Commentario abbreviato:

Giovanni 10

1 Capitolo 10

La parabola del buon pastore Gv 10:1-5

Cristo la porta Gv 10:6-9

Cristo il buon Pastore Gv 10:10-18

L'opinione dei Giudei su Gesù Gv 10:19-21

Il suo discorso alla festa della dedicazione Gv 10:22-30

I Giudei tentano di lapidare Gesù Gv 10:31-38

Parte da Gerusalemme Gv 10:39-42

Versetti 1-5

Ecco una parabola o similitudine, tratta dalle usanze dell'Oriente, nella gestione delle pecore. Gli uomini, in quanto creature che dipendono dal loro Creatore, sono chiamati pecore del suo pascolo. La Chiesa di Dio nel mondo è come un ovile, esposto a ingannatori e persecutori. Il grande Pastore delle pecore conosce tutte quelle che sono sue, le custodisce con la sua provvidenza, le guida con il suo Spirito e la sua parola, e le precede, come i pastori orientali precedevano le loro pecore, per metterle sulla strada dei suoi passi. I ministri devono servire le pecore nelle loro preoccupazioni spirituali. Lo Spirito di Cristo metterà davanti a loro una porta aperta. Le pecore di Cristo osserveranno il loro Pastore e saranno caute e schive nei confronti degli estranei, che vorrebbero distoglierle dalla fede in lui e farle diventare fantasie su di lui.

6 Versetti 6-9

Molti di coloro che ascoltano la parola di Cristo non la capiscono, perché non vogliono. Ma troveremo una Scrittura che ne spiega un'altra, e lo Spirito benedetto che fa conoscere il benedetto Gesù. Cristo è la porta. Quale maggiore sicurezza ha la Chiesa di Dio se non che il Signore Gesù è tra essa e tutti i suoi nemici? Egli è una porta aperta al passaggio e alla comunicazione. Qui ci sono indicazioni chiare su come entrare nell'ovile; dobbiamo entrare da Gesù Cristo come Porta. Per fede in lui come grande Mediatore tra Dio e l'uomo. Inoltre, abbiamo preziose promesse per coloro che osservano questa direzione. Cristo ha tutta la cura della sua chiesa e di ogni credente che un buon pastore ha del suo gregge; e si aspetta che la chiesa e ogni credente lo attendano e si mantengano nel suo pascolo.

10 Versetti 10-18

Cristo è un buon Pastore; molti, pur non essendo ladri, sono stati negligenti nel loro dovere e con la loro negligenza il gregge è stato molto danneggiato. I cattivi principi sono la radice delle cattive pratiche. Il Signore Gesù sa chi ha scelto ed è sicuro di loro; anche loro sanno in chi hanno confidato e sono sicuri di Lui. Osservate qui la grazia di Cristo: poiché nessuno poteva pretendere da lui la sua vita, egli la mise a disposizione di se stesso per la nostra redenzione. Si è offerto come Salvatore: "Ecco, io vengo". E poiché la necessità del nostro caso lo richiedeva, si è offerto come sacrificio. Egli è stato sia l'offerente che l'offerta, in modo che il fatto di deporre la sua vita è stato l'offerta di se stesso. Da qui si evince che egli morì al posto e al posto degli uomini, per ottenere la loro liberazione dalla punizione del peccato, per ottenere il perdono del loro peccato, e che la sua morte avrebbe dovuto ottenere tale perdono. Nostro Signore non ha dato la vita per la sua dottrina, ma per le sue pecore.

19 Versetti 19-21

Satana rovina molti, mettendoli in difficoltà con la parola e le ordinanze. Gli uomini non si farebbero deridere del loro cibo necessario, eppure si lasciano deridere di ciò che è molto più necessario. Se il nostro zelo e la nostra serietà nella causa di Cristo, specialmente nell'opera benedetta di portare le sue pecorelle nel suo ovile, ci procurano nomi cattivi, non badiamoci, ma ricordiamo che il nostro Maestro è stato rimproverato così prima di noi.

22 Versetti 22-30

Chiunque abbia qualcosa da dire a Cristo, può trovarlo nel tempio. Cristo vorrebbe farci credere; siamo noi stessi a dubitare. I Giudei capirono il suo significato, ma non riuscirono a trasformare le sue parole in un'accusa completa contro di lui. Egli descrisse la disposizione benevola e lo stato felice delle sue pecore: esse avevano ascoltato e creduto alla sua parola, lo seguivano come suoi fedeli discepoli e nessuna di loro doveva perire, perché il Figlio e il Padre erano una cosa sola. Così egli fu in grado di difendere le sue pecore contro tutti i loro nemici, il che dimostra che egli rivendicava il potere e la perfezione divina al pari del Padre.

31 Versetti 31-38

Le opere di potere e di misericordia di Cristo lo proclamano al di sopra di tutti, Dio benedetto in eterno, affinché tutti sappiano e credano che Egli è nel Padre e il Padre in Lui. Chi il Padre manda, lo santifica. Il Dio santo non premierà, e quindi non impiegherà, se non coloro che egli renderà santi. Il Padre era nel Figlio, così che con la potenza divina ha compiuto i suoi miracoli; il Figlio era così nel Padre, che conosceva tutta la sua mente. Questo non possiamo scoprirlo alla perfezione, ma possiamo conoscere e credere a queste dichiarazioni di Cristo.

39 Versetti 39-42

Nessuna arma formata contro il nostro Signore Gesù potrà prosperare. Egli è scampato, non perché avesse paura di soffrire, ma perché la sua ora non era ancora giunta. E Colui che ha saputo liberare se stesso, sa anche liberare i devoti dalle loro tentazioni e creare una via di fuga per loro. I persecutori possono cacciare Cristo e il suo Vangelo dalla loro città o dal loro Paese, ma non possono cacciare Lui o il Vangelo dal mondo. Quando conosciamo Cristo per fede nei nostri cuori, scopriamo che tutto ciò che la Scrittura dice di lui è vero.

Commentario del Nuovo Testamento:

Giovanni 10

1 CAPO 10 - ANALISI

1. Cristo è la porta dell'ovile, e il pastore delle pecore. Le prime parole di questo versetto provano che il discorso cui esse servono d'introduzione è strettamente connesso al capitolo precedente, perché in nessun altro luogo di questo Vangelo troviamo che Gesù cominci un nuovo discorso colle parole: "In verità, in verità, io vi dico". La condotta dei Farisei verso l'uomo che era stato cieco sembra aver suggerito al Signore di dare i connotati dei falsi pastori; quindi per necessaria conseguenza, a parlar di se stesso, come del vero pastore. Nei primi sei versetti parlò in similitudine, opponendo, in modo generico, la condotta dei buoni pastori a quella dei ladroni e dei mercenari; ma egli diceva a sordi, imperocché i suoi uditori non capirono il senso delle sue parole. Nei versetti seguenti applica a se medesimo quelle figure. Dimostra di sapere adempiere agli uffici indicati dalla porta, e dal pastore. Egli è il "buon pastore", per la cura, l'affetto sollecito e la simpatia che si manifestano del continuo in lui, fino al punto di "metter la sua vita per le sue pecore". Al tempo stesso dichiara che il successo dell'opera sua dipende dalla sua perfetta comunione col Padre. Questo discorso dà luogo ad una nuova divisione fra i suoi uditori: i suoi avversari dichiarano che egli è posseduto dal demonio, epperciò fuor di senno; mentre i suoi amici ribattono una tale accusa, ricordando il miracolo da esso poco prima compiuto Giovanni 10:1-21.

2. Discorso di Cristo nel tempio, alla festa della Dedicazione, coll'ultima sua testimonianza a se medesimo. Correva un intervallo di due mesi fra la festa dei Tabernacoli, in occasione della quale fu probabilmente pronunziato il discorso contenuto nella prima parte di questo capitolo, e la festa della Dedicazione, alla quale appartiene la seconda parte. Il nostro evangelista non ci dice dove Gesù passasse quei due mesi; ma è probabile che quello fosse il tempo del suo ministerio in Perea. Appena apparve di nuovo sotto il portico di Salomone, Gesù si vide circondato da persone appartenenti al partito ostile o farisaico, le quali insisterono affinché non le tenesse più nell'incertezza, come pretendevano che egli aveva fatto fino a quell'ora; ma dichiarasse apertamente e senza equivoci, se egli era o non era il Messia. In risposta, Gesù dice che già lo aveva loro dichiarato, ma che essi non lo avevano creduto, perché non appartenevano al suo ovile; quindi, descritto brevemente il carattere delle sue pecore, il buon pastore ne enumera i privilegi, cioè la vita eterna, fin da ora concessa, e la preservazione da ogni male temporale o spirituale, sotto la doppia custodia di lui medesimo e del suo Padre celeste; e termina con una dichiarazione così esplicita delle sue relazioni col Padre, che i suoi nemici non poterono fingere di non comprenderla: "Io e il Padre siamo una, stessa cosa". Udite quelle parole, i Giudei subito prendono in mano delle pietre per lapidarlo, e Gesù avendo loro chiesto per quale delle buone opere da lui compiute lo volessero lapidare, la loro risposta mostra che essi avevano finalmente inteso chi egli pretendeva di essere, benché ricusassero di credere in lui. Dichiarano infatti di volerlo lapidare come bestemmiatore, perché, essendo un mero uomo, si faceva uguale a Dio. Per difendersi da quell'accusa di bestemmia, Gesù mette avanti un argomento dal maggiore al minore. Se dei principi, dei giudici dei profeti erano chiamati "dii" nell'Antico Testamento, benché fossero meri uomini, e ciò a motivo degli uffici cui erano stati chiamati, colui che è l'eterno Figlio del Padre non poteva certo venir detto bestemmiatore perché si chiamava, "Figliuol di Dio", poiché egli avea assai più diritto di essi a quel titolo eccelso. Al tempo stesso ricorda loro, come prova della sua unità col Padre, i miracoli che avea compiuti. Anziché lasciarsi convincere, i nemici di Gesù divengono più furiosi che mai, e cercano nuovamente di mettergli le mani addosso; ma egli sfugge dal mezzo di loro Giovanni 10:22-39..

3. Gesù ritorna in Perea, per completare il suo ministero in quella parte del paese. Ivi sceglie questa volta, quale scena dei suoi lavori, Betabara, dove prima Giovanni battezzava. Molti vi accorrono per udirlo, confessano esser vera la testimonianza resagli dal Battista, e credono in lui qual Figliuol di Dio Giovanni 10:40-42.

Giovanni 10:1-21. CRISTO È LA PORTA DELL'OVILE, E IL PASTORE DELLE PECORE

1. In verità, in verità, io vi dico,

Di questa doppia e solenne affermazione, Gesù non fa mai uso al principio di un discorso; ma spesso ne fa uso nel corso del suo insegnamento, ora per rispondere a qualche obbiezione, ora per richiamare l'attenzione su qualche verità specialmente importante, che egli sta per dichiarare. Non dobbiamo dunque credere che questo capitolo contenga un soggetto nuovo; bensì lo dobbiamo considerare come il seguito dell'insegnamento della fine del cap. 9, seguito che fu suggerito al Signore dalla condotta dei Farisei e dei sacerdoti "i quali pretendevano di essere i pastori d'Israele" nello scacciare dal loro ovile il cieco guarito. Al ver. 6 l'Evangelista ci dichiara che abbiamo in questi primi versetti una similitudine. L'insegnamento in quella contenuto è affatto generico, e consiste nel paragone fra il vero pastore e quelli che occupano quel posto senza avervi diritto alcuno. L'applicazione di questa similitudine risulta evidente dai versetti che seguono.

che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale altronde esso è rubatore e ladrone; 2. Ma chi entra per la porta è pastor delle pecore.

Nella Palestina, l'ovile (in arabo Marah) è un grande spazio quadrangolare, il cui muro di cinta, costruito di rozze pietre, senza cemento, è armato in cima di fitti rami di pruno o di altri arboscelli spinosi, e ciò, non solo per impedire l'uscita delle pecore, ma più ancora per tenerne fuori i lupi, le pantere, i leopardi, i quali però, quando li punge la fame, superano anche quella barriera. In uno dei lati del quadrato vi è una porta, ed al lato opposto alcune arcate, non più alte di tre o quattro piedi, per il ricovero delle pecore nella stagione fredda. Verso sera, il pastore riconduce le pecore dalla pastura all'ovile, ha cura di farvele, entrar tutte, e ne fa chiudere la porta dal suo assistente, che agisce come portinaio. Le tende, sotto le quali il pastore e la sua famiglia dimorano la maggior parte dell'anno, sono piantate a breve distanza dall'ovile. Il quadro che il Signore ci presenta qui dei pastori del suo tempo è ancora quello che i viaggiatori trovano nella Siria ai nostri dì. Accade talvolta che diversi pastori si accordano per far uso di un ovile comune, lasciando le loro gregge "composte in maggior parte di capre", sotto la guardia del medesimo portinaio, il quale sta la notte colle pecore. La mattina, questi apre la porta successivamente ai vari pastori, e ciascuno chiama le sue pecore, e le conduce con se. Nessun pastore si sognerebbe mai di entrar nell'ovile altrimenti che per la porta; il ladro, invece, sia d'esso una belva o un beduino, starà sempre il più lontano possibile da quella, per non venire scoperto dal portinaio, e cercherà il punto più debole per entrare.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:7,9; Atti 20:28; 1Timoteo 3:2-7; 4:14; Tito 1:5; Apocalisse 1:20; 2:1

Giovanni 10:11-12,14; Salmi 23:1; 80:1; Ecclesiaste 12:11; Isaia 40:11; 63:11; Ezechiele 34:23

Michea 5:5; Zaccaria 11:3,5,8; 13:7; Ebrei 13:20; 1Pietro 2:25; 5:4

3 3. A costui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome, e le conduce fuori. 4. E quando ha messe fuori le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguitano, perciocché conoscono la sua voce.

Le abitudini cambiano così poco nella Palestina, che queste parole, benché pronunziate quasi diciannove secoli addietro, ma letteralmente vere al giorno d'oggi. La greggia, avvezza a non dir tutto il giorno altra voce che quella del pastore, divien presto familiare con essa e l'ubbidisce; egli dà un nome ad ogni pecora, e al suo nome ciascuna risponde; quando poi vuol condurle lontano dall'ovile, cammina dinanzi ad esse, guidandole al pascolo che ha scelto, e ripetendo ad intervallo un grido acuto, che esse ben conoscono e sanno seguitare.

PASSI PARALLELI

Isaia 53:10-12; 1Corinzi 16:9; Colossesi 4:3; 1Pietro 1:12; Apocalisse 3:7-8,20

Giovanni 10:4,16,26-27; 6:37,45; Cantici 8:13

Giovanni 10:14,27; Esodo 33:17; Romani 8:30; Filippesi 4:3; 2Timoteo 2:19; Apocalisse 20:15

Salmi 23:2-3; 78:52-53; 80:1; Isaia 40:11; 42:16; 49:9-10; Geremia 31:8-9

Geremia 50:4-6; Ezechiele 34:11-16; Apocalisse 7:17

Giovanni 12:26; 13:15; 14:2-3; Deuteronomio 1:30; Michea 2:12-13; Matteo 16:24; 1Corinzi 11:1

Efesini 5:1; Filippesi 2:5-11; Ebrei 6:20; 12:2; 1Pietro 2:21; 4:1; 5:3

Giovanni 8:8,16; 3:29; 18:37; Cantici 2:8; 5:2

5 5. Ma non seguiteranno lo straniero, anzi se ne fuggiranno da lui perciocché non conoscono la voce degli stranieri.

Lo "straniero" è chiunque le pecore, non conoscono, non già solamente il "rubatore e ladrone" di Giovanni 10:1. Se uno sconosciuto, imbattendosi in una porzione della greggia al pascolo nel deserto, e non vedendo il pastore, credesse propizia l'occasione per rubare, e cominciasse a chiamar le pecore per nome, e ad imitare la voce del pastore, esse prenderebbero immediatamente paura, e si darebbero alla fuga. Per esse, la voce del pastore significa protezione, guida e cibo; se l'odono, si sentono sicure; ma la voce di uno straniero le spaventa, perché non la conoscono.

PASSI PARALLELI

1Re 22:7; Proverbi 19:27; Marco 4:24; Luca 8:18; Efesini 4:11-15; Colossesi 2:6-10

2Timoteo 3:5-7; 4:3; 1Pietro 2:1-3; 1Giovanni 2:19,21; 4:5-6; Apocalisse 2:2

6 6. Questa similitudine disse loro Gesù;

La figura scelta qui dal Signore per descrivere la sua vera Chiesa è quella sotto la quale ne parla spesso l'Antico Testamento; l'ignoranza dei Farisei è dunque tanto più inescusabile. I profeti protestano spesso con parole di sdegno contro i pastori infedeli, i quali cibavano se stessi e non la greggia di Dio, e in parecchi passi profetici il Messia ci vien presentato come il buon pastore. In Ezechiele 34:1-31 e in Zaccaria 11:1-17 troviamo la descrizione dei buoni e dei cattivi pastori, e il Messia ci vien presentato come il Pastore supremo, Confr. Geremia 13:1-5; 50:4-7; Zaccaria 11:7-8, 15-17. In questa similitudine l'ovile sta per la vera Chiesa di Cristo; la porta e il pastore son tutti e due tipi di Cristo; le pecore sono i credenti. Non entreremo qui in tutti i particolari, poiché Cristo stesso li spiega e ne fa l'applicazione nei versetti che seguono. La sola persona di quest'allegoria che non venga più nominata, e sulla quale dobbiamo perciò fermarci un momento, è il portinaio. In un'allegoria, come in una parabola, non occorre trovare un significato per ogni particolare che essa contiene, perciò molti, applicando qui una tal regola, concludono che al portinaio di questa similitudine non deve darsi significato speciale alcuno. Altri credono invece che egli occupi nella similitudine un posto troppo importante per venir trascurato in quel modo, e vogliono che rappresenti gli uni i ministri, o quelli che nella Chiesa tengono "le chiavi", e sono chiamati a decidere chi possa entrare e chi debba rimanere fuori; gli altri, Iddio Padre, che "trae gli uomini a Gesù" Giovanni 6:44; altri ancora, lo Spirito Santo, per virtù del quale entriamo noi stessi per Cristo nel regno di Dio, e per virtù del quale pure possiamo condurvi altri. Crediamo che anche quella parola abbia il suo significato nella similitudine, e l'ultima delle spiegazioni che abbiamo enumerate ci sembra la migliore.

ma essi non riconobbero quali fosser le cose ch'egli ragionava loro.

Accecati dall'orgoglio della propria conoscenza della legge, non poterono afferrare il senso vero e profondo di questa allegoria. I simboli dell'ovile, della porta, delle pecore e del pastore rimasero loro inintelligibili, non capivano a che tendesse questo insegnamento di Gesù; perciò egli spiega loro, nei versetti seguenti, il suo pensiero.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:52,60; 7:36; 8:27,43; Salmi 82:5; 106:7; Proverbi 28:5; Isaia 6:9-10; 56:11

Daniele 12:10; Matteo 13:13-14,51; 1Corinzi 2:14; 1Giovanni 5:20

7 7. Laonde Gesù da capo disse loro: in verità, in verità, io vi dico, che io son la porta delle pecore.

Non abbiamo qui il principio di una nuova similitudine; però la formula stessa colla quale è stata principiata in Giovanni 10:1, viene ora ripetuta per rendere gli uditori attenti alla interpretazione di essa. Le parole "laonde", e "da capo" indicano che il discorso vien ripreso dal suo principio per darne una spiegazione resa necessaria dalla loro mancanza d'intendimento. L'ovile rappresenta la Chiesa vivente di Dio in terra il sacro recinto del popolo di Dio, composto non già di una moltitudine mista di buoni e di cattivi, ma dei soli fedeli che professano e praticano la verità. Gesù si dichiara la porta, dell'ovile; per lui solo entrano le pecore e gli assistenti del pastore. Corrisponde a quello che dice qui di se stesso la dichiarazione che egli fa, in Giovanni 14:6, di essere egli solo "la via", per la quale gli uomini possono andare al Padre. Parimenti Paolo dichiara che "egli è la via recente e vivente, la quale egli ci ha dedicata; per la cortina, cioè per la sua carne" Ebrei 10:20. Alcuni critici preferiscono leggere qui: "la porta alle pecore", "anziché delle pecore" come se essa dovesse servire ai soli pastori, ma nell'originale è usato il genitivo; oltre di che in un ovile la stessa porta serviva per le pecore e per i pastori. L'interpretazione di Milligan che in questo versetto la porta non serve per fare entrare, ma solo per fare uscire la greggia, non sarà accettata da molti lettori. La sua teoria si è, che l'ovile rappresenta la Chiesa Giudaica la quale aveva accolto la Chiesa di Dio, fino al "compimento del tempo" Galati 4:4; ma che ora le pecore ne dovevano esser fatte uscire da Cristo solo, per venir condotte in pascoli liberi ed aperti, dove verrebbero ad aggiungersi ad esse altre pecore, provenienti da altro ovile, sicché non ci sarebbe più da quel momento in poi due gregge, ma una sola, sotto il medesimo pastore. Ma in Giovanni 10:16 il Signore dichiara che l'ovile, il quale rappresenta la vera e vivente Chiesa di Dio, non sarà abbandonato; anzi che altre greggi vi verranno da lui stesso condotte.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:1,9; 14:6; Efesini 2:18; Ebrei 10:19-22

Salmi 79:13; 95:7; 100:3; Isaia 53:6; Ezechiele 34:31; Luca 15:4-6

8 8. Tutti quanti coloro che son venuti (prima di me) sono stati rubatori e ladroni;

Diodati omette le parole "prima di me", benché sieno indubbiamente genuine. Vari sono i significati attribuiti dai commentatori a quello "avanti me". I principali sono: "senza riguardo a me", "trascurando me che son la porta", "invece di me", "prima che io li avessi mandati", ecc.; ma quelle varie interpretazioni si possono respingere senz'altro, perché è evidente che il Signore dà a quelle parole il loro significato naturale di tempo. È ovvio pure che le parole: "tutti quanti coloro" non devono prendersi in senso universale, e non includono Mosè e i profeti, i quali erano entrati per la porta, ed erano veri pastori, ma, "non essendo ancora comparsi i falsi Cristi", indicano le persone che il Signore, quando venne quaggiù, trovò in possesso della carica di maestri e dottori della nazione giudaica, cioè gli Scribi ed i Farisei, i sacerdoti e gli anziani, i quali non possedevano né il mandato né il carattere di veri conduttori spirituali. Quelli ci chiama, e con ragione, "rubatori e ladroni", imperocché sappiamo che da molto tempo il popolo era soggetto a maestri cupidi, rapaci, superstiziosi, ipocriti e pieni di orgoglio Geremia 23:1-4,11-12.

ma le pecore non il hanno ascoltati.

È evidente che qui più che mai la parola "pecore" ha un senso spirituale. Quelle pecore non sono una turba mista di buoni e di cattivi; alcuni sinceri, altri senza fede né grazia; alcuni veri credenti, altri "avendo nome di vivere e pur essendo morti". Né dobbiamo credere che Gesù asserisca che i veri credenti non hanno mai dato ascolto, neppur per un momento, a tali falsi maestri; bensì riteniamo, con Alford, che non li hanno mai ascoltati a segno di divenire i loro discepoli. L'istinto dei loro cuori insegnati da Dio li preservò da quei seduttori, mantenendoli fedeli ai p rofeti mandati da Dio, dei quali Pietro testifica che "lo Spirito di Cristo era, in loro" 1Pietro 1:11. Ed è pur sempre il potere e l'influenza di quel medesimo spirito, che preserva le pecore di Cristo dai rubatori e dai ladroni, i quali vorrebbero indurle in perdizione 1Giovanni 2:26-27.

9 9. Io son la porta; se alcuno entra per me, sarà salvato, ed entrerà, ed uscirà, e troverà pastura.

Il Signore dichiara nuovamente di essere la porta per la quale sola si può entrare nell'ovile, e giungere alla salute. Benché la parola "alcuno" sembri riferirsi piuttosto alle pecore, è chiaro che anche i pastori devono entrare per la porta, affin di essere salvati. Non è che dopo di esser divenuti pecore, cioè credenti, che possono venir chiamati a prender cura della greggia, e a pascolarla. "Entrare, uscire" son parole spesso usate nell'Antico Testamento per descrivere un corso abituale di vita, o ancora il libero uso di una dimora, nell'entrarvi ed uscire a piacimento, come fa ognuno in casa propria. Il Signore si serve qui di queste medesime espressioni, aggiungendovi "e troverà pastura", per descrivere le benedizioni che derivano dalla salute, cioè la direzione, la sicurezza, la comunione con Cristo e col suo popolo, il cibo spirituale, la soddisfazione, la gioia. "Chi è stato ammesso da Cristo medesimo nell'ovile possiede per necessaria conseguenza la salute eterna. Una volta entrato, egli non possiede solamente la sicurezza, ma è pur certo di godere una libertà che nessuno gli potrà togliere mai più. Queste parole descrivono evidentemente la beatitudine di tutti i cristiani, e non quella solamente dei conduttori della greggia" (Westcott).

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:1,7; 14:6; Romani 5:1-2; Efesini 2:18; Ebrei 10:19-22

Salmi 23:1-6; 80:1-3; 95:7; 100:3-4; Isaia 40:11; 49:9-10; Ezechiele 34:12-16

Zaccaria 10:12

10 10. Il ladro non viene se non per rubare, ed ammazzare, e distruggere le pecore;

Col contrasto qui introdotto fra se medesimo ed un ladro, il Signore abbandona la figura della porta, per presentarsi a noi sotto quella del pastore, che difende le sue pecore. Questo versetto forma il nesso fra Giovanni 10:9,11. Vi sono chiaramente enunciati i moventi così del ladro come del pastore. Il ladro "che rappresenta spiritualmente i falsi dottori" si propone di distruggere la greggia; il pastore, di preservarla, farla crescere e renderla felice, "I tre verbi della prima clausola di questo versetto sembrano esprimere una gradazione: 'rubare', si riferisce alla schiavitù nella quale i falsi dottori riducono gli uomini; 'ammazzare', alla corruzione morale che ne è la conseguenza; 'distruggere', alla perdizione finale che è il termine ultimo della via farisaica" (Godet).

ma io son venuto acciocché abbiano vita, ed abbondino.

Lo scopo del Signore nel venir quaggiù vien qui esposto come diametralmente opposto a quello del ladro. Lasciando da parte ogni similitudine, il Cristo dichiara nel modo più indubitabile di esser venuto qual Salvatore personale, affinché per lui gli uomini abbiano vita. Il ladro viene per togliere la vita alla greggia; egli invece è venuto affinché la via della vita eterna, la vita della giustificazione comprata col suo sangue, la vita della santificazione prodotta dalla grazia, dello Spirito suo,. potesse venir rivelata, ed offerta ad un mondo caduto nella perdizione. La parola "abbondino". colla quale termina questo versetto, è stata da alcuni interpretata come riferentesi ai Giudei credenti, quali Simeone ed Anna, i quali, già prima della venuta di Cristo erano in possesso della vita spirituale, ed ai quali la sua venuta portò vita più abbondante, accrescendo la loro conoscenza delle cose divine, e la loro felicità; ma il vocabolo "abbondante" non è un comparativo; epperciò quel senso va abbandonato. Crediamo con Stier che quel vocabolo significa "tutta la pienezza di ogni bene che noi troviamo in Cristo Gesù; è un sunto, sotto un aspetto nuovo, di quanto Gesù insegnò nella sinagoga di Capernaum Giovanni 6:1-16, e una conferma di quanto il nostro Evangelista dichiara al principio del suo Vangelo: E noi tutti abbiamo ricevuto della sua pienezza e grazia per grazia"; Vedi nota Giovanni 1:16.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:1; 12:6; Isaia 56:11; Ezechiele 34:2-4; Osea 7:1; Matteo 21:13; 23:14; Marco 11:17

Romani 2:21; 2Pietro 2:1-3

Giovanni 3:17; 6:33,51; 12:47; Matteo 18:11; 20:28; Luca 19:10; 1Timoteo 1:15

Romani 5:13-21; Ebrei 6:17; 7:25; 2Pietro 1:11

11 11. Io sono il buon pastore;

Qui comincia una nuova allegoria nella quale il Signore contrappone la cura che egli ha della sua Chiesa alla trascuratezza dei mercenari, che servono per amor di lucro, e non portano affetto alcuno alla greggia loro affidata. Nell'allegoria precedente, il Signore si era presentato come la porta dell'ovile; in questa, egli si dichiara il pastore. L'espressione "il buono" non si può rendere adeguatamente con una parola sola; significa: "bello, nobile, buono", in opposizione a "brutto, vile, malvagio". È il sunto di tutti gli attributi della perfezione ideale; ci presenta Cristo come colui che adempie tutti i concetti di guida, di amore, di liberazione, di abnegazione, che il nome di pastore può evocare nella mente. "Cristo è il Salvatore perfetto, mentre i suoi più fedeli servitori sono pur sempre ministri imperfetti; egli è il vero pastore, in opposizione a tanti che sono mercenari ed ipocriti egli è il buon pastore, il quale mette la sua vita per le sue pecore, in contrasto coll'iniquo ladrone, il quale toglie la vita alle pecore per preservare la propria" (Plummer); e finalmente egli è il gran pastore, perché il suo dominio è universale, e si estende sopra tutti i veri pastori, e sopra tutte le vere pecore. Così vien realizzato in Gesù il concetto che l'Antico Testamento ci presenta del pastore Salmi 23:1-6; Isaia 40:11; Geremia 23:1-40; Ezechiele 34:1-31; 37:24; Zaccaria 11:7 ecc. e nessuna immagine di Cristo è rimasta così profondamente impressa nella mente dei cristiani come questa. "Le preghiere e gli inni dei cristiani, la loro pittura, la loro scultura, la loro letteratura ne sono ripiene fin dai primi secoli" (Plummer).

il buon pastore mette la sua vita per le pecore.

Il punto più elevato al quale possa giungere la fedeltà di un pastore terreno si è di rischiare la vita per difendere le sue pecore, quando sono minacciate dal lupo o da qualsiasi altro nemico. Cristo ha fatto assai più di ciò: egli è venuto quaggiù col proponimento espresso di dare la sua vita per le sue pecore. L'espressione "metter la sua vita" è caratteristica di Giovanni; ma equivale esattamente a quella dei Sinottici: "dar l'anima sua per prezzo di riscatto" Matteo 20:28. Davide espose la vita per le sue pecore, quando pugnò col leone e coll'orso 1Samuele 17:34-35, e molti fedeli pastori spirituali, in tempi di persecuzioni, hanno fatto altrettanto in difesa delle loro gregge; ma non vi ha dubbio che il Signore parla qui specialmente di se medesimo, e del suo volonteroso abbandono della propria vita per il riscatto di molti.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:14; Salmi 23:1; 80:1; Isaia 40:11; Ezechiele 34:12,23; 37:24; Michea 5:4; Zaccaria 13:7

Ebrei 13:20; 1Pietro 2:25; 5:4

Genesi 31:39-40; 1Samuele 17:34-35; 2Samuele 24:17; Isaia 53:6; Efesini 5:2; Tito 2:14

1Pietro 2:24

12 12. Ma il mercenario, e quel che non è pastore, e di cui non sono le pecore, se vede venire il lupo, abbandona le pecore, e sen fugge; e il lupo le rapisce, e disperde le pecore. 13. Or il mercenario se ne fugge, perciocché egli è mercenario, e non si cura delle pecore.

Il contrasto cominciato in Giovanni 10:11 vien qui completato il vero pastore mette la vita sua per salvar la greggia; il mercenario, al primo segno di pericolo, fugge lontano dalla greggia, per salvar la propria vita. Il nome "mercenario" usato qui da Gesù si trova in un solo altro passo del Nuovo Testamento Marco 1:20, dove è dato ai servi salariati di Zebedeo. A costui il Signore non dà neppure il titolo di pastore, perché le pecore non gli appartengono. Egli serve per la paga giornaliera; di quella, non del benessere delle pecore, è sollecito. Alcuni credono che questo mercenario rappresenti il partito farisaico, in allora dominante nella Chiesa giudaica; ma siccome nell'allegoria precedente i Farisei venivano chiamati "rubatori e ladroni", ci par che il lupo ne sia il rappresentante naturale in questa. Godet crede che il mercenario rappresenti quelli che erano in modo generico favorevoli a Gesù; ma per codardia, o per non essere animati da sufficiente amore per lui, si lasciavano intimidire ed imporre silenzio dal gran partito dei Farisei. Senza rigettare una tale applicazione di questo termine, ci par da preferire un senso più generale, e secondo noi va detto mercenario chiunque, nell'antica o nella nuova economia, è stato od è infedele al suo mandato, così i ministri che si dànno soprattutto pensiero dei vantaggi materiali della loro posizione, e si ritirano quando quella posizione più non sorride loro, o diviene pericolosa, come chiunque non dimostra coraggio nella causa del Maestro, e piuttosto che perdere la riputazione, o i comodi, o il posto, lascia devastare e corrompere dai suoi nemici spirituali la Chiesa di Cristo. Il lupo essendo il nemico più pericoloso cui le pecore sono esposte, mentre stanno fuori al pascolo, è l'emblema naturale di tutti i nemici della Chiesa di Cristo, di ogni potere opposto a Cristo, di ogni nemico spirituale che cerca di distruggere individualmente le anime, e di dividere la Chiesa, e segnatamente di Satana che è l'istigatore primiero di tutta questa guerra al Signore e ai suoi, e "a guisa di leone ruggente, va attorno, cercando chi egli possa divorare" 1Pietro 5:8. I nemici spirituali sono soprattutto da temersi e da combattersi quando pastori infedeli cessano di rendere testimonianza alla verità, o abbandonano le loro gregge, per timor della persecuzione, o per amor di lucro, o per desiderio di sicurezza personale.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:3; Isaia 56:10-12; Ezechiele 34:2-6; Zaccaria 11:16-17; 1Timoteo 3:3,8; 2Timoteo 4:10

Tito 1:7; 1Pietro 5:2; 2Pietro 2:3

Matteo 7:15; 10:16; Atti 20:29

Giovanni 12:6; Atti 18:17; Filippesi 2:20

14 14. Io sono il buon pastore,

Come il Signore aveva detto ripetutamente Giovanni 10:7,9 di essere la porta, così egli rinnova qui la dichiarazione già fatta in Giovanni 10:11 di essere il buon pastore, affin di imprimere nella mente dei suoi uditori l'importanza del suo ufficio, di cancellare dalla loro memoria l'indegno mercenario, e di far loro chiaramente intendere che parla di se medesimo e dei suoi rapporti colla sua greggia.

e conosco le mie pecore, e son conosciuto dalle mie. 15 Siccome il Padre mi conosce, ed io conosco il Padre;

Il punto fermo alla fine del verso 14 non istà e rende il senso molto oscuro. Giovanni 10:15 è la continuazione di quanto vien detto al 14, e il tutto insieme deve leggersi così: "Io conosco le mie pecore, e son conosciuto dalle mie, come il Padre mi conosce, ed io conosco il Padre". "Così stampano questo passo la Volgata, la versione di Lutero, Bengel, Lachmann, Tischendorff, Tregelles e quasi tutti i critici moderni" (Brown). Queste parole dunque dichiarano che le relazioni di Cristo col suo popolo, corrispondono alle sue relazioni col Padre. Esse non contengono una semplice dichiarazione, ma indicano che uno di quei rapporti è la misura dell'altro. Il verbo "conosco", mediante il quale Gesù descrive i suoi rapporti col popolo suo, non si deve intendere di mera conoscenza esterna, ma di quella conoscenza interna ed intima che egli ha delle sue pecore, come di un dono del Padre, riscattate dal suo sangue, e "nella virtù di Dio, per la fede, guardate per la salute" 1Pietro 1:5. E una conoscenza intera, perfetta e comprensiva. E quando egli aggiunge: "son conosciuto dalle mie", allude alla risposta dell'anima credente alla voce che l'ha internamente ed efficacemente chiamata, imperocché, in questa mutua ed amorevole intimità, la conoscenza nostra è l'effetto della sua. "Ma quando Gesù, da questa mutua conoscenza di se stesso e dei suoi, si alza ad un'altra e più elevata reciprocità di conoscenza, a quella cioè di se stesso e del Padre, e dice che la prima è uguale, alla seconda, esprime un pensiero che nessuno fuorché lui avrebbe osato mettere avanti, ma che egli conferma in modo anche più elevato nella sua preghiera d'intercessione" Giovanni 10:17,21-23 (Brown). "La natura della conoscenza che ognuna delle gloriose persone della Trinità ha delle altre, supera di gran lunga l'intelligenza umana essa è un profondo misterio; eppure la mutua conoscenza e la comunione di Cristo e dei credenti è cosa sì profonda e meravigliosa, che ad altro non si può paragonare, benché a vastissima distanza, se non a quella che esiste fra il Padre e il Figlio".

15 e metto la mia vita per le mie pecore

Meraviglioso è il contrasto fra le due parti di questo versetto. La prima ci presenta il Figlio nella intima comunione col Padre, partecipe di tutti i suoi piani e disegni, "il prossimo del, Signore" Zaccaria 13:7; la seconda dice che "abbassò se stesso, essendosi fatto ubbidiente infino alla morte, e la morte della croce" Filippesi 2:8, affin di far la propiziazione dei peccati del suo popolo. "Non per tutti", dice Alford; "ciò non è detto qui; il Signore mette la vita sua, secondo i disegni della Divina Provvidenza, solo per quelli che son le sue pecore".

PASSI PARALLELI

Giovanni 1:18; 6:46; 8:55; 17:25; Matteo 11:27; Luca 10:21; Apocalisse 5:2-9

Giovanni 10:11,17; 15:13; Isaia 53:4-6,8,10; Daniele 9:26; Zaccaria 13:7; Matteo 20:28; Galati 1:4

Galati 3:13; Efesini 5:2; 1Timoteo 2:5-6; Tito 2:14; 1Pietro 2:24; 3:18; 1Giovanni 2:2

Apocalisse 5:9

16 16. Io ho anche delle altre pecore, che non son di quest'ovile;

Il Signore parla quì dei Gentili, i quali per lo più giacevano "nelle tenebre e nell'ombra della morte"; imperocché i Giudei, quantunque si arrogassero il privilegio esclusivo di essere le pecore del grande ovile del Messia, non lo avevano mai ricevuto da Dio. Al contrario, quando gli antichi profeti parlano della Chiesa dei tempi messianici, associano spesso i Gentili col popolo eletto Isaia 42:16; 49:6; 60:2-3. Alcuni di quei Gentili, come il centurione di Capernaum, la donna Sirofenice, Cornelio ecc. già cercavano come a tastoni il liberatore, in mezzo alle tenebre dalle quali erano circondati; ma si tratti di essi in questo passo o no, il Signore parla dei Gentili come essendo già le sue pecore, perché li amava, e la grazia sua aveva pure per oggetto la loro salute.

quelle ancora mi conviene addurre, ed esse udiranno la mia voce;

Le pecore di cui parla qui il Signore non formavano un ovile da se, come i Giudei, i quali da secoli avevano goduto il privilegio di una organizzazione religiosa; però erano sempre pecore di Cristo; anzi alcuni vedono nelle parole indefinite "altre pecore" l'intenzione di Gesù di dire che la nazione giudaica, alla quale i Farisei volevano limitare il popolo di Dio, non formava che la parte meno numerosa dell'ovile intero. Il "ricondurre i Gentili" era, nei disegni di Dio, parte dell'opera messianica, che il Salvatore era tenuto ad adempiere. Il risultato dell'esser egli "levato in su dalla terra", doveva essere di "trarre tutti a se" Giovanni 12:32, e questo si va adempiendo, tuttodì, mediante l'azione dello Spirito e opera missionaria della Chiesa. "Queste parole contengono una promessa ed una profezia al tempo stesso, annunziano che gli eletti fra i Gentili udiranno la voce di Cristo, mediante la Predicazione dell'Evangelo, e udendola crederanno ed ubbidiranno, promettono che i Gentili ascolteranno e saranno convertiti, promessa che doveva avere per effetto di incoraggiare gli apostoli, e tutti quelli che di secolo in secolo proseguiranno l'opera loro di annunziare le buone notizie della salute" (Ryle).

e vi sarà una sola greggia ed un sol pastore.

Le gregge di cui vien qui parlato divengono una nel pastore, e per mezzo suo. Entrambe saranno unite a lui, e i Gentili non verranno assorbiti nell'ovile giudaico. Non è l'uniformità che vien qui promessa, bensì l'unità. E quell'unità futura della Chiesa non è unità di ovile; bensì unità di greggia Filippesi 2:2. "Vi saranno molti ovili, in mezzo a vari popoli, in varie età, e secondo i vari paesi; ma per tutti i cristiani uno solo sarà il vero pastore, il quale ha dato la vita sua per le sue pecore, e tutti quegli ovili diversi, in forza della loro vivente unione con lui, formeranno una sola vastissima greggia" (Watkins) Romani 10:12; Galati 3:28; Efesini 2:13-16. "La promessa è sempre vera, per tutti i credenti sinceri. Benché differiscano in vari punti, relativi al governo della Chiesa ed ai riti del culto, i veri credenti sono tutti pecore della medesima greggia; tutti sono nutriti dalla medesima divina parola, tutti guardano con fede allo stesso Salvatore e Pastore" (Ryle).

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:52; Genesi 49:10; Salmi 22:26-31; 72:17-19; 86:9; 98:2,3; Isaia 11:10

Isaia 24:13-16; 42:10-12; 43:6; 49:6; 52:10; 56:8; Osea 1:10; Zaccaria 2:11

Zaccaria 8:20-23; Atti 18:10; Romani 9:23-24; 15:9-13; Efesini 2:14; 1Pietro 2:10

Atti 15:14; Romani 8:29-30; Efesini 2:1-5,15-18; 2Tessalonicesi 2:13; Tito 3:3-5

Giovanni 10:27; 6:37; Matteo 17:5; Atti 22:14; Apocalisse 3:20

Ezechiele 37:22; Efesini 2:14

Giovanni 10:2,11; Ecclesiaste 12:11; Ezechiele 34:23; Ebrei 13:20; 1Pietro 2:25; 5:4

17 17. Per questo mi ama il Padre, perciocché io metto la vita mia, per ripigliarla poi.

La più alta manifestazione dell'amore del Figlio per il Padre consiste nel metter la vita sua per le sue pecore, adempiendo così ai disegni della Divinità; e la pienezza dell'amore del Padre per il Figlio incarnato raggiunge il suo culmine quando questi depone la vita sua, coll'intento determinato di ripigliarla poi. L'intero consiglio di Dio per la salvezza dell'uomo poteva essere adempiuto solo a condizione che il Cristo morisse, eppoi risuscitasse. Se il Figliuol di Dio fosse tornato in cielo alla crocifissione, lasciando la sua umanità in sulla croce, la salvazione del mondo non sarebbe stata compiuta, la sentenza di morte peserebbe tuttora sopra noi, e "noi saremmo ancora nei nostri peccati" 1Corinzi 15:17. Per fare un'opera compiuta, occorreva che Gesù volontariamente riprendesse la vita che aveva deposta. Né ciò bastava: il Salvatore glorificato doveva continuare ad esercitare l'ufficio suo di Pastore, fino alla fine del tempo, e raccogliere i Gentili per completare la eredità che aveva comprata col proprio sangue.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:25; 15:9-10; 17:4-5,24-26; Isaia 42:1,21; 53:7-12; Ebrei 2:9

18 18. Niuno me la toglie, ma io da me stesso la dipongo; io ho podestà di deporla, ed ho altresì podestà di ripigliarla;

Proseguendo il soggetto introdotto in Giovanni 10:17, il Signore insiste quì sopra due punti:

1) che nel morire, come nel riprendere la vita del corpo, egli agiva in modo perfettamente volontario;

2) che così la morte sua come la sua risurrezione erano l'adempimento di una missione che egli aveva ricevuta dal Padre.

È impossibile esprimere più chiaramente che colle parole di questo versetto che Cristo morì per assoluta propria volontà. Egli parla come uno che sente di esser padrone della propria vita, "il che non può dirsi di nessuna creatura", e di poter per conseguenza darla o ritenerla a volontà. Quando giunse l'ora fissata dal Padre, allora il Salvatore volontariamente diede la sua vita: "Io da me stesso la dipongo". Fino a quell'ora dovevano rimanere vane così le congiure dei rettori e dei Farisei per farlo morire, come i tentativi della plebe per lapidarlo: "niuno me la toglie". Di più, come Dio uomo, Gesù era assolutamente santo e, senza peccato; la morte naturale non poteva dunque aver diritto alcuno sopra lui, imperocché la morte è il salario del peccato Romani 5:12; 6:23. In questo consiste la gloria del suo sacrificio, che esso è puramente volontario, egli non era in obbligo di morire. Si rifletta alle sue parole a Pilato Giovanni 19:11, e ai suoi discepoli, quando Giuda e la sua schiera vennero per arrestarlo Matteo 26:53; con quelle si confrontino i racconti ispirati della sua morte Giovanni 19:28-30; Luca 23:46. L'asserzione di avere il potere di riprendere la vita non è meno importante della precedente, perché contiene l'affermazione del suo diritto alla vita, non appena sarebbe raggiunto lo scopo della volontaria sua morte. Nella sua risurrezione dai morti, Il Signore non fu puramente passivo; non risuscitò solo in virtù della potenza di un altro; riprese vita per il proprio divino potere. È vero che altrove la risurrezione di Gesù è attribuita all'azione del Padre Atti 2:24; Romani 8:11; Efesini 1:19-20, e all'opera dello Spirito Romani 1:4; 1Pietro 3:18; ma in questo versetto ed in Giovanni 2:19, Gesù l'attribuisce pure a se medesimo. Le asserzioni contenute in quei vari passi non si contraddicono; tutte tendono alla medesima conclusione, che cioè la risurrezione del Signore, al pari di qualsiasi altra parte dell'opera sua mediatoria, fu un atto nel quale concorsero e cooperarono tutte e tre le persone della gloriosa Trinità.

questo comandamento ho ricevuto dal Padre mio.

Jacobus e Ryle riferiscono questa clausola a tutto quanto l'insegnamento da Gesù dato ai Giudei in questo capitolo, "cioè che egli era la porta, il buon pastore, la vita, il raccoglitore e il protettore della sua greggia", come essendo l'insegnamento che suo Padre avevagli ordinato di proclamare durante il suo ministero terreno. Ma i più fra i commentatori ne limitano il senso alla grande opera da Cristo annunziata nella prima parte di questo versetto, il potere cioè di metter la sua vita, per ripigliarla poi. La parola significa "commissione", o "mandato", non meno che comandamento, e questo ci pare il senso da darle in questo passo, poiché indica evidentemente la commissione che il Figlio aveva ricevuta dal Padre al momento della sua incarnazione, e che consisteva nel diritto di decidere liberamente, nel potere di dar la vita sua e di ripigliarla. Il linguaggio, del ver. 30 non lascia dubbio alcuno che "potere" del Padre è pur quella del Figlio, in tal modo però che il Padre sia sempre considerato come la causa assoluta delle opere del Figlio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 18:5-6; 19:11; Matteo 26:53-56

Giovanni 2:19-21; Isaia 53:10-12; Atti 2:24,32; 3:15; Filippesi 2:6-8; Tito 2:14

Ebrei 2:9,14-15

Giovanni 6:38; 14:31; 15:10; Salmi 40:6-8; Ebrei 5:6-9; 10:6-10

19 19. Perciò nacque di nuovo dissensione tra i Giudei, per queste parole 20. E molti di loro dicevano: Egli ha il demonio, ed è forsennato; perché l'ascoltate voi? 21. Altri dicevano: Queste parole non son d'un indemoniato: può il demonio aprir gli occhi dei ciechi?

Questa dissensione nacque fra quelli che, fino a quell'ora, erano stati ostili a Gesù. Già nella festa dei Tabernacoli, alcuni erano rimasti impressi dalla sua dottrina, e cominciavano a dubitar di essere dalla parte del torto; altri invece sostenevano con accanimento la loro opinione che egli era posseduto dal demonio, epperciò fuori di se, e immeritevole di venire ascoltato. "La luce e le tenebre si manifestano sempre più chiaramente, mediante la separazione di quelli che son docili al suo insegnamento, da quelli che persistono nei loro pregiudizi" (Brown). Questo passo ci dà a conoscere il senso dell'espressione "egli ha un demonio". "Qui la possessione demoniaca è associata colla follia, ed indica una specie particolare di insanità, che è probabilmente quella che noi chiamiamo fanatismo ma che vien qui attribuita ad una reale influenza spirituale che ne sarebbe stata la causa. Sembra però da doversi ritenere Giovanni 10:21, che la possessione di cui vien qui parlato non darebbe ad un uomo il potere di compiere dei miracoli" (Webster). Quelli che più non vedono in Gesù un indemoniato si fondano sopra due considerazioni:

1) Che le sue erano parole di sapienza, di verità e di senso retto, tali insomma da non permettere di dirlo posseduto dal demonio;

2) Che la possessione demoniaca non gli avrebbe mai dato il potere di aprire gli occhi ad un cieco.

"Era questo un miracolo troppo grande e benefico per venir fatto da un demonio, ma qui essi si fermano: dicono quello che egli non può essere; non vedono o non vogliono credere quello che egli deve essere" (Plummer).

PASSI PARALLELI

Giovanni 7:40-43; 9:16; Matteo 10:34-35; Luca 12:51-53; Atti 14:4; 23:7-10; 1Corinzi 3:3

1Corinzi 11:18

Giovanni 7:20; 8:48,52; Matteo 9:34; 10:25; Marco 3:21; Atti 26:24

Giovanni 7:46-52; 8:47; 9:28-29; Isaia 53:8; Atti 18:14-15; 25:19-20; 26:30-32

Giovanni 9:6,32; Esodo 4:11; 8:19; Salmi 94:9; 146:8; Proverbi 20:12; Isaia 35:5-6; Matteo 11:5

22 Giovanni 10:22-42. DISCORSO DI GESÙ ALLA FESTA DELLA DEDICAZIONE. I GIUDEI CERCANO DI NUOVO DI LAPIDARLO. EGLI SI RITIRA AL DI LÀ DEL GIORDANO

22. Or la festa della dedicazione si fece in Gerusalemme, ed era di verno.

Fra la festa dei tabernacoli nel mese di Tisri, "settembre", e quella della dedicazione nel mese di Kisleu, "novembre" correvano quasi due mesi e mezzo. Alcuni suppongono che il Signore dimorasse tutto questo tempo in Gerusalemme, altri che ritornasse in Galilea. Entrambe quelle teorie sono estremamente improbabili: la prima a motivo dell'odio crescente dei rettori e del loro partito contro a Gesù; la seconda perché Gesù avea terminato il suo ministerio in Galilea prima della festa dei tabernacoli. È molto più probabile che in questo intervallo il Signor abbia compiuto una parte del suo ministerio Penea, o lo abbia impiegato a predicare nei villaggi di Giuda Vedi Note Luca 9:51 in fine. La festa qui accennata nulla aveva che vedere con quella della dedica del tempio di Salomone, la celebrazione della quale coincideva colla festa dei tabernacoli, nel settimo mese 2Cronache 7:10; né con quella della dedica del tempio ricostruito da Zorobabele, che celebravasi verso la fine del mese di Adar, "febbraio". Fu Giuda Maccabeo che istituì questa festa nel nono mese "Kisleu", per rammemorare la sconfitta dei Siri "A.C. 164", la riedificazione dell'altare, e la purificazione del tempio, che Antioco Epifane, re di Siria, aveva contaminato, sacrificando una troia sull'altare, e, spargendone il sangue in tutto il santuario. Chiamavasi "hanuka" o "engkainia", e, come le tre grandi feste, durava otto giorni, ma non imponeva l'obbligo di salire in Gerusalemme 1Maccabei 4:56,59. È questa la sola allusione a questa festa che troviamo nelle scritture canoni che Flavio ci dice (Antiq.; Giudici Lib. 12, 7, 7) che veniva detta "festa dei lumi" per le grandi luminarie colle quali veniva celebrata. Le parole: "ed era di verno" dovrebbero far parte di Giovanni 10:23 poiché dànno la ragione per la quale il Signore passeggiava nel Portico di Salomone; l'autunno avanzato e la stagione delle "prime piogge" non permettendogli più di predicare ad aria aperta. La menzione dell'inverno conferma trattarsi qui della festa istituita da Giuda, Maccabeo, poiché quella, di Salomone ricorreva nel settimo mese, e quella di Zorobabele nel dodicesimo.

23 23. E Gesù passeggiava nel tempio, nel portico di Salomone

Questo porticato trovavasi nella parte orientale del recinto dell'Haram, o recinto del tempio, il quale da questo lato sorgeva a picco dalla valle di Giosafat, ed era detto di Salomone perché, secondo Flavio (Antiq.; Giudici 20, 9, 7), era la sola porzione del tempio primitivo lasciata in piedi da Nebucadnezar. Era uno di quei lunghi chiostri coperti, il cui tetto, da un lato almeno, veniva sorretto da colonne, ed alla cui ombra gli abitanti dei paesi caldi passeggiano così volentieri. In un luogo consimile usava radunarsi in Atene una scuola di filosofi, detti perciò Stoici, "da Stoa, portico" Il nostro Evangelista ne fa qui menzione forse perché gli era caro, non solo per essere stato frequentato dal suo Signore, ma perché quivi si riuniva, dopo l'ascensione di Gesù, la Chiesa primitiva di Gerusalemme Atti 3:11; 5:12, la quale per un tempo continuò a frequentare i servizi del tempio.

PASSI PARALLELI

Atti 3:11; 5:12

24 24. I Giudei adunque l'intorniarono, e gli dissero:

Qui pure "i Giudei" sono il partito ostile a Gesù. Si erano probabilmente dati la posta, per circondarlo in un momento in cui non avrebbe seco che pochi, oltre ai discepoli. "Il verbo circondarono descrive la persistente impazienza di questi Giudei" (Meyer).

Infino a quando terrai sospesa l'anima nostra? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente.

Pretendono di essere stati, fino a quel momento, nella impossibilità di scoprire dalle sue parole, chi egli dicesse di essere. Si lagnano di essere stati da lui tenuti in uno stato di eccitamento e di sospensione, ora sperando, ora disperando di veder realizzati in lui i loro sogni ambiziosi; e dichiarano che un tale stato di cose non deve durare più a lungo. Domandano che si dichiari apertamente, e si mostrano risoluti a non lasciarlo andare, se prima non avrà pronunziato la parola decisiva, che deve coronare le loro speranze, o mettere un termine alla loro aspettazione.

PASSI PARALLELI

1Re 18:21; Matteo 11:3; Luca 3:15

Giovanni 1:19; 8:25,53; 9:22; Luca 22:67-70; 2Corinzi 3:12

25 25. Gesù rispose loro: io ve L'ho detto, e voi noi credete;

Gesù dà ai Giudei una risposta indiretta, e non avrebbe potuto far diversamente. Il falso concetto che essi si erano fatto dell'opera del Messia più non permetteva al Signore di pronunziarne pure il nome dinanzi a loro. Se avesse detto loro chiaramente di essere il Messia, avrebbero ricevuto quelle sue parole come una dichiarazione che egli voleva venir ricevuto qual principe temporale, e d'altra parte non poteva dir di non esserlo senza andare incontro alla verità. Egli era il Messia dell'Antico Testamento, non già il Messia dei Farisei. Si era dato a conoscere come Messia ai propri discepoli, alla donna di Samaria, al cieco nato cui aveva dato la vista Matteo 16:16-17; Giovanni 4:25-26; 9:35-37; ma rimanda quelli che gli fanno ora questa domanda alle sue dichiarazioni anteriori, qual prova di quanto aveva detto, in Giovanni 5:19-30; 7:37-38; 8:12,24-25,35-36,42.

le opere, che io fo nel nome del Padre mio, son quelle che testimoniano di me.

Le sue opere, compiute per ordine di suo Padre, rendevano testimonianza della giustizia delle sue pretese, non meno chiaramente delle sue parole; ad esse adunque egli rimanda i Giudei, non solo come parte della propria testimonianza resa a se stesso, ma pure come essendo la testimonianza di suo Padre, la quale non sarebbe mai stata concessa ad un impostore. "Quelli che parlano leggermente dei miracoli, e li deridono, sembrano scordare che la Bibbia li considera come dei testimoni di gran valore. Questo invero era il loro grande oggetto. Non erano intesi tanto a convertire la gente, come a provare che chi li compieva veniva da Dio, e si doveva ascoltare" (Ryle).

PASSI PARALLELI

Giovanni 5:17-43; 8:12,24,58

Giovanni 10:32,38; 3:2; 5:36; 7:31; 11:47; 12:37; 14:11; 20:30; Atti 2:22; 10:38

Ebrei 2:3

26 26. Ma voi non credete, perciocché non siete delle mie pecore, come io vi ho detto.

Il Signore li rimanda all'allegoria del buon pastore, Vedi più su Giovanni 10:1-14, che egli avea pronunziata nell'ultima sua visita in Gerusalemme, alla festa dei tabernacoli. In essa trovasi la spiegazione della incredulità del partito farisaico. Le vere pecore conoscono la voce del loro pastore, si affidano a lui, epperciò lo seguitano; ma quelle che non sono della sua greggia fuggono da lui, perché non conoscono la sua voce. Tali eran quelli coi quali parlava in quel momento il Signore; non erano del numero delle sue pecore, e lo provava il fatto che non credevano a lui. Benché non troviamo nella similitudine del buon pastore le identiche parole di questo versetto, Gesù non sbaglia dicendo: "come io vi ho detto"; poiché in quella egli aveva segnato una linea molto chiara di demarcazione fra quelle pecore che odono la sua voce e le altre; e di più la sostanza di questo verso si trova già in Giovanni 8:47, senza contare che Gesù spesso aveva rivendicato per se medesimo tutti i simboli messianici dell'Antico Testamento. Queste parole: "come vi ho detto", benché rigettate da alcuni, si trovano in dodici manoscritti, e nel maggior numero delle versioni antiche, e ciò basta a dimostrarle autentiche.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:4,27; 6:37,44-45,65; 8:47; 12:37-40; Romani 11:7-8; 2Corinzi 4:3-4; 1Giovanni 4:6

27 27. Le mie pecore ascoltano la mia voce, ed io le conosco, ed esse mi seguitano

Vedi ver. Giovanni 10:3-4. Avendo dichiarato, in Giovanni 10:26, che quelli che gli avevano fatto quella domanda non erano delle sue pecore, il Signore descrive nuovamente il carattere di coloro che sono veramente degni di tal nome. Ne dà tre caratteri essenziali: "ascoltano la mia voce"; "io li conosco", ed "essi mi seguitano", e questo egli fa per passar quindi ad enumerare i privilegi più alti ai medesimi concessi, e dei quali non aveva parlato ancora.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:4,8,16; 5:25; 8:43; Matteo 17:5; Atti 3:23; Ebrei 3:7; Apocalisse 3:20

Giovanni 10:3,14; Matteo 7:23; 25:12; Luca 13:27; 1Corinzi 8:3; Galati 4:9; 2Timoteo 2:19

Giovanni 10:4; 8:12; 12:26; 21:22; 1Re 18:21; Matteo 16:24; Marco 8:34; 10:21; Luca 9:23

Apocalisse 14:4

28 28. Ed io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e niuno le rapirà di man mia.

Il primo e il più importante di tali privilegi la vita eterna, che Gesù concede ai suoi, non appena hanno creduto in lui. Una tal verità egli l'aveva già proclamata con sufficiente chiarezza Giovanni 5:24; 6:37,40; la ripete qui per convincere tutti che quel dono della. vita eterna non è un dono che i credenti debbano sperare ed aspettare, finché non li colga la morte; bensì un dono di cui vengono messi in possesso fino dal momento in cui hanno creduto. Gesù non avrebbe potuto proclamarsi più chiaramente Dio, uguale al Padre, che col dire: "Io do loro la vita eterna". Un altro privilegio qui annunziato è le sicurezza e la perseveranza dei santi la certezza che non verranno mai più rigettati, qualunque sieno per essere i pericoli e le tentazioni da cui verranno assediati, perché Cristo li guarda "come la pupilla dell'occhio suo". Il ladro o il lupo possono rapire una pecora ad un pastore terreno; ma il Buon Pastore possiede una potenza ed una vigilanza infinite; né Satana, né alcun altro avversario può rapire dalla mano sua un solo suo redento. Di fronte ad una tale dichiarazione del Salvatore stesso, è difficile comprendere come gli Arminiani possano mettere in dubbio la perpetuità della grazia nei credenti, e sostenere che chi è stato unito con Cristo, mediante la fede, può ancora tornare indietro, e andar perduto per sempre. Lasciando da parte molti altri passi, crediamo che i tre seguenti: Giovanni 10:28; Filippesi 1:6; 1Pietro 1:5 formano "il cordone a tre fili" che "non si rompe prestamente" Ecclesiaste 4:12, in favore della perseveranza finale dei santi.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:16,36; 5:39-40; 6:27,40,47,68; 11:25; 17:2; Romani 5:21; 6:23; 1Timoteo 1:16

1Giovanni 2:25; 5:13-20; Giuda 21

Giovanni 3:15; 4:14; 5:24; 6:37,39-40; 14:19; 17:12; 18:9; 1Samuele 2:9; Giobbe 17:9

Salmi 37:28; 103:17-18; 125:1-2; Proverbi 4:18; 24:16; Isaia 45:17; 54:17; 55:3

Geremia 31:3,34; 32:40; Marco 13:22; Romani 5:2,9,17; 8:1,29,33-39; Filippesi 1:6

Colossesi 3:3-4; 2Tessalonicesi 2:13; 1Pietro 1:5; Ebrei 7:25; 1Giovanni 2:19; 5:13,18; Giuda 1,24

Giovanni 17:11-12; Deuteronomio 33:3; Salmi 31:5; Luca 22:31-32; 23:46; Atti 7:59; 2Timoteo 1:12

Ebrei 7:25

29 29. Il Padre mio, che me le ha date, è maggior di tutti; e niuno le può rapire di man del Padre mio. 30. Io e il Padre siamo una stessa cosa.

Lo scopo di Cristo in questi versetti è di stabilire nel modo più indubitabile che far si possa la sicurezza eterna dei suoi. A questo fine egli s'innalza ad un livello sempre più alto. Abbiamo qui una gradazione che comincia colle parole: "io do loro la vita eterna", e termina coll'asserzione importantissima di Giovanni 10:30. "Alla prima garanzia della sicurtà del credente, che cioè e li appartiene, qual pecora, al Signor Gesù Giovanni 10:28, il Signore ne aggiunge qui una seconda, fondata sul fatto che il suo diritto di proprietà è diviso con Dio medesimo, il quale, essendo onnipotente, saprà sempre mantenerlo tenerlo. Da quel pensiero il Signor Gesù si alza ad un altro più elevato ancora, cioè a quello della unità sostanziale, in virtù della quale ogni cosa è comune al Padre ed al Figlio" (Godet). V'ha nel in Giovanni 10:29 una differenza di lezioni, che indica che il testo divenne molto presto incerto: invece delle parole del testo ricevuto, il codice Alessandrino porta e questo cambierebbe il senso da: "Il Padre mio che me le ha date è maggior di tutti", in: "quello che il Padre mi ha dato è maggior di tutti"; ma la grande maggioranza delle prove sta in favore del testo ordinario. L'unità che Cristo dichiara in Giovanni 10:30 esistere fra lui ed il Padre, non è solo unità di intendimento e di volere, bensì unità di potenza e di proprietà, procedente dalla unità di essenza. V'ha contraddizione apparente, fra l'asserzione che le pecore sono state date al Figlio dal Padre, e l'altra secondo la quale esse continuano ad esser proprietà del Padre, come se non fossero mai state date. In Giovanni 10:30, Gesù la dissipa colle parole: "Io e il Padre siamo una stessa cosa. "Abbiamo ogni cosa in comune, epperciò le pecore datemi da lui continuan sue". Ed anche concesso che l'unità di essenza non venga qui proclamata in termini precisi quella verità è pur sempre la base di quanto Cristo afferma, poiché senza di essa le sue parole non sarebbero vere. Così l'intesero i Giudei cui egli parlava Giovanni 10:31, e lo confermano la dichiarazione più completa di Giovanni 10:38, l'analogia di Giovanni 5:1-47 e certe espressioni parallele di Giovanni 17:1-26. Agostino osserva che questo testo basta da solo a rovesciare le eresie dei Sabelliani e degli Ariani al tempo stesso. La parola "siamo" indica due persone, epperciò fa tacere i Sabelliani, i quali pretendono che v'ha una sola persona nella divinità; ma non sono meno obbligati al silenzio gli Ariani, poiché è qui dichiarato che il Padre e il Figlio sono una stessa cosa.

PASSI PARALLELI

Giovanni 6:37; 17:2,6,9,11

Giovanni 14:28; Esodo 18:11; Salmi 145:3; Daniele 4:3; Malachia 1:14

Giovanni 1:1-2; 5:17,23; 8:58; 14:9,23; 16:15; 17:10,21; Matteo 11:27; 28:19

1Timoteo 3:16; Tito 2:13; 1Giovanni 5:7,20

31 31. Perciò i Giudei levarono di nuovo delle pietre, per lapidarlo.

"Nelle parole che Gesù aveva pure allora pronunziate, i Giudei, per quanto fossero ciechi, avean visto assai più di quanto vi sappiano scorgere gli anti trinitarii dei giorni nostri" (Jacobus). Lo consideravano come un semplice uomo, e nulla più; ma dalle sue parole intesero chiaramente che si faceva Dio; epperciò, come già in altre consimili occasioni Giovanni 5:18; 8:58-59, cercarono di farlo morire come bestemmiatore Levitico 24:10-16. Il verbo significa ordinariamente portare; ma in questo caso il senso deve essere: presero delle pietre, e le tennero in mano, pronti a lapidarlo, allorquando li fermò la sua domanda del versetto seguente.

PASSI PARALLELI

Giovanni 5:18; 8:59; 11:8; Esodo 17:4; 1Samuele 30:6; Matteo 21:35; 23:35; Atti 7:52,58-59

32 32. Gesù rispose loro: io vi ho fatte veder molte buone opere, procedenti dal Padre mio:

Le opere di cui egli parla qui opere moralmente belle, nobili, eccellenti non sono solamente i suoi miracoli, ma tutte quelle opere di benivoglienza che Pietro riunisce nelle parole: "andò attorno facendo benefizi" Atti 10:38. Quell'opere egli le dichiara procedute dal Padre, per rispondere all'accusa di assumere le divine prerogative senza avervi diritto.

per quale di esse mi lapidate voi?

La traduzione letterale sarebbe: per qual maniera di opera fra tutte queste? ecc. ossia: "qual'è il carattere dell'opera per la quale state per lapidarmi?" Molti scrittori trovano a questa domanda l'accento dell'ironia; ma se anche così fosse, all'ironia va congiunto un rammarico profondo, simile a quello cui Gesù altre volte diede espressione, parlando di Chorazin e di Betsaida Matteo 11:21. "È egli così che ringraziate il vostro medico, il vostro benefattore, o gente stolta ed infatuata?" (Stier)

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:25,37; 5:19-20,36; Matteo 11:5; Atti 2:22; 10:38

1Samuele 19:4-6; 2Cronache 24:20-22; Salmi 35:12; 109:4-5; Ecclesiaste 4:4; 1Giovanni 3:12

33 33. I Giudei gli risposero, dicendo: Noi non ti lapidiamo per alcuna buona opera, anzi per bestemmia perciocché tu, essendo uomo, ti fai Dio.

Questa risposta mostra in modo non dubbio quale impressione le parole di Gesù di Giovanni 10:30 avessero prodotta sui suoi uditori. Si dichiarano pronti a lapidarlo, non per alcuna buona opera che avesse fatta, ma per bestemmia, avendo egli mero uomo agli occhi loro recato offesa alla gloria di Dio, col proclamarsi uguale a Lui, delitto che la loro legge puniva colla lapidazione Levitico 24:13-16. I moderni Ariani e Sociniani, i quali professano che Cristo è Figlio di Dio solo nel senso in cui son tali i credenti, benché in grado più elevato, farebbero bene di meditare questo versetto. Confr. Giovanni 5:18; 8:59.

PASSI PARALLELI

Levitico 24:14; 1Re 21:10

Giovanni 10:30; 5:18; Salmi 82:6; Romani 13:1; Filippesi 2:6

34 34. Gesù rispose loro: Non è egli scritto nella vostra legge: io ho detto: Voi siete dii?

La legge qui significa tutte le scritture dell'Antico Testamento, compresi i Salmi e i profeti, non meno che gli scritti di Mosè. Questa citazione è presa da Salmi 82:6, dove l'Onnipotente parla ai giudici ed ai magistrati d'Israele, ai quali, quando furono istituiti per la prima volta, egli aveva dato il nome di dii, "elohim", quali rappresentanti della sua autorità in mezzo al popolo. Ed invero in Esodo 21:6; 22:8, invece delle parole "giudici" e "rettori" impiegate da Diodati, l'ebraico ha Elohim, o il suo equivalente Adonai; e in Salmi 82:6, l'Onnipotente "il vero Elohim", vien rappresentato quale colui che giudica gli elohim suoi rappresentanti, ossia i giudici d'Israele, rimprovera loro la mancanza di integrità, e dichiara che, quantunque li avesse chiamati dii, a motivo dell'ufficio divino cui erano stati assunti cadrebbe su di essi il castigo delle loro offese, ed essi morrebbero, come qualunque altro figlio d'Adamo. "L'accusa dei Giudei", dice Westcott, "era basata sopra una falsa nozione dell'unità di Dio, derivata dall'Antico Testamento, e che essi credono violata, perché Gesù, vero uomo, proclamavasi uno con Dio. Fu forse per correggere quella falsa nozione, causa prima dell'accusa di bestemmia portata contro di lui, che il Signore cita questo passo della Scrittura, affin di mostrare che già nell'Antico Testamento si preparava la via a quella unione di Dio e dell'uomo, che egli era venuto a completare".

PASSI PARALLELI

Giovanni 12:34; 15:25; Romani 3:10-19

Salmi 82:1,6-7

Esodo 4:16; 7:1; 22:28; Salmi 138:1

35 35. Se chiama dii coloro al quali la parola di Dio è stata indirizzata e la scrittura non può essere annullata 36. Dite voi che io, il quale il Padre ha santificato ed ha mandato nel mondo, bestemmio perciocché ho detto: io son Figliuolo di Dio?

V'ha in questi versetti una doppia antitesi, seguita da un paragone. La prima antitesi è fra gli uomini peccatori e degni di condanna, che l'Onnipotente chiama dii Salmi 82:1-8, a motivo dell'autorità di giudicare loro officialmente conferita quali suoi rappresentanti in mezzo ai loro simili, e Gesù il quale proclama il suo diritto al titolo di Figliuol di Dio perché è "uno col Padre", e perché fu designato come tale dal Padre medesimo, fin dal principio del suo ministero terreno Matteo 3:17. Riceviamo con attenzione e rispetto l'osservazione che fece Cristo, passando, relativamente alla scrittura, sia che la si voglia applicar solamente a quel passo dei Salmi, sia che la si debba intendere, com'è più probabile, di tutte le scritture dell'Antico Testamento. Essa prova che i termini nei quali Iddio fece la sua rivelazione all'uomo erano dal Signore ritenuti come divinamente ispirati; che la forma della scrittura al pari della sostanza di essa venne data per ispirazione di Dio, imperocché questo argomento di Cristo è fondato sopra l'espressione particolare adottata dallo scrittore sacro, ed è di una tal parola che egli dice: "La scrittura non può essere annullata". La seconda antitesi contenuta in questi versetti è quella che esiste fra Gesù e i giudici d'Israele, riguardo al modo in cui vennero scelti per gli uffici ad essi rispettivamente affidati. Quelli che venivano chiamati dii, in virtù della loro posizione ufficiale di giudici, non erano stati messi da parte mediante una diretta comunicazione da Dio, bensì mediante la voce di un profeta, o per l'unzione. Gesù descrive la loro chiamata all'ufficio che dovevano esercitare, col dire: "Coloro ai quali la parola di Dio venne"; il che è la formula ben nota colla quale la Bibbia esprime il mandato divino, conferito a meri uomini, anche nel caso dei più distinti profeti, come per esempio Giovanni Battista Luca 3:2. Quella formula non si trova mai applicata a Cristo; anzi, di lui vien detto: "il quale il Padre ha santificato ed ha mandato nel mondo". Le parole: "ha santificato" non vanno prese nel loro senso letterale di "far santo", come quando son dette dell'uomo; imperocché questa santificazione avvenne prima che il Figlio assumesse la nostra natura, prima che "fosse mandato nel mondo". Esse significano che da ogni eternità egli era stato messo da parte per un ufficio determinato, e descrivono quello che accadde nei consigli della divinità, prima della creazione del mondo, allorquando, preparandosi il piano della salvezza da eseguirsi nel compimento dei tempi, il Padre consacrò e mise da parte il Figlio per compier l'opera di Messia. La frase: "ha mandato nel mondo" può intendersi della incarnazione del Figlio di Dio Galati 4:4, o della missione di redimere l'umanità affidatagli dal Padre, prima ancora che principiasse la sua vita terrena. Preferiamo la prima di queste due spiegazioni; ma in qualunque senso si prendano queste parole, esse insegnano che colui che le pronunziò esisteva prima di venir mandato nel mondo. Egli non divenne Figliuol di Dio quando nacque in Betleem; era tale da ogni eternità! Finalmente v'ha, in questi versetti, fra Gesù e i giudici d'Israele un paragone che avrebbe dovuto condurre ogni uomo spregiudicato e di retto pensare alla conclusione che Gesù non bestemmiava chiamandosi Figliuol di Dio.

2 un argomento a fortiori e ad hominem al tempo stesso. Poiché, secondo la Scrittura, non era bestemmia il chiamar dii semplici uomini cui era stato concesso il privilegio di recare un messaggio divino, o di adempiere a qualche divino ufficio, come poteva mai venir accusato di bestemmia, per chiamarsi Figlio di Dio, colui che non apparteneva punto alla terra, ma al quale nello stesso libro dei Salmi Salmi 2:7,12, Dio medesimo aveva dichiarato: "Tu sei il mio Figliuolo", e di cui, per proclamarlo meritevole degli omaggi dell'universo intero, egli aveva soggiunto: "baciate il Figliuolo, che talora egli non si adiri, e che voi non periate nella vostra via?" il Signore non aveva detto, in altrettante parole, nel precedente discorso, di essere il Figliuol di Dio; bensì aveva detto l'equivalente, quando, parlando delle pecore come proprietà inalienabile di suo Padre, avea soggiunto: "Io e il Padre siamo una stessa cosa".

PASSI PARALLELI

Genesi 15:1; Deuteronomio 18:15,18-20; 1Samuele 14:36-37; 15:1; 23:9-11; 28:6; 30:8

2Samuele 7:5; 1Cronache 22:8; 2Cronache 11:2-3; 19:2; Romani 13:1

Giovanni 12:38-39; 19:28,36-37; Matteo 5:18; 24:35; 26:53-56; 27:35; Luca 16:17

Luca 24:26-27,44-46; Atti 1:16

Giovanni 3:34; 6:27; Salmi 2:2,6-12; Isaia 11:2-5; 42:1,3; 49:1-3,6-8; 55:4

Isaia 61:1-3; Geremia 1:5

Giovanni 3:17; 5:30,36-37; 6:38,57; 8:42; 17:4-5,8,18,21; Romani 8:3; Galati 4:4

1Giovanni 4:9-14

Giovanni 30-33; 5:17-18; 9:35-37; 19:7; 20:28,31; Matteo 26:63-66; 27:43,54

Luca 1:35; Romani 1:4; 9:5

37 37. Se io non fo le opere del Padre mio, non crediatemi. 38. Ma s'io le fo, benché non crediate a me, credete alle opere, acciocché conosciate e crediate che il Padre è in me e ch'io sono in lui.

Il senso di questi versetti è: "Anziché accusarmi ciecamente e senza ragione di bestemmia, perché mi dico Figliuol di Dio, prendete le opere da me compiute opere che il Padre compie per mezzo mio qual criterio del mio carattere e dei miei diritti". I suoi uditori avrebbero dovuto credere ai suoi insegnamenti; non volendo essi ciò fare, egli si fonda sulle sue opere, miracolose. Dio santo e verace non testimonierà mai a favore di un impostore, dandogli la facoltà di far miracoli; se dunque le opere di Gesù fossero state indegne di Dio, di cui egli si pretendeva Figliuolo avrebbero avuto ragione di non credere in lui. Ma se, per contro, nell'opere sue manifestavasi la potenza di Dio, se erano opere superiori alle forze di qualunque mortale, ad onta di tutti i loro pregiudizi, e per quanto fossero contrari a riconoscere come Messia un uomo così umile e così poco stimato, egli li dice obbligati ad arrendersi alla evidenza delle opere sue, affinché, mediante quelle, possano venir condotti a conoscerlo e ad accettarlo come della essenza stessa del Padre, a persuadersi che "il Padre è in lui ed egli nel Padre", e che, nel dirsi Figliuol di Dio, egli non pronunzia bestemmia.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:2; 5:36; Atti 2:22; 4:8-12

Giovanni 10:30; 14:9-11,20; 17:11,21-23

39 39. Essi adunque di nuovo cercavano di pigliarlo; ma egli uscì delle lor mani.

Le ultime parole di Giovanni 10:38 significano in sostanza lo stesso che quelle di Giovanni 10:30 e ben lo capirono i suoi uditori, poiché subito si accinsero ad eseguire contro di lui il loro progetto di prima. Niente in questo versetto ci autorizza a credere che la partenza di Gesù fosse miracolosa. Mentre i più facinorosi consultavano fra di loro sul modo migliore di metter le mani sopra lui senza eccitare un tumulto Gesù si allontanò tranquillamente, perdendosi fra la folla di coloro che gli erano meno avversi, e così uscì dal tempio Giovanni 8:59; Luca 4:30.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:31; 7:30,44; 8:59; Luca 4:29-30

40 40. E se ne andò di nuovo di là dal Giordano, al luogo ove Giovanni prima battezzava; e quivi dimorò

Quel luogo era Betabara, "o Betania", Vedi Nota Giovanni 1:28, e il suo ritorno ivi conferma la probabilità che la visita di Gesù in Gerusalemme alla festa della dedicazione Giovanni 10:32, non fu che un breve intermedio del suo ministerio nella Perea.

PASSI PARALLELI

Giovanni 1:28; 3:26

Giovanni 7:1; 11:54

41 41. E molti vennero a lui,

V'ha qui un doppio contrasto fra la quiete di quel villaggio trans giordanico e l'eccitazione incessante di Gerusalemme; nonché fra l'odio fanatico degli abitanti della capitale verso Gesù, e la disposizione della gente di campagna ad udire le sue istruzioni. È probabile che il ricordo del ministero del Battista spinse molti, che avevano creduto in lui, ad accorrere ai piedi di colui che egli aveva additato come "l'Agnello di Dio".

e dicevano: Giovanni certo non fece alcun miracolo; ma pure tutte le cose che Giovanni disse di costui eran vere. 42. E quivi molti credettero in lui.

Benché il Battista fosse morto, la testimonianza che egli avea resa a colui di cui non si proclamava "degno di sciogliere il correggiuol delle scarpe" non era dimenticata. "Dopo esser morto, parlava ancora, e quelli che ricordavano le sue parole confessavano che, quantunque egli non avesse fatto nessun miracolo, era stato vero profeta, poiché tutto quello da lui detto riguardo a Gesù erasi avverato. In forza di questo convincimento, essi accettavano Gesù medesimo come Figliuol di Dio. "Quando gli uomini vengono a Gesù e imparano a conoscerlo a salute, presto si accorgono che quanto la scrittura dice di lui è vero, ed è grandemente sorpassato dalla realtà" (Jacobus).

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:26; Matteo 4:23-25; Marco 1:37; Luca 5:1; 12:1

Matteo 14:2; Luca 7:26-28

Giovanni 1:29,33-34; 3:29-36; Matteo 3:11-12; Luca 7:29-30

Giovanni 2:23; 4:39,41; 8:30; 11:45; 12:42

RIFLESSIONI

1. Nell'allegoria colla quale principia questo capitolo, e che fu ispirata al Signore dall'ira dei Farisei perché non li voleva riconoscere, come di diritto, per maestri in Israele, ed anzi, affermando il proprio diritto ad insegnare, aveva insinuato esser dessi delle "guide cieche" Matteo 23:16; Giovanni 9:39-41, troviamo una pittura molto vivace di ogni falso maestro in religione. Esso "non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale altronde". La porta non può essere una mera vocazione ed ordinazione esterna, poiché tali cose non mancavano a quelli che facevan guerra a Gesù. Molti sacerdoti potevano far risalire la loro genealogia fino ad Aaronne medesimo, nella cui famiglia il sacerdozio era ereditario; ma ad onta di ciò, non erano probabilmente mai entrati "per la porta"; eran dunque "rubatori e ladroni". Il vero senso di questa allegoria ci vien rivelato da Cristo, laddove egli dice di se: "Io sono la porta". Il vero pastore delle anime, ai di nostri, è colui che segue più da vicino l'esempio di Cristo colui che entra nel ministerio coll'unico scopo di glorificare Cristo, facendo ogni cosa mediante la forza ricevuta da lui colui che predica la sua dottrina, e cerca di condurre le anime a lui solo. Il falso pastore è colui che entra nel ministero, dandosi poco o punto pensiero della responsabilità di tale ufficio, ma per motivi mondani ed egoisti, e non già per il desiderio di esaltare Gesù e la grande salvezza che è in lui. Il consacrare degli uomini per l'ufficio del suo ministerio è parte dell'ordine divinamente stabilito per la Chiesa di Cristo, è chiaramente rivelato nel Nuovo Testamento; ma oimè, vi sono migliaia di uomini che hanno ricevuto la consacrazione per il ministerio, benché conoscano Cristo solo di nome. Costoro non sono mai entrati per la porta essi stessi, né saprebbero per conseguenza condurvi altri. Son tali uomini che Gesù qui chiama: "rubatori e ladroni"; ed è contro di essi pure che Giovanni mette in guardia la greggia, del Signore, esortandoci a "provare gli spiriti" 1Giovanni 4:1.

2. Havvi quasi in ogni vero credente un istinto spirituale che lo rende capace di distinguere fra la vera e la falsa dottrina. Quando ode esporre un errore, v'ha qualcosa in lui che dice: "Ciò non è vero"; e quando egli ode la verità quale è in Gesù, una voce nel cuor suo risponde: "Questo è vero". "L'uomo inondano e spensierato non fa differenza fra ministro e ministro, fra sermone e sermone; ma la più umile fra le pecore di Cristo, in generale, discerne subito le cose che si allontanano dal vero, quantunque non sia forse sempre capace di dirne il perché" (Ryle).

3. La suprema eccellenza del buon pastore si è "ch'egli mette la sua vita per le sue pecore". Giacobbe fa un pastore fedele: "il caldo mi consumava di giorno, e di notte il gelo, e il sonno mi fuggiva dagli occhi" Genesi 31:40. Non meno fedele fu Davide. Una volta un leone, un'altra volta un orso rapirono una pecora della sua greggia, ed egli attaccò le belve, e riscosse le pecore 1Samuele 17:34-35. Ma che sono anche tali pastori in paragone di Cristo! Egli ha messo la vita sua per le sue pecore. Le pecore erano condannate a morte; la sentenza era sospesa sul loro capo; stavano per venir precipitate nell'inferno, allorquando egli gridò: "Ecco, io vengo!" Egli ha messo la vita sua per le pecore.

4. I vers. Giovanni 10:28-29 sono per noi "a guisa d'ancora sicura e ferma dell'anima" Ebrei 6:19, e dovrebbero preservare tutti i veri credenti dalla sfiducia e dallo sgomento, qualunque sieno le prove sotto le quali abbiano a trovarsi. Essi insegnano che chiunque crede vien subito ed al momento attuale messo in possesso della vita eterna. Non si tratta per lui di sperare una grazia non ancora avvenuta, bensì di godere di una grazia già concessa. La vita eterna non è la conquista di lunghe ed ardue opere meritorie fatte dall'uomo; è il dono gratuito di Gesù, il quale egli ci dà, dopo averlo comprato mediante la propria morte espiatoria. La nostra sicurezza qualunque sieno gli sforzi dei nostri nemici per rovinarci è fondata sulla promessa e sulla potenza di Colui che è Dio sopra tutti. Non periremo, perché niuno è così potente da rapirci dalle sue mani o da quelle del Padre suo, del quale pure noi siamo la inalienabile proprietà.

5. La dottrina della perseveranza dei santi, finché non giungano alla gloria, o in altre parole, la gran verità che i veri credenti in Gesù non ricadranno mai più nella perdizione durante il loro terrestre pellegrinaggio, viene affermata nel modo più chiaro dal Signore in questo passo, ed è parimenti insegnata in molti altri passi delle Sacre Scritture. È una dottrina molto combattuta ed odiata dal mondo; ma le parole di questo testo, prese nel loro senso diretto e letterale, non possono venire diversamente interpretate. Il carattere di quelli che son destinati a non perire mai più vien qui descritto con somma accuratezza e lucidità. Essi son quelli che "odono la voce di Cristo e lo seguitano, i quali soli sono le sue pecore, e le sue pecore sole son quelle che non andranno mai più in perdizione. Ciò che vien qui promesso è la perseveranza dei santi, non dei malvagi, e nemmanco degli indifferenti. Chi si vanta di non temere la perdizione, e vive tuttora nel peccato, inganna miseramente se stesso. Senza dubbio, si può fare un uso cattivo di questa dottrina, come di ogni buona cosa; ma per il credente umile e contrito, il quale ripone per sempre la sua fiducia in Gesù, essa è una delle più gloriose e delle più consolanti verità dell'Evangelo" (Ryle).

6. "A misura che cresce la malizia dei suoi nemici, sembran crescere pure la benignità e la grazia colla quale Gesù parla ai suoi, quasiché il vedersi abbandonato dal partito che si schiera contro di lui gli rendesse più cara la piccola schiera dei suoi fedeli, facesse scaturire più vivace dal cuor suo l'amor suo per essi, e lo spingesse a rivelar loro sempre più, appieno il consiglio e i piani della misericordia divina per la loro salvezza. A misura pure che i suoi nemici si sforzano di abbassarlo, lo vediamo innalzassi nell'affermazione della propria autorità e del proprio potere" (Brown).

42 53. Da quel giorno adunque presero insieme consiglio d'ucciderlo.

La proposta del sommo sacerdote la vinse, e prima di separarsi in quel giorno, il Sinedrio aveva virtualmente, se non in realtà, pronunziato sentenza di morte contro Gesù. Non ci vien detto che fosse pronunziata una sentenza formale; ma, considerando la cosa come fatta, i rettori si occupano da ora in poi a cercare il modo migliore di metterla in esecuzione. Da quel momento viene organizzata una cospirazione permanente contro la vita di Gesù, e, per dirla con Lange, le conferenze giornaliere dei suoi nemici formarono una "società per l'assassinio del Messia". Giovanni segna accuratamente e ad ogni passo la crescenza della ostilità dei Giudei contro il Signore Giovanni 5:16; 7:1,32,45; 8:59; 9:22; 10:39.

PASSI PARALLELI

Nehemia 4:16; 13:21; Salmi 113:2; Matteo 16:21; 22:46

Giovanni 11:47; Salmi 2:2; 31:13; 71:10; Marco 3:6; Atti 5:33; 9:23

Giovanni 12:10; Salmi 109:4-5; Geremia 38:4,15; Matteo 26:59; Marco 14:1

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