Commentario abbreviato:

Ebrei 9

1 Capitolo 9

Il tabernacolo ebraico e i suoi utensili Ebr 9:1-5

Il loro uso e significato Ebr 9:6-10

Questi si sono realizzati in Cristo Ebr 9:11-22

La necessità, la superiore dignità e il potere del suo sacerdozio e del suo sacrificio Ebr 9:23-28

Versetti 1-5

L'apostolo mostra agli Ebrei il riferimento tipico delle loro cerimonie a Cristo. Il tabernacolo era un tempio mobile, che indicava lo stato incerto della Chiesa sulla terra e la natura umana del Signore Gesù Cristo, in cui abitava corporalmente la pienezza della Divinità. Il significato tipico di queste cose è stato mostrato in precedenti osservazioni, e le ordinanze e gli articoli del patto mosaico indicano Cristo come nostra Luce e come Pane di vita per le nostre anime, e ci ricordano la sua Persona divina, il suo santo sacerdozio, la sua perfetta giustizia e la sua intercessione onnipotente. Così era il Signore Gesù Cristo, tutto e in tutti, fin dal principio. E come interpretate dal Vangelo, queste cose sono una rappresentazione gloriosa della sapienza di Dio e confermano la fede in Colui che è stato prefigurato da esse.

6 Versetti 6-10

L'apostolo prosegue parlando dei servizi dell'Antico Testamento. Cristo, essendosi impegnato a essere il nostro Sommo Sacerdote, non poteva entrare in cielo finché non avesse versato il suo sangue per noi; e nessuno di noi può entrare, né alla presenza benevola di Dio qui, né alla sua gloriosa presenza nell'aldilà, se non grazie al sangue di Gesù. I peccati sono errori, grandi errori, sia nel giudizio che nella pratica; e chi può capire tutti i suoi errori? Lasciano la colpa sulla coscienza, che non può essere lavata se non dal sangue di Cristo. Dobbiamo invocare questo sangue sulla terra, mentre Lui lo invoca per noi in cielo. Alcuni credenti, sotto l'insegnamento divino, hanno visto qualcosa della via di accesso a Dio, della comunione con Lui e dell'ammissione in cielo attraverso il Redentore promesso, ma gli israeliti in generale non guardavano oltre le forme esteriori. Queste non potevano togliere la contaminazione o il dominio del peccato. Non potevano né estinguere i debiti, né risolvere i dubbi di colui che rendeva il servizio. I tempi del Vangelo sono, e dovrebbero essere, tempi di riforma, di luce più chiara su tutte le cose che è necessario conoscere, e di maggiore amore, che ci porta a non portare male a nessuno, ma bene a tutti. Nel Vangelo abbiamo una maggiore libertà, sia di spirito che di parola, e maggiori obblighi a una vita più santa.

11 Versetti 11-14

Tutte le cose buone passate, presenti e future sono state e sono fondate sull'ufficio sacerdotale di Cristo e da lì provengono a noi. Il nostro Sommo Sacerdote è entrato in cielo una volta per tutte e ha ottenuto la redenzione eterna. Lo Spirito Santo ha inoltre significato e mostrato che i sacrifici dell'Antico Testamento liberavano solo l'uomo esteriore dall'impurità cerimoniale e lo abilitavano ad alcuni privilegi esteriori. Che cosa ha dato tale potere al sangue di Cristo? Il fatto che Cristo si sia offerto senza alcuna macchia di peccato nella sua natura o nella sua vita. Questo purifica la coscienza più colpevole dalle opere morte, o mortali, per servire il Dio vivente; dalle opere peccaminose, che inquinano l'anima, come i corpi morti inquinavano le persone degli ebrei che li toccavano; mentre la grazia che suggella il perdono, ricrea l'anima inquinata. Nulla distrugge di più la fede del Vangelo che indebolire in qualsiasi modo il potere diretto del sangue di Cristo. Non possiamo immergerci nella profondità del mistero del sacrificio di Cristo, non possiamo comprenderne l'altezza. Non possiamo scoprirne la grandezza, né la saggezza, l'amore e la grazia che vi si trovano. Ma nel considerare il sacrificio di Cristo, la fede trova vita, cibo e ristoro.

15 Versetti 15-22

Le transazioni solenni tra Dio e l'uomo sono talvolta chiamate alleanze, in questo caso testamento, che è un atto di volontà di una persona, che conferisce lasciti alle persone descritte, e che ha effetto solo alla sua morte. Così Cristo è morto non solo per ottenere le benedizioni della salvezza per noi, ma anche per dare il potere di disporne. Tutti, a causa del peccato, erano diventati colpevoli davanti a Dio, avevano perso tutto ciò che è buono; ma Dio, volendo mostrare la grandezza della sua misericordia, proclamò un patto di grazia. Nulla poteva essere pulito per un peccatore, nemmeno i suoi doveri religiosi, se non quando la sua colpa veniva eliminata dalla morte di un sacrificio, di valore sufficiente a tale scopo, e se non dipendeva continuamente da esso. Possiamo ascrivere tutte le vere opere buone alla stessa causa onnicomprensiva e offrire i nostri sacrifici spirituali come aspersi del sangue di Cristo e così purificati dalla loro contaminazione.

23 Versetti 23-28

È evidente che i sacrifici di Cristo sono infinitamente migliori di quelli della legge, che non potevano né procurare il perdono per il peccato, né conferire potere contro di esso. Il peccato sarebbe rimasto su di noi e avrebbe avuto il dominio su di noi; ma Gesù Cristo, con un unico sacrificio, ha distrutto le opere del diavolo, affinché i credenti siano resi giusti, santi e felici. Come nessuna saggezza, apprendimento, virtù, ricchezza o potere può preservare un individuo della razza umana dalla morte, così nulla può liberare un peccatore dall'essere condannato nel giorno del giudizio, se non il sacrificio espiatorio di Cristo; né si salverà dalla punizione eterna chi disprezza o trascura questa grande salvezza. Il credente sa che il suo Redentore vive e che lo vedrà. Ecco la fede e la pazienza della Chiesa, di tutti i credenti sinceri. Da qui la loro continua preghiera come frutto ed espressione della loro fede: "Vieni anche tu, Signore Gesù".

Commentario del Nuovo Testamento:

Ebrei 9

1 Sezione B. Ebrei 9:1-14. CRISTO HA APERTO LA VIA AL TRONO DI DIO OFFRENDO SÈ STESSO QUAL SACRIFICIO PERFETTO A DIO.

Cristo compie un ministerio più eccellente dei sacerdoti levitici, un ministerio che serve al patto di grazia. Così ha insegnato l'autore in Ebrei 8. Ma in che consiste questa eccellenza? Ecco quello che l'autore si accinge ad esporre. Le tre idee principali della sezione sono le seguenti:

a) L'antico Patto aveva bensì un santuario diviso ed arredato in modo divinamente sapiente e da cui molti insegnamenti sarebbero da dedurre nei quali l'autore non entra Ebrei 9:1-5;

b) però, secondo le disposizioni legali, l'adito al luogo santo era riservato ai soli sacerdoti, e quanto al luogo santissimo, esso rimaneva inaccessibile, il solo sommo sacerdote potendovi penetrare e ciò una volta sola all'anno, col sangue di vittime animali Ebrei 9:6-10;

c) ma, quando è venuto il Cristo qual sacerdote dei beni futuri, egli è penetrato nel vero luogo santissimo, presentando il proprio sangue, e ne ha aperto l'adito al popolo purgando la lor coscienza di peccato Ebrei 9:11-14.

Ebrei 9:1-5. Il santuario terreno.

Aveva dunque anche il primo [patto] degli ordinamenti di culto ed un santuario terreno.

Il testo erasmiano ha: «il primo tabernacolo». L'aggiunta è spuria come dimostra il testo degli antichi codici. Si ha da sottintendere piuttosto la parola patto, poichè di patto ha parlato nella frase precedente. Anche il primo patto, sebbene imperfetto e transitorio, aveva quando fu stabilito, tutto un sistema di prescrizioni divine regolanti il culto esterno ed un santuario visibile ove si compievano i riti ordinati. L'espressione δικαιωματα λατρειας, malamente tradotta dalla Vulgata justificationes culturae, significa le giuste disposizioni divine che si riferivano al culto, le norme che ne regolavano la celebrazione, sia che si trattasse dei sacerdoti, dei riti svariati, del modo di compierli, dei tempi prescritti ecc. L' ἁγιον κοσμικον (lett. santuario cosmico) non vuol dire santuario adorno, e neppure «destinato a tutto il mondo», come interpretarono antichi espositori, ma semplicemente santuario terreno, appartenente a questo mondo, per opposizione al vero santuario non piantato dall'uomo Ebrei 8:2, «non fatto con mani cioè non appartenente a questa creazione» Ebrei 9:11,24. Il tabernacolo per il luogo che occupava, per la composizione sua materiale, per la costruzione sua per mano d'uomini, per l'uso cui era destinato, era connesso col mondo presente, passeggiero (Cfr. Delitzsch).

2 Infatti fu preparato il primo tabernacolo nel quale erano il candeliere e la, tavola e la presentazione dei pani, e questo si chiama li luogo santo.

Come prova che l'antico patto aveva i suoi ordinamenti per il culto da celebrarsi nel santuario materiale, l'autore reca le disposizioni relative alla partizione ed all'arredamento del tabernacolo nel deserto. Chiama primo tabernacolo la parte anteriore della tenda ossia il luogo santo, considerandola come un tabernacolo distinto. Del cortile e dell'altare di rame lo scrittore non fa parola. La sua descrizione sommaria è fatta secondo i dati dell'Esodo. Invece dell'unico candeliere d'oro dalle sette lampade, il tempio salomonico ne ebbe dieci, ma nel secondo tempio si tornò ad un solo. Quando Tito espugnò Gerusalemme nel 70, il candeliere fu tra le spoglie opime che sono rappresentate nei bassorilievi dell'Arco di Tito a Roma. Il candeliere è considerato dagli uni come il simbolo della luce della rivelazione concessa da Dio ad Israele, dagli altri come il simbolo della missione cui era destinato il popolo, chiamato a servire Dio in santità ed a tener accesa, e far brillare nel mondo la luce della verità divina. Conf. Apocalisse 1:20; 2:1,5; Matteo 5:14; Filemone 2:15. Va da sè che per adempiere ad una tale missione Israele avea bisogno d'essere ripieno dello Spirito di Dio simboleggiato dall'olio. La tavola e quella coperta d'oro posta dal lato destro e su cui si disponevano, ogni sabato, in due file, i dodici pani detti di presenza, simbolo di riconoscenza per le benedizioni materiali ricevute.

3 E dietro la seconda cortina,

quella detta Parochet (separazione) che separava il luogo santo dal santissimo,

[fu disposto] il tabernacolo detto luogo santissimo

(lett. santo dei santi),

4 contenente un turibolo d'oro e l'arca del patto tutta ricoperta d'oro, nella quale erano un vaso d'oro contenente la manna e la verga d'Aaronne ch'era germogliata e le tavole del patto; e al di sopra dell'[arca] i cherubini di gloria che adombravano il propiziatorio. Delle quali come non si tratta di parlare ora partitamente.

Egli è con affetto d'Israelita che l'autore si sofferma ad enumerare i preziosi arredi del santuario figurativo; egli non disprezza quello che Dio aveva ordinato; anzi vede in ciascuna di quelle disposizioni adombrata una realtà importante ch'egli bramerebbe di potere additare, se ciò non lo allontanasse dalla meta cui mira. La difficoltà principale di questi versetti sta nelle parole χρυσουν εχουσα θυμιατηριον (avente un thumiaterion d'oro). L'ultimo vocabolo può significare tanto l'altare sul quale, come il turibolo nel quale si ardeva l'incenso. L'hanno inteso nel primo senso l'Itala (aureum habens altare), Ecumenio, Calvino, Bleek, De Wette, Lünemann, Delitzsch, Reuss, Davidson, Edwards etc.; nel secondo senso la vers. Siriaca, la Vulgata (aureum thuribulum), Teofilatto, Lutero, Diodati, Bengel, v. Gerlach, Stier, Alford, Guers etc. Stanno in favore di ciascuna opinione delle ragioni plausibili e non si può dir risolta la difficoltà.

Coloro che vedono in quell'inciso indicato l'altar d'oro dei profumi fanno valere l'uso ellenistico generale, p. es. in Filone e Giuseppe Flavio, di designare quell'altare colla voce Θυμιατηριον. Notano inoltre che, in caso diverso, l'altare dei profumi sarebbe del tutto omesso nell'enumerazione, mentre son mentovati gli altri arredi del luogo santo e del santissimo. Quanto al turibolo d'oro non è mentovato nell'A.T. come appartenente al luogo santissimo, nè se ne parla in connessione col giorno delle Espiazioni. La principale obiezione a questo modo di vedere sta nel fatto che l'altare d'oro sarebbe collocato dall'autore nel Santissimo «dietro alla seconda cortina», mentre esso era posto nel luogo santo dinanzi alla cortina. Si fa presto a dire, con alcuni espositori, che l'autore essendo un giudeo alessandrino ha commesso un errore; ma ciò è sommamente inverosimile per parte di chi ha studiato tanto attentamente il santuario levitico e ne potrebbe parlare «partitamente». L'essere alessandrino o palestinese non monta, poichè lo scrittore prende i suoi dati principalmente nell'Esodo. Filone alessandrino ed il semipagano Giuseppe Flavio sono precisi nelle loro enumerazioni.

Si è cercato di dare al participio εχουσα (avente) un senso non locale, ma di appartenenza o di connessione rituale, facendo notare come spesso nell'A.T. il posto dell'altar d'oro è indicato colle parole: «di faccia all'area» Esodo 30:6; 40:5 ovvero «di faccia all'oracolo» 1Re 6:22; che l'altare è mentovato in relazione coi riti del giorno delle espiazioni; e che esso figura l'omaggio delle preghiere salienti davanti al trono di Dio (cf. Apocalisse 8:3-5). Ma tutto questo si infrange contro alle precise indicazioni del testo che colloca il thumiaterion «dietro la seconda cortina» e dà al verbo εχουσα il senso di «contenente» nel medesimo verso.

Coloro che dànno a Θυμιατηριον il senso di turibolo insistono sul fatto che tanto la versione dei LXX come il N.T. ed in particolare lo scrittore dell'Epistola (cf. Ebrei 13:10) adoprano costantemente per designar l'altare una parola diversa ( Θυσιαστηριον) mentre Θυμ. rende l'ebraico mikteret che vale turibolo Ezechiele 8:11; 2Cronache 26:19. Vero è che nel Pentateuco non si fa parola di un turibolo d'oro deposto nel luogo santissimo, ma è da notare che nel giorno delle espiazioni Levitico 16:12 il sommo sacerdote dovea prendere un turibolo pieno di brace e portarlo nel santissimo per ardervi su dell'incenso. La Mishna parla di un turibolo d'oro finissimo adoperato nel giorno di Kippurim. Questo poteva esser collocato dietro la cortina in modo però che non fosse necessario per il sommo sacerdote di entrare nel Santissimo quando dovea prenderlo.

Quest'ultima spiegazione ha il vantaggio di non fare al testo alcuna violenza. L'Arca è chiamata del patto perchè conteneva le tavole della legge su cui era basato il patto. Il vaso d'oro contenente la manna è mentovato in Esodo 16:32-34 ove però l'ebraico omette l'indicazione del metallo, che trovasi solo nella Settanta. Quel ch'è detto della vera d'Aaronne si riferisce a Numeri 17:20,23. L'A.T. non dice che il vaso e la verga fossero dentro all'arca. Era questa un'opinione tradizionale che l'autore accetta.

5 Per i cherubini si conf. Esodo 25:17-22. Questi rappresentanti delle creature angeliche, il cui nome vale: «attendenti» son detti cherubini di gloria perchè stendevano l'ali sul coperchio dell'arca simboleggiante il trono del Dio glorioso. Il propiziatorio ( το ἱλαστηριον) è propriamente il coperchio dell'arca sul quale facevasi, coll'aspersione del sangue, l'annua solenne espiazione. Nell'ebraico d'altronde i due concetti dell'espiare e del coprire sono espressi dalla stessa radice perchè il peccato espiato e coperto dinanzi agli occhi di Dio.

6 Ebrei 9:6-10. La via alla presenza di Dio non ancora aperta.

Ora essendo queste cose così disposte, nel primo tabernacolo entrano bensì del continuo i sacerdoti per compiervi gli atti del culto; ma nel secondo [tabernacolo entra una volta sola all'anno il sommo sacerdote, non senza sangue il quale egli offre per sè stesso e per le mancanze del popolo;

Sebbene ogni singola parte del santuario contenga il suo insegnamento, lo scrittore si ferma soltanto a quello che risulta dal modo in cui è partito il santuario ed alle disposizioni a ciò relative. Nel primo compartimento, cioè nel luogo santo, possono penetrare tutti i giorni i semplici sacerdoti, per nettar ed accendere le lampade del candeliere, per ardere il profumo sull'altare mattina e sera Esodo 30:7- 8, per levare al Sabato i pani di presenza e rimetterne dei nuovi Levitico 24:5-9. Sono queste le latrie, gli atti di culto, che compiono, secondo la legge, nel luogo santo, riservato ai soli sacerdoti.

7 Quanto al secondo compartimento o luogo santissimo che raffigurava la immediata presenza dell'Eterno, l'accesso n'è quasi del tutto interdetto. Il solo sommo sacerdote vi entra e ciò una volta sola nell'anno, al giorno delle Espiazioni, ch'è il decimo giorno del settimo mese (Settembre-Ottobre). L'autore che mostra di conoscere a fondo il rituale levitico, non enumera i singoli atti che il sommo sacerdote era chiamato a compiere nel Santissimo, ma indica il suo entrare con sangue di tori che offriva per, sè e per i sacerdoti; poi, col sangue di un becco che offriva per le mancanze del popolo. La voce αγνοημα (lett. atto d'ignoranza) significa le trasgressioni in cui entra come attenuante o l'ignoranza o la imperfetta ricordanza ed intelligenza della legge, per opposizione ai peccati procedenti da perversità cosciente, per i quali non c'è espiazione.

8 Lo Spirito Santo facendo vedere questo: che la via del santuario non era ancora fatta manifesta fintantoché sussisteva il primo tabernacolo.

Lo Spirito è stato l'agente divino della rivelazione fatta così a Mosè come ai profeti. Perciò nelle disposizioni divine relative all'antico santuario, l'autore può dire che lo Spirito mirava a far palese, mediante il linguaggio grafico delle istituzioni simboliche, un'importante verità. Il tabernacolo non è infatti una cosa ideata da Mosè; ma tanto la disposizione delle sue parti come l'istituzione dei varii servizi sacri sono stabilite da Dio ed hanno il loro significato ed il loro scopo educativo. Proclamano che nella comunione filiale con Dio sta l'ideale dell'uomo; proclamano che il peccatore è indegno di accostarsi al Dio santo; proclamano la necessità dell'espiazione mediante il sacrificio; una proclamano del pari che il sangue delle vittime animali non basta ad espiare i peccati ed a purgare la coscienza. Il luogo santissimo simbolo della presenza di Dio non è aperto che al sommo sacerdote in via eccezionale; il servizio dei sacerdoti si ferma al luogo santo e quanto al popolo non può presentarsi che alla porta esterna del recinto. La via del santuario non è ancora stata manifestata; c'è, ma non è visibile ancora, non è aperta al popolo, non gli è fornito dall'economia legale il mezzo di entrare e di dimorare in comunione intima e filiale con Dio. Deve star lontano poichè tra esso e il luogo santissimo vi è il cortile e quindi il luogo santo, il primo tabernacolo, ch'è ad un tempo vestibolo e barriera al luogo santissimo, poichè la cortina che li separa non si apre quasi mai. Finchè sussiste, finchè ha il suo posto nelle divine disposizioni questo vestibolo ove si compiono gli atti del culto quotidiano, non è giunto il tempo della più alta e permanente forma di religione che consiste nella comunione libera, costante e perfetta con Dio. L'espressione «il primo tabernacolo» è applicata da alcuni esegeti non al primo compartimento del santuario come a Ebrei 9:6, ma all'intiero tabernacolo israelitico che sarebbe chiamato primo per contrapporlo al vero e definitivo ch'è il celeste. Il contesto, particolarmente in Ebrei 9:6,11, è in favore della interpretazione data più sopra.

9 Nel luogo santo che conduceva bensì vicino al trono di Dio, ma non ne apriva l'accesso, l'autore vede dunque delineato il carattere preparatorio ed incompleto di tutta l'economia legale di cui esso era come l'immagine.

Esso era, per i tempi che stavano per venire, una similitudine in conformità colla quale si offrono doni e sacrificii che non possono render compiuto, quanto alla coscienza, colui che rende il culto, poichè [sono basati] solamente sopra vivande e bevande e svariate abluzioni, [che sono] degli ordinamenti carnali imposti fino ad un tempo di riforma.

Il v. 9 non è tra i più facili ad intendersi. Il testo offre alcune varianti fra cui notiamo il καθ' ην accettato dai critici (secondo la quale similitudine) invece del καθ' ον del testo recepto (secondo il quale tempo... Diod. «nel quale»). Abbiamo tradotto «i tempi che stavano per venire», ossia i tempi d'allora, applicandolo all'epoca ch'era «imminente» per Mosè ed i suoi coetanei, cioè all'epoca dell'amica economia. Altri traducono «in vista del tempo presente» e l'intendono dell'epoca messianica oramai venuta e di cui le ombre antiche dovevano preparare l'avvento. Stando al primo modo di vedere, l'idea generale è questa: il luogo santo. ch'era l'anticamera del santissimo ma non ne apriva libero l'adito, era destinato ad essere per le epoche vegnenti, una figura o rappresentazione in miniatura di tutta l'economia antica, la quale coi suoi riti e sacrificii non era capace d'introdurre l'adoratore in una vera e filiale comunione con Dio. Gli dava una certa preparazione esterna, rituale, ma non liberava la coscienza dal senso della colpa, nè poteva aprire il cuore all'amore. C'era così rispondenza tra quel santuario che restava quasi impenetrabile e la imperfetta efficacia di un sistema che non purificava la coscienza dell'adoratore.

10 I riti legali erano ordinamenti carnali (lett. di carne), cioè relativi a cose materiali esterne, aventi che fare col corpo. Il culto levitico infatti, avea per centro le offerte ed i sacrificii. Gli animali dovevano esser scelti secondo date norme, offerti e consumati nei modi prescritti. Le offerte consistevano in primizie di frutti, pani, farina, olio, vino etc. e prima di presentare sacrificii ed offerte i sacerdoti e gl'Israeliti dovevano sottoporsi ad abluzioni prescritte ugualmente in molti casi di contaminazione rituale. Tutto questo potea servire a tener vivo il senso del peccato, il desiderio di comunione con Dio; ma non poteva render compiuto l'adoratore quanto alla coscienza (lett. secondo coscienza). Assicuravano all'Israelita i privilegii dipendenti da condizioni cerimoniali; ma dal lato morale e spirituale non lo mettevano nella condizione in cui dovea trovarsi per potersi accostare a Dio, qual figlio riconciliato.

«La coscienza, nota A. B. Davidson, è la conoscenza che abbiamo in noi stessi del carattere morale delle nostre azioni e dei nostri pensieri: conoscenza ch'è determinata o almeno resa più chiara dalla legge di Dio. Chi è conscio di peccati o di «opere morte» ha la sua coscienza «contaminata» Ebrei 9:14 od ha una «cattiva coscienza» Ebrei 10:22 od ha «coscienza di peccati» Ebrei 10:2. Chi è conscio della sua probità ha, una «buona coscienza» Ebrei 13:18. Il togliere questo senso cosciente di peccato mediante un'adeguata espiazione è un «purificare la coscienza», un «render compiuto secondo coscienza» Ebrei 9:14,9. I sacrificii dell'A.T. non potevano compier questo. Lo effettua il sangue di Cristo.» La venuta e l'opera di Lui pone fine all'epoca dei riti esterni e simbolici ed introduce l'era delle realtà chiamata qui un'epoca di riforma o di correzione.

11 Ebrei 9:11-14. L'entrata nel Santuario assicurata agli adoratori dal sacrificio che purifica la coscienza.

Quel che il sacerdozio levitico non poteva procurare al popolo, glielo acquista ed assicura Cristo col suo sacrificio.

Ma giunto Cristo qual sommo sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso del tabernacolo maggiore e più perfetto non fatto con mani, cioè non di questa creazione, e col mezzo, non di sangue di becchi e di tori, ma col mezzo del suo proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel Santuario, avendo ottenuto una redenzione eterna.

Dopo il lungo succedersi di sacerdoti imperfetti, che offrono in un santuario figurativo dei sacrificii senza reale efficacia, ecco apparire finalmente sulla scena della storia ( παραγενομενος) il vero sommo sacerdote. Dal campo delle ombre si entra in quello della realtà. Il grande contrasto è espresso dal ma Cristo... Egli e detto sommo sacerdote dei futuri beni, perchè per lo suo ministerio sono assicurati ai credenti quei beni che nell'antico patto erano solamente figurati Ebrei 10:1, ch'erano oggetto delle promesse divine relative al nuovo Patto: e s'intendono con ciò il completo perdono dei peccati, l'adozione del peccatore a figlio di Dio, il rinnovamento del cuore, la intima comunione con Dio, l'entrata nel riposo finale. Cotesti beni erano futuri per l'Israele antico e lo sono in parte anche per noi. È notevole la variante dei codd. B. D. e dell'Itala i quali leggono invece di futuri beni, gli avvenuti beni ( γενομενων) che sarebbe a dire: procurati oramai, divenuti realtà per l'opera di Cristo. Quantunque tale lezione sia accettata da eminenti critici e adottata dal Nestle nella sua 2a Ed., riteniamo quella ordinaria come più conforme al modo di esprimersi dell'autore dell'Ep. Come il sommo sacerdote levitico, nel giorno delle Espiazioni, attraversava il luogo santo per entrare nel luogo santissimo, così il gran Sacerdote definitivo, dopo aver, sulla terra, versato il proprio sangue, ha attraversato, per comparire alla presenza immediata di Dio, un tabernacolo maggiore e più perfetto di quello meschino fatto d'assi e di tappeti. In Ebrei 4:14 ha detto già di Gesù che «ha attraversato i cieli» (cfr. Ebrei 7:26), ed i cieli sono infatti il tabernacolo grandioso degno di servire di vestibolo al Santuario della Maestà di Dio. Non sono fatti con mano come lo fu il tabernacolo del deserto, anzi non appartengono neppure a questa creazione terrestre, come il santuario mondano. Alcuni antichi interpreti fuorviati dal passo Ebrei 10:20 ove lo scrittore paragona la carne di Gesù alla cortina che separava il luogo santo dal santissimo, hanno veduto nel tabernacolo di cui è qui parola il corpo di Cristo o la vita sua nel corpo. Ma perchè sarebbe allora chiamato «maggiore» del luogo santo e con qual verità sarebbe escluso dalla creazione terrestre poichè era fatto di «carne e sangue» come il nostro Ebrei 2:14?

12 Il sommo sacerdote antico non poteva penetrar nel luogo santissimo senza il sangue delle vittime espiatorie che doveano esser tori e becchi. Anche il Cristo entra nel santuario celeste con del sangue, ma non di vittime animali, bensì con il proprio sangue infinitamente prezioso, offerto non per l'espiazione dei propri peccati, ma, per quelli del popolo. Va da se che l'autore non intende presentare il Cristo risorto come entrando in un santuario celeste materiale, con nelle mani il suo sangue materiale da spruzzare su di un materiale propiziatorio. Il suo sangue Gesù l'ha versato sull'altare della croce; ma dinanzi a Dio egli comparisce come uno ch'è stato ucciso Apocalisse 5:6,9,12, che si è offerto in volontario sacrificio per i peccatori e che fa valere a beneficio loro l'efficacia del suo sacrificio. Ed è tale il valore dell'espiazione offerta che Cristo non ha da ripeterla ogni anno, come il sacerdote levitico. Egli è entrato nel santuario e s'intende alla gloriosa presenza di Dio, una volta per sempre avendo conseguita un'eterna redenzione. La ripetizione dei sacrificai figurativi era un attestato, del continuo rinnovato, della loro inefficacia. Essi valevano a mettere ritualmente in regola sacerdote e popolo per un anno. Ottenevano una redenzione esterna e temporanea da certe trasgressioni, nulla più. Colossesi sacrificio di sè Cristo ha ottenuta una redenzione completa ed eterna. Redenzione ( λυτρωσις, negli scritti di Paolo απολυτρωσις come a Ebrei 9:15; Ebrei 11:35) vale liberazione per mezzo di un prezzo di riscatto ( λυτρον). Si tratta qui della liberazione dalle conseguenze del peccato mediante l'espiazione offerta a Dio a soddisfazione della sua giustizia. Il prezzo di riscatto è il sangue ossia la vita preziosa di Cristo. (Cfr. Matteo 20:28; 1Timoteo 2:5; Tito 2:14 Efesini 1:7; Colossesi 1:14; 1Pietro 1:19). Alla liberazione dallo stato di condannazione che tiene il colpevole lontano da Dio, va unito necessariamente l'affrancamento dall'impero del peccato; ma questo lato della redenzione non è qui accennato. Il testo porta lett. «avendo trovata una redenzione...» La si era, per così dire, lungamente cercata invano con sacrificai inadeguati, incapaci di soddisfare la coscienza. Cristo l'ha «trovata» cioè conseguita, ottenuta come risultato dell'opera sua; perciò è entrato una volta per sempre nel santuario celeste. Questa sua unica entrata che, storicamente, è avvenuta colla risurrezione e coll'ascensione del Cristo, è prova della perfetta ed eterna sufficienza del suo sacrificio.

13 I v. 13,14 sono intesi a mostrare perchè il sacrificio di Cristo ha potuto ottenere una redenzione eterna.

Se, infatti, il sangue dì becchi e di tori e la cenere di una giovenca, cosparsa sui contaminati, santifica per quanto riguarda la purità della carne, quanto più il sangue del Cristo, il quale, con uno spirito eterno, offerse se stesso immacolato a Dio, purificherà esso la vostra coscienza dalle opere morte perchè rendiate il vostro culto al Dio vivente?

Un becco ed un toro erano le vittime prescritte per la festa di Kippurim. La cenere della giovenca... è allusione alla cerimonia prescritta in Numeri 19. Colle ceneri di una giovenca rossa, si otteneva l'acqua lustrale da aspergere le persone ritualmente contaminate per aver toccato un cadavere o delle ossa. Il testo dice lett. «cospergente i contaminati», il verbo ραντιζω essendo attivo e seguito di solito da un accusativo Ebrei 9:19,21; 10:22. I mezzi rituali mentovati e tutti gli altri di simil genere santificano per quanto riguarda la purità della carne, rendono, cioè, ritualmente, esternamente puri gli adoratori, talchè possono legalmente, in grazia della tolleranza e pazienza divine Romani 3:25, rendere il culto a Dio nella forme prescritte. Questa purificazione tecnica è della carne perchè le contaminazioni ch'essa toglie derivano per lo più da atti corporali e sono rimosse da una cerimonia esterna, da un rito legale cui la coscienza ed il cuore possono rimaner del tutto estranei. Se dai riti risulta un qualche beneficio spirituale, esso è per quegli adoratori che, attraverso il rito esterno, già intuiscono la realtà superiore significata. Ma il rito in sè stesso è esterno ed esterna è la sua efficacia.

14 Non così quella del sacrificio di Cristo e ciò in virtù della sua infinita superiorità. Questa è posta in luce sotto tre aspetti.

a) Mentre le vittime levitiche erano degli animali dotati solo di vita psichica che se n'andava col sangue, qui si tratta del Cristo, di uno cioè che possiede uno spirito, una personalità cosciente ed una vita superiore. Nè si tratta solo di una personalità umana, poichè lo spirito è qualificato eterno, il che indica chiaramente la sua natura divina. La locuzione δια πνευματος αιωνιου (lett. per mezzo di uno spirito...) non può intendersi dello Spirito Santo dimorante in Cristo, come pare aver fatto il Diodati e come fanno alcuni moderni; e ciò «sia perchè manca l'articolo, sia perchè l'idea non ha relazione diretta col punto che l'autore sta rilevando. Invece, trattandosi di mostrare la superiorità della vittima del Nuovo Patto su quelle dei sacrificii antichi, si comprende facilmente che lo scrittore rilevi il contrasto tra un semplice animale e la persona di Cristo dotata non solo dell'io morale caratteristico di ogni uomo, ma di un io superiore avente la sua sede nella natura divina, nello spirito eterno del Figlio di Dio. Questo è che dà valore infinito al sacrificio di Cristo, il Verbo eterno fatto carne. «Essendo in forma di Dio, non reputò rapina l'essere eguale a Dio, eppure spogliò se stesso, col prender forma di servo...» Filippesi 2:6. Con ragione nota il Bruce che «il solo sacrificio reale è quello che rivela lo spirito ed è offerto per mezzo dello spirito», che il sacrificio di Cristo è «cosa della mente e dello spirito», che procede da «uno spirito libero, pieno d'amore e santo». Ma il carattere morale del sacrificio di Cristo, non esaurisce il concetto qui espresso dall'autore. Lo spirito che sta al centro della persona di Cristo e da cui parte il dono di se è uno spirito eterno, e questo non è attributo umano, bensì del Figlio, «mediante il quale [Dio] già fece i secoli», dinanzi al quale si prostrano gli angeli di Dio, che fondò «da principio la terra» e sussisterà quando saranno periti i cieli (cf.1). La dignità divina del Cristo costituisce il primo punto di superiorità sulle vittime animali.

b) Un secondo aspetto della superiorità del sacrificio di Cristo sta, nel suo carattere volontario, spontaneo: egli offerse sè stesso. La vittima animale non aveva ne previa conoscenza della sua sorte, nè capacità di apprezzar la ragione della propria morte, nè libertà, né sentimento morale. Era condotta incosciente al sacrificio ed uccisa a forza. In Cristo, invece, abbiamo una personalità cosciente e libera che, nella piena intelligenza dello scopo cui mira, sospinta dall'amore santo che l'anima, si offre liberamente, volontariamente alla morte. Cfr. Ebrei 10:5,10: «Ecco io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà»; Giovanni 10:17-18: «Metto la vita mia.. niuno me la toglie, io da me stesso la depongo...».

c) La vittima animale doveva essere senza difetto corporale; qui la vittima è moralmente immacolata, Cristo essendo l'uomo ideale, perfetto innanzi a Dio Ebrei 7:26. «Siete stati riscattati... col prezioso sangue di Cristo come d'agnello senza difetto nè macchia» 1Pietro 1:19.

Ad un tanto cumulo di eccellenze del sacrificio di Cristo corrisponde l'efficacia sua completa ed eterna. Esso non purifica soltanto esternamente, convenzionalmente, ma purifica la coscienza dalle opere morte; libera cioè la coscienza dal senso di colpa in cui si trova per via delle opere peccaminose commesse. Le opere morte sono infatti quelle che sono prive del principio vitale della santità, dell'amor di Dio. Sono la manifestazione dello stato morale di chi è «morto nei falli e nei peccati», estraneo alla vita spirituale, divina. Frutto di cuore corrotto, esse contaminano l'uomo, dimostrando quanto colpevole sia, quanto indegno di appressarsi a Dio. Il sacrificio di Cristo persuade il cuore bramoso di grazia che Dio non vuol la morte del peccatore ma la sua salvezza, acqueta del pari la coscienza mostrandole che il perdono di Dio non avviene a scapito della di lui santità. La coscienza che accetta la remissione dei peccati basata sul sangue di Cristo e da esso garantita, gusta veramente l'allegrezza e la pace della riconciliazione con Dio, ed è messa in grado di appressarsi a Dio con sentimenti di confidanza, di filiale abbandono, di amore riconoscente. L'adoratore è per tal modo «reso compiuto» ed il culto in ispirito e verità diventa una realtà. Non è più un compier certi riti esterni in un santuario simbolo della presenza di Dio; ma è un contatto ineffabile e reale tra l'Iddio vivente stesso e lo spirito dell'uomo riconciliato col suo Padre celeste. Come nota il Bruce, la verità qui implicita che cioè la causa vera della nostra inettitudine ad appressarci a Dio sta non nella contaminazione corporale bensì in una cattiva coscienza, è di capitale importanza. I MSC si dividono tra le due lezioni vostra coscienza ( ὑμων) e nostra coscienza ( ἡμων) ritenuta meno probabile dai migliori critici. Per evitare un equivoco abbiam tradotto il verbo rendere il culto anzichè «servire», poichè si applica non al servire a Dio coll'ubbidienza delle opere, bensì all'appressarsi a lui con buona coscienza per rendergli il culto cui ha diritto da parte di creature formate alla sua immagine.

Ammaestramenti

1. Tutto nel santuario israelitico e più ancora nel tempio salomonico era bene ordinato ed anche grandioso. Magnifico era il santuario, preziosi erano gli arredi, sontuose le sacre funzioni; eppur tutto ciò serviva a ben poco, non avendo la virtù di avvicinar realmente l'uomo a Dio. Grandi ed artistiche possono esser le cattedrali, splendide le pompe del culto, preziosi i paramenti e bella la musica; ma non è questo che stabilisce il contatto vivificatore dello spirito con Dio. Il culto in ispirito ed in verità è più reale nella camera alta dove i credenti pregano con ardore e con perseveranza, che non nel sontuoso tempio ove i sacerdoti compiono i loro riti adombrativi.

2. La realtà essenziale della religione è l'unione dell'uomo con Dio, il contatto dello spirito finito e creato collo Spirito infinito e creatore ch'è luce e carità. Il carattere più o meno perfetto di una religione si misura dall'unione più o meno intima ch'ella stabilisce tra l'uomo e Dio. Nelle varie forme di paganesimo, invece di una unione spirituale con Dio, si verifica un abbassamento della nozione della divinità al livello delle imperfezioni e dei vizi umani. Nella religione israelitica è mantenuto intatto il concetto dell'unità di Dio, della sua santità, dell'alta destinazione dell'uomo, del suo carattere di creatura morale, e della colpa e sozzura prodotta dal peccato; ma, l'unione filiale dell'uomo con Dio non si raggiunge. L'«abba Padre» non esce ancora dal cuore dell'adoratore piamente timoroso. C'è l'aspirazione, c'è la promessa, c'è la riconciliazione rituale che ne fa presagire una più vera; ma la realtà dell'unione non è raggiunta perchè dipende da una condizione morale che manca. La coscienza non è «purificata dalle opere morte» mediante un sacrificio adeguato. I sacrificii animali, tutti lo sentono, sono insufficienti a dar pace alla coscienza. La fiducia nella misericordia di Dio palpita nei Salmi, ma le manca, per dare all'anima la certezza della riconciliazione eterna, il grande sacrificio del Golgota in cui l'amore e la giustizia s'incontrano e s'abbracciano. Il cristianesimo è perciò la religione definitiva, poichè per mezzo di Cristo abbiamo l'accesso libero e filiale alla presenza del Dio ch'è in pari tempo giusto e giustificante; e per la virtù dello Spirito la legge perfetta di Dio è scritta nella mente e sul cuore.

3. In Ebrei 3 l'autore esortava a ben considerare Gesù, l'apostolo ed il sommo sacerdote della, nostra professione. Infatti più l'anima lo considera e meglio sperimenta che «la sua carne è veramente cibo ed il suo sangue è veramente bevanda» che ristora e fa vivere. A misura che intendiamo l'eccellenza del sacerdozio di Cristo, e ci rendiamo conto della perfezione del suo sacrifizio, la fede se ne ciba traendone certezza di perdono e libertà filiale di comunione con Dio. Il nostro Signor Gesù è apparito per esser sacerdote «dei futuri beni», dei beni della salvazione eterna e ce li ha assicurati. Egli è entrato, attraverso il vestibolo dei cieli, nel santuario vero, alla presenza di Dio stesso ove tuttora ministra per noi facendo valere l'efficacia del sacrificio offerto sul Calvario. A che cercare altri mediatori quando Cristo, il nostro fratello che soffrì e morì per noi, vive ed intercede per i suoi? Egli è entrato col suo proprio sangue, sangue di personalità cosciente in possesso di uno spirito eterno, sangue di vittima che si offerse volontariamente, spinta da infinito amore, sangue di vittima santa, senza macchia, sangue espiatorio offerto a Dio per soddisfare la sua giustizia ed aprire il passo alla misericordia. Egli è entrato una volta sola nel santuario, perchè ha con l'unico suo sacrificio ottenuta redenzione eterna, purificato la coscienza del peccato, aperto la via al trono di Dio per ogni credente. Possano queste realtà eterne diventar sempre più reali per l'anima mia e per la tua, o lettore.

4. «Il suo proprio sangue»! Io non conosco nella Bibbia né in tutto il linguaggio umano, una parola che contenga tanti misteri. In essa si concentrano i misteri dell'incarnazione per cui l'Iddio nostro assunse carne e sangue; dell'ubbidienza fino a quella morte in cui fai versato il sangue; dell'amore incomprensibile che ci comprò col sangue; della vittoria su ogni nemico e dell'eterna redenzione; della risurrezione e dell'entrata nel cielo; dell'espiazione e della riconciliazione e giustificazione avvenuta per esso; della purificazione della coscienza, dello spruzzamento del cuore e della santificazione del popolo: Per quel sangue Cristo entrò nel cielo una volta per sempre; per quel sangue entriamo noi pure e stabiliam la nostra dimora nel luogo santissimo.

A misura che lo Spirito ci comunica la piena libertà procurataci dal sangue e l'amore a cui esso apre la via, il nostro essere interno farà la piena esperienza della virtù purificatrice del sangue di Cristo... Oh cerca di conoscere appieno la virtù del sangue di Cristo! (Da And. Murray).

5. È radicata in molti l'idea che, cogli atti del culto considerati come pratiche meritorie, ci rendiamo Dio propizio. Da ciò la ripetizione dei Pater, i pellegrinaggi a certi luoghi reputati santi, lo zelo ritualistico. L'Epistola c'insegna e l'esperienza conferma che il vero culto in ispirito e verità, non può esser reso se non da chi è riconciliato con Dio, da chi ha coscienza del proprio perdono e si appressa a Dio per mezzo di Cristo. Ma dobbiamo pur ricordare che se siamo purificati, lo siamo per render al Dio vivente il nostro culto. «il cristiano dev'essere in tutta la sua vita un sacerdote dell'Iddio vivo; offerir sè stesso in sacrifizio, e far di ogni atto della sua vita un culto in ispirito e verità» (L. Bonnet).

15 Sezione C. Ebrei 9:15-24. CRISTO COLLA PROPRIA MORTE ESPIATORIA INAUGURA IL NUOVO PATTO E LO RENDE VALIDO, ASSICURANDO AL POPOLO DEI CREDENTI L'ETERNA EREDITA.

L'autore ha detto di già che il ministerio sacerdotale di Cristo è connesso col Patto nuovo e migliore Ebrei 8. ma siccome non ignora quanto l'idea di un Messia crocifisso urti i pregiudizii dei Giudei, e di quali sarcasmi essi perseguitino i cristiani, così, a confermare la fede di questi ultimi, egli cerca di mostrar loro in tutti i modi come la morte del Cristo lungi dall'essere di ostacolo al compimento dei disegni di Dio, sia invece quella che assicura l'adempimento delle promesse divine al popolo dei credenti. Essa era necessaria per inaugurare e render valido il Patto della grazia.

E per ciò,

perchè il sacrificio di Cristo è di un valore infinito e di una efficacia vera, tale da purificare la coscienza,

egli è mediatore di un patto nuovo,

egli introduce ed inaugura un patto diverso dall'antico, il patto annunziato dai profeti ed in grazia del quale i beni supremi che erano oggetto delle antiche promesse potranno finalmente esser posseduti dal popolo di Dio. il nuovo patto è il patto delle realtà eterne; quindi ne poteva esser Mediatore soltanto Colui che ha procurata una redenzione vera ed eterna:

affinchè essendo avvenuta una morte per il riscatto dalle trasgressioni commesse sotto al primo patto, i chiamati ricevano la eterna eredità promessa.

L'antico patto prometteva al popolo la vita, il favor di Dio nella terra promessa, sotto la condizione dell'ubbidienza completa alla legge. Ma le trasgressioni erano state infinite e continue, per cui al possesso delle benedizioni di cui Canaan era il simbolo e l'arra, il popolo non era potuto giungere per la via della perfetta ubbidienza. Colla morte di Cristo, l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, il cumulo delle passate trasgressioni del popolo, preso collettivamente, è stato cancellato da una espiazione adeguata; l'era della grazia è sottentrata a quella della legge ed è stata resa possibile per i chiamati l'entrata in possesso dell'eterna eredità. Parlando del simbolo del calice Gesù avea detto: «Questo è il nuovo patto nel mio sangue» significando con ciò che il patto della grazia avea per fondamento la espiazione del peccato compiuta col sacrificio della propria vita. Dicendo «una morte»intende una morte che fosse espiazione adeguata, la morte del Mediatore stesso del nuovo patto. Riscatto delle trasgressioni è espressione ellittica che vale: liberazione dalle conseguenze penali incorse colle trasgressioni; poichè la redenzione non ha da compiersi a scapito della giustizia e della santità della legge. Il greco dice propriamente: «ricevano la promessa della eterna eredità»; ma questo «ricever la promessa» viene a dire riceverne il contenuto, cioè entrar in possesso delle cose promesse. Cfr. espressioni analoghe Ebrei 6:12,15,17; 10:36; 11:9,13,33,39. Canaan è chiamato l'eredità del popolo di Dio; ma in realtà non era che un simbolo ed un pegno terreno di un bene più perfetto e duraturo. L'eredità eterna sta nei nuovi cieli e nella nuova terra ove abita la giustizia, ove regna Iddio, ove il popolo dei «chiamati» così Giudei come Gentili Atti 2:39. che hanno accettato l'invito divino, entra nel «riposo di Dio». Beati i mansueti; ha esclamato Gesù, perciocchè «erederanno la terra». Nella storia di codesta «promessa» abbiamo un esempio dello svolgersi graduale della rivelazione nel corso dei secoli: Fatta dapprima in termini generali ad Abramo, essa vien meglio definita nel patto mosaico; i profeti ne intuiscono ed espongono in figure il senso più vasto e profondo, finche il Vangelo mette finalmente in piena luce «la vita e l'immortalità».

In Cristo le promesse di Dio hanno il loro finale adempimento. Il suo sacrificio assicura la remissione completa dei peccati. Egli stesso è entrato già come precursore dei credenti nel santuario celeste e vi condurrà tutti i suoi, anzi in breve ve li condurrà perchè, per l'autore, non è lontano il giorno della seconda venuta del Signore Ebrei 10:37.

16 Ma senza la morte di Cristo, il Nuovo Patto sarebbe rimasto allo stato di promessa. E qui l'autore, valendosi del fatto che un'unica parola serve in greco per significare un patto ed un testamento, stabilisce un'analogia tra il Nuovo Patto e le disposizioni testamentarie umane per dedurne la necessità della morte di Cristo.

Perocchè, dove c'è un testamento, è necessario che venga costatata la morte del testatore; infatti è in caso di morte, che un testamento è valido; poichè esso non ha mai forza, mentre vive il testatore.

Διαθηκη (diathéke) vale propriamente disposizione e può quindi applicarsi così alle disposizioni stabilite d'accordo fra due parti contraenti, come alle disposizioni stabilite da Dio a favore del suo popolo. Queste ultime portano il nome di patto (in Ebrei berît) perchè, alle sue promesse, Dio annette delle condizioni alle quali il popolo promette a sua volta di uniformarsi. Sotto questo aspetto esiste stretta analogia tra un patto in cui Dio garantisce certi beni, a certe persone, sotto date condizioni, ed una disposizione testamentaria in cui un uomo dispone di beni terreni, a favore di persone designate, per un dato tempo e per lo più sotto date condizioni. Arrogi che nei due casi cotesti beni promessi sono chiamati una «eredità». Certo che l'analogia non è completa su tutti i punti: Cristo non si spoglia dell'eredità che assicura colla sua morte, e nel caso del testatore umano la morte non ha carattere espiatorio. Ma nei due casi, a render esecutoria la disposizione, è necessario che intervenga la morte: morte espiatoria nel caso del Mediatore del nuovo Patto; e nel caso del testatore umano, morte ordinaria che gli toglie però definitivamente la facoltà di disporre liberamente dei propri beni, e rende con ciò immutabili e valide, le sue disposizioni testamentarie.

18 La necessità della morte di una vittima espiatoria adeguata per inaugurare il patto definitivo, l'autore la vede prefigurata di già nel modo in cui, per disposizione divina, avvenne l'inaugurazione dell'antico Patto.

Per cui neppure il primo [patto],

il sinaitico, sebbene fosse transitorio,

è stato inaugurato senza sangue.

Il sangue delle vittime animali spruzzato sul libro della legge e sul popolo doveva essere anzitutto il mezzo di purificazione del popolo impuro che entrava in relazione di alleanza coll'Eterno. Doveva essere altresì come il sacro suggello apposto al patto affine di renderlo inviolabile. E qui l'autore ricorda diversi fatti connessi collo stabilimento del patto sinaitico e narrati in varii luoghi del Pentateuco come Esodo 24:3-8; Levitico 8:14-30; Numeri 8:5 e segg.

19 Infatti, quando tutti i comandamenti secondo la legge furono da Mosè detti a tutto il popolo, egli, preso il sangue dei giovenchi e dei becchi con acqua e lana scarlatto ed issopo, ne spruzzò il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: «Questo è il sangue del patto che Iddio ha ordinato per voi»

I comandamenti di cui è parola, nell'Esodo, sono quelli contenuti nel così detto Libro del Patto che fu la base di tutta la legislazione mosaica Esodo 20-23. In Esodo 24 non si fa menzione di sangue di becchi, e neppure di acqua, di lana e d'issopo. Queste aggiunte sono tradizionali; ma hanno tutti i caratteri della verosimiglianza derivante dall'analogia. Il sangue dei becchi si usava nei sacrifizi espiatorii della festa di Kippurim, l'acqua mescolata al sangue onde impedirne la coagulazione e accrescerne la quantità era prescritta per la purificazione di persone Numeri 19:6,17 o di cose impure Levitico 14:50. Fiocchi di lana frammisti ai ramoscelli dell'issopo si adoperavano di solito per le aspersioni o gli spruzzamenti (Cf. Salmi 51:9).

20 Le parole: «Questo è il sangue del patto...» in bocca a Mosè, significavano: questo è il sangue che serve di suggello al patto le cui condizioni Dio vi ha prescritte nei comandamenti contenuti in questo libro. Quelle già ricordate di Gesù nell'istituire la S. Cena, per quanto analoghe, hanno però significato più profondo.

21 Ed anche il tabernacolo e tutta gli arredi del culto spruzzò similmente col sangue.

Il testo non dice «con quel sangue» come la versione Diodati; e nel fatto la consecrazione del tabernacolo e dei suoi arredi avvenne dopo l'inaugurazione del patto. Si confr. Esodo 40:9-16; Levitico 8:14-15,30; 9:7-9; Numeri 8:6-12. Lo spruzzamento del tabernacolo con sangue non e mentovato in Esodo 40; ma siccome annualmente si faceva la purificazione con sangue dell'altare e del tabernacolo Levitico 16, tutto induce a credere che non altrimenti sia avvenuto alla sua dedicazione. Simili amplificazioni tradizionali della narrazione biblica s'incontrano in Flavio Giuseppe e la nostra epistola ne offre altri esempi. D'altronde, come nota il Delitzsch, il sangue adoperato per «espiare» o «purificare» o «santificare» è il mezzo negativo di santificazione in quanto rimuove o cuopre le contaminazioni; mentre l'olio è il mezzo positivo in quanto simboleggia la grazia impartita. Che il tabernacolo ed i suoi arredi avessero bisogno di purificazione, si spiega col fatto della loro fattura per mano d'uomini e col fatto dell'uso cui servivano. Mentre il tabernacolo era l'abitazione dell'Eterno in mezzo ad Israele, esso era del pari il luogo di convegno del popolo degli adoratori. Da ciò la sua contaminazione. Tutto nel culto israelitico doveva servire ad inculcar il sentimento della santità di Dio, quello dell'indegnità dell'uomo peccatore, ed il bisogno di purificazione.

22 E quasi ogni cosa e, secondo la legge, purificata con sangue e senza spargimento di sangue non vi è remissione.

Colossesi sangue era stato inaugurato il patto, col sangue erano stati dipoi purificati il luogo, gli arredi e le persone consacrate al culto dell'Eterno, e quando si consideri attentamente il rituale mosaico, si vedrà quale larga parte vi occupi il sangue delle vittime animali come mezzo di purificazione o di espiazione, onde render possibile il perdono delle trasgressioni. Dice quasi ogni cosa perchè, alla regola ch'è la purificazione col sangue, vi erano talune eccezioni ove l'acqua ed il fuoco erano i mezzi prescritti. Cf. Esodo 19:10; Levitico 15:5 e ss.; Levitico 16:26; 22:6; Numeri 31:22-24. Remissione di colpa non si ottiene però in alcun caso senza lo spargimento del sangue di una vittima Levitico 17:11. Il principio era così espresso dai rabbini «Non c'è espiazione fuorchè col sangue». Per tal modo la legge dell'economia preparatoria inculcava incessantemente la necessità di un sacrificio espiatorio adeguato onde render possibile il perdono assoluto dei peccati. La profezia poi mostrava nel servo di Geova Isaia 53 la vittima volontaria che toglierebbe su di sè il peccato del mondo. I Giudei per i quali la croce del Cristo era uno scandalo non avevano dunque intesa nè la voce della legge nè quella della profezia.

23 [Era] dunque necessario che le cose rappresentanti quelle che son nei cieli, fossero purificate con questi mezzi, ma che le cose celesti stesse lo fossero con dei sacrificii più eccellenti di questi.

Era necessario poichè Dio ordinò di farlo; era necessario «poichè il sangue è il mezzo di purificazione per tutto ciò ch'è connesso col servizio che l'uomo rende a Dio» (Westcott). Era necessario perchè l'economia preparatoria dovea educare la coscienza del popolo al senso del peccato e della necessità per l'uomo d'esserne purificato onde aver comunione con Dio. Le cose rappresentanti ecc., sono il santuario terreno ed i suoi arredi che sono la figura, la imperfetta riproduzione delle realtà celesti. I mezzi di purificazione del santuario terreno sono quelli dianzi accennati, il sangue, l'acqua mescolata al sangue, spruzzati sulle cose impure. Le cose celesti indicano il santuario superno ove Cristo è entrato quale sommo sacerdote nel suo popolo. I sacrificii più eccellenti sono un plurale indicante il genere; ma coll'espressione generica, l'autore vuol caratterizzare il sacrificio di Cristo, l'unico veramente efficace a purificar la coscienza dalla contaminazione del peccato. Ma come si ha da intendere questa necessità di purificazione del santuario celeste? Gli antichi interpreti hanno veduto nel santuario la chiesa o le cose spirituali o perfino la filosofia cristiana. Altri l'hanno inteso degli uomini che devono entrar in cielo. «Mundantur coelestia, quatenus homines mundantur a peccatis» (Tommaso d'Aquino). Altri ancora attenuando il senso del «purificare» vi vedono semplicemente l'idea dell'inaugurare il celeste santuario coll'aprirne l'adito al popolo, col dissipar mediante l'espiazione, la nube dell'ira di Dio contro al peccatore. Sembra però più vicino al vero il Guers (Cf. Meyer-Weiss) quando nota che, per sè stesso, il santuario celeste non è più impuro del terrestre: ma siccome è destinato ad essere il luogo ideale ove il popolo di Dio, sotto al nuovo Patto, si presenta in ispirito ed in fede per rendere il suo culto a Dio, così resterebbe in certo modo contaminato dalla lor presenza se il sangue del Patto non lo purificasse. «Così il sangue di Cristo non purifica solo la nostra coscienza dalle opere morte per rendere il nostro culto al Dio vivente, ma purifica ancora il cielo ove serviamo Dio in ispirito. Lo stesso sangue lava ad un tempo il santuario e gli adoratori, soddisfa a tutte le esigenze degli attributi divini e della coscienza umana». È degno di nota che nelle visioni simboliche dell'Apocalisse, Giovanni vede nel cielo l'altar d'oro dei profumi, ed il profumo simboleggia le preghiere dei cristiani, come i pani di presenza simboleggiano la riconoscenza del popolo ed il candeliere la testimonianza resa alla verità colla confessione del nome di Dio per parte di coloro che devono esser la luce del mondo. Talchè nella purificazione del santuario e dei suoi arredi, si racchiude l'idea che il culto del popolo di Dio nei diversi suoi atti è reso accetto a Dio essendo purificato da ogni sua imperfezione per la virtù del sangue di Cristo. Anzi e in virtù di quel medesimo sangue che tutta quanta la città di Dio diventa un santuario di cui Dio è la luce. Dopo aver offerto sulla croce il suo sacrificio, Cristo, è andato a «prepararci il luogo». Egli prepara così, come alcuno ha detto, noi per il cielo ed il cielo per noi. San Paolo in Romani 8. insegna che tutta la creazione ch'è stata coinvolta nelle conseguenze del fallo, avrà parte ai benefici della re denzione di Cristo. Invece di sentir ripugnanza per la croce di Cristo, quelli che considerano gli infiniti e benefici risultati del sacrificio ivi offerto, devono benedirlo del continuo.

24 Perciocchè Cristo non è entrato in un santuario fatto con mani, figura del vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora alla presenza di Dio per noi.

Era necessario che fosse purificato il santuario celeste con un sangue d'infinita efficacia, poichè il sommo Sacerdote del nuovo Patto, non ministra in un santuario terreno e figurativo, ma nel cielo stesso, alla presenza, immediata di Dio. È là ch'egli è entrato una volta per sempre ed è là ch'egli comparisce in favor nostro, facendo valere per noi l'efficacia del suo sacrificio ed intercedendo per noi. Il santuario terreno è chiamato l'antitipo ( αντιτυπα) del vero. Il termine può significare così la figura imperfetta che ritrae una realtà superiore, come la realtà superiore che risponde ad una imperfetta figura. Nel primo senso abbiamo qui che il tabernacolo era l'antitipo, ossia la figura terrena del vero santuario ch'è il celeste; nel secondo senso leggiamo 1Pietro 3:21 che il battesimo quando implica la domanda rivolta con fede a Dio di quel perdono che solo può dare una «buona coscienza», è l'antitipo delle acque del diluvio, cioè la realtà spirituale rispondente alla figura di quelle acque che salvarono i credenti rifugiatisi nell'arca. Il greco che traduciamo comparire vale propriamente «diventar visibile» e implica il comparire di Cristo a faccia scoperta, liberamente, continuamente alla immediata presenza di Dio; e contrasta col presentarsi timoroso del sommo sacerdote, una volta all'anno, in quell'oscuro Santissimo ov'era il simbolo del trono di Dio. L'ora abbraccia tutto il periodo del nuovo Patto che si estende dall'ascensione al ritorno del Signore.

Ammaestramenti

1. Anche in questa sezione il peccato umano è rappresentato sotto aspetti diversi che ne fanno meglio conoscere la natura. È trasgressione della legge rivelata che stava alla base del patto del Sinai e, per chi non possiede la legge rivelata, è trasgressione della legge scritta nella coscienza. Come tale, incorre colpa e merita punizione, nè può esser rimesso senza che la legge sia stata soddisfatta. È contaminazione che si estende dalla persona del peccatore a tutto quel ch'egli tocca, perfino al santuario ove porta i piedi. E come tale il peccato ha bisogno d'esser tolto per via di purificazione. Quando e sveglia, la coscienza, il trasgressore sente il rimorso della propria colpa e sospira dietro la pace del perdono; sente la propria indegnità, la propria sozzura morale e sospira dietro la purificazione non solo per via del perdono, ma per via del rinnovamento del cuore, del «nascer d'acqua e di Spirito». «Ho peccato contro a te solo... Purgami con issopo... lavami e sarò più bianco che neve. O Dio crea in me un cuor puro...» Salmi 51.

2. Il nuovo Patto è patto di grazia, in cui Dio rivela tutto l'amor suo: Ma è fondato sul sangue della vittima divina che espia il peccato. Quando la grazia avvenisse a scapito della santità e della giustizia, la. coscienza non sarebbe paga e tranquilla. Essa lo è quando riceve il perdono completo dalle mani forate del Mediatore che sofferse la morte, lui giusto per gl'ingiusti. La legge che era dovunque scritta sui riti antichi: «senza spargimento di sangue non c'è remissione» trova nel Nuovo Patto il suo tragico e finale adempimento. Mentre l'antico fu inaugurato con sangue di animali, il nuovo è fondato sul sangue del Cristo, è inaugurato e reso valido dal sangue del Cristo che purifica il santuario e gli adoratori. Cristo proclama che il suo sangue «è sparso per molti in remissione dei peccati»; che «il Figliuol dell'uomo è venuto... per dar l'anima sua qual prezzo di riscatto per molti» Matteo 20:28; 26:28. Il valore espiatorio della morte di Cristo non toglie ch'ella sia del pari l'atto supremo col quale il profeta suggella la verità ch'egli ha proclamata, col quale il campione del Bene serve la causa per cui lottò; L'atto col quale il Cristo ha meglio rivelato al cuore dell'uomo l'amore infinito di Dio. Sono questi degli aspetti secondarii della morte di Cristo; l'espiazione dei peccati n'è la ragione fondamentale e ne costituisce l'essenza. Sia pur la croce scandalo al giudeo e follia per il greco; essa è per il credente potenza di Dio e sapienza di Dio.

3. Se grande è il sacrificio del nuovo Patto esso ci assicura grandi beni: remissione eterna e completa dei peccati; purificazione della coscienza da ogni colpa e rinnovamento del cuore per lo Spirito; possesso dell'eterna eredita. Una eredità terrena, sia pure stillante latte e miele, non basta per soddisfare i bisogni d'una creatura immortale. Essa sospira dietro alla patria migliore, ai beni permanenti e spirituali, anela all'«eredità eterna». E questa è il gran legato di Cristo, assicuratoci dalla di lui morte.

4. «Il cielo non è soltanto un luogo colle sue limitazioni, ma è pure uno stato di vita; e quella condizione di esistenza spirituale in cui Cristo è entrato ed in cui si gode appieno, dell'amore e della comunione con Dio... Non credere che sia difficile per te l'abitar del continuo col cuore nel santuario celeste. Quando il sole t'inonda dei suoi raggi, tu non pensi alla distanza in cui si trova, tu gioisci del suo calore. Esso è vicino a te, tu entri in esso ed esso penetra in te. Così è di Gesù e della vita celeste. Il cielo discende; il regno di Dio viene con potenza e lo Spirito lo stabilisce e mantiene in te. La cortina è squarciata e la luce e la vita del cielo inondano il luogo santo ove noi serviamo a Dio» (A. Murray).

25 Sezione D. Ebrei 9:25-10:18. CRISTO HA OFFERTO UN UNICO SACRIFICIO DI EFFICACIA PERFETTA ED ETERNA.

Col suo sacrificio Cristo ha aperto al popolo la via del santuario ed ha reso possibile il conseguimento delle benedizioni promesse nel nuovo Patto. C'è però ancora una caratteristica del sacrificio di Cristo in cui rifulse singolarmente la sua superiorità, anzi la sua perfezione; esso è stato offerto una volta per sempre; non ha bisogno di essere rinnovato nè annualmente; nè giornalmente, perchè ha pienamente espiato e per sempre il peccato del mondo. «Ripetizione e prova di imperfezione; quel che non ha bisogno d'esser fatto se non una volta è compiuto, è perfetto, è per sempre» (A. Murray). Come ai molti sacerdoti succedentisi attraverso i secoli, lo scrittore sacro ha contrapposto l'unico Sacerdote che vive e dimora in eterno, così, in questa sezione, agli innumerevoli e sempre ripetuti sacrificii legali e figurativi, egli contrappone l'unico sacrificio di Cristo che abolisce il peccato espiandolo, e rende in perpetuo compiuti gli adoratori. Agli Ebrei educati dalla legge levitica, la regolare ricorrenza dei sacrificii quotidiani ed annuali, coll'apparato di solennità di cui erano circondati, potea facilmente apparire come cosa bella, sublime, da anteporsi al culto spirituale dei cristiani reso per lo più in case private e spoglio di esterne attrattive. Se i lettori dell'Epistola si lasciavano andare a rimpiangere le vecchie otri delle cerimonie legali, essi facevano prova di poca intelligenza spirituale, preferivano l'ombra alla realtà. L'autore mostra invece che la ripetizione perpetua di quei sacrificii che mai non raggiungevano il fine, era la prova evidente della loro insufficenza, mentre il carattere unico del sacrificio di Cristo è prova della sua perfezione. È bensì utile e necessario che una figura destinata a inculcare e a ricordare una grande realtà sia spesso ripetuta. Ma la realtà stessa è una sola e scopo dei simboli è di rappresentarne e ricordarne la grandezza imperitura. Ben potevano quindi ripetersi ogni giorno ed ogni anno i sacrificii levitici, ombre del sacrificio futuro del Golgota; ben può e devesi ripetere in seno alla Chiesa la commemorazione di quel sacrificio nella S. Cena; ma il sacrificio stesso, ch'è la realtà delle ombre è l'oggetto della commemorazione, sussiste unico nella sua grandezza e nella sua perfezione.

Ebrei 9:25-28. Cristo è apparso una volta sola per espiare il peccato col suo sacrificio.

Il principio del v.25 continua il periodo principiato col 24; ma introduce un concetto nuovo. Cristo non è entrato in un santuario terreno come quello levitico, bensì nel cielo, per comparire davanti a Dio per noi:

E non vi è entrato affinchè offrisse molte volte sè stesso, in quella guisa che il sommo sacerdote entra nel Santuario ogni anno, con sangue non suo, altrimenti avrebbe dovuto soffrire molte volte dalla fondazione del mondo.

I riti del giorno delle espiazioni Levitico 16 sono per l'autore, come il compendio del rituale dei sacrificii e la figura più completa dell'opera sacerdotale di Cristo. L'entrare del sommo sacerdote, col sangue delle vittime, nel luogo santissimo, figura l'entrata di Cristo nel santuario celeste per farvi valere il proprio sacrificio; e l'uscita del sacerdote per benedire il popolo figura il ritorno glorioso del Signore. Ma mentre il sacerdote levitico doveva rinnovare ogni anno il sacrificio delle vittime e l'entrata sua nel santissimo, Cristo non entra nel cielo per tornare nuovamente sulla terra e risalire in cielo a presentare sempre altro sangue. Data la natura del suo sacrificio che non è di animali ma è sacrificio di sè stesso, della sua propria vita, una tale ripetizione non era da supporsi e infatti non si è verificata nella storia. La profezia annunzia e la storia del mondo registra una sola incarnazione del Figliuol di Dio ed un unico sacrificio espiatorio da lui offerto.

26 Ma ora,

così come stanno realmente le cose,

una sola volta, nel compimento dei secoli, [Cristo] è apparito per annullare il peccato col suo sacrificio.

Come nota il Westcott, a mente dell'autore, la ripetizione nel passato come nell'avvenire delle sofferenze di Cristo, è cosa inconcepibile. L' απαξ (una volta sola) è posto in reciso contrasto col πολλακις (molte volte) che caratterizza i riti espiatorii figurativi. Il compimento dei secoli è il periodo che segna il termine di una serie di epoche preparatorie, svoltesi dalla, creazione fino a quel ch'era per la profezia l'ultimo tempo, il «secolo avvenire», l'era messianica. Corrisponde al «compimento dei tempi» di Paolo Galati 4:4. L'apparizione del Figlio di Dio nella natura e nella vita dell'uomo Gesù segna il punto centrale della storia del mondo, la conclusione dell'era di preparazione ed il principio di un'era nuova ch'è quella della grazia. Cristo è apparito infatti per l'abolizione del peccato, espressione che va intesa nel senso che aveva per i lettori abituati alla terminologia dell'A.T. Non equivale alla soppressione del peccato, quasi fosse possibile con un atto di autorità o di potenza sopprimere l'esercizio della libertà umana senza annientar l'uomo. E neppur si tratta della abolizione del peccato nel cuore per via di rigenerazione morale: questo non è il primo beneficio procurato da Cristo. Si tratta dell'espiazione del peccato, mediante la quale è tolto al peccato, a dir così, ogni diritto ed ogni potere di far condannare l'uomo. Soddisfatta col sacrificio espiatorio la legge, il peccato ha perduta la sua forza contro all'uomo, e esautorato, e legalmente abolito od annullato (cfr. 1Corinzi 15:56). L'espressione congiunta al singolare collettivo «il peccato», ha qualcosa di grandioso. L'efficacia del sacrificio si estende al cumulo dei peccati così del passato come dell'avvenire dell'intera umanità. I peccati, nota ancora il Westcott, sono presentati talora come una contaminazione che si attacca all'uomo e dev'esser cancellata con la purificazione; talora come una forza che tien l'uomo separato da Dio e da, cui l'uomo ha da esser liberato per via di redenzione ( απολυτρωσις); tal'altra è presentato come un carico che l'uomo porta e che ha da esser tolto via ( αφαιρειν), ovvero ancora come una veste che lo avvolge e da cui dev'esser spogliato ( περιαιρειν). Qui è una legge di condannazione che ha da essere abolita. Il mezzo col quale Cristo ha abolito il peccato è il suo sacrificio, cioè quello ch'egli ha offerto a Dio e che non è altro che il sacrificio di se stesso. L'assurda ipotesi di ripetute morti di Cristo non si è verificata nella storia perchè essa non è conforme alla sorte riserbata da Dio all'uomo peccatore.

27 Ed a quel modo ch'è riserbato agli uomini di morire una sola volta e dopo ciò viene il giudicio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto una sola volta per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che l'aspettano, per [la loro] salvazione.

Che la morte sia la sorte da Dio riserbata all'uomo caduto nel peccato risulta così dalle dichiarazioni della Scrittura come dai fatti dell'esperienza quotidiana che sono la legge di Dio in atto. Ma la morte non si ripete più volte, nella storia d'un uomo. Essa tronca d'un colpo misterioso e definitivo la vita terrena e, come attestano ad un tempo la coscienza e la Rivelazione, essa porta l'uomo alla presenza del Giudice da cui dipende la sorte definitiva di ogni creatura umana. Il giudicio divino è l'aspettativa solenne che sta davanti all'uomo dopo la morte. L'autore non dice però se quel giudicio segua immediatamente o no il passaggio dal tempo nell'eternità.

28 Ad ogni modo, Cristo avendo assunto la natura nostra ed essendosi sottoposto alla sorte terrena dell'uomo, non ha potuto nè dovuto passare che una sola volta per la morte. Ma la sua morte è stata un sacrificio. Egli è stato offerto. Vero è ch'egli ha dato volonterosamente la propria vita; ma in quanto il sacrificio era richiesto dalla giustizia di Dio e gl'istrumenti materiali ne furono degli uomini malvagi: l'autore può dire qui che Cristo è stato offerto, come ha detto a Ebrei 9:14 che «offerse sè stesso a Dio». Il fine immediato del suo sacrificio è espresso colle parole per portare i peccati di molti. Il verbo αναφερειν è tradotto da alcuni auferre, «portar via», o come il Diodati «levare», o come il Revel «togliere»; ma esso non ha mai quel senso nel N.T. Significa talvolta condur con sè su di una altura (Es. Matteo 9:1; 17:1); talvolta offrire sull'altare (Es. Giacomo 2:21; Ebrei 7:27; 13:15); od ancora toglier su di sè, portare. E questo è appunto il senso che riveste nel passo Isaia 53:12 che l'autore riproduce quasi testualmente: «Egli stesso portò i peccati di molti». Cfr. 1Pietro 2:24: «Il quale ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo in sul legno...». Cristo quale sostituto volontario dei peccatori ha portato i lor peccati come la vittima innocente su cui i colpevoli ponevano le mani e che espiava colla sua morte la pena da altri incorsa. «Egli (Dio) ha fatto esser peccato per noi, colui che non ha conosciuto peccato» 2Corinzi 5:21. «Cristo ci ha riscattai dalla maledizione della legge, essendosi fatto, per noi, maledizione» Galati 3:13. I molti di cui Cristo ha portato i peccati sono, in realtà, tutti gli uomini (Cfr. 1Giovanni 2:2; 1Timoteo 2:6). Egli è la vittima unica su cui hanno pesato i peccati di una innumerevole moltitudine di colpevoli. Con questa parola lo scrittore, come già Isaia, intende porre in risalto la efficacia infinita del sacrificio di Cristo.

Per gli uomini, alla morte tien dietro il giudicio per Cristo alla morte espiatoria ed all'entrata nel santuario tien dietro, non già un ritorno alla passione ed alla croce, ma un ritorno glorioso col quale coronerà l'opera sua di salvezza nei suoi ovvero eseguirà il giudicio sui ribelli. Dice la seconda volta apparirà... perchè non ci sono che due apparizioni visibili del Cristo, la prima in umiliazione, la seconda in gloria. Per la prima aveva adoperato il termine più modesto πεφανερωται, lett. è stato manifestato; per la seconda adopera quello più solenne οφθησεται, lett. sarà veduto, apparirà e infatti, mentre ora non lo vediamo, allora «ogni occhio lo vedrà, anche quelli che l'han trafitto» Apocalisse 1:7. Il lato terribile della seconda venuta di Cristo è qui taciuto perchè l'autore discorre di lui qual sommo sacerdote e dell'opera sua a pro del suo popolo. Egli ha presente dinanzi alla mente l'entrata annuale dei sommo sacerdote levitico nel luogo santissimo e la sua uscita verso il popolo che lo aspetta, uscita che annunzia compiuta l'espiazione annuale. Così l'uscita di Cristo dal santuario celeste sarà per i suoi il compimento finale della salvezza. Apparirà allora senza peccato. Stando al contesto, l'espressione non significa già che apparirà puro da ogni macchia di peccato, poichè tale egli è stato anche nella sua prima venuta; e neppur significa semplicemente che non avrà più che fare col peccato, che non offrirà più sacrificio pel peccato - sensi alquanto forzati -; ma significa ch'egli apparirà allora senza quel carico dei peccati del mondo che egli nella sua prima venuta avea portato. Non apparirà più qual vittima espiatoria, ma qual giudice e qual Re glorioso e trionfante. Apparirà a salvezza o per la salvazione, cioè per compiere la salvazione dei suoi che in fede e pazienza aspettano il suo avvenimento. Li affrancherà dalla morte risuscitandoli e rivestendoli d'un corpo simile al suo celeste; li affrancherà da ogni conseguenza del peccato e li farà partecipi del proprio stato di gloriosa perfezione e felicità. Cfr. Romani 13:11; 8:23-24; 1Giovanni 3:2; Filippesi 3:20-21; 1Corinzi 15. Alcuni interpreti connettono «a salvezza» col verbo «aspettano», anzichè coll'«apparirà», e verrebbe a dire che «l'aspettano per ricevere da lui compiuta salvezza». Ma lo sguardo dell'autore è fissato su Colui che apparirà, non su quelli che aspettano.

Dimensione testo:


Visualizzare un brano della Bibbia

Aiuto Aiuto per visualizzare la Bibbia

Ricercare nella Bibbia

Aiuto Aiuto per ricercare la Bibbia

Ricerca avanzata