Commentario abbreviato:

Giovanni 19

1 Capitolo 19

Cristo condannato e crocifisso Gv 19:1-18

Cristo sulla croce Gv 19:19-30

Il suo fianco trafitto Gv 19:31-37

La sepoltura di Gesù Gv 19:38-42

Versetti 1-18

Pilato non pensava con quale sacro riguardo le sofferenze di Cristo sarebbero state considerate e raccontate, in tempi successivi, dai migliori e più grandi uomini. Nostro Signore Gesù si presentò, disposto ad essere esposto al loro disprezzo. È bene che ogni persona di fede veda Cristo Gesù nelle sue sofferenze. Guardatelo e amatelo; guardate ancora a Gesù. Il loro odio ha forse acuito i loro sforzi contro di lui? E il nostro amore per lui non deve forse accelerare i nostri sforzi per lui e per il suo regno? Sembra che Pilato abbia pensato che Gesù potesse essere una persona al di sopra dell'ordine comune. Anche la coscienza naturale fa sì che gli uomini abbiano paura di essere trovati a combattere contro Dio. Poiché nostro Signore ha sofferto per i peccati sia dei Giudei che dei Gentili, era parte speciale del consiglio della Sapienza divina che i Giudei dovessero prima progettare la sua morte, e i Gentili portare a compimento tale proposito. Se Cristo non fosse stato così respinto dagli uomini, noi saremmo stati per sempre respinti da Dio. Ora il Figlio dell'uomo è stato consegnato nelle mani di uomini malvagi e irragionevoli. È stato condotto per noi, affinché potessimo fuggire. Fu inchiodato alla croce, come un sacrificio legato all'altare. La Scrittura si è adempiuta: non è morto sull'altare tra i sacrifici, ma tra i criminali immolati alla giustizia pubblica. E ora fermiamoci e guardiamo con fede a Gesù. C'è mai stato un dolore simile al suo? Vedetelo sanguinare, vedetelo morire, vedetelo e amatelo! Amatelo e vivete per lui!

19 Versetti 19-30

Qui ci sono alcune circostanze notevoli della morte di Gesù, raccontate in modo più completo di prima. Pilato non volle compiacere i capi dei sacerdoti permettendo che la scrittura venisse alterata; ciò fu senza dubbio dovuto a un segreto potere di Dio sul suo cuore, affinché questa dichiarazione del carattere e dell'autorità di nostro Signore continuasse. Molte cose fatte dai soldati romani erano l'adempimento delle profezie dell'Antico Testamento. Tutte le cose scritte in esse si adempiranno. Cristo provvide teneramente a sua madre alla sua morte. A volte, quando Dio ci toglie un conforto, ce ne suscita un altro, dove non lo cercavamo. L'esempio di Cristo insegna a tutti gli uomini a onorare i genitori in vita e in morte, a provvedere alle loro necessità e a promuovere il loro benessere con ogni mezzo in loro potere. Osservate soprattutto la parola con cui Gesù ha spento la sua anima. È finito, cioè i consigli del Padre riguardo alle sue sofferenze erano ormai compiuti. È finito: tutti i tipi e le profezie dell'Antico Testamento, che indicavano le sofferenze del Messia, si sono compiuti. È finita; la legge cerimoniale è stata abolita; la sostanza è arrivata e tutte le ombre sono scomparse. È finita; si pone fine alla trasgressione introducendo una giustizia eterna. Le sue sofferenze erano ormai terminate, sia quelle della sua anima che quelle del suo corpo. È finita; l'opera di redenzione e di salvezza dell'uomo è stata completata. La sua vita non gli è stata tolta con la forza, ma è stata donata liberamente.

31 Versetti 31-37

Fu fatto un processo per stabilire se Gesù fosse morto. Egli morì in un tempo minore di quello comunemente impiegato dalle persone crocifisse. Questo dimostra che aveva dato la vita di se stesso. La lancia ha spezzato le sorgenti stesse della vita; nessun corpo umano potrebbe sopravvivere a una tale ferita. Ma il fatto che sia stata attestata in modo così solenne dimostra che c'era qualcosa di particolare in essa. Il sangue e l'acqua che ne uscirono significano i due grandi benefici di cui tutti i credenti beneficiano attraverso Cristo, la giustificazione e la santificazione; il sangue per l'espiazione, l'acqua per la purificazione. Entrambi scaturiscono dal fianco trafitto del nostro Redentore. A Cristo crocifisso dobbiamo i meriti per la nostra giustificazione, e lo Spirito e la grazia per la nostra santificazione. Che questo metta a tacere i timori dei cristiani deboli e incoraggi le loro speranze: dal costato trafitto di Gesù sono usciti sia l'acqua che il sangue, sia per giustificarli che per santificarli. La Scrittura si è adempiuta quando Pilato non ha permesso che gli venissero spezzate le gambe (Sal 34:20). C'era un tipo di questo nell'agnello pasquale, Es 12:46. Possiamo sempre guardare a Colui che, a causa dei nostri peccati, abbiamo trafitto ignorantemente e incurantemente, anzi, a volte contro le convinzioni e le misericordie; e che ha versato dal suo fianco ferito acqua e sangue, affinché fossimo giustificati e santificati nel suo nome.

38 Versetti 38-42

Giuseppe d'Arimatea era un discepolo di Cristo in segreto. I discepoli dovrebbero dichiararsi apertamente; eppure alcuni, che nelle prove minori sono stati timorosi, in quelle maggiori sono stati coraggiosi. Quando Dio ha un lavoro da fare, può trovare chi è adatto a farlo. L'imbalsamazione fu fatta da Nicodemo, un amico segreto di Cristo, anche se non un suo costante seguace. La grazia che all'inizio è come una canna ammaccata, in seguito può assomigliare a un forte cedro. In questo modo i due ricchi dimostrarono il valore che avevano per la persona e la dottrina di Cristo, e che non era diminuito dal rimprovero della croce. Dobbiamo fare il nostro dovere secondo il momento e l'opportunità attuali e lasciare a Dio il compito di adempiere le sue promesse a suo modo e a suo tempo. Il sepolcro di Gesù fu destinato ai malvagi, come nel caso di coloro che soffrivano come criminali; ma egli fu con i ricchi nella sua morte, come profetizzato in Is 53:9; queste due circostanze era molto improbabile che potessero essere unite nella stessa persona. Fu sepolto in un nuovo sepolcro; quindi non si poteva dire che non fosse lui, ma un altro a risorgere. Anche a noi viene insegnato a non essere particolari sul luogo della nostra sepoltura. Egli fu sepolto nel sepolcro più vicino. Qui il Sole della giustizia è tramontato per un po', per poi risorgere in una gloria maggiore e non tramontare più.

Commentario del Nuovo Testamento:

Giovanni 19

1 CAPO 19 - ANALISI

1. Pilato fa flagellare Gesù e lo abbandona agl'insulti ed ai maltrattamenti dei soldati. È incerto se l'ordine del governatore di flagellare Gesù, dopo aver liberato Barabba, si debba considerare come una indicazione dell'aver egli abbandonato la lotta col partito sacerdotale, ed essersi deciso a ordinare la crocifissione, di cui la flagellazione era il preludio ordinario; o se venisse dato nella speranza che i nemici del Signore se ne contenterebbero e lo lascerebbero quindi andare in libertà. L'abbandonarlo, agl'insulti dei soldati, dopo la flagellazione, pare favorevole alla prima ipotesi, ed allora il condur fuori Gesù col manto di porpora e la corona di spine, per fare un ultimo appello a suo favore, devesi considerare come il risultato di un nuovo movimento di compassione prodotto in Pilato dalla pazienza e dalla mansuetudine colle quali la santa vittima aveva sopportato quel crudele supplizio Isaia 53:7. Ma la flagellazione non bastò a soddisfare i rozzi e brutali soldati nelle cui mani Cristo era caduto. Essi fan di lui oggetto di empio scherno e di codardi insulti. Imitando i soldati di Erode, lo travestono essi pure da re, gettando sulle sue spalle insanguinate un cencio rosso, mettendo ali in capo una corona di spine, e in mano una canna a guisa di scettro; quindi gli s'inchinano per dileggio e lo salutano colle parole: "Ben ti sia, o Re dei Giudei". Poi, trattogli di mano la canna, lo percuotono con quella, ed intanto Pilato guarda questa scena vergognosa, senza far un cenno per porvi fine Giovanni 19:1-3.

2. "Pilato conduce fuori Gesù tutto coperto di sangue, e fa un ultimo sforzo per salvarlo; ma i Giudei gl'impongono silenzio, portando una nuova accusa contro al Signore. La pietà destatasi nel cuore di quel romano, non trova eco alcuna nel cuore dei Giudei. All'appello contenuto nelle parole: "Ecco l'uomo!" la moltitudine risponde con rinnovate grida perché venga crocifisso, e il Sinedrio mette avanti l'accusa, taciuta fino a quel momento, che Gesù si diceva: "Figliuol di Dio". Questo accresce i timori di Pilato, e, fatto ricondurre Gesù nel Pretorio, prende ad interrogarlo sulla sua origine, ma senza ottenerne risposta alcuna. Pilato allora torna fuori e fa altri sforzi per liberare Gesù; ma i Giudei lo minacciano di accusarlo a Roma come nemico dell'imperatore. Lanciando loro un ultimo insulto nelle parole: "Crocifiggerò io il vostro Re?" Pilato finalmente cede, ed ordina che il Signore della gloria venga messo a morte ignominiosa Giovanni 19:4-16.

3. La crocifissione di Gesù. Siccome i Sinottici avevano già dato ampli dettagli sulla morte di Gesù in sul Calvario, Giovanni si limita ad alcuni particolari, ed a certe spiegazioni che gli sembravano necessarie per completare il loro racconto. Da lui veniamo a sapere che a Gesù, benché ferito e coperto di sangue, venne imposto di portar la sua croce, fino al momento in cui questa fu messa in ispalla a Simone di Cirene; che l'iscrizione fatta sovrapporre alla croce era in tre lingue, e venne letta da molti dei Giudei, essendo il Golgota vicinissimo a Gerusalemme; che i Giudei tentarono invano di farne mutare il tenore, suggerendo una dicitura meno insultante per la loro nazione; che la madre di Gesù insieme alle altre donne venute dalla Galilea, ed a Giovanni medesimo, poterono avvicinarsi alla croce, e dare al Signore un'ultima testimonianza del loro affetto. Si fu in quel momento che Gesù raccomandò la madre a Giovanni, perché la mantenesse fino alla fine di sua vita, ed a Maria disse di considerar da ora in poi come figlio il discepolo suo prediletto. Da Giovanni solo veniamo pure a sapere che le ultime parole di Gesù, dopo di avere assaggiato l'aceto portogli da un soldato, acciocché tutta la Scrittura fosse adempiuta, e prima di rendere lo spirito, furono: OGNI COSA È COMPIUTA, pronunziate "con gran voce", come dicono i Sinottici. Finalmente egli ci dice che, per ordine di Pilato, le gambe dei due ladroni crocifissi con Gesù vennero rotte; ma così non fu fatto al Signore, perché già era morto; però un soldato gli forò il costato colla lancia, e questi fatti costituiscono l'adempimento di due profezie: "Non ne rompete alcun osso" Esodo 12:46; Numeri 9:12, e "Riguarderanno a me, che avranno trafitto" Zaccaria 12:10; Giovanni 19:17-37.

4. La sepoltura di Cristo. Egli fu sepolto in un monumento affatto nuovo, posto in un giardino, a breve distanza dal Golgota ed appartenente a Giuseppe d'Arimatea, "il quale era discepolo di Gesù, ma occulto, per tema dei Giudei". Ora però quest'uomo spiegò un coraggio inaspettato. Si presentò da Pilato, domandando il permesso di scendere il corpo di Cristo dalla croce e di seppellirlo. Dopo essersi accertato che Gesù era veramente morto, Pilato annuì, e Giovanni aggiunge che un altro discepolo segreto del Signore "Nicodemo, che al principio era venuto a Gesù di notte" bandì egli pure in questa occasione ogni timore, ed aiutò Giuseppe d'Arimatea nello scendere il corpo di Gesù dalla croce, nell'involgerlo in un lenzuolo con degli aromati, per quindi deporlo in un monumento, "ove niuno era stato ancora posto"; mentre le pie donne Galilee li osservavano da lontano, per sapere dove il loro Signore verrebbe posto Giovanni 19:38-42.

Giovanni 18:1-16. GESÙ VIEN FLAGELLATO PER ORDINE DI PILATO, QUINDI È INSULTATO DAI SOLDATI ROMANI. PILATO FA ANCORA DUE TENTATIVI PER SALVARLO, POI COMANDA CHE SIA CROCIFISSO Matteo 27:27-31; Marco 15:15-20

Cristo flagellato per ordine di Pilato ed abbandonato agli insulti dei soldati romani prima di venir crocifisso, Giovanni 19:1-3

1. Allora adunque Pilato prese Gesù, e lo flagellò

Vediamo dai Sinottici, che, dopo il rifiuto della moltitudine di rilasciare Gesù, Pilato si lavò le mani dinanzi ad essa, e ordinò che Gesù venisse flagellato, quindi crocifisso. Nei primi versetti di questo capitolo, Giovanni ci riferisce invece altri vani tentativi suoi per salvare il Signore, anche dopo la flagellazione e, fondandosi su questo, alcuni scrittori hanno messo avanti la teoria di una doppia flagellazione del Signore. La prima sarebbe quella che ci vien qui riferita, e che avrebbe avuto per scopo di eccitare la compassione dei Giudei, e di indurli a lasciare andare Gesù; la seconda sarebbe stata il preliminare solito della crocifissione. A quest'ultima farebbero allusione Matteo Matteo 27:26; Marco 15:15, mentre Luca 23:22, riferisce semplicemente la proposta di Pilato di castigare Gesù, senza dir nulla del suo eseguimento. Una tal teoria è inutile ed improbabile: primieramente, perché quelle semplici allusioni dei Sinottici alla flagellazione, benché lascino la impressione che la crocifissione, venne subito dopo, secondo l'uso ordinario ma non universale, non hanno però necessariamente un tal senso; ed in secondo luogo, perché quella flagellazione era già cosa, così crudele in sé che Pilato, nel cui cuore qualche compassione per Gesù si era pur destata, e che si irritava per vedersi costretto a commettere un assassinio giudiziario, non l'avrebbe permessa. Di più, molti venivan meno e morivano per effetto di una sola flagellazione, e ben si può dubitare che un corpo umano potesse sopravvivere a due flagellazioni romane nel medesimo giorno. L'infelice paziente veniva denudato fino alla cintura poi legato colle mani ad un pilastro, in modo da rimanere curvo, e sulla schiena, in quel modo distesa, colpi venivano inflitti per mezzo di strisce di cuoio armate di punte di ferro, di piombo o di osso, sicché ogni colpo tagliava la pelle e la carne fino all'osso. Il nuovo intervento di Pilato in favore di Gesù ci par che possa spiegarsi così: riconoscendosi impotente a salvarlo, né sapendo a quale altro espediente ricorrere, dopo essersi lavato le mani, egli ordinò la flagellazione, come preliminare della crocifissione; ma quando poi vide Gesù insanguinato e dolente, per quel crudelissimo supplizio, coperto di un misero cencio a guisa di manto reale, e incoronato di spine, si sentì mosso a pietà, e volle, prima di crocifiggerlo, fare un ultimo appello al cuore dei Giudei. Quando poi anche questo supremo tentativo fallì, lo mandò a crocifiggere senza ripetere la flagellazione, che già aveva avuto luogo.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:26-31; Marco 15:15-20; Luca 23:16,23

Salmi 129:3; Isaia 50:6; 53:5; Matteo 20:19; 23:34; Marco 10:33-34; Luca 18:33

Atti 16:22-23; 22:24-25; 2Corinzi 11:24; Ebrei 11:36; 1Pietro 2:24

2 2. E i soldati, contesta una corona di spine, gliela posero in sul capo, e gli misero attorno un ammanto di porpora, 3. E dicevano: Ben ti sia, o Re dei Giudei; e gli davano delle bacchettate.

Appo i Romani, gl'insulti e gli scherni eran l'accompagnamento obbligato dell'ultimo supplizio. I soldati adunque, tratto Gesù nell'interno del Pretorio, radunarono attorno a lui tutta la schiera o coorte Matteo 27:27, "prova questa, osserva Lange, che i fatti avvennero nella Torre Antonia, non già nel Palazzo di Erode" quindi sfogarono la brutale loro natura, beffandosi di colui che già avevano torturato. Erode aveva rimandato Gesù a Pilato, dopo averlo vestito di una "veste bianca" Luca 23:11, che era il colore dei re Giudei; è questi soldati, seguitando l'esempio di Erode, vi sostituirono "un ammanto di porpora", o, secondo Matteo Matteo 27:28, "un saio di scarlatto", ad imitazione della porpora imperiale. Gli misero pure "una canna nella man destra" Matteo 27:29, a guisa di scettro e "una corona di spine in sul capo" invece del diadema dei re. Alcuni credono che la corona di spine fosse fatta con ramoscelli del zysyphus lotus, che ha spine lunghe e forti; ma ciò non può essere, perché quella pianta, abbondantissima nella valle di, Gerico, è ignota nelle vicinanze di Gerusalemme, al cui clima invernale più rigido essa non potrebbe resistere. Crediamo piuttosto che venisse tessuta con una pianta nana e spinosissima, la quale cresce in abbondanza nei dintorni di Gerusalemme, detta lycium spinosum, il cui stelo flessibile, coperto di spine fitte ed acute, si presta all'uso qui descritto. Matteo 27:29 ci dice che, dopo avere in quella guisa mascherato Gesù da re, "inginocchiatiglisi davanti, come se fossero stati in presenza di Cesare, lo beffavano, dicendo: "Ben ti sia, o re dei Giudei". Né si limitò a questo la loro crudeltà, poiché con la canna medesima che gli aveano messa in mano, lo percossero in sul capo, cagionandogli acuti dolori a motivo delle spine, e gli sputarono in viso. Così vennero adempiute alla lettera le predizioni dei profeti: "Io ho porto il mio corpo ai percotitori, e le mie guance a quelli che mi strappavano i capelli; io non ho nascosta la mia faccia dalle onte, né dallo sputo" Isaia 50:6. "Il rettore d'Israele è stato percosso con una bacchetta in su la guancia" Michea 5:1. Per altri particolari, Vedi Note Luca 23:26.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:5; Salmi 22:6; Isaia 49:7; 53:3; Matteo 27:27-31; Marco 15:17-20; Luca 23:11

Matteo 26:49; 27:29; Luca 1:28

Giovanni 19:19-22; 18:33

4 

Pilato presenta Cristo alla folla, e facendo un ultimo tentativo a, suo favore, obbliga i sacerdoti a svelare la vera ragione per cui volevano la morte di Gesù, Giovanni 19:4-7

4. E Pilato uscì di nuovo, e disse loro: Ecco, io ve io meno fuori, acciocché sappiate ch'io non trovo in lui alcun maleficio. 5. Gesù adunque uscì, portando la corona di spine, e il ammanto di porpora. E Pilato disse loro: Ecco l'uomo.

Un'ultima volta, Pilato si presenta ai Giudei, seguito da vicino dai soldati che custodivano Gesù, e additandolo alla folla, coll'ammanto di porpora e la corona di spine, coperto di sangue e di sputi, esclama: "Ve lo meno fuori, affinché sappiate quello che penso di lui. Io non trovo in Gesù maleficio alcuno, ed ora ECCO L'UOMO! Contemplatelo, ed abbiatene compassione; contemplatelo, e rimanga soddisfatta la vostra rabbia; contemplatelo, e lasciate che, dopo averlo così duramente castigato, io lo rimetta in libertà". Questa celebre parola è capace di due sensi diversi. Pilato può aver parlato in senso di disprezzo: "Ecco l'uomo che accusate di farsi re! Qual creatura più debole, più impotente, più spregevole di lui si potrebbe mai trovare? Chi mai potrebbe temere un ribelle di quella fatta?" O può aver parlato per compassione: "Contemplate questo meschino che volete che io condanni a morte! Non è egli stato abbastanza punito?" Può darsi che entrambi questi sentimenti si trovassero nel cuore di Pilato, quando pronunziò quella parola: disprezzo del popolo giudeo, compassione verso Gesù. Non v'ha dubbio in ogni caso che egli sperava che i Giudei, visto lo stato compassionevole al quale era ridotto Gesù, lo lascerebbero andare, imperocché il governatore romano già cominciava ad impensierirsi della misteriosa origine di questa nobile vittima della rabbia farisaica. "Qualunque sia il senso di quelle" parole, la Cristianità tutta intera le ha fatte sue, e le ha tesoreggiate in cuore come una espressione sublime della sua adorazione profonda del sofferente suo Signore" (Brown). Che il Signore benedetto, la Parola eterna, si sia sottomesso con mansuetudine ad esser presentato a quella folla sitibonda di sangue come un oggetto degno di disprezzo e di compassione è cosa veramente meravigliose. "Essendo ricco, si è fatto povero per noi" 2Corinzi 8:9. Dacché il mondo esiste, il sole non aveva mai illuminato coi suoi raggi uno spettacolo più degno della ammirazione degli angeli e degli uomini.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:6; 18:38; Matteo 27:4,19,24,54; Luca 23:41,47; 2Corinzi 5:21; Ebrei 7:26; 1Pietro 1:19

1Pietro 2:22; 3:18; 1Giovanni 3:5

Giovanni 1:29; Isaia 7:14; 40:9; 43:1; Lamentazioni 1:12; Ebrei 12:2

6 6. E i principali sacerdoti, e i sergenti, quando lo videro, gridarono, dicendo: Crocifiggilo, crocifiggilo.

È la prima volta, dall'arresto di Gesù in poi, che vengono mentovati i "sergenti", o guardie del tempio. Essendo costoro sotto gli ordini dei sacerdoti, non appena comparve Gesù, diedero, ad istigazione dei loro padroni, il segnale delle grida per domandarne la morte, soffocando in tal modo ogni possibile movimento di pietà. Riempiono l'aria, colla breve e terribile parola: Crocifiggi, crocifiggi, che esprimeva esattamente il loro sentire, ed era una risposta delle più recise alle mezze misure del governatore.

Pilato disse loro: Prendetelo voi, e crocifiggetelo, perciocché io non trovo alcun maleficio in lui.

"Il soldato pagano fa inutilmente appello alla umanità del sacerdote giudaico. Nessun cuore in quella vasta moltitudine, sente un palpito, di compassione per la vittima innocente di tanta crudeltà. Il Romano avvezzo a versare il sangue come acqua, ora sul campo di battaglia, ora in massacri aperti, ora in congiure segrete, aveva di certo un cuore indurito ed estraneo ad ogni compassione; ma ben più gelati ed impietriti sono i cuori di questi scrupolosissimi ipocriti, di questi sacerdoti mondani" (Farrar). Pilato non fu semplicemente dispiacente di vedere andar a vuoto il suo terzo tentativo di salvar Gesù; ne fu accesa la sua ira, e con accento di ironia e di disgusto, ei grida: "Prendetelo voi, e crocifiggetelo". Devono queste parole intendersi come uno scherno della impotenza dei Giudei, o come una promessa di chiudere gli occhi, se essi medesimi mettevano Gesù a morte? Inchiniamo per il primo senso, perché Pilato non sembra ancora aver perduto ogni speranza di salvar Gesù.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:15; Matteo 27:22; Marco 15:12-15; Luca 22:21-23; Atti 2:23; 3:13-15; 7:52

Atti 13:27-29

Giovanni 18:31; Matteo 27:24

7 7. I Giudei gli risposero: Noi abbiamo una legge; e secondo la nostra legge, egli deve morire; perciocché egli si è fatto Figliuol di Dio.

Il partito sacerdotale intese evidentemente le parole di Pilato come uno scherno, ed abbandonando come inutile l'accusa di cospirazione portata fino a quel momento contro Gesù, rispose alla sfida del governatore svelando, quale ultima risorsa, l'accusa originaria di bestemmia, per la quale il Sinedrio avea condannato il Signore, e che fino a quel momento si era taciuta, nel pensiero che peserebbe poco sulla bilancia della giustizia romana. I Giudei dichiarano che la legge loro obbligavali a "lapidare chiunque avrebbe bestemmiato il nome del Signore" Levitico 24:16, e che Gesù aveva, trasgredito una tal legge, dicendosi "Figliuol di Dio". I Romani lasciavano ai popoli vinti le loro leggi e le loro istituzioni nazionali, in quanto almeno non eran contrarie alla loro autorità. I Giudei si fondano ora su questo, e tengono Pilato obbligato, qual governatore, ad assicurare l'osservanza delle loro leggi, mettendo a morte il trasgressore che si faceva uguale a Dio. È vero che questo titolo non è mentovato nel passo citato del Levitico, il quale proibisce solo la bestemmia; ma i Giudei consideravano evidentemente come blasfematoria, per qualunque uomo, il dirsi uguale a Dio. Olshausen dice che questo fatto prova chiaramente che i Giudei non consideravano il titolo di Figliuol di Dio, "come equivalente a quelli di Messia", o di "Re dei Giudei". Quest'ultimo titolo avevano messo avanti per accusare Gesù; ma il primo era affatto ignoto a Pilato. Di più, solo in questo nome ravvisavano essi una bestemmia che la legge puniva di morte. Notiamo infine che la legge mosaica infliggeva al bestemmiatore la morte per lapidazione, mentre i sacerdoti e le turbe domandavano che Gesù venisse crocifisso.

PASSI PARALLELI

Levitico 24:16; Deuteronomio 18:20

Giovanni 5:18; 8:58-59; 10:30-33,36-38; Matteo 26:63-66; 27:42-43; Marco 14:61-64

Marco 15:39; Romani 1:4

8 8. Pilato adunque, quando ebbe udite quelle parole, temette maggiormente.

Dalla conversazione avuta già con Gesù, dal messaggio mandatogli dalla moglie, dall'odio eccessivo degli accusatori, di cui eragli nota l'ostilità al governo romano, e dal timore che la presenza di Gesù ispirava loro in modo sempre più evidente, Pilato già si era accorto esservi in questo caso qualche cosa di molto misteriosa, e questa rendevalo incerto su quanto dovesse fare. L'udire ora che Gesù avea detto di esser Figliuol di Dio accresce i suoi timori. È impossibile anche solo indovinare quali idee le parole "Figliuol di Dio" svegliassero nella sua mente. Senza dubbio conosceva le leggende mitologighe della Grecia e di Roma; aveva udito raccontare che degli dèi erano scesi sulla terra, in forma umana ed erano andati attorno in mezzo agli uomini Atti 14:11. Come molti uomini educati di quel tempo, egli professava probabilmente lo scetticismo; ma la superstizione è spesso la compagna della incredulità, e Pilato forse domandò a sé medesimo: "Che questo prigione sia un Dio in veste umana! Avrei io, nella mia ignoranza, insultato e maltrattato uno degli dèi? "Le parole dei Giudei ebbero dunque sopra Pilato un effetto al quale essi non erano preparati. Non si sarebbero mai figurato che una questione di legge giudaica dovesse fermar la sua attenzione al punto di turbarlo così visibilmente. Pilato aveva senza dubbio udito parlar dei miracoli di Gesù; ora il titolo che egli assume di "Figliuol di Dio" li spiega, e fortifica un terribile presentimento che andava formandosi in lui, cioè che quest'uomo fosse veramente un essere divino apparso in terra. Sente il bisogno di far nuove investigazioni.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:13; Atti 14:11-19

9 9. E rientrò nel palazzo, e disse a Gesù: Onde sei tu?

Lasciando di nuovo i Giudei, Pilato fece ricondurre Gesù nel Pretorio, affin di interrogarlo di nuovo in privato. La domanda: "Onde sei tu?" non si riferiva di certo al domicilio terreno di Cristo, "Pilato ben sapeva già che egli proveniva dalla Galilea", bensì alla sua origine personale, dal punto di vista del titolo che si era dato: "Sei tu di questo, o di un altro mondo? Sei tu un uomo o uno degli dèi? Qual'è la vera tua natura e la tua storia? Dimmi chiaramente se tu sei un essere superiore, od un mero uomo, affinché io sappia che cosa devo fare a tuo riguardo.

Ma Gesù non gli diede alcuna risposta.

Perché?

1. Gesù già aveva toccato questo argomento nel suo primo interrogatorio Giovanni 18:36-37; ma Pilato gli aveva voltato le spalle con disprezzo, e non era meglio preparato ora a comprendere la sua risposta.

2. Egli sapeva che, per quanto Pilato fosse agitato dal timore, non era però sinceramente disposto a ricevere la verità, e come già aveva ceduto alle domande dei suoi nemici, così era pronto a cedere loro ancora, epperciò non era meritevole di risposta.

3. La questione della colpabilità o della innocenza di Gesù, questione che Pilato doveva ora decidere, niente aveva che vedere colla sua origine, perciò egli ricusa di difendersi più oltre. Col suo silenzio in questo momento supremo: come pure nella sua comparsa davanti ad Erode ben fu avverata la profezia: "Egli non ha aperta la bocca" Isaia 53:7.

PASSI PARALLELI

Giovanni 8:14; 9:29-30; Giudici 13:6

Salmi 38:13-15; Isaia 53:7; Matteo 27:12-14; Marco 15:3-5; Atti 8:32-33; Filippesi 1:28

10 10. Laonde Pilato gli disse: Non mi parli tu? Non sai tu ch'io ho podestà di crocifiggerti e podestà di liberarti?

Nel Greco il pronome personale vien primo, con enfasi singolare, nelle parole di Pilato: "A me non parli tu?" Pilato è sorpreso ed offeso al tempo stesso che un povero prigioniero disubbidisca ai chi ha dietro di sé tutta la potenza romana. Ogni allarme ed ogni simpatia sono scomparse dal suo cuore, per lasciarvi solo l'orgoglio ferito, che si manifesta nel duplice vanto che segue, e col quale si direbbe che Pilato voglia influire sul suo prigioniero mediante la speranza ed il timore. "Questo stesso vanto", dice Alford, "dimostra l'ingiustizia di Pilato. Nessun giudice integro si vanterebbe di un tal potere di punire o di liberare. Il giudice non ha altra autorità che di esaminare pazientemente le cause, e di dar sentenze conformi alla verità". Quegli uomini stessi che più vantano il loro potere, cono spesso, come Pilato schiavi d'ella pubblica opinione.

PASSI PARALLELI

Giovanni 18:39; Daniele 3:14-15; 5:19

11 11. Gesù rispose: Tu non avresti alcuna podestà contro a me se ciò non ti fosse dato da alto;

Il Signore ripudia; senza esitazione il vanto di Pilato; gli nega di possedere alcun potere indipendente sopra di lui e dichiara, che perfino la sua podestà limitata, qual magistrato romano, di metterlo a morte, gli è "data da alto", cioè dal cielo, affinché sieno adempiuti l'eterno consiglio di Dio, e tutte le profezie che lo avevano fatto conoscere. Se non fosse di ciò, egli dichiara che Pilato non avrebbe autorità di sorta alcuna, sopra di lui. Una tal dichiarazione rivela la divina sua origine, poiché lo dice proveniente egli stesso da quella regione medesima, "dall'alto" dalla quale Pilato aveva ricevuto la limitata sua podestà.

perciò colui che mi t'ha dato nelle mani ha maggior peccato.

Il governatore era uno strumento in mani altrui; ma il Signore, pure ammettendo questa circostanza attenuante, non lo dichiara però senza colpa, poiché aveva riconosciuto innocente l'accusato, e violentava la propria coscienza non mettendolo in libertà. Ma la colpa maggiore della morte di Cristo giacerà alla porta di altri. Chi è il "colui" di cui parla qui il Signore? Senza dubbio vengon qui indicati tutti quelli che avevano avuto parte, officialmente o no, nel metterlo nelle mani del governatore: Giuda, Anna, Caiafa, il Sinedrio, l'intero popolo Giudaico, rappresentato dai suoi rettori e dal suoi sacerdoti, i quali avevano condotto il Signore nel Pretorio, e si valevano della debolezza di Pilato per ottenerne la morte. Il loro era il maggior peccato, perché maggiore pure era la luce che possedevano. Pilato era un Gentile; nulla sapeva del Messia e dei segni suoi distintivi; i Giudei possedevano "gli oracoli di Dio", i quali rendevano testimonianza al Messia. Professavamo di conoscere il vero Dio, eppure agivano in modo direttamente contrario alla sua volontà. Pilato era semplice strumento; essi erano la causa prima; egli agiva contrariamente. alla propria volontà, per mancanza di coraggio, per timore di perdere il suo posto elevato; essi erano mossi da un odio implacabile verso Gesù.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:27; 7:30; Genesi 45:7-8; Esodo 9:14-16; 1Cronache 29:11; Salmi 39:9; 62:11

Geremia 27:5-8; Lamentazioni 3:37; Daniele 4:17,25,32,35; 5:21; Matteo 6:13; Luca 22:53

Atti 2:23; 4:28; Romani 11:36; 13:1; Giacomo 1:17

Giovanni 11:49-50; 18:3; Matteo 26:65; 27:2; Marco 14:44

Giovanni 9:41; 15:22-24; Luca 7:41-42; 10:11-14; 12:47-48; Ebrei 6:4-8; Giacomo 4:17

12 12. Da quell'ora Pilato cercava di liberarlo;

Benché Gesù lo avesse apertamente condannato, Pilato questa volta non si offende; un altro sentimento riempie il suo cuore, cioè un rispetto profondo "per quell'Essere misterioso, la cui stessa impotenza compariva più solenne e più grandiosa che la più eccelsa podestà" (Farrar). Divenne più ansioso che mai di liberarlo; ma non aveva il coraggio di farlo altrimenti che col consenso degli accusatori. Una sola parola, emanata da quel potere di cui erasi vantato a Gesù, sarebbe bastata a questo scopo; ma il suo interesse personale non gli permetteva di pronunziarla.

ma i Giudei gridavano, dicendo: Se tu liberi costui, tu non sei amico di Cesare: chiunque si fa re si oppone a Cesare.

Decisi ad ottenere la morte di Gesù, i Giudei passano da un'accusa ad un'altra. In sulle prime si mostrano pieni di zelo per gli interessi dell'imperatore; non ottenendo lo scopo con quel mezzo, mettono avanti l'accusa di bestemmia, che la loro legge puniva di morte; ed ora, vedendo che ciononostante Pilato cerca ancora di liberar Gesù, presentano l'accusa politica di prima dandole tal forma, che Pilato non avrebbe certo ardito trascurarla: Se tu liberi costui, tu non sei amico di Cesare. Sin dal tempo di Augusto, il titolo di "Amico di Cesare" era stato occasionalmente conferito a legati, prefetti e proconsoli, come un'alta distinzione onorifica, e può darsi che la speranza di ottenerla avesse talvolta brillato dinanzi agli occhi di Pilato. In tal caso, le parole dei Giudei potevano voler dire: "Se lasci sfuggire costui, abbandona pure ogni speranza di onori e di favori, per parte dell'imperatore". Anzi era una chiara minaccia di un'accusa di alto tradimento, quella che più temevano gli alti funzionari dell'impero, specialmente se avevano il carattere di Pilato o di Felice. Da quel momento svanisce ogni speranza per Pilato di salvare il suo prigioniero. Troppo bene egli conosce il carattere crudele e sospettoso di Tiberio, al cui orecchio già erano giunte altre lagnanze contro di lui. Un'accusa di aver trascurato gli interessi imperiali, o favorito un ribelle, non poteva che farlo cadere in disgrazia, ed anche metter la vita sua in pericolo. Piuttosto che correre un tal rischio, egli è pronto a lasciar perire un innocente. "Sarebbe difficile dire quale dei due presentava, a questo momento, lo spettacolo più dispregevole e più vile: di Pilato che calpesta la sua coscienza per timore di dispiacere ad un monarca terrestre, o dei Giudei, i quali, pur di far perire Gesù, si fingono più teneri degli interessi di Cesare che lo stesso suo rappresentante, e volontariamente proclamano la loro vergogna qual popolo vinto. Dall'una parte abbiamo lo spettacolo della codardia, dall'altra quello della duplicità; ed entrambe si dànno la mano per un assassinio crudele" (Ryle).

PASSI PARALLELI

Marco 6:16-26; Atti 24:24-27

Giovanni 18:33-36; Luca 23:2-5; Atti 17:6-7

13 13. Pilato adunque, avendo udite queste parole, menò fuori Gesù,

Mentre faceva un ultimo sforzo per liberarlo Giovanni 19:12, Pilato aveva lasciato Cristo nel Pretorio; ma udita la minaccia fatta contro di lui, si era deciso ad assicurare la propria salvezza a spese dell'innocente Gesù, ed ora lo conduce fuori per pronunziare sentenza di morte contro di lui, in modo ufficiale e dall'alto del suo tribunale, che non sembra avere occupato fino a quel momento.

e si pose a sedere in sul tribunale, nel luogo detto Lastrico, ed in ebreo Gabbata;

Essendo Erode a Gerusalemme durante la Pasqua, è certo che occupava il palazzo della sua famiglia sul Monte Sion, e che Pilato risiedeva nella torre o fortezza Antonia, che viene anch'essa chiamata palazzo, "il pretorio" Giovanni 18:28. Qui, ora nell'interno, ora al di fuori, venne condotto a compimento il processo di Gesù. Davanti alla fortezza, eravi una specie di lungo rialzo lastricato, chiamato in greco il "lastrico", ed in ebraico od aramaico Gabbata, probabilmente da gabba "esser alto". Quivi ergevasi il "tribunale", il quale, a detta di Svetonio, era fatto di lastre portatili di mosaico, facili a rizzarsi in ogni luogo, ed era portato dovunque andavano, dai rappresentanti dell'Imperatore. Su questo tribunale, Pilato ora sedette, umiliato ed irritato, ma pronto ad eseguire la volontà dei Giudei.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:8; Proverbi 29:25; Isaia 51:12-13; 57:11; Luca 12:5; Atti 4:19

Salmi 58:1-2; 82:5-7; 94:20-21; Ecclesiaste 5:8; Amos 4:7

14 14. Or era la preparazione della Pasqua,

In questo vers. Giovanni ricorda, passando, il giorno e l'ora della condanna di Gesù per parte di Pilato, e queste sue parole, unite a quanto è detto in Giovanni 18:28, che cioè alcuni dei membri del Sinedrio ancora non avevano mangiato la pasqua, han dato origine a grandi discussioni sulla questione se Cristo e i suoi discepoli avessero anticipato di ventiquattro ore il pasto pasquale, o se la cena, ricordata in Giovanni 13:1, non si debba considerare come un pasto qualunque, e non già come la cena pasquale. I Sinottici non permettono di mettere in dubbio che Gesù abbia realmente celebrato, ancora una volta prima di morire la gran festa nazionale dei Giudei, nel giorno stesso, "14 di Nisam", fissato dalla legge, ed abbiamo dimostrato che, ad onta delle parole di Giovanni 18:28, non v'ha divergenza fra Giovanni ed essi, riguardo alla data di quella cena, Vedi Note Luca 22:14 e Giovanni 18:28. Se non fosse quest'ultimo passo, le parole "la preparazione della pasqua", "rapa", non avrebbero presentato difficoltà alcuna. È questo il solo passo della Scrittura in cui ci venga parlato di un giorno di preparazione speciale in connessione colla festa di Pasqua; ma fatto sta che una tal connessione è solo apparente. È ammesso da tutti che appo i Giudei, il giorno che precedeva ogni sabato, cioè il nostro venerdì, era detto familiarmente la preparazione, e Giovanni lo mentova due volte in questo medesimo capitolo. Al ver. di Giovanni 19:31 ci dice che i Giudei "pregarono Pilato che si fiaccassero loro le gambe, e che si togliessero via, acciocché i corpi non restassero in su la croce nel sabato, perciocché era la preparazione"; ed in Giovanni 19:42, che Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo deposero il corpo di Gesù nel monumento, prima d'imbalsamarlo, "per cagione della preparazione dei Giudei". In entrambi questi passi, trattasi evidentemente della preparazione per il Sabato, e siccome è lo stesso giorno che quello che vien qui chiamato "la preparazione della pasqua", se ne deve trarre la conclusione che l'evangelista vuol dire: "la preparazione del Sabato della pasqua". Un attento confronto dei passi seguenti: Matteo 27:62; Marco 15:42; Luca 23:54, e specialmente della parentesi di Marco: "perciocché era la preparazione, cioè l'antisabato", conferma questa nostra asserzione. Il giorno prima di ogni Sabato veniva detto "la preparazione", perché in esso dovevansi. fare tutti i preparativi necessari per poter passare il sabato in perfetto riposo. Giuseppe Flavio ricorda un decreto imperiale che sospendeva ogni procedimento legale contro ai Giudei, non solo per il sabato, ma pure per la preparazione dopo l'ora nona Antiq. 16, 6, 2, e Wettstein cita un passo di autore rabbinico, nel quale i giorni della settimana vengono enumerati nel modo seguente: "si ricordi il lettore che fra i Giudei il giorno cominciava alle sei di sera; di più abbiamo aggiunto, per maggior chiarezza, i nostri nomi dei giorni in parentesi: Primo (Sabato sera); Secondo (Domenica sera); Terzo (Lunedì); Quarto, (Martedì); Quinto, (Mercoledì); Paraskeuè, ossia Preparazione, (Giovedì); Sabato, (Venerdì)". È chiaro adunque che il giorno corrispondente al nostro Venerdì era detto comunemente preparazione, e Giovanni, parlando qui della "preparazione della Pasqua", vuol dire semplicemente il Venerdì della settimana pasquale. Il Signore fu dunque condannato e crocifisso nel giorno stesso, "contando all'uso giudaico", in cui mangiò per l'ultima volta coi suoi discepoli l'agnello pasquale che era tipo di lui medesimo, e quel giorno era la vigilia del Sabato. Non è dunque vero che egli abbia anticipato la data del 14 di Nisam, nel celebrare la Pasqua. Va notato qui che al ver. 31 Giovanni osserva, che quel giorno non fu una "preparazione" ordinaria, bensì una di speciale notorietà, a motivo della solennità eccezionale del sabato della Pasqua: "Conciossiaché quel giorno di sabato fosse un gran giorno".

ed era intorno all'ora sesta;

Quest'ultima parte della parentesi è più difficile a spiegare, e ha dato un gran da fare ai commentatori in ogni età. La difficoltà proviene dal fatto che Marco Marco 15:25 dice che il Signore fu crocifisso "all'ora terza", e benché Matteo e; Luca non ci diano l'ora precisa della crocifissione, i loro racconti del fatto stesso tendono a confermar l'asserzione di Marco. Secondo Luca 23:44, risulta che già da qualche tempo Gesù stava in sulla croce, allorquando "intorno delle sei ore si fecero tenebre in su tutta la terra. "Come si spiega questa divergenza apparente fra Marco e Giovanni? Imperocché entrambi scrissero sotto l'influenza dello Spirito di Dio, epperciò non poterono errare, come affermano i critici razionalisti. Varie soluzioni sono state proposte, benché nessuna ci sembri molto soddisfacente.

1) Agostino e Bullinger dicono che Gesù fu crocifisso all'ora terza dalle lingue dei Giudei ed alla sesta per le mani dei soldati! Ma, una tale spiegazione è troppo debole e puerile per poter venir ricevuta; di più, secondo essa, Gesù sarebbe rimasto in croce solo le tre ore di tenebre e non sarebbe stato veduto da nessuno.

2) Si è detto che Marco segue il modo di contare dei Giudei, "i quali ricominciavano a contare le ore dalle sei di mattina, benché il giorno legale fosse cominciato la sera prima, come noi ricominciamo a contarle dalle dodici meridiane, benché il giorno cominci alla mezzanotte", mentre Giovanni contava le ore secondo l'uso romano, i quali, si dice, principiavano, come noi, dalla mezzanotte. Secondo questa teoria, sostenuta da molti, il Signore sarebbe stato condannato dal governatore alle sei di mattina (Giovanni), e crocifisso alle nove (Marco). Ma, oltreché il processo di Gesù dinanzi a Pilato avrebbe in tal caso dovuto cominciare assai tempo prima dell'alba, "e non è probabile che il governatore sia stato disposto a fare fino a quel punto il comodo dei Giudei", rimarrebbe sempre, fra la condanna e la esecuzione, un intervallo di tre ore, di cui non si saprebbe spiegare l'impiego. Ma l'obbiezione più seria di questa teoria si è l'erroneità dell'asserzione su cui è fondata, che cioè i Romani contassero le ore dalla mezzanotte; come i Greci e i Giudei, essi pure contavano le ore del giorno dal levar del sole, dividendolo in dodici ore, come dividevano la notte in quattro vigilie (Adam, Antichità romane, p. 305), e non v'ha luogo di credere che ai giorni di Giovanni si usasse in Palestina un altro modo di contar le ore.

3) La soluzione adottata da Eusebio, Teofilatto, Beza, Usher, Bengel, Scott, Webster e Wilkinson ed altri, si è che s'introdusse qui nel testo un errore di copia, e che la lettera ζ, che indica in greco il numero 6, è stata scritta invece della lettera γ, che indica il 3. "La probabilità di questa sostituzione è avvalorata da un certo numero di buoni MSS. e dalla testimonianza di Pietro Alessandrino, il quale asserisce che la lezione originale era "terza" (Webster e Wilkinson). Un tale errore di copia non era punto impossibile; ma siccome l'immensa maggioranza dei codici porta questa soluzione della difficoltà non sarà adottata da quelli che vogliono mantenersi ad ogni costo fedeli al testo della Sacra Scrittura.

4) La spiegazione che incontra il numero minore di difficoltà è stata suggerita da Calvino e adottata da Lampe, Poole, Berkitt, Hengstenberg, Ellicott, Godet, Brown, ecc. Essa è basata sul fatto che i Giudei dividevano le dodici ore del loro giorno in quattro parti: la terza ora che andava dalle 6 alle 9; la sesta dalle 9 alle 12; la nona dalle 12 alle 3, la dodicesima dalle 3 alle 6. Queste grandi divisioni racchiudono le ore intermedie, sicché qualsiasi momento dalle 6 alle 9 di mattina poteva venir chiamato l'ora terza, e qualsiasi momento dalle 9 al mezzodì l'ora sesta. In questo modo non occorre far violenza al testo di Giovanni. Così Marco come Giovanni intendono dire che Gesù venne condannato e crocifisso verso le 9 ore ant. solo l'uno chiama quel momento ora terza, la quale stava per finire; l'altro lo chiama ora sesta, di cui era il principio.

e disse ai Giudei: Ecco il vostro Re.

Queste parole di Pilato contengono un amaro sarcasmo, diretto non già contro a Gesù, la cui mansuetudine ed innocenza avevano fatto sopra Pilato una profonda impressione, bensì contro i Giudei, ai quali Pilato vuol far sentire il supremo suo disprezzo. La propria coscienza lo condannava, perché, per mera debolezza, egli commetteva una ingiustizia flagrante, ed egli manifesta il proprio vivissimo dispiacere, versando la sua indignazione e il suo disprezzo su quelli che lo avevano costretto a condannare il Signore.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:31-32,42; Matteo 27:62; Marco 15:42; Luca 23:54

Marco 15:25,33-34

Giovanni 19:3,5,19-22

15 15. Ma essi gridarono Togli, togli, crocifiggilo. Pilato disse loro: Crocifiggerò io il vostro Re? I principali sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altro re che Cesare.

Questo versetto ci presenta una lotta breve, ma violenta, fra il governatore romano e i capi del popolo Giudeo: Pilato, per ispirito di vendetta, chiama ripetutamente loro re l'uomo dai Giudei mortalmente odiato; essi domandano con insistenza ognor crescente che venga crocifisso, e finalmente, resi forsennati dal sarcasmo di Pilato, si umiliano fino nel fango, confessando, colle proprie labbra, che la teocrazia è abolita, che la loro nazionalità è scomparsa, in breve che non vogliono altro re all'infuori di Cesare.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:6 Luca 23:18; Atti 21:36; 22:22

Giovanni 18:31; Genesi 49:10; Ezechiele 21:26-27

16 16. Allora adunque egli lo diede lor nelle mani, acciocché fosse crocifisso.

In questa umiliante confessione dei Giudei, Pilato sentì che la sua vendetta era completa, e che qualsiasi altro tentativo per liberar Gesù, non avrebbe se non peggiorato la sua posizione di fronte a Roma. Lo abbandonò adunque ai sacerdoti, per esser crocifisso. Nessuno degli evangelisti ci dice che Pilato abbia pronunziato colle proprie labbra le parole di condanna: Ibis ad crucem, "andrai alla croce"; ma questo non importa. Queste parole provano che, in un modo, o nell'altro, egli diede il suo consenso in forma così chiara, che il tumulto cessò, ed i quattro soldati, scelti ad eseguire la sentenza, presero in consegna Gesù, e si disposero a crocifiggerlo, sotto la direzione dei sacerdoti giudei.

Giovanni 19:16-30. LA CROCIFISSIONE E LA MORTE DEL SIGNORE

16. cont. ed essi presero Gesù, e lo menarono via.

I fatti occorsi sulla via dal Pretorio al Golgota non sono ricordati dal nostro Evangelista. Li dobbiamo dunque prendere dagli altri. Furon due soli. Le false tradizioni della Chiesa Romana ne narrano è vero molti altri, come accaduti sulla via Dolorosa, e ne fanno il soggetto di stazioni qua e là esposte alla adorazione, dei fedeli. Ma il Vangelo non offre per queste leggende fondamento alcuno. Son tutte invenzioni francescane, e della via Dolorosa stessa non vien fatta menzione prima del 14simo secolo. Ci siamo convinti sul luogo che la dolorosa processione, anziché seguire la strada che va ad ovest; si volse dalla Torre Antonia verso la porta orientale di Gerusalemme, e sì fermò sopra uno dei poggi che dominano la valle di Giosafat.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:26-31; Marco 15:15-20; Luca 23:24

Gesù costretto in sulle prime a portar la sua croce. I soldati la mettono poi sulle spalle di Simone di Cirene, Matteo 27:32; Marco 15:21; Luca 23:26

Per la esposizione Vedi Luca 23:26.

Gesù conforta le donne di Gerusalemme che lo seguivano piangendo

Per la esposizione Vedi Luca 23:27-31.

17 17. Ed egli, portando la sua croce, uscì al luogo detto del teschio, il quale in ebreo si chiama Golgota.

Per la situazioni del Golgota, Vedi nota Luca 23:33. Da Matteo 27:34 e da Marco 15:23, veniamo a sapere che non appena giunti al Golgota, e prima di crocifiggerlo, i carnefici di Gesù gli offrirono "aceto", ossia vino debole ed agro, che i soldati romani bevevano misto con acqua. Lo si condiva spesso con erbe amare per renderlo più atto ad inebriare, e davasi ai condannati a morte per attutire le loro sofferenze. Marco ci dice che in questo caso quell'aceto era "condito con mirra". Matteo parla piuttosto di fele, che era assai più forte. "Avendolo gustato", il Signore adempì la profezia, ma al tempo stesso ricusò di bere. A lui non occorreva aiuto esterno; alcuno per mitigare le sue pene, per fargli scordare la maledizione che portava, e la gran salvezza che stava operando. Senza dubbio respinse quel narcotico per lo stesso pensiero, che già avevagli fatto esclamare: "Non berrei io il calice il quale il Padre mi ha dato?" Giovanni 18:11.

PASSI PARALLELI

Matteo 10:38; 16:24; 27:31-33; Marco 8:34; 10:21; 15:21-22; Luca 9:23; 14:27

Luca 23:26,33

Levitico 16:21-22; 24:14; Numeri 15:35-36; 1Re 21:13; Luca 23:33; Atti 7:58

Ebrei 13:11-13

Matteo 27:33-34; Marco 15:21-22; Luca 23:33

18 18. E quivi lo crocifissero,

Riguardo al modo della crocifissione, Vedi nota Luca 23:33.

e con lui due altri, l'uno di qua, e l'altro di là, e Gesù in mezzo.

Tutti e quattro gli evangelisti ricordano non solo che Gesù fu crocifisso tra due briganti, ma pure l'ordine in cui i tre vennero disposti, Gesù essendo nel mezzo dei due altri. Questo venne senza dubbio fatto con premeditazione, affin di mettere il delitto attribuito a Gesù sul livello medesimo che il loro. Era un'ultima indegnità inflittagli, una pubblica dichiarazione che non lo si giudicava punto migliore dei più vili delinquenti. Vedi nota Luca 23:33.

PASSI PARALLELI

Giovanni 18:32; Salmi 22:16; Isaia 53:12; Matteo 27:35-38,44; Marco 15:24-28

Luca 23:32-34; Galati 3:13; Ebrei 12:2

Le sette memorabili parole di Gesù in croce. Una di queste è stata ricordata da Matteo 27:46, tre da Luca 23:34,43,46, e tre da Giovanni Giovanni 9:27,28,30.

La prima di queste parole in ordine cronologico trova il suo posto il ed è una preghiera rivolta da Gesù al suo Padre il favore dei suoi carnefici, probabilmente al momento stesso in cui lo inchiodavano alla croce: "Padre, perdona loro, perciocché non sanno quello che si fanno. Per l'esposizione Vedi Luca 23:34.

La seconda fu rivolta ad uno dei ladroni, crocifissi con lui. Giovanni si contenta di dire che furono crocifissi l'uno di qua, l'altro di là di Gesù; ma il fatto interessante che entrambi erano al principio nemici di Cristo, e che uno di essi continuò ad insultare il Signore, mentre il cuore dell'altro fu cambiato a segno che si affidò a Cristo come al suo Salvatore, è raccontato da Luca, che riferisce la risposta di Gesù al ladrone convertito: "Io ti dico in verità, che oggi tu sarai meco in paradiso". Per l'esposizione. Vedi Note Luca 23:39-42.

19 

Il titolo che Pilato sovrappose alla croce di Gesù, e più non volle cambiare, Giovanni 19:19-20

19. Or Pilato scrisse ancora un titolo, e lo pose sopra la croce; e v'era scritto: Gesù il NAZAREO, IL RE DEI GIUDEI.

Era abitudine fra i Romani di scrivere sopra un cartello il delitto del condannato, il quale doveva portarlo egli medesimo, fino al luogo del supplizio; quindi lo si affliggeva alla croce sopra il suo capo. Giovanni ci dice che, nel caso di Gesù, Pilato stesso scrisse quel cartello di propria mano, benché senza dubbio qualche suo segretario dipoi lo traducesse per lui in Aramaico, e fors'anche in Greco. Importa poco sapere se il Signore portasse egli medesimo quella iscrizione fino al Golgota; ma è essenziale notare che, secondo Giovanni, Pilato stesso ne fu l'autore, ed invero essa è tutta quanta improntata di quello stesso spirito di sarcasmo vendicativo che già aveva dettato molte sue parole durante il processo di Gesù. Il titolo stesso non vien dato in modo identico da tutti e quattro gli evangelisti; ma tutti, ci riferiscono la sostanza dell'accusa nel medesimo formulata contro a Gesù, che cioè egli si era dato come re dei Giudei.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:13; 5:2; Atti 21:40; 22:2; 26:14; Apocalisse 16:16

Atti 21:37; Apocalisse 9:11

20 20. Molti adunque dei Giudei lessero questo titolo, perciocché il luogo ove Gesù fu crocifisso, era vicino della città; e quello era scritto in Ebreo, in Greco e in Latino.

Luca e Giovanni ci dicono che quel titolo fu scritto in tre lingue, ma non mentovano queste nel medesimo ordine; è dunque impossibile decidere quale dei due ci dà il titolo esatto, benché alcuni propendano ad ammettere come tale il titolo aramaico dato da Giovanni, per esser quello il linguaggio del paese, oltreché, anche scritto per intero, doveva occupare meno spazio degli altri sulla tabella in capo alla croce. Checché ne sia di ciò, importa notare l'osservazione di Webster e Wilkinson, cioè che "il titolo fu scritto in tre lingue", e non semplicemente in tre caratteri diversi, e ciò basta a spiegare le varianti degli evangelisti su questo punto. Ogni titolo non fu una mera copia degli altri; ma venne composto conformemente all'uso della lingua in cui era scritto. La mano di Dio si manifestò nel guidare l'ira di Pilato in modo che il vero titolo del Messia "il Re dei Giudei" rimanesse per sempre associato alla croce sulla quale lo avevano inchiodato i suoi concittadini, e che le tre lingue principali del mondo antico l'Aramaico, che era il linguaggio del paese, e poteva venir letto da tutti, il Greco, che era, la lingua colta, il Latino, che era la lingua officiale sieno state usate per proclamarlo al mondo intero. "Giovanni solo ricorda che l'iscrizione venne letta da molti. Egli fu presente alla crocifissione e vide coi propri occhi moltitudini di Giudei, accorsi da ogni dove per la Pasqua in Gerusalemme, leggere quel titolo. L'ultimo giorno solo rivelerà quale effetto una tal lettura produsse in quei dì; quali frutti, e in quali distanti paesi, risultarono dalla testimonianza di quelli che in quel giorno memorando avevano letto sulla croce di Cristo le significanti parole: "Gesù il Nazareo, il re dei Giudei".

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:13; 5:2; Atti 21:40; 22:2; 26:14; Apocalisse 16:16

Atti 21:37; Apocalisse 9:11

21 21. Laonde i principali sacerdoti dei Giudei dissero a Pilato: Non iscrivere: Il Re dei Giudei; ma che costui ha detto: Io sono il Re dei Giudei. 22. Pilato rispose: io ho scritto ciò ch'io ho scritto.

Pare che, per quanto sorvegliassero da vicino la crocifissione di Gesù, fosse sfuggito ai Giudei il titolo fatto preparare da Pilato. Non lo videro che quando la croce venne rizzata al suo posto, e solo allora si accorsero che Pilato si era vendicato di loro col pubblicare sulla croce l'insulto mortale che già egli aveva loro scagliato in faccia durante il processo di Gesù, facendo così conoscere al mondo che l'uomo inchiodato sul legno infame, frammezzo a due sicari, altro non era che il legittimo "re dei Giudei". "Principali sacerdoti", ossia i personaggi più influenti della nazione, subito corsero da Pilato per indurlo a modificare quel titolo, in modo da far credere che Gesù era stato un impostore, che avea detto: "Io sono il Re dei Giudei". Così speravano senza dubbio liberarsi della responsabilità della sua morte, dando a credere che egli era stato crocifisso per avere assunto un titolo cui non aveva diritto alcuno. Ma Pilato non era più l'uomo di poche ore prima. Fra il suo desiderio di salvare Gesù, e il suo timore di compromettersi di fronte all'imperatore, aveva allora mostrato una indecisione che il Sinedrio si avvide di poter volgere a suo favore, e che vinse infatti, mediante gl'incessanti clamori delle turbe. Ora però, il male che Pilato avrebbe voluto evitare era fatto; d'altra parte non si poteva accusarlo a Roma di lesa maestà; eccolo dunque libero di dare sfogo al suo odio ed al suo disprezzo verso i Giudei; indi la sua breve ed altiera risposta: "Rifiuto i vostri suggerimenti; sono capace di giudicar da me di quello che devo fare: io ho scritto ciò ch'io ho scritto". La forma della sua risposta osserva Westcott, "è eminentemente romana, benché si trovi pure negli scritti rabbinici. La descrizione che dà Filone del carattere di Pilato, "Leg. ad Caium, 38" chiamandolo ostinato ed implacabile, corrisponde a questo racconto di Giovanni. "È impossibile non osservare in tutto ciò la mano della Provvidenza. Pilato senza dubbio non pensava che ad insultare e ad esasperare i Giudei con questo titolo; in realtà egli onora e glorifica Gesù. Inchiodandolo al disopra della croce, egli proclama l'adempimento della profezia pronunziata secoli prima da Daniele Daniele 9:26, relativamente al tempo nel quale "il Messia sarebbe sterminato". Pilato non si volle dipartire da quanto aveva scritto, che cioè Gesù era "il Re dei Giudei", perché Iddio lo aveva scritto prima di lui. Ben dice Burkett: "La costanza di Pilato in questa occasione non può venire attribuita che ad una speciale provvidenza di Dio. È veramente meraviglioso il vedere quell'uomo sì incostante poco prima, ora irremovibile come una colonna di bronzo. Donde proviene ciò, se non dallo Spirito di Dio che si serve di lui come di uno strumento, movendolo prima a scrivere, quindi a difendere quello che avea scritto?

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:12; Salmi 65:7; 76:10; Proverbi 8:29

23 

I vestimenti di Gesù divisi fra i soldati, Giovanni 19:23-24

23. Or i soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero i suoi panni, e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato, e la tonica.

I vestimenti dei condannati a morte appartenevano di diritto agli esecutori della sentenza, i quali, nel caso di Gesù, sembrano essere stati in numero di quattro. Quando si trattò di arrestarlo in Ghetsemane, fu mandata una intera coorte, per timore di una sollevazione dei suoi discepoli; ma ora quattro uomini comandati da un centurione Marco 15:44; Luca 23:47, vengono considerati bastanti a mantenere l'ordine sul teatro della crocifissione. Questi presero i vestimenti di Gesù, cioè l'ampio mantello di sopra e fors'anche la camicia più corta che portava in sulla pelle, insieme a ciò che gli copriva il capo, alla cintura ed ai sandali. Di tutte queste cose fecero quattro Parti; sulle quali, per evitare ogni contestazione, trassero la sorte.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:35; Marco 15:24; Luca 23:34

Esodo 39:22-23

24 24. Or la tonica era senza cucitura, tessuta tutta al di lungo fin da capo; laonde dissero gli unì agli altri:

Ma quando si trattò di dividere a quel modo la stretta tunica, che dal collo scendeva ai piedi, rimasero siffattamente colpiti dalla bellezza del tessuto dovuto forse all'affetto di qualcuna delle devote donne Galilee, le quali ministravano a Gesù che mutarono parere, ed anziché stracciarla in quattro pezzi, decisero che apparterrebbe tutta intera a colui di loro che verrebbe designato dalla sorte.

Non la stracciamo, ma tiriamone le sorti, a cui ella ha da essere; acciocché si adempiesse la scrittura, che dice: Hanno spartiti fra loro i miei panni, e hanno tratto, la sorte sopra la mia vesta. I soldati adunque fecero queste cose.

Questo versetto ci dice che l'atto dei soldati romani fu un adempimento preciso della profezia messianica pronunziata da Davide un migliaio d'anni prima Salmi 22:18. Essi non s'immaginavano di certo che, mentre spartivano i vestiti di uno del quale avevano eseguito la sentenza, preparavano in, realtà una prova di più della verità delle Scritture. I critici invero dichiarano che i due membri della frase sono interamente sinonimi, e che non v'ha distinzione fra lo "spartire" e il "tirare la sorte", nella citazione del Salmi 22. fatta qui da Giovanni. Rispondiamo che una tale distinzione esiste chiaramente nel Salmo, ma scompare nella traduzione dei Settanta, dalla quale Giovanni cita letteralmente questo passo. "Che una profezia così specifica, non solo sia stata adempiuta alla lettera, ma sia stata da quattro soldati romani, senza intervento alcuno degli amici o dei nemici di colui che pendeva dalla croce, è certamente cosa da mettersi fra le maraviglie di quella scena meravigliose" (Brown).

Gesù schernito ed insultato in sulla croce.

Giovanni passa sotto silenzio questo soggetto; ma dagli altri evangelisti è chiaro che, oltre ai ladroni, dei quali abbiamo già parlato, tre classi di persone scagliarono ogni maniera d'insulti sul capo di Gesù, mentre egli pendeva dalla croce.

1. Gesù insultato dai passanti Matteo 27:30; Marco 15:29. Nel giorno precedente la Pasqua, i Giudei cessavano da ogni opera servile, sicché la valle di Giosafat e il pendio dell'uliveto dovevano esser coperti da una moltitudine disoccupata, e il fatto di tre crocifissioni al tempo stesso non poteva mancar di attrarre l'attenzione di molti, tanto più che il Golgota era vicino a Gerusalemme. Questa prima classe di insultatori di Gesù, giudicando dal rimprovero che gli fanno, doveva esser composta di cittadini piuttostoché di gente di campagna. Marco ci dice che essi "l'ingiuriavano, scotendo il capo, e dicendo: Eia, tu che disfai il tempio ed in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, e scendi giù di croce". Lo scuotere il capo, il grido "Eia" esprimevano insulto, derisione, trionfo. Nella prima visita che fece al santuario di Gerusalemme, dopo cominciato il suo pubblico ministerio, a Gesù era stato chiesto un segno della sua autorità per purificare il tempio, ed egli avea risposto: "Disfate questo tempio, e in tre giorni io lo ridirizzerò" Giovanni 2:19. Egli parlava del proprio corpo; ma quelli che l'udirono intesero le sue parole del tempio, per il quale nutrivano una riverenza idolatrica. Quel detto di Gesù aveva fatto una impressione, profonda e sfavorevole sugli abitanti di Gerusalemme. Vediamo infatti che una versione distorta di quel detto era stata il principale capo d'accusa contro il Signore dinanzi al Sinedrio, la notte precedente, e questi passanti a meno che si adotti l'idea di Farrar che essi fossero i cospiratori e i falsi testimoni che avevano tramato la morte di Gesù lo avevano pure presente alla mente e se ne valgono per insultare e coprire di ridicolo il misero che era inchiodato in sulla croce.

2. Gesù schernito dai sacerdoti e dagli anziani Matteo 27:41-43; Marco 15:31-32; Luca 23:35. Tutti e tre i Sinottici ricordano il contegno insultante e blasfematorio dei sacerdoti e degli anziani dei Giudei, appiè della croce di Cristo. Si sarebbe potuto supporre che, dopo aver ottenuto la morte di colui al quale avevano mosso una guerra così spietata, avrebbero lasciato ad altri la esecuzione della sentenza, contentandosi di rallegrarsi in privato della loro vittoria sopra Pilato; ma così intenso era l'odio loro verso il Signore, che lo seguirono fino al Golgota, per godersi la sua agonia, e beffarsi perfino della sua fiducia in Dio. Matteo si ferma in modo speciale a descrivere questo contegno dei rettori d'Israele. Le beffe dei passanti fondavansi sopra un punto solo: la supposta ricostruzione del tempio in tre giorni. I sacerdoti si fondano sopra due. Il primo vien loro suggerito dal titolo affisso per ordine di Pilato sopra alla croce, e che feriva così profondamente il loro orgoglio nazionale: "Se egli è il re d'Israele, scenda ora giù di croce". Questo malfattore inchiodato sul legno infame sarebbe davvero il re d'Israele! Lo provi, scendendo dalla croce, e noi crederemo in lui. Vane parole! Questi insultatori di Gesù non erano più capaci di arrendersi a qualsiasi prova. Nel loro stato di mente non potevan più credere a nulla né c'era evidenza che li potesse convincere. Eran decisi a non credere a nulla che potesse mortificare il loro orgoglio, contrariare le loro passioni, condannare il loro carattere e la loro condotta. Il grande ostacolo che li impediva di credere era la profonda corruzione della loro natura. Il secondo punto sul quale fondansi i loro scherni a Gesù, è la parola da lui stesso pronunziata poco prima dinanzi al Sinedrio: "Io sono il Figliuol di Dio". Qui il loro linguaggio più ancora che insultante diviene blasfematorio. Scherniscono in Gesù la sua fiducia nel suo Padre Celeste, la dichiarano vana, e sfidano l'Onnipotente stesso a liberarlo dalla croce, caso mai potesse compiacersi in un essere così vile. Perfino le parole che essi pronunziarono in questa circostanza erano state predette secoli prima, in uno dei Salmi messianici Salmi 22:8, nel quale tutti i vituperi che doveva subire il Messia sono partitamente descritti. In mezzo a quegli insulti, Dio volle però che la bocca dei suoi nemici proclamasse una grande verità: "Egli ha salvati gli altri". Certo, così dicendo, non intendevano testimoniare a favor suo, anzi si vantano che la sua potenza miracolosa non lo aveva salvato dalle mani degli Scribi e dei Farisei. Quelle parole sono pur sempre una testimonianza, resa al momento della sua più profonda umiliazione, che la sua era stata una vita sommamente utile e benefica, e che egli "andò attorno facendo benefici" Atti 10:38. Le ultime parole: "non può salvare sé stesso", non son vere nel senso letterale in cui le intendevano i sacerdoti, imperocché, colla stessa facilità colla quale ruppe tre giorni dopo le catene della morte, Gesù avrebbe potuto strappare i chiodi e scendere dalla croce; esse son vere però in senso spirituale, imperocché un decreto divino aveva deciso che le sue sofferenze e la sua morte in croce dovessero costituire il grande sacrificio espiatorio per il peccato, "la via recente e vivente per il ritorno dell'uomo a Dio, il fondamento di quel regno spirituale di cui Cristo è il capo, e i credenti sono i membri spirituali; e tutto questo meraviglioso e glorioso Diario di salvezza non sarebbe mai stato adempiuto ove Cristo avesse salvato sé stesso". Ecco l'Agnello di Dio! Ammiriamo ed adoriamo quell'amore per noi, che si mantenne inalterato in mezzo all'abbandono degli amici ed agli improperi dei nemici; che sopravvisse all'agonia del Ghetsemane, alle crudeltà del Pretorio, alle indicibili torture del Calvario.

3. Gesù beffato dai soldati. Questo fatto ci vien riferito da Luca, e ci fa vedere che, coll'eccezione del piccolo gruppo formato dalle donne fedeli e da Giovanni, tutti quanti si trovavano vicino alla croce di Cristo presero parte agli insulti diretti contro di lui. In Luca 23:36-37, leggiamo: "Or i soldati ancora lo schernivano, accostandosi, e presentandogli dell'aceto; e dicendo: Se tu sei il Re dei Giudei, salva te stesso". Questi soldati romani nulla sapevano della lotta che aveva condotto Cristo alla croce; ma l'esempio è contagioso. Vedendo Gesù fatto segno agli scherni ed agli improperi vogliono essi pure la parte loro della immonda gazzarra. Poco si curavano della riedificazione del tempio, e nulla dice loro il nome augusto di "Figliuol di Dio"; ma il titolo che essi medesimi avevano inchiodato al sommo della croce, e che proclamava Gesù "Re dei Giudei", dà loro un appiglio a beffeggiarlo ed a schernirlo. Pretendeva dunque quel meschino strappare la terra di Canaan al potentissimo imperatore romano? E siccome era venuto per essi il momento di desinare, gli offrono in derisione una coppa piena del vinello od aceto, che formava con acqua la solita loro bevanda, e ripetono le parole schernitrici dei Giudei contro ad un re, il cui trono è una croce, e la cui corona è tessuta di spine! "Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". Mentre Gesù poneva "l'anima sua qual sacrificio per la colpa", come ben si avverava la profezia di Isaia a suo riguardo: "Egli è stato sprezzato, abbandonato dagli uomini; è stato un uomo di dolori, ed esperto in languori; è stato come uno dal quale ciascuno nasconde la faccia; è stato sprezzato talché noi non ne abbiamo fatto alcuna stima" Isaia 53:3 Revisione Guicciardini.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:28,36-37; 10:35; 12:38-39

Salmi 22:18; Isaia 10:7; Atti 13:27

25 

Le donne Galilee, appiè della croce

25. Or presso della croce di Gesù stava sua madre,

In Matteo 27:55 leggiamo che "molte donne", d'infra i discepoli Galilei, stavano "riguardando da lontano" la scena della crocifissione, anche fin dopo il terremoto che segnò il momento della morte di Gesù, Giovanni qui ci dice che alcune di esse si avvicinarono fino alla croce, per udire ancora qualche parola dell'amato Maestro, e dimostrargli fino alla fine il loro affetto Giovanni era con esse, benché colla sua consueta modestia non parli di sé. La prima che egli nomina è Maria, la "madre" del Signore, "che la Scrittura non chiama mai la Vergine Maria". Nessuna parola umana potrà mai descrivere il dolore che straziava l'anima di quella santa donna appiè della croce del figliuolo; ma siccome, fin dal principio, essa avea tesoreggiato ogni parola riferentesi ad esso, ora poté capir meglio che mai le parole indirizzatele da Simeone nel tempio: "Una spada trafiggerà a te stessa l'anima" Luca 2:35.

e la sorella di sua madre,

Chi era costei? Furon tre o quattro le donne appiè della croce? Il testo Greco lasciala questione indecisa. Sostengono molti che "Maria di Cleopa" è una apposizione di "sorella di sua, madre", che cioè quella sorella si chiamasse Maria di Cleopa. In questo modo il numero si ridurrebbe a tre. Ma ci par più probabile che Maria di Cleopa fosse un'altra donna che la sorella della madre di Gesù, cosicché quattro sarebbero state le donne presenti appiè della croce. Secondo noi, la sorella di Maria è Salome, madre di Giacomo e di Giovanni, che Matteo e Marco nei passi paralleli Matteo 27:56; Marco 15:40, mentovano espressamente per nome, mentre Giovanni lo tace, per quella sua naturale modestia ogni qualvolta trattasi di lui o dei suoi più intimi congiunti. Già al secondo secolo la versione Siriaca, "Peshito", adottò questo modo di vedere, ed inserì "e" dinanzi a "Maria di Cleopa". Ammettendo che Salome, moglie di Zebedeo, sia la persona indicata in queste parole, otteniamo i vantaggi seguenti:

1. Scompare l'anomalia di due sorelle aventi il medesimo nome;

2. Le quattro donne ci vengono, secondo lo stile abituale di Giovanni, presentate in due gruppi paralleli: "la sua madre e la sorella di sua madre", poi "Maria di Cleopa e Maria Maddalena";

3. I passi paralleli di Matteo, Marco e Giovanni si armonizzano perfettamente, imperocché, oltre alla madre del Signore ed a Maria Maddalena, mentovate in tutti e tre i Vangeli, la Maria di Cleopa vien nominata da Matteo come "madre di Giacomo e di Iose", e da Marco, come "madre di Giacomo il piccolo e di Iose"; e la "sorella di sua madre" è indicata da Matteo coll'espressione "la madre dei figliuoli di Zebedeo", mentre Marco le dà chiaramente il nome di "Salome", Vedi Nota Matteo 27:55;

4. Se Maria madre del Signore e Salome madre di Giovanni e di Giacomo erano sorelle, gli apostoli Giovanni e Giacomo erano cugini primi di Gesù, secondo la carne, e ciò spiega, senza scusarla, la domanda di Salome a favore dei suoi figliuoli Matteo 20:20-22 come spiega pure il fatto che ora ci verrà raccontato da Giovanni, e la intimità speciale che regnava fra lui e Gesù.

Maria di Cleopa,

Questa espressione nel Greco potrebbe intendersi della madre o della sorella o della moglie o della figlia di Cleopa; è però più probabile che si tratti di sua moglie. Essa sarebbe dunque la madre di Giacomo il piccolo, e Cleopa lo stesso che Alfeo, Confr. Matteo 10:3; 27:56. Non c'è però ragione sufficiente per identificarlo col Cleopa di Luca 24:18, poiché nel greco egli vien chiamato e quest'ultimo il primo è nome aramaico, il secondo è greco.

e Maria Maddalena.

Era costei così nota ai lettori di Giovanni, per quanto ne dicono i tre primi Vangeli, che bastava darne il nome senz'altra designazione. Non poteva mancar di trovarsi appiè della croce di Cristo questa fervente e riconoscente sua seguace. Matteo ci dice che le pie donne devote rimasero vicino alla croce, finché il Signore non ebbe esalato l'ultimo respiro, e che quando il corpo ne venne tolto, si fermarono ad osservare dove veniva deposto, forse per aiutare ad imbalsamarlo, e senza dubbio per saper dove ritrovarlo alla mattina del primo giorno della settimana. Per la esposizione vedi Nota Matteo 27:61.

PASSI PARALLELI

Luca 2:35

Matteo 27:55-56; Marco 15:40-41; Luca 23:49

Luca 24:18

Giovanni 20:1,11-18; Marco 16:9; Luca 8:2

26 

La terza parola di Gesù in sulla croce. Egli raccomanda sua madre al discepolo che amava, Giovanni 19:26-27

26. Laonde Gesù, veggendo quivi presente sua madre, e il discepolo ch'egli amava, disse a sua madre: Donna, ecco il tuo figliolo!

La prima parola di Cristo in sulla croce fu una preghiera per i peccatori, impenitenti che ve lo inchiodavano; la seconda fu un messaggio di salute per il ladrone pentito; la terza una parola di affetto filiale per la vedova sua madre. Assorto in meditazione sull'opera che stava compiendo, o preoccupato già di quel misterioso abbandono nel quale "il suo cuore come cera si struggerebbe nel mezzo delle sue interiora" Salmi 22:14, egli non aveva subito osservato quella piccola comitiva di amici più intimi, che si era a poco per volta avvicinata alla sua croce; ma quando li scorse l'occhio suo amorevole si fermò subito sulla madre e le sue parole mostrarono che, in mezzo alla sua agonia, trovava la forza di pensare e di provvedere al suo benessere: "Donna ecco il tuo figliuolo". La chiama "Donna" non "Madre", non già per risparmiarle, come credono alcuni, il dolore che un tal nome doveva risvegliare in lei, né per evitarle cattivi trattamenti per parte dei suoi nemici, quando a costoro fosse nota la loro stretta parentela; bensì per farle conoscere che la lezione che egli aveva principiato ad insegnarle alle nozze di Cana, e che l'umile contegno di lei durante il ministero di Gesù dimostrava aver essa imparata, era ora compiuta. Cessano da questo momento le loro relazioni di madre e figliuolo, per dar luogo ad una parentela spirituale assai più importante; essa non dovrà mai ambire qualsiasi onore speciale per esser sua madre, né permettere che le venga tributato da altri. Da quell'ora in poi, Maria viverà la vita della fede; come più tardi Paolo, essa dovrà dire: "Avvegnaché abbiam conosciuto Cristo secondo, la carne, pur ora non lo conosciamo più" 2Corinzi 5:16. La ragione poi per la quale Gesù prescelse Giovanni a guardiano di sua madre, egli non la dice; ma ben sappiamo che poco tempo prima i suoi fratelli non avevano ancora creduto in lui Giovanni 7:5, e non potevano perciò esser con la madre in comunione di fede; mentre egli sapeva che nella casa di Giovanni, Maria troverebbe abbondantemente quell'intima relazione di amore, che sola poteva soddisfare il cuor suo. Maria ben conosceva il carattere affettuosa e mansueto del suo nipote Giovanni; epperciò si affidò interamente alle sue cure, ben sapendo che egli poteva riceverla in casa sua, e proteggerla fino alla morte.

PASSI PARALLELI

Giovanni 13:23; 20:2; 21:7,20,24

Giovanni 2:4

27 27. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre!

Brevi parole, ma ricche di ogni necessaria benedizione per la povera vecchia vedova. Esse suonano: "Ricevila in casa tua; falla partecipe di tutti i beni di cui ti arricchirà il Signore; assistila nelle sue infermità, consola i suoi dolori, confortala colle speranze del mio Vangelo, che, la mia risurrezione tosto confermerà, e trovi d'essa in te tutta la gratitudine e la venerazione che un figlio deve a colei che fu la prima e la più costante nell'amarlo". Maria e Giovanni non potevano se non sentirsi intimamente uniti nel comune loro dolore. Giovanni capì che Gesù affidava la madre alla sua protezione speciale, e così pure intenderà queste parole chiunque le legge senza preconcetto alcuno; ma la Chiesa Romana si è ingegnata a trarne un argomento di più per la sua mariolatria, asserendo che, con queste parole, il Signore affidava Giovanni, qual tipico rappresentante della Chiesa tutta, alla custodia di Maria; e che essa è per conseguenza, la patrona dei santi, la protettrice della Chiesa, l'ausiliatrice di tutti i bisognosi. Ogni uomo di senso comune dirà con Alford che quella è una idea assurda. "Gesù non affidò Giovanni a Maria, bensì Maria a Giovanni. Maria non doveva esser per il discepolo la rappresentante di Gesù; ma Giovanni doveva prendere verso di lei il posto del figliuolo. Maria, non Giovanni, aveva bisogno di protezione e di aiuto" (Arndt, citato da Stier).

E da quell'ora quel discepolo l'accolse in casa sua.

Queste parole ci dicono che Giovanni accettò di tutto cuore l'incarico affidatogli dall'amato Maestro, e provvide, da quel momento in poi, al mantenimento di Maria. Alcuni però ne vorrebbero trarre la conclusione che egli subito condusse a casa sua la madre di Gesù, per risparmiarle lo strazio di esser testimone dell'ultima e più dolorosa agonia di suo figlio, tornando poi egli medesimo a riprendere il suo posto appiè della croce. Questo ci par molto improbabile. Maria era tal donna da non abbandonar la croce fino all'ultimo, e neppur Giovanni se ne sarebbe allontanato sotto qualsiasi pretesto. Altri, mettendo assieme varie circostanze della vita di Giovanni, e specialmente il che suo padre Zebedeo aveva degli "operai" Marco 1:20, e che Giovanni stesso "era noto al sommo sacerdote" Giovanni 18:15, ne concludono che la sua fosse una famiglia di benestanti, ed avesse una casa propria in Gerusalemme, nella quale egli avrebbe condotto Maria, non appena spirato Gesù. Tutto ciò è pura immaginazione. L'espressione è troppo generica perché la si possa intendere di una casa propriamente detta "È vero che, quando è detta di Cristo Giovanni 1:11, Diodati traduce, come qui, "a casa sua"; ma è chiaro che in quel passo non si tratta di una casa materiale. Il senso migliore quì è evidentemente il senso più generico: "in sua" della Vulgata, o "dai suoi" della versione inglese. Il testo greco non implica punto che l'apostolo avesse allora una casa propria in Gerusalemme. Senza dubbio egli condusse Maria nell'alloggio che occupava in città colla madre Salome, ed in seguito forse nella casa paterna sulle rive del lago di Tiberiade, finché non ebbe casa propria. Una tradizione, che risale al settimo secolo, ci dice che Maria visse con Giovanni in Efeso, fino ad età avanzatissima, il che non impedisce minimamente ai frati di Gerusalemme di farne vedere la pretesa tomba nella valle di Giosafat. Ricordato questo fatto, che occorse verso il mezzodì, Giovanni passa sotto silenzio tutto quello che avvenne fino alla morte del Signore, e dobbiamo perciò raccogliere dai tre primi Vangeli gli eventi di quelle tre ore solenni. Vengon prima di tutto le Tenebre miracolose, ricordate da Matteo 27:45; Marco 15:33; Luca 23:44. Matteo ci dice: "Ora, dalle sei ore si fecero tenebre sopra tutta la terra, infino alle nove". Queste tenebre non si possono spiegare coll'avvicinarsi della notte, poiché si era invece al pieno meriggio. Nemmeno possono dirsi la conseguenza di una ecclissi solare; le ecclissi di sole non accadono mai al plenilunio, e di più durano in media quindici minuti, non già tre ore. D'altra parte, di fronte alla unanime testimonianza di tre uomini integri come Matteo, Marco e Luca, non contraddetta da nessuno fra i moltissimi testimoni oculari del fatto, qual uomo onesto potrà chiamar questo un mito o un'impostura? Furon quelle tenebre mandate da Dio per nascondere sotto un conveniente velo di dolore il fatto più tragico che sia accaduto quaggiù. Durante quelle tre ore di tenebre, un silenzio di morte regnò sulla, città, sui suoi abitanti, sulla natura intera; tacque perfino la voce di Gesù al sommo della croce, e l'ora nona era quasi giunta, allorché essa ruppe nuovamente il silenzio.

La quarta parola in sulla croce. La ricordano insieme al fatto che l'accompagnò, ed in termini pressoché identici in Matteo 27:46-49; Marco 15:34-36: "E intorno alle nove, Gesù gridò con gran voce, dicendo: 'Eli, Eli, lamma sabactani?'" Marco conserva la forma più puramente aramaica: "Eloi, Eloi" cioè: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai lasciato?" Son questo le prime parole dei Salmi 22, che contiene la descrizione profetica più minuta che si possa desiderare delle sofferenze del Messia in sulla croce. Il Signore le ripete, non nell'ebraico classico, ma nel dialetto siro caldaico che egli parlava ordinariamente coi suoi. Son, parole di doloroso lamento per l'abbandono in cui avealo lasciato il suo Padre Celeste, e che egli aveva sentito ognor più vivamente durante quell'ore di tenebre e di silenzio. Alla fine, avvicinandosi l'ora del sacrificio vespertino, che doveva pure esser quella della sua morte, le sue sofferenze raggiunsero il loro culmine e gli strapparono quel grido di angosciosa agonia. Quanto vivo sia stato il sentimento dell'abbandono di suo Padre, e l'angoscia che quello produsse nel cuor suo, lo si può vedere paragonando i nomi che egli diede all'Altissimo, mentre pendeva dalla croce. Nella sua preghiera a pro dei suoi crocifissori, lo chiama "Padre" Luca 23:34; "Padre" pure lo chiamerà di nuovo fra poco, allorquando le tenebre si saranno dileguate dalla natura e dalla propria sua anima Luca 23:46; ma mentre soffre le torture fisiche più intense, mentre grava sull'anima sua il pondo incomportabile dei peccati dell'uman genere, mentre è nascosta dagli occhi suoi la luce della faccia del Padre suo, non ardisce chiamarlo Padre, e si contenta di invocarlo col nome di "Dio mio, Dio mio". Ma anche in quelle parole, risplende la fede sua, che si dimostra incrollabile. Le ineffabili e misteriose sofferenze del Figliuol di Dio, fatto maledizione per il nostro peccato, orbato per un momento della luce della faccia di Dio, noi non le potremo mai comprendere. Però, se egli fu abbandonato nella sua natura umana, Dio non avrebbe potuto, senza rinnegare sé medesimo, abbandonarlo nella sua natura divina, Quell'abbandono non significa che Dio Padre più non lo sostenesse colla divina sua potenza, né che avesse cessato anche momentaneamente di amarlo, perché forse non lo amò mai cotanto come al momento in cui, in ubbidienza all'ordine divino, egli mise la vita sua per i peccatori. Neppur significa che furono in quell'ora ritirate a Gesù la grazie dello Spirito, imperocché fu l'esercizio vigoroso di quelle che maggiormente diede gloria a Dio in quel momento supremo, e comunicò al sacrificio di Cristo tutto il suo valore, tutta la sua efficacia. Finalmente, quell'abbandono non fu né definitivo né completo, ed ebbe anzi brevissima durata. Lo diceva lo stesso salmo profetico di cui Gesù, nell'angoscia dell'anima sua, aveva pronunziato le prime parole, poiché al vers. 24 di quello leggiamo: "Egli non ha sprezzata, né disdegnata l'afflizione dell'afflitto; e non ha nascosta la sua faccia da lui; e quando ha gridato, l'ha esaudito". Non dobbiamo dunque pensare che Dio abbia in modo assoluto abbandonato il suo Figliuolo, mentre questi era in sulla croce, ma solo che per un tempo Gesù più non sentì la presenza del suo Padre Celeste, mentre invece facevasi più che mai presente alla sua coscienza l'ira di Dio contro il peccato. Si fu in quell'ora di tenebre e di abbandono che il Cristo venne "fatto maledizione per noi" Galati 3:13. Nessuna mente umana potrà mai concepire quali dovettero essere le sofferenze del Figliuol di Dio, allorquando più non gli vennero concesse le manifestazioni dell'amor di Dio, mentre d'altra parte gravavano sull'anima sua immacolata tutte le conseguenze del peccato degli uomini. Matteo continua Matteo 27:47: "E alcuni di coloro ch'erano ivi presenti, udito ciò, dicevano: Costui chiama Elia". Meyer ed altri vedono in queste parole un bisticcio crudele dei Giudei, fondato sopra un'insulsa distorsione delle parole "Eli, Eli"; ma non ci sembra probabile che, usciti appena dall'orrore di quelle ore tenebrose, quelli che trovavansi ancora attorno alla croce di Gesù fossero disposti a far dello spirito, ed è probabile che si ti atti qui di Giudei Ellenisti, i quali, poco avvezzi al linguaggio volgare della Palestina, fraintesero realmente le parole di Gesù.

PASSI PARALLELI

Genesi 45:8; 47:12; Matteo 12:48-50; 25:40; Marco 3:34; 1Timoteo 5:2-4

1Giovanni 3:18-19

Giovanni 1:11; 16:32

28 

La quinta parola di Cristo in sulla croce, Giovanni 19:28-29

28. Poi appresso, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, acciocché la Scrittura si adempiesse, disse: io ho sete.

Alcuni uniscono la clausola: "acciocché la Scrittura si adempiesse", alle parole che la precedono, quasiché significasse che le sofferenze di Cristo già avevano esaurito tutto quanto ne dicevano le profezie. Altri invece uniscono quella clausola a quanto segue, e, secondo essi, Cristo avrebbe detto: "Io ho sete", precisamente perché venisse adempiuta una profezia speciale. Quest'ultima costruzione ci par da preferirsi, perché colla prima s'incorre in una contraddizione, poiché da una parte l'Evangelista direbbe che tutte le profezie erano già adempiute, laddove più sotto vediamo che una ve ne era ancora da adempiere. Non perdiamo di vista che i due verbi "era compiuto", e "adempiesse", si riferiscono a soggetti di versi, cioè il primo a tutte le sofferenze di Cristo quale portatore del peccato; il secondo a tutte le profezie relative a quelle, ed una delle quali restava tuttora da adempiersi. Tormento crudelissimo della crocifissione era la sete che divorava i suppliziati. Dopo esser rimasto per ben sei ore in sulla croce, Gesù deve aver provato una sete intensa. Durante le tre ore delle tenebre, l'anima sua era rimasta troppo assorta nel suo dolore spirituale, per far molta attenzione alle sofferenze fisiche. Non appena però si dissipa alquanto il suo sentimento dell'abbandono paterno, gli si fanno sentire nel modo più tormentoso i bisogni della sua natura umana, e primo fra questi la sete. Il suo grido: "Io ho sete" non ebbe però per scopo di adempiere la profezia, bensì di chiamar l'attenzione dei suoi carnefici su quel suo bisogno, e di testimoniar pubblicamente della realtà e della intensità dei suoi patimenti. Al tempo stesso, essendo questa espressione di estrema sofferenza fisica l'ultima cosa richiesta affinché il Messia fosse "consacrato per sofferenze" Ebrei 2:10, e perché la profezia dimostrasse la sua perfezione in lui, il Signore esalò questo grido, affinché i suoi nemici adempiessero essi medesimi le profezie che riguardavano loro, al tempo stesso che quelle che concernevano lui. Non dobbiamo supporre che il Signore dicesse: "Io ho sete", sol per adempiere le Scritture; la sua sete e il suo lamento furon però dalla Provvidenza divina ordinati in modo da condurre a tale adempimento. La profezia in tal modo avverata è quella di Salmi 69:21: "Nella mia sete, mi hanno dato a bere dell'aceto". Queste parole son da Giovanni dette riferirsi al Messia; dobbiamo adunque ritenerle come dette e ricordate dallo Spirito con uno scopo profetico.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:30; 13:1; 18:4; Luca 9:31; 12:50; 18:31; 22:37; Atti 13:29

Salmi 22:15; 69:21

29 29. Or quivi era posto un vaso pieno d'aceto.

Poco monta che questo vaso fosse quello che conteneva il vinello, "posca", dei soldati, o un vaso più piccolo contenente una bevanda destinata specialmente ai suppliziati; importa notare però che non trattasi in questo caso del narcotico chiamato dal Vangelo "aceto mescolato con fiele" Matteo 27:34, o "vino condito con mirra" Marco 15:23, che Cristo aveva rifiutato al principio del suo supplizio, bensì semplicemente della bevanda ordinaria dei soldati romani.

Coloro adunque, empiuta di quell'aceto una spugna, e postala intorno a dell'isopo, gliela porsero alla bocca.

Ciò fu evidentemente l'atto dei soldati, e senza dubbio è quello che narra Matteo Matteo 27:48, che "uno di loro", ad onta delle beffe dei presenti, mosso da compassione, "corse e prese una spugna, e l'empiè d'aceto; e messala intorno ad una canna, gli diè da bere". Benché la croce fosse assai più bassa di quel che si veda ordinariamente nelle pitture della crocifissione, essa era però troppo alta perché chi stava sul terreno potesse giungere colla mano alla bocca del suppliziato; perciò fu necessario, far uso di una spugna legata in cima ad una canna per dar da bere a Gesù. Da quella spugna presentata alle sue labbra, il Signore poté succhiare un po' di liquido, e riprendere alquanto forza. Coll'accuratezza di un testimone oculare, Giovanni ci dice che la canna usata in questa circostanza era stata tolta dalla pianta dell'isopo. Forse nessuna delle piante, mentovate nella Sacra Scrittura ha dato origine a maggiori discrepanze che questa. Chi vede in essa l'origanum maru, ossia il saatar degli Arabi, chi la pianta del cappero, "capparis spinosa", chi qualche altro arboscello ancora; ma ciò nulla detrae dalla perfetta accuratezza del nostro Evangelista.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:34,48; Marco 15:36; Luca 23:36

Esodo 12:22; Numeri 19:18; 1Re 4:33; Salmi 51:7

30 

La sesta parola di Cristo in sulla croce

30. Quando adunque Gesù ebbe preso l'aceto, disse: Ogni cosa è compiuta.

"Ogni cosa" non si trova nel greco; il grido trionfale del Signore consistette nell'unica parola "tetelestai" "è finito" e riesce più commovente così Giovanni solo ci ricorda questa parola di Gesù, e benché ce la presenti colla parola "disse", crediamo che corrisponda a quanto dicono i Sinottici che "egli gridò con, gran voce". Come l'infermo sospira la luce del giorno, così, fra quelle tenebre, e Gesù bramava che venisse tolto d'in sull'anima sua il pondo del peccato, e non appena vede nuovamente brillare la luce del volto di suo Padre, egli innalza quel grido di vittoria, la cui eco, si farà udire in tutti i secoli, e formerà l'argomento degli inni trionfanti degli angeli e dei credenti. L'opera che aveva accettata sin davanti la fondazione del mondo, e quindi proseguita in terra per oltre a trent'anni, in mezzo alle privazioni della povertà, alle tentazioni di Satana, alle contumelie ed all'odio degli uomini, eccola in poche ore condotta ad un esito felice Egli doveva ancora, è vero, morire; ma anche questo è compreso nel grido detelestai, imperocché a lui solo apparteneva di deporre la propria vita Giovanni 10:11,18, ed egli stava per darla. Praticamente, agile cosa era compiuta dal momento che egli aveva "posta l'anima sua per sacrificio per la colpa" Isaia 53:10, e niente ora poteva impedire l'adempimento di tutto il resto.

a) Quando, dall'alto della croce, il Signore gridò "tetelestai", egli proclamò la sconfitta di Satana, e l'insuccesso di tutti i suoi sforzi per tenere schiava la razza umana. Il potente ha trovato un più potente di lui. Col far morire Cristo in croce, Satana si lusingava di assicurare per sempre l'usurpato suo dominio: la croce fu invece il monumento della sua sconfitta, imperocché in quella il Messia, "avendo spogliate le podestà, e i principati, li ha pubblicamente menati in spettacolo, trionfando d'essi in esso Colossesi 2:15.

b) Con quella parola: "è compiuto", Gesù proclamò adempiuta l'opera di redenzione; la morte sua, espiazione sufficiente del peccato; avverata la profezia di Daniele Daniele 9:24, esser cioè quell'ora, il tempo fissato "per terminare il misfatto, e per far venir meno i peccati, e per far purgamento per l'iniquità, e per addurre la giustizia eterna". Da quel momento in poi Gesù sarà dinanzi a Dio la giustizia del peccatore; non vi sarà più, condannazione per quelli che sono in lui, perché "il Signore si compiaceva in lui per amore della sua giustizia" Isaia 42:21.

c) Con quella parola, Gesù proclama che tutte le esigenze della legge sono appieno soddisfatte, per quanto riguarda quelli che accettano Gesù come loro giustizia. La giustizia di Dio più non gli consente di punire quelli a pro dei quali Cristo ha già patito. "Egli ha fatto esser peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, acciocché noi fossimo fatti giustizia di Dio in lui" 2Corinzi 5:21.

d) Con quella parola, Gesù proclamò abolita la dispensazione dell'Antico Testamento, avendo egli adempiuto tutti i tipi e tutte le figure della legge cerimoniale, dimodoché i sacrifici ed i riti che erano obbligatori sotto la legge di Mosè, più non lo sono per i cristiani "perciocché il fin della legge è Cristo in giustizia ad ogni credente" Romani 10:4.

e) Con quella parola, Cristo dichiarò pure adempiute in lui medesimo tutte le profezie dell'Antico Testamento. Pietro ci dice 1Pietro 1:10, che lo studio prediletto dei profeti antichi consisteva nell'investigare che cosa significassero le cose loro rivelate dallo Spirito intorno a Cristo, e Giovanni dichiara, Apocalisse 19:10, che "la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia". Quei profeti avevano adempiuto fedelmente l'opera loro affidata; ma ora quella più non era necessaria, perché Gesù è il sommo profeta della dispensazione evangelica, e colla sua Parola, e col suo Spirito fa conoscere ai suoi la volontà di Dio.

f) Finalmente, con quella parola, Gesù dichiarò che quel suo sacrificio di sé medesimo in sulla croce era unico e completo, né mai doveva venir ripetuto. Bestemmiano adunque quelli che pretendono rinnovare il sacrificio di Cristo, mediante gl'incantesimi di un prete all'altare; imperocché senza spargimento di sangue nessun sacrificio espiatorio può essere efficace, e Cristo non ha delegato a nessuno, né in terra né in cielo, il potere di versar nuovamente il suo sangue. Paolo ci dice che "Cristo, essendo risuscitato dai morti, non muore più" Romani 6:9, che "egli è entrato nel cielo stesso per comparire ora davanti alla faccia di Dio per noi" Ebrei 9:24. L'inevitabile conclusione di tali passi delle Scritture si è che Cristo ha offerto, a favore di tutti quelli che crederanno in lui fino alla fine dei tempi, un sacrificio perfetto, e che la messa della Chiesa Greca e Latina è una imitazione blasfematoria dell'inimitabile suo sacrificio. La messa invero falsifica la testimonianza di Cristo morente in croce, ed è la rovina delle anime che ad essa si affidano, Quando il Signore pronunziò quella parola, "sia che alzasse gli occhi a Dio e pensasse all'aver egli glorificato il Padre suo, e adempiuta l'opera affidatagli in terra; sia che abbassasse lo sguardo sulla terra, e contemplasse la potenza salvatrice che la sua croce presto eserciterebbe sopra milioni di esseri umani, quello dovette essere per Gesù un momento di intensissima gioia. Egli ha patito l'ultima tortura, ha reso l'ultimo servizio, ha adempiuto l'opera sua vicaria, e ben può esclamare: "È FINITO!" (Hanna).

La settima ed ultima parola di Cristo in sulla croce. Luca 23:46, è solo a riferirci questa parola, la quale, senza dubbio, seguì immediatamente la precedente: "Gesù avendo gridato con gran voce, disse: Padre, io rimetto lo spirito mio nelle tue mani. "Alla dolorosa esperienza dell'abbandono è succeduta ora quella della piena fiducia e della gioia; il grido di angoscia: "Mio Dio, mio Dio" dà luogo al nome abituale ed amorevole di "Padre". "Le tenebre passano, e già risplende la vera luce" 1Giovanni 2:8, che non verrà oscurata mai più, e nel linguaggio di quei Salmi, che erano sempre sulle sue labbra Salmi 31:6, con voce che si fece udire tutto all'intorno, Gesù affida al suo Padre celeste l'anima sua, per tutto il tempo durante il quale il corpo suo giacerà nel sepolcro. Con queste parole, il Salvatore dichiara che la sua natura umana consiste di un corpo e di un'anima, che l'anima sua non sarà annichilata dalla morte, ma continuerà a sussistere, anche separata dal corpo, e che egli appieno si affida in Dio, che vorrà riceverla e custodirla in sicurezza e felicità perfetta, finché non venga nuovamente riunita al corpo al terzo giorno. Sono stati scritti, per spiegare che cosa avvenisse dell'anima di Cristo, dopo che egli ebbe reso lo Spirito, volumi senza numero, dei quali si sarebbe potuto fare a meno, se gli uomini si fossero accontentati di ricevere il semplice insegnamento della Parola di Dio. Cristo, avendo rimesso lo Spirito suo nelle mani del Padre, e il Padre avendo accettato il sacro deposito, è chiaro che fra la morte e la risurrezione, l'anima di Cristo era col Padre in cielo, il che d'altronde è comprovato pure dalle parole di Cristo al malfattore pentito Luca 23:43. Guidata da questi passi, e dalle consimili dichiarazioni di Paolo che il partire dal corpo è un "andare ad abitare col Signore" 2Corinzi 5:8, e che il "partire di questo albergo ed essere con Cristo è di gran lunga migliore" Filippesi 1:23, la Chiesa Presbiteriana in Gran Bretagna, in Irlanda ed in America, ha sempre rigettato il purgatorio romano, o qualsiasi stato intermedio per le anime dei morti, come contrario alle Scritture, e sostiene nelle sue confessioni di fede che "le anime dei fedeli, alla loro morte, sono rese perfette in santità, e passano immediatamente alla gloria; e i corpi loro, essendo sempre uniti a Cristo, riposano nella tomba fino alla risurrezione. La dottrina che Cristo discese all'inferno non ha altro fondamento che una esegesi erronea delle parole: "Andò a predicare agli spiriti che sono in carcere" di 1Pietro 3:19; mentre l'articolo del Credo: "discese all'inferno", che alcuni ritengono così tenacemente come se fosse parola inspirata, altro non è che una falsificazione introdotta nel Credo alla fine del quarto secolo dalla Chiesa di Aquileia, e non ricevuta dalla generalità che alla fine del sesto. Per ulteriori informazioni su questo soggetto, Vedi Pearson sul Credo, o il Credo del Rev. Teofilo Gay, Firenze 1883.

E, chinato il capo, rendè lo Spirito

Benché Diodati traduca "rendè" in tutti e quattro gli Evangelisti, due soli fanno uso della medesima espressione; ma tutti fanno chiaramente intendere elle la morte del Messia fu pienamente volontaria e spontanea, come lo prova pure l'alto grido che l'accompagnò. Essa non fu dunque semplicemente il risultato del suo fisico indebolimento. Fino a quell'istante, il Signore, in mezzo a tutte le sue torture, aveva tenuto il capo eretto; ora lo china, significando che depone la vita, e l'amato suo discepolo osserva e ricorda questo minuto particolare dei suoi ultimi momenti. Ci ripugna di seguire Strauss, Hanna ed altri nelle loro congetture riguardo alla causa fisica della morte di Cristo; è questo un argomento troppo sacro per consimili speculazioni, senza contare che non sarà mai possibile di giungere, a questo riguardo, ad una conclusione soddisfacente. Con Milligan crediamo che le ricerche fatte su questo punto urtano il sentimento cristiano assai più che non soddisfino ad uno spirito legittimo di ricerca scientifica.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:28

Giovanni 4:34; 17:4; Genesi 3:15; Salmi 22:15; Isaia 53:10,12; Daniele 9:24,26; Zaccaria 13:7

Matteo 3:15; Romani 3:25; 10:4; 1Corinzi 5:7; Colossesi 2:14-17; Ebrei 9:11-14,22-28

Ebrei 10:1-14; 12:2

Giovanni 10:11,18; Matteo 20:28; 27:50; Marco 15:37; Luca 23:46; Filippesi 2:8; Ebrei 2:14-15

RIFLESSIONI

1. "C'insegni l'esempio di Ponzio Pilato quali misere creature sieno anche i più grandi fra gli uomini, quando non sono guidati da principi elevati, e non credono in un Dio che governa i regnanti. Il più umile operaio che possiede la grazia e tenie Iddio, è, agli occhi del Creatore, più nobile di un re, di un governatore, di un uomo di Stato, il cui primo scopo non è già di far quello che è giusto, bensì di piacere al popolo. Avere una coscienza in privato ed un'altra in pubblico; una norma di doveri per le anime nostre ed un'altra per gli atti pubblici; vedere chiaramente quello che è bene dinanzi a Dio, eppure fare il male, per amore di popolarità ciò può parere a taluni retto, politico, abile e sapiente; ma un tal carattere, nessun cristiano lo potrà mai rispettare. Domandiamo al Signore che al nostro paese non manchino mai uomini altolocati, i quali non solo pensino rettamente, ma abbiano il coraggio di agire in conformità delle loro convinzioni, senza inchinarsi alle opinioni altrui. Uomini i quali, come Ponzio Pilato, sempre intrigano, sempre cercano compromessi, e si lasciano guidare dall'opinione anziché guidarla; uomini che temono di fare il bene per timore di offendere qualcuno, e son pronti a fare il male, per acquistar popolarità, sono i peggiori rettori che un paese possa avere. Sono spesso il più grave castigo che Dio mandi ad una nazione per i suoi peccati" (Ryle).

2. In Giovanni 19:17 leggiamo che Cristo s'avviò verso il Golgota, portando la sua croce. Questo era parte del castigo inflitto ai più vili malfattori, e Gesù l'accettò, perché era stato "fatto maledizione per noi". Ma in questo egli ci si presenta pure come il grande sacrificio per il peccato. In Levitico 16:27, era prescritto: "Portisi fuori del campo il giovenco del sacrificio per lo peccato, e il becco del sacrificio per lo pescatore, il cui sangue sarà stato portato dentro al Santuario, per farvi purgamento. "Paolo allude a questo sacrificio quando ricorda ai Cristiani d'infra gli Ebrei, familiari colla legge di Mosè, che Gesù "ha sofferto fuor della porta".

3. Le quattro sorgenti dalle quali procedettero le beffe e gl'insulti accumulati sopra Gesù in croce, ben rappresentano le varie classi di nemici della religione. I passanti rappresentano la indifferenza religiosa; i principali sacerdoti, gli scribi e gli anziani raffigurano gli ipocriti in religione; i soldati sono i satelliti dell'autorità secolare in ogni servile ubbidienza ai loro superiori; i ladroni infine rappresentano i malvagi dichiarati. Da ogni parte piovve sul capo di Cristo in croce una fitta sequela di contumelie e di scherni. Ma Gesù "oltraggiato, non oltraggiava all'incontro" 1Pietro 2:23.

4. Le sofferenze di Cristo non ebbero termine, se non quando egli ebbe compiuta tutta l'opera che era venuto a fare. Non solo soffrì la malizia estrema dei suoi nemici, ma adempì tutte le profezie, e tutti i tipi furono realizzati in lui. Pagò tutto ciò che Dio aveva determinato si dovesse pagare per la espiazione del peccato, sicché nessun riscatto è più dovuto per il peccatore. Egli adunque, adempì perfettamente tutta quanta l'opera della nostra redenzione, acquistandoci tutte quante le grazie che occorrevano a renderci, perfetti.

5. Dalla fondazione del mondo in poi, non venne mai pronunziata parola così importante e così ricca di significato, come quella che il Signor Gesù, prima di rimettere lo spirito nelle mani del Padre, proferì dall'alto della croce: "Ogni cosa è compiuta!" Quella parola annunzia adempiuta la profezia, condotta a termine la grande opera della redenzione, distrutta per i credenti la morte, ed acquistata ad essi ogni maniera di benefizi temporali ed eterni. Qual ricca miniera di conforto e di allegrezza quella parola contiene per ogni credente! L'anima nostra riposa sull'opera compiuta da Gesù Cristo. Né il peccato, né Satana, né la legge più potranno condannarci all'ultimo giorno. Abbiamo un Salvatore che ha tutto fatto, tutto pagato, tutto adempiuto quanto era necessario per la nostra redenzione. Ben possiamo dire con l'apostolo: "Chi sarà quel che condanni? Cristo è quel che è morto, ed oltre a ciò ancora è risuscitato; il quale eziandio è alla destra di Dio, il quale eziandio intercede per noi" Romani 8:34. Se guardiamo alle nostre opere, ben ci possiamo vergognare della loro imperfezione; ma, se crediamo, la pace rientrerà nel nostro cuore, guardando all'opera compiuta di Cristo, e ci sentiremo "perfetti in lui".

6. Per quanto ci ripugni di speculare sulla causa fisica della morte di Cristo, siamo disposti a dare ascolto a chiunque ne parli colla dovuta riverenza. Leggiamo nel commento di Ryle: "Il Dott. Stroud, dotto e, pio medico, che scrisse un trattato su quel soggetto nel 1847", emise un'idea che trovò il sostegno di tre eminenti dottori di Edimburgo: Sir James Simpson, il Dott. Begbie e il Dott. Struthers. Egli crede che la causa immediata della morte del Signore fu la rottura del cuore. Simpson ammette che tutte le circostanze che accompagnarono quella morte il gran grido che indica non ancora esauste le forze, lo spirare quasi subitaneo confermano questa teoria. Egli dice che "vivissime emozioni possono talvolta produrre la lacerazione o la rottura delle pareti del cuore", ed aggiunge "Se mai cuore umano fu travagliato e tormentato, questo fu certo il cuore di Gesù. Finalmente egli osserva che la rottura del cuore spiegherebbe in parte che dal fianco trafitto del Signore venissero fuori sangue ed acqua".

MIRACOLI E FATTI STRAORDINARI CHE ACCOMPAGNARONO LA MORTE DI CRISTO Matteo 27:51-54; Marco 15:38-39; Luca 23:47-48

La cortina squarciata. Per l'esposizione, Vedi Matteo 27:51-53.

Il terremoto e l'apertura dei monumenti. Per l'esposizione Vedi Matteo 27:51-53.

La testimonianza del centurione a Cristo. Mutato contegno della folla. Matteo 27:54; Marco 15:39; Luca 23:47-48. Per l'esposizione Vedi Matteo 27:54.

31 Giovanni 19:31-42. FATTI CHE PRECEDETTERO LA DEPOSIZIONE DI GESÙ DALLA CROCE. LA SUA SEPOLTURA NELLA TOMBA DI GIUSEPPE D'ARIMATEA Matteo 27:57-61; Marco 15:42-47; Luca 23:50-56

Dietro domanda dei Giudei, si fiaccano le gambe ai due ladroni, mentre a Gesù vien forato, il costato. Giovanni 19:31-37

31. Or i Giudei pregarono Pilato che si fiaccassero loro le gambe, e che si togliessero via; acciocché i corpi non restassero in sulla croce nel sabato,

Il fatto qui ricordato è un esempio notevole di quella ipocrisia dei rettori giudei, la quale Gesù aveva denunziato colle parole: "Guide cieche, che colate la zanzara, e inghiottite il cammello" Matteo 23:24. Quelli fra loro che non aveano indietreggiato dinanzi a nulla per far condannare Gesù dal Sinedrio e da Pilato, che già avevano trasgredito la legge della Pasqua, rimandandone di non poche ore la osservanza per il proprio conto, sono ora così timorosi che il sabato possa venir profanato, se i cadaveri dei suppliziati rimangono per alcuni minuti in sulla croce dopo il tramonto, che cominciano poco dopo l'ora nona, ossia circa tre ore prima del tempo, ad agitarsi per ottenerne la rimozione. Vanno da Pilato, gli espongono che la loro legge non consentiva che dei cadaveri di suppliziati rimanessero esposti al pubblico durante il sabato Deuteronomio 21:23, e lo supplicano di far rompere le gambe ai crocifissi del Golgota, operazione che affrettava la morte, e spesso ne era la causa immediata. Questo crurifragium, come lo si chiamava, consisteva nello sfracellare le gambe dei condannati con un pesante martello. Pilato acconsentì senza difficoltà.

perciocché era la preparazione; conciossiaché quel giorno del sabato fosse un gran giorno.

L'importanza speciale, di questo sabato derivava dall'esser quello della Pasqua, il 15 di Nisan, giorno in cui venivano offerte al Signore le primizie della terra. Il venerdì era consecrato alla "preparazione" del sabato, epperciò chiamavasi comunemente paraskeuè. La rimozione dei corpi d'in sulla croce era parte necessaria di quella preparazione, Vedi Note Giovanni 19:14.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:14,42; Matteo 27:62; Marco 15:42

Deuteronomio 21:22-23

Levitico 23:7-16

Proverbi 12:10; Michea 3:3

32 32. I soldati adunque vennero, e fiaccarono le gambe al primo, e poi anche all'altro, ch'era stato crocifisso con lui. 33. Ma, essendo venuti a Gesù, come videro ch'egli già era morto, non gli fiaccarono le gambe.

"Nel caso di Gesù", dice Brown, "eranvi elementi di sofferenza, cui rimasero estranei i due ladroni, e ciò dovette naturalmente affrettarne la morte, senza parlare dell'esaurimento delle sue forze, in seguito alle ansietà ed ai patimenti sopportati prima della crocifissione, e che dovevano indebolirlo tanto maggiormente per essere stati sopportati in silenzio. "vennero", qui significa semplicemente: "si avvicinarono", non essendo probabile che venissero mandati dal pretorio altri soldati, oltre a quelli che già trovavansi sul posto, e ai quali Pilato mandò l'ordine di fiaccare le gambe ai condannati. Lieti di eseguire un ordine che metteva fine alla lunga loro fazione, i soldati lo eseguirono senza ritardo contro i due ladroni che trovarono ancora in vita. Perché si fermarono li, poiché nell'ordine dato loro, non v'era eccezione? Forse su quei cuori, per quanto induriti, fecero una impressione profonda gli ultimi sguardi e le ultime parole del Signore, la maniera del suo morire, le tenebre, il terremoto, che sentirono avere in qualche modo relazione con lui, sicché non ardirono infliggere al suo frale quest'ultima ed oramai inutile indegnità. E se anche ciò non fosse, li trattenne, senza che lo sapessero, la parola, pronunziata quindici secoli prima, dal Signore in Egitto, relativamente all'agnello pasquale, quel tipo parlante di Gesù: Non ne rompete alcun osso Esodo 12:46.

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:18; Luca 23:39-43

34 34. Ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia,

Fu questo l'atto di un individuo isolato, e significava: "Sei morto senza dubbio, ma, per esserne appieno certo, ti tirerò un colpo di lancia", il verbo "forò", s'intende di qualsiasi ferita, grande o piccola. Dev'essere stata questa profonda assai, sia che si giudichi dall'arma con cui venne inferta, o dai risultati, od anche dal comando di Gesù a Toma riguardo ad essa Giovanni 20:25,27. La nostra salvezza dipende siffattamente dalla morte vicaria di Cristo Gesù, che ciascuno sente la necessità che questa sia abbondantemente provata. Prima prova è la testimonianza dei soldati romani, che Cristo già era morto, quando essi si avvicinarono alle tre croci, per fiaccare le gambe ai tre suppliziati. I più increduli fra i suoi nemici più non potranno dire, dopo ciò che egli non era spirato, ma solo svenuto ed insensibile; poiché i soldati romani dichiararono che, dei tre crocifissi il più importante era certamente morto. Seconda prova: un soldato colpi Gesù nel fianco colla lancia; nessun segno di vita seguì, e questo conferma la sua morte; imperocché un uomo semplicemente svenuto avrebbe mostrato, dopo una tal ferita, qualche segno di vitalità, anche solo spirando.

e subito ne uscì sangue ed acqua.

Questo fatto fece una impressione così profonda sull'Evangelista che ne fu testimone, e gli parve in così gran pericolo di venir rigettato come una favola da quelli per i quali scriveva, che non solo lo attesta facendo, nel versetto seguente, appello solenne alla propria veracità, ma altrove ancora 1Giovanni 5:6,8, vi fa allusione, come ad un fatto simbolico pieno di significati spirituali che lo Spirito avevagli rivelati. Il fatto stesso è di difficilissima spiegazione. L'idea di alcuni che Cristo ancora non fosse morto, e che la morte fosse prodotta dal colpo di lancia, contraddice alla convinzione dei soldati, e all'asserzione dell'Evangelista Giovanni 19:30, che cioè Gesù, prima assai di quel colpo, aveva chinato la testa e reso lo spirito, e perfino alla dichiarazione del Signore rispetto alla sua vita: "Niuno me la toglie; ma io da me stesso la dipongo" Giovanni 10:18. L'opinione opposta, che cioè la v'era di soprannaturale in questo fatto, che sangue ed acqua, o sostanze a quelle molto simili possono farsi uscire da un cadavere morto da poco, è ricisamente negata dalla scienza medica. Lasciando da parte varie ipotesi senza valore, non rimane che l'alternativa adottata dal maggior numero dei Padri, nonché da Lampe, Lightfoot, Hengstenberg ed altri non pochi, che cioè questo fatto, contrario ad ogni esperienza, è sovrannaturale, o se si vuole è un miracolo. Questa è la spiegazione che noi pure ammettiamo, e diciamo con Godet: "Una sola spiegazione rimane: l'ammettere cioè che il fatto è accaduto all'infuori di tutte le leggi della fisiologia ordinaria, ed è in relazione colla natura eccezionale di un corpo, che il peccato non aveva mai toccato, mai alterato, e che presto doveva risorgere a vita. Sin dall'istante della sua morte, il corpo di Gesù dovette entrare in una via che non era quella della dissoluzione, bensì della glorificazione". Notiamo passando che il concetto della Chiesa Romana, secondo la quale l'acqua ed il sangue usciti dal costato di Gesù, giustificano la mescolanza del vino e dell'acqua nel calice eucaristico, è affatto insostenibile. Musculus, citato da Ryle, osserva in proposito: "Non fu vino ed acqua, bensì sangue ed acqua che uscirono dalle vene di Gesù. E non c'è la più piccola prova che il Signore istituisse la S. Cena con vino mescolato con acqua".

PASSI PARALLELI

Giovanni 13:8-10; Salmi 51:7; Ezechiele 36:25; Zaccaria 13:1; Matteo 27:62; Atti 22:16; 1Corinzi 1:30

1Corinzi 6:11; Efesini 5:26; Tito 2:14; 3:5-7; Ebrei 9:13,22; 10:19-22; 1Pietro 3:21

1Giovanni 1:6-9; 5:6,8; Apocalisse 1:5; 7:14

35 35. E colui che l'ha veduto ne rende testimonianza e la sua testimonianza è verace; ed esso sa ch'egli dice cose vere, acciocché voi crediate.

Così parafrasa Ryle questo versetto singolare: "il fatto che ora ho raccontato lo vidi coi miei propri occhi, e la mia testimonianza è verace, accurata, degna di fede. Io so che nel raccontarlo dico la verità, sicché non dovete esitare a credermi. Io stetti accanto alla croce; io fui testimonio oculare, e non scrivo cose udite da altri". Il modo solenne col quale Giovanni testifica della propria veracità, ed esorta i suoi lettori a ricevere ed a credere la sua testimonianza, non si riferisce semplicemente all'adempimento delle Scritture mediante quei fatti speciali, ed alla evidenza incontrastabile che stava fornendo della morte e susseguente risurrezione di Cristo; ma aveva probabilmente per scopo di combattere la tendenza crescente. nelle Chiese Asiatiche, e specialmente fra i Doceti, a negare la realtà del corpo umano di Cristo, o della sua venuta in carne 1Giovanni 4:1-3. Ma vi ha di più. L'Evangelista voleva pure senza dubbio chiamar l'attenzione dei suoi lettori sulle dottrine simbolicamente insegnate dal sangue e dall'acqua che uscirono dal fianco di Gesù. "Se diamo il loro giusto peso alle parole del nostro evangelista: Questi è quei che è venuto con acqua e sangue, cioè Gesù Cristo; non con acqua solamente, 'come Giovanni Battista', ma con sangue e con acqua, dobbiam ritenere che egli vedeva in quel sangue e in quell'acqua, che colarono da quel fianco ferito, dei simboli del sangue dell'espiazione e dell'acqua della santificazione, che certamente provengono dal Signore" (Brown).

PASSI PARALLELI

Giovanni 19:26; 21:24; Atti 10:39; Ebrei 2:3-4; 1Pietro 5:1; 1Giovanni 1:1-3

Giovanni 11:15,42; 14:29; 17:20-21; 20:31; Romani 15:4; 1Giovanni 5:13

36 36. Perciocché queste cose sono avvenute, acciocché la Scrittura fosse adempiuta: Niun osso d'esso sarà fiaccato.

Dal nesso delle idee risulta chiaramente che "queste cose", abbraccia non solo l'effusione del sangue e dell'acqua, ma pure i due fatti che a quella diedero origine: il non essere state fiaccate le gambe di Gesù, ed il colpo di lancia. Nella notte in cui gl'Israeliti vennero liberati dalla schiavitù di Egitto, fu istituita, in memoria di quell'evento, una festa che essi celebrarono ogni anno, finché la loro nazione non venne dispersa dai Romani. Ogni famiglia doveva scegliere un agnello, ucciderlo e spruzzarne il sangue sugli stipiti della porta di casa, affinché l'angelo distruttore risparmiasse i primogeniti d'Israele. La famiglia doveva quindi mangiare l'agnello in tenuta da, viaggio, e fra gli altri ordini relativi all'agnello pasquale, eravi anche questo: "Non ne rompete alcun osso" Esodo 12:3-14,46; Numeri 9:12. L'agnello pasquale era un tipo parlante di Gesù, "l'agnello di Dio" 1Corinzi 5:7; e nel modo in cui Cristo fu ferito, il comando dato, da Dio ad Israele, circa mille e cinquecento anni prima, relativamente a quel tipo profetico fu mirabilmente adempiuto riguardo al suo antitipo. Così, anche i più minuti particolari dei più antichi riti mosaici, accennavano attraverso i secoli a Cristo.

PASSI PARALLELI

Esodo 12:46; Numeri 9:12; Salmi 22:14; 34:20; 35:10

37 37. E ancora un'altra scrittura dice: Essi vedranno colui che han trafitto.

Il colpo di lancia inferito dal soldato romano al corpo di Cristo diede pur luogo all'adempimento di un'altra profezia, pronunziata da Zaccaria Zaccaria 12:10, circa 500 anni prima che Cristo venisse in carne. Predicendo il vero e salutare cordoglio che sentirebbe un giorno, sotto l'influenza dello Spirito, l'Israele convertito, "la casa di Davide, e gli abitanti di Gerusalemme" per aver rigettato e messo a morte il Messia, il profeta pronunziò le parole che fecero una profonda impressione sul cuore dell'Evangelista, quando vide adempiuti dinanzi ai suoi propri occhi, i fatti annunziati tanti secoli, prima. Coi propri occhi notò i Giudei, assetati di sangue, contemplare con gioia maligna colui che essi stessi avevano trafitto, "poiché ad essi risaliva la responsabilità della sua ferita", ed a questo spettacolo, lo Spirito suggellò nella sua mente, non solo la realtà della morte di Cristo, ma pure i frutti gloriosi che da quella deriverebbero, nella conversione di Israele al Signore, quando "essi" vedranno colui che han trafitto. "La profezia di Zaccaria è ben lungi dall'essere interamente adempiuta. Pochi sono gli Ebrei finora convertiti all'Evangelo. Induramento è avvenuto in parte ad Israele Romani 11:25; "il cortile di fuori del tempio è tuttora" dato ai Gentili; ed essi calcheranno la santa città lo spazio di quarantadue mesi" Apocalisse 11:2; ma nel vegnente millennio, quando "la pienezza dei Gentili sarà entrata, tutto Israele sarà salvato" Romani 11:25-26. Però, siccome nessuna profezia della Scrittura è di particolare interpretazione, interpreteremmo erroneamente questa di Zaccaria, limitandone il significato solo ad Israele ed ai tempi avvenire. Essa abbraccia i peccatori penitenti in ogni età. Egli è mediante lo sguardo gettato sul Figliuolo di Dio crocifisso in loro vece, e portante la loro maledizione, che lo Spirito, dal tempo di Giovanni in poi, ha prodotto nei cuori, così dei Gentili come dei Giudei, la convinzione del peccato, e il pentimento a salute. "Quando sarò levato in su dalla terra, trarrò tutti a me" Giovanni 12:32. "In niun altro è la salute, conciossiaché non vi sia alcun altro nome sotto il cielo, per lo quale ci convenga essere salvati" Atti 4:12. Il Signore stesso e i suoi apostoli, citando l'Antico Testamento, lo fanno generalmente secondo la versione greca dei LXX; ma in questo passo essa si allontana sostanzialmente dall'originale ebraico, ed è degno di nota che guidato dallo Spirito, Giovanni lascia da parte la LXX. e traduce la profezia di Zaccaria direttamente dal testo ebraico. Gli autori della LXX. figurandosi senza dubbio che "hanno trafitto", era una espressione troppo forte per applicarla a Jehova, la sostituirono con "hanno insultato"; ma Giovanni si attiene all'originale traducendo che vuol dire forare con una lancia o con un giavellotto o qualsiasi altra arma di quel genere. Il verbo secondo Brown, si trova in dieci passi dell'Antico Testamento, ed ha in tutti lo stesso senso che qui. Il medesimo osserva che in Salmi 22:16: "Essi mi hanno forate le mani e i piedi", si trova invece il verbo che significa bucare con una lesina od un chiodo, e così invero venne fatto per inchiodare Gesù in sulla croce.

PASSI PARALLELI

Salmi 22:16-17; Zaccaria 12:10; Apocalisse 1:7

38 

Il seppellimento di Cristo, Giovanni 19:38-42

38. Dopo queste cose, Giuseppe da Arimatea,

A colui che ebbe tanto coraggio da domandare a Pilato il corpo di Gesù, tutti e quattro gli Evangelisti hanno fatto l'onore di tramandare il suo nome alla più remota posterità. Matteo Matteo 27:57 ci dice che egli era "un uomo ricco, il quale era stato discepolo di Gesù". Marco Marco 15:43 ch'egli era "un consigliere onorato, il quale eziandio aspettava il regno di Dio". Luca Luca 23:50-51 che "era consigliere, uomo da bene e diritto, il quale non aveva acconsentito al consiglio, né all'atto loro, ed era di Arimatea, città dei Giudei, e aspettava anch'egli il regno di Dio". Era dunque un ricco ed influente membro del Sinedrio, credente in Gesù; ma, fino a quel momento, non aveva ardito dichiararsi tale, per timore di venire scacciato dalla sinagoga. Dove fosse Arimatea, non è ancora stato dimostrato in modo sufficiente. Alcuni credono che sia stata l'antica Rama di 1Samuele 1:1,19, vicina a Betleem e luogo di nascita di Samuele; altri credono di trovarla nella piccola città di Ramleh, vicino a Giaffa e a Ludd; la sola cosa certa si è che era "una città dei Giudei" il quale era discepolo di Gesù,

ma occulto, per tema dei Giudei,

Il nostro evangelista completa la descrizione del carattere di Giuseppe, già delineato in parte dai precedenti evangelisti, dicendoci che, benché credente sincero, subiva molto l'influenza del mondo, ed era così timoroso di quel che direbbe la gente, da nascondere accuratamente le sue convinzioni, fino forse al punto di non andar più alle sedute del Sinedrio.

chiese a Pilato di poter togliere il corpo di Gesù, e Pilato glielo permise.

Lo scopo di Giovanni, nel riferirci questo particolare, non è solamente di presentarci nella sua integrità il carattere di Giuseppe, ma pure di manifestare la gloria di Dio, facendo vedere qual meraviglioso cambiamento la morte di Cristo aveva prodotto nel cuore e nella condotta di questo timido discepolo. L'amore per il suo Signore svegliò in lui tal coraggio, che al momento in cui era più pericoloso che mai dichiararsi per Cristo, egli sfidò ogni pericolo e coraggiosamente si presentò a Pilato, per chiedere quel corpo che nessun altro osava reclamare. "L'eroismo della fede si accende spesso nei momenti più disperati, e non di rado in quelli che prima eran più timidi, ed appena noti come discepoli" (Brown). Pilato non aveva interesse alcuno a ricusare quella domanda; anzi, accordandola ad un discepolo di Gesù, mostrava una volta ancora il suo disprezzo per i membri del Sinedrio; ma, prima di farlo, volle accertarsi che Gesù fosse realmente morto Marco 15:44-45. Una morte così pronta lo sorprendeva. Forse sospettò una trama dei discepoli per richiamare Gesù a vita, dopo averlo sceso dalla croce. Fece adunque venire l'ufficiale che aveva sorvegliato la crocifissione, e saputo da lui che Gesù era veramente morto, concesse subito a Giuseppe la sua domanda. Eravi nella valle di Hinnom un cimitero pei malfattori, ed in quello senza dubbio i Giudei avrebbero sepolto in fretta il corpo di Gesù, se la cosa fosse dipesa da loro; ma 700 anni prima Isaia aveva predetto che il "servitore del Signore" sarebbe "col ricco nella sua morte", e questa domanda inaspettata del ricco consigliere di Arimatea adempì una tale predizione. Il passo di Isaia Isaia 53:9 ci dice che "la sua sepoltura era stata ordinata con i malfattori" i suoi nemici cioè, essendo riusciti a farlo crocifiggere in mezzo a due ladroni, volevan pure seppellirlo insieme a quelli, infliggendogli così l'onta finale di una sepoltura disonorevole. Ma "egli è stato col ricco nella sua morte", ossia dopo la sua morte. La testimonianza del centurione e l'ordine di Pilato costituiscono altre prove della realtà della morte di Gesù.

PASSI PARALLELI

Matteo 27:57-60; Marco 15:42-46; Luca 23:50

Giovanni 9:22; 12:42; Proverbi 29:25; Filippesi 1:14

39 39. Or venne anche Nicodemo, che al principio era venuto a Gesù di notte, portando intorno di cento libbre d'una composizione di mirra e d'aloe.

L'evangelista ci presenta qui un altro esempio del potere della morte di Cristo per dar coraggio ad un debole e timido discepolo, e indurlo a bandire i suoi timori, per dichiararsi apertamente seguace suo. Giovanni parla tre volte di Nicodemo. La prima volta ce lo presenta come un ansioso ma occulto cercatore della verità Giovanni 3:1. La seconda come un timido avvocato di Cristo Giovanni 7:50. La terza come un coraggioso confessore della sua fede in lui. Dai racconti degli evangelisti non ci riesce sapere se i soldati romani aiutassero o no a scendere di croce il corpo di Gesù, o se questo atto pietoso fosse adempiuto da Giuseppe, Nicodemo e Giovanni solamente; né la cosa ha grande importanza. Rifuggiamo dal pensare che quel santo corpo sia stato toccato dalle rozze mani dei pretoriani di Pilato; ma se consideriamo il peso del corpo, e l'inesperienza dei discepoli, ci sembrerà più probabile che i soldati aiutarono ad abbassare la croce, e a cavare i chiodi, mentre gli amici di Gesù ne sorreggevano il corpo, che quindi tolsero, per trasportarlo al sepolcro. È impossibile decidere se Giuseppe e Nicodemo si erano intesi prima per quello che ciascuno doveva fare, o se arrivarono simultaneamente al Golgota, mossi dalle medesime intenzioni. Ciascuna di queste opinioni ha i suoi sostenitori. Certo è che Giuseppe vi giunse col permesso del governatore, e forse portando seco le lenzuola, mentre Nicodemo procuravasi una mescolanza della resina preziosa, chiamata mirra, e di aloe polverizzato, entrambe sostanze molto aromatiche Salmi 45:8, e del peso totale di cento libbre. Questa offerta cospicua dimostra la ricchezza, la liberalità, la devozione di Nicodemo, e fors'anche il suo rimorso per essere stato fino a quell'ora un discepolo così timido di Gesù.

PASSI PARALLELI

Giovanni 3:1-21; 7:50-52; Matteo 12:20; 19:30

Giovanni 12:7; 2Cronache 16:14; Cantici 4:6,14

40 40. Essi adunque presero il corpo di Gesù, e l'involsero in lenzuoli, con quegli aromati;

Alcuni evangelisti chiamano il panno nel quale Gesù venne sepolto altri il primo era un lenzuolo o panno di lino, pieno di sostanze aromatiche, nel quale avviluppavasi l'intero corpo, gli altri erano bende o fasce, mediante le quali gli aromati venivano applicati alle varie parti del corpo.

secondo ch'è l'usanza dei Giudei d'imbalsamare.

Il modo d'imbalsamare dei Giudei era diverso da; quello degli Egizi, i quali rimuovevano le interiora ed immergevano il cadavere in una soluzione di nitro. I Giudei invece avvolgevano il cadavere in fasce, che mantenevano applicati contro ad esso fitti strati di preparati aromatici, quindi lo involgevano tutto in un panno di lino finissimo. Luca 23:55 ci dice che "le donne di Galilea, avendo seguito Giuseppe, riguardarono il monumento, e come il corpo di Gesù vi era posto", e questo ci permette di credere che ad esse pure venne concesso di prender parte a quei mesti uffici. Il corpo venne avvolto in fretta in quelle sostanze aromatiche, poiché non v'era tempo per far altro prima che cominciasse il sabato; ma questo era sufficiente per aspettare l'alba del primo giorno della settimana, e allora le donne tornerebbero a compier l'opera santa del seppellimento di Gesù, imperocché nessuno dei discepoli aspettavasi che egli risusciterebbe.

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:44; 20:5-7; Atti 5:6

41 41. Or nel luogo, ove egli fu crocifisso, era un orto, e nell'orto un monumento nuovo, ove niuno era stato ancora posto. 42. Quivi adunque posero Gesù, per cagione, della preparazione dei Giudei, perciocché il monumento era vicino.

Il nostro evangelista ci dice che nella vicinanza immediata del Golgota trovavasi un giardino che racchiudeva una tomba scavata nella roccia Matteo 27:60; ma gli altri ci dicono che giardino e tomba appartenevano a Giuseppe di Arimatea. La scelta di questa sepoltura per deporvi il corpo di Gesù sembra essere stata dettata dalla sua vicinanza al Calvario, sicché vi potevano portare il corpo del Signore con facilità e senza timore di venire interrotti. Importa notare che, secondo; Luca e Giovanni, in quella tomba "niuno era ancora stato posto". Se vi fosse stata fatta anche una sola sepoltura, le autorità giudaiche, le quali già stavano all'erta, non avrebbero mancato di dire che Gesù non vi era mai stato sepolto, poiché vi si trovavano i resti di un solo, cadavere. E se la tomba non fosse stata scavata nella roccia viva, avrebbero detto che i discepoli di Gesù ne avevano trafugato il corpo per di dietro. Invero, in questo modo solamente cercarono essi di spiegare la sparizione del corpo di Gesù al primo giorno della settimana; ma la Provvidenza divina ordinò le cose in modo che non potesse cadere dubbio alcuno sulla identità di Cristo, quando egli sorse dalla tomba. Questa era nuova; nessun altro corpo vi giaceva, talché si potesse mettere in dubbio quale dei due fosse tornato a vita; era scavata nella roccia viva, sicché non vi si poteva penetrare altrimenti che per l'apertura ordinaria, sulla quale Giuseppe aveva "rotolato una gran pietra" Matteo 27:60, e alla quale Pilato aveva posto, a richiesta dei sacerdoti, una guardia di soldati romani; era dunque impossibile ai discepoli di trafugare il cadavere di Gesù. Tante e tali precauzioni per parte degli amici e dei nemici del Signore, accrescono la certezza della sua risurrezione, che doveva poi venire predicata al mondo, come una dottrina fondamentale della nostra fede.

PASSI PARALLELI

Giovanni 20:15; 2Re 23:30; Isaia 22:16; Matteo 27:60,64-66; Luca 23:53

Salmi 22:15; Isaia 53:9; Matteo 12:40; Atti 13:29; 1Corinzi 15:4; Colossesi 2:12

Giovanni 19:14,31

RIFLESSIONI

1. L'importanza speciale che Giovanni dà al sangue ed all'acqua che uscirono dal fianco di Gesù si potrebbe attribuire al suo desiderio di riferire esattamente ciò che aveva veduto, e di stabilire indiscutibilmente la morte di Cristo, se egli medesimo non ci sembrasse dare a questo fatto un significato più elevato ancora in 1Giovanni 5:6,8. Parla qui di una testimonianza più alta della propria, e dice: "Lo Spirito è quel che ne rende testimonianza, conciossiaché lo Spirito sia la verità". Ma lo Spirito si associa altri due testimoni, cioè "l'acqua e il sangue", sicché "tre son quelli, che testimoniano sopra la terra: lo Spirito, e l'acqua, e il sangue, e questi tre si riferiscono a quell'una cosa". Nell'ispirata Parola di Dio, abbiamo la deposizione dello Spirito, il testimone primario e più importante in questa gran causa, e, insieme a lui testificano l'acqua che significa santificazione, e il sangue che significa purificazione. In questo modo l'intera verità, riguardo a Cristo ed alla sua morte, divien sorgente di vita e di forza spirituali, per chiunque crede che Gesù è il Figliuol di Dio, e lo rende atto a vincere il mondo: "Questa è la vittoria che ha vinto il mondo, cioè la fede vostra" 1Giovanni 5:4.

2. "L'esempio di Nicodemo è molto istruttivo. C'insegna quanto piccolo e debole possa essere il principio della vita religiosa in un'anima. Ci dice di non disperare di quelli che cercano Cristo timidamente ed in segreto. I caratteri dei credenti variano all'infinito; alcuni giungono subito al pieno possesso della luce e tolgono senza indugio la croce in ispalla. Altri non vedono la verità, se non un poco alla volta, e rimangono lungamente perplessi fra due opinioni contrarie. Nicodemo ci fa vedere che spesso quelli che fanno meno sfoggio al principio brillano di più viva luce alla fine. Egli confessò la sua fede in Gesù e il suo amore per lui, quando Pietro, Giacomo e Andrea lo avevano abbandonato. Siamo dunque pazienti e caritatevoli nel giudicare la religione altrui. Chi dice non convertiti e privi della grazia quelli che non si protestano sicuri della loro salvezza, non appena si son volti alla religione, dimentica il caso di Nicodemo, e dimostra la propria ignoranza delle vie dello Spirito" (Ryle).

3. Non si può esagerare l'importanza della risurrezione di Cristo. Essa è la dottrina cardinale della fede cristiana; la gran prova che Gesù di Nazaret fu il Messia, predetto dai profeti, il segno convincente che egli stesso aveva indicato ai Giudei della sua divina missione. Essa è così essenziale alla nostra felicità eterna, che Paolo dichiara: "Se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede, voi siete ancora nei vostri peccati. Quelli adunque ancora che dormono in Cristo son periti" 1Corinzi 15:17-18. Ben a ragione adunque Giovanni consacra i due ultimi capitoli del suo Vangelo a riferirci varie apparizioni del Signore, dopo la sua risurrezione.

Dimensione testo:


Visualizzare un brano della Bibbia

Aiuto Aiuto per visualizzare la Bibbia

Ricercare nella Bibbia

Aiuto Aiuto per ricercare la Bibbia

Ricerca avanzata