Augusto

L'originale greco ha Σεβαστος, Sevastòs. La qual parola viene da un verbo ( σεβαζομαι) che vale: prima, son compreso da ribrezzo o da terrore; poi, rispetto, venero. L'appellativo di Sevastòs, che corrisponde al latino Augustus, Augusto, fu dato per la prima volta dal Senato ad Ottaviano (Svetonio, Aug. c. 7) e fu poi adottato dai successori di lui. Traccia di cotest'uso troviamo nel nome del mese di Agosto, che fu dedicato al primo imperatore, come Luglio era stato dedicato a Giulio; e coteste tracce si continuano nei nomi di Augsburg e di Sebastopoli. Trattandosi quindi di un termine che esprime ossequio profondo e riverenza, io credo che corrisponda esattamente al nostro Sua Maestà, con cui designamo il re. Quindi traduco: Ma Paolo avendo chiesto l'appello perché la sua causa fosse rimessa al giudizio di Sua Maestà, ho ordinato ch'ei fosse tenuto in custodia, finché io possa mandarlo a Cesare.

22 Ben vorrei ancor io udir cotest'uomo

Più esattamente: Volevo giusto anch'io udir cotest'uomo!... L'originale vuol far capire che Agrippa aveva anche egli sentito parlare di Paolo, e che già da tempo desiderava di vederlo e di udirlo.

23 Coi capitani

L'originale ha: coi chiliarchi, che traduciamo coi tribuni, come in Atti 21:31. S'intende i tribuni delle coorti.

I principali della città

sono le persone più cospicue della città.

Il per comandamento di Festo,

va unito con quel che segue; non con ciò che precede; quindi si potrebbe dir meglio, a scanso d'equivoci:... Ed entrati nella sala d'udienza, accompagnati dai tribuni e dalle persone più cospicue della città, Paolo, per ordine di Festo, fu fatto venire.

25 Essendosi richiamato ad Augusto

Anche qui il greco ha Σεβαστος, Sebaste come in Atti 25:21; quindi traduciamo, come in cotesto versetto: Essendosi egli stesso appellato a Sua Maestà.

26 E perciocchè io non ho nulla di certo

ecc. Traduciamo esattamente: E siccome non ho, in proposito, alcun che di positivo da scrivere al mio Signore, l'ho fatto comparire dinnanzi a voi, e principalmente davanti a te, o re Agrippa, affinché, in seguito a questo esame, io sappia che cosa debba scrivere; poichè mi sembra assurdo il mandare un prigioniero senza notificare al tempo istesso, le accuse che gli son mosse contro.

Al mio signore;

è il titolo col quale in quei tempi dei quali parliamo, si designavano gli imperatori. È il Dominus latino. Augusto e Traiano l'aveano rifiutato (Svetonio, Octav. c. 53; Tiber. c. 27), ma Caligola e Nerone l'aveano accettato. Questi due versetti Atti 25:26-27 delineano nettamente la natura di quest'assemblea. Non si tratta di un atto giudiziario, d'un incidente ufficiale del processo di Paolo. Dal momento che il governatore, consenziente il suo consiglio di prefettura, aveva ammesso l'appello, ei non aveva più il diritto di manipolare la causa. Ma ecco come stavano le cose. Il prigioniero doveva esser tradotto dinnanzi alla corte imperiale, a Roma; a questo scopo, Festo dovea presentare una relazione sulla causa e sul punto a cui la causa si trovava attualmente. Festo sarebbe stato disposto a fare una relazione favorevole a Paolo, poichè lo sapeva innocente di ogni delitto contemplato dalla legge romana; ma le grida fanatiche dei giudei Atti 25:24 lo avevano un po' intimidito; fa vista di non veder chiaro in tutto cotest'affare e domanda il parere del re Agrippa e dei più cospicui giudei di Cesarea, ch'egli suppone esser meno prevenuti a danno di Paolo, ch'erano meno accecati dalla passione, e che, col loro assentimento, poteano mettere al coperto la, responsabilità di lui. Quindi è che ho tradotto: in seguito a questo esame; perché, in realtà, non si trattava che di un esame, fatto da persone intelligenti e competenti; non di una vera e propria inchiesta giudiziaria; non di un interrogatorio, non di una inquisizione, come dice il Diodati.

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