Commentario abbreviato:

Luca 3

1 Capitolo 3

Il ministero di Giovanni Battista Lc 3:1-14

Giovanni Battista testimonia riguardo a Cristo Lc 3:15-20

Il battesimo di Cristo Lc 3:21-22

La genealogia di Cristo Lc 3:23-38

Versetti 1-14

Lo scopo e il disegno del ministero di Giovanni erano di portare il popolo dai suoi peccati e al suo Salvatore. Egli venne a predicare non una setta o un partito, ma una professione; il segno o la cerimonia era il lavaggio con l'acqua. Con le parole usate Giovanni predicava la necessità del pentimento per ottenere la remissione dei peccati e che il battesimo d'acqua era un segno esteriore di quella pulizia interiore e di quel rinnovamento del cuore che accompagnano o sono gli effetti del vero pentimento, oltre che della sua professione. Ecco l'adempimento delle Scritture, Isa 40:3, nel ministero di Giovanni. Quando si fa strada al Vangelo nel cuore, abbattendo i pensieri elevati e portandoli all'obbedienza di Cristo, livellando l'anima e rimuovendo tutto ciò che ci ostacola sulla via di Cristo e della sua grazia, allora ci si prepara ad accogliere la salvezza di Dio. Ecco gli avvertimenti e le esortazioni generali di Giovanni. La razza colpevole e corrotta dell'umanità è diventata una generazione di vipere, odiosa a Dio e che si odia a vicenda. Non c'è modo di sfuggire all'ira che verrà, se non con il pentimento; e dal cambiamento della nostra via deve risultare il cambiamento della nostra mente. Se non siamo veramente santi, sia nel cuore che nella vita, la nostra professione di religione e il nostro rapporto con Dio e con la sua Chiesa non ci saranno di nessun aiuto; tanto più grave sarà la nostra distruzione, se non portiamo frutti adatti al pentimento. Giovanni Battista diede istruzioni a diversi tipi di persone. Coloro che professano e promettono il pentimento, devono dimostrarlo con la riforma, secondo i loro luoghi e le loro condizioni. Il Vangelo richiede misericordia, non sacrifici; il suo scopo è quello di impegnarci a fare tutto il bene possibile e ad essere giusti con tutti gli uomini. E lo stesso principio che porta gli uomini a rinunciare a un guadagno ingiusto, porta a restituire ciò che è stato guadagnato con il torto. Giovanni dice ai soldati il loro dovere. Gli uomini devono essere messi in guardia dalle tentazioni dei loro impieghi. Queste risposte dichiarano il dovere attuale degli interroganti e costituiscono subito una prova della loro sincerità. Poiché nessuno può o vuole accettare la salvezza di Cristo senza un vero pentimento, vengono qui indicate le prove e gli effetti di questo pentimento.

15 Versetti 15-20

Giovanni Battista negava di essere lui stesso il Cristo, ma confermava il popolo nelle sue aspettative sul Messia a lungo promesso. Poteva solo esortarli al pentimento e assicurare loro il perdono in caso di pentimento; ma non poteva operare il pentimento in loro, né conferire loro la remissione. Per questo motivo è importante parlare di Cristo e quindi umilmente di noi stessi. Giovanni non può fare altro che battezzare con l'acqua, in segno di purificazione e pulizia; ma Cristo può e vuole battezzare con lo Spirito Santo; può dare lo Spirito per pulire e purificare il cuore, non solo come l'acqua lava via la sporcizia all'esterno, ma come il fuoco elimina le scorie all'interno e fonde il metallo, affinché possa essere fuso in un nuovo stampo. Giovanni era un predicatore affettuoso, implorante, che faceva pressione sui suoi uditori. Era un predicatore pratico, che li sensibilizzava al loro dovere e li guidava in esso. Era un predicatore popolare; si rivolgeva al popolo secondo le sue capacità. Era un predicatore del Vangelo. In tutte le sue esortazioni, indirizzava le persone a Cristo. Quando facciamo pressione sulle persone, dobbiamo indirizzarle a Cristo, sia per la giustizia che per la forza. Era un predicatore copioso; non evitava di dichiarare l'intero consiglio di Dio. Ma la predicazione di Giovanni fu interrotta quando era nel pieno della sua utilità. Erode, rimproverato da lui per molti mali, rinchiuse Giovanni in prigione. Coloro che feriscono i fedeli servitori di Dio, aggiungono una colpa ancora maggiore agli altri loro peccati.

21 Versetti 21-22

Cristo non confessò il peccato, come gli altri, perché non ne aveva da confessare; ma pregò, come gli altri, e mantenne la comunione con il Padre. Osservate che tutte e tre le voci dal cielo, con le quali il Padre rese testimonianza al Figlio, furono pronunciate mentre egli pregava, o subito dopo, Lu 9:35; Gv 12:28. Lo Spirito Santo discese in forma corporea come una colomba su di lui e giunse una voce dal cielo, da Dio Padre, dalla gloria eccelsa. Così è stata data una prova della Santa Trinità, delle Tre Persone della Divinità, al battesimo di Cristo.

23 Versetti 23-38

L'elenco di Matteo dei progenitori di Gesù mostrava che Cristo era figlio di Abramo, nel quale sono benedette tutte le famiglie della terra, ed erede del trono di Davide; Luca, invece, mostra che Gesù era il Seme della donna che avrebbe dovuto rompere la testa al serpente, e traccia la linea di discendenza fino ad Adamo, a partire da Eli, o Heli, il padre, non di Giuseppe, ma di Maria. Le apparenti differenze tra i due evangelisti in questi elenchi di nomi sono state eliminate da uomini dotti. Ma la nostra salvezza non dipende dalla capacità di risolvere queste difficoltà, né l'autorità divina dei Vangeli ne risulta affatto indebolita. L'elenco dei nomi termina così: "Che era figlio di Adamo, figlio di Dio", cioè la discendenza di Dio per creazione. Cristo era allo stesso tempo figlio di Adamo e figlio di Dio, affinché potesse essere un vero e proprio mediatore tra Dio e i figli di Adamo, e potesse far sì che i figli di Adamo fossero, attraverso di lui, figli di Dio. Tutta la carne che discende dal primo Adamo è come l'erba e appassisce come il fiore del campo; ma chi partecipa dello Spirito Santo della vita dal secondo Adamo, ha quella felicità eterna che ci viene annunciata dal Vangelo.

Commentario del Nuovo Testamento:

Luca 3

1 CAPO 3 - ANALISI

1. Referenze cronologiche a verificazione della storia di Luca. Queste sono assai più minute di quelle in cui ci siamo imbattuti nei precedenti capitoli. Fra gli avvenimenti notati alla fine del capo 2. e quelli registrati in questo, evvi un intervallo di circa 18 anni, nel quale grandi cambiamenti erano avvenuti nella Giudea. Erode il Grande, il crudele autore della strage di Betlemme, era morto; ed Archelao, a lui succeduto, era stato esiliato nelle Gallie. La Giudea non aveva più ormai nemmeno l'apparenza d'un regno autonomo, ma era divisa in quattro parti, una delle quali comprendeva la Giudea, la Samaria e l'Idumea, ed era Stata annessa all'impero romano. La governava un procuratore o governatore (soggetto al Proconsole della Siria), e non meno di cinque tali funzionari avevano occupato quella carica prima di Ponzio Pilato, mentre Erode Antipas, Erode Filippo e Lisania reggevano le altre tre parti. Cesare Ottaviano Augusto, con le sue pretensioni ad un'origine divina, il suo titolo di Pontefice Massimo e la sua dignità imperiale, era andato per la stessa via di tutti gli uomini, ed aveva lasciato scettro ed onori a Tiberio, il quale già regnava da 15 anni, quando accaddero gli eventi narrati in questo capitolo. Secondo la legge divina, il sommo sacerdozio doveva essere conferito soltanto al primogenito della essa d'Aronne; ma i Romani avevano calpestato il divino comandamento e deposti ed installati sì spesso nuovi individui nel sacro uffizio, che riesce sommamente difficile il chiarire in quale relazione reciproca stessero coloro che avevamo portato la mitra. Luca fa menzione di due Sommi sacerdoti contemporaneamente in uffizio, l'anno 15esimo di Tiberio, cioè Anna e Caiafa suo genero; quelli stessi i quali divisero la responsabilità dell'uffizio, probabilmente come sommo sacerdote e vice sommo sacerdote, tre anni più tardi, allorquando il nostro Signore fu crocifisso Luca 3:1-2.

2. Il pubblico Ministero di Giovanni il Battista. Luca parla delle moltitudini venute ad ascoltar Giovanni; dà alcuni particolari sulle di lui esortazioni a diverse classi di uditori, quali erano il basso popolo, i pubblicani ed i soldati, particolari mancanti negli altri Evangeli Luca 3:3-18.

3. La incarcerazione di Giovanni Battista per opera di Erode Antipa. A completare il quadro della vita e dell'opera del precursore di Cristo, Luca introduce qui brevemente la, narrazione dell'imprigionamento di Giovanni, del motivo che spinse Erode al delitto, e della fine del martire; né parla più di lui in tutto il resto del suo Evangelo Luca 3:19-20.

4. Il battesimo di Gesù. La relazione di Luca, più breve di quella di Matteo, conferma il fatto in tutte le sue circostanze essenziali, cioè l'essere stato Cristo battezzato nel Giordano; lo Spirito Santo esser disceso sopra lui in sembianza di colomba; e una voce dal cielo aver proclamato: «Tu sei il mio diletto Figliuolo, in cui ho preso il mio compiacimento» Luca 3:21-22.

5. La genealogia di Gesù. La genealogia data da Matteo è quella di Giuseppe, di cui Gesù era reputato figlio, secondo il principio fondamentale del matrimonio presso i Giudei, che i figli della moglie appartenevano al marito. Questa seconda genealogia fornitaci da Luca fu cagione di grande perplessità, perché differisce dall'altra, nella linea di discendenza da Davide. Taluni tentano di togliere la discrepanza considerando quella di Matteo come destinata a far conoscere i successori legali al trono di Davide, e quella di Luca come. enumerando gli antenati di Giuseppe. Dalle ripetute e chiare dichiarazioni degli apostoli intorno alla carnale discendenza del Cristo di Davide, è cosa certissima che la di lui madre (per la quale sola egli eredeva questa discendenza naturale), devo avere appartenuto alla famiglia di Davide. Egli è dunque in vista della discendenza non solo legale, ma anche carnale, di Gesù dal re Davide, che Luca ha tracciato la linea della parte materna sino a Davide, Abramo ed Adamo. Per mezzo di Maria, Gesù fu fatto uomo, e per essa doveva esser tracciata e fatta risalire la sua genealogia fino ad Adamo. Ciò concorda mirabilmente collo scopo di questo Evangelo, destinato ai Gentili Luca 3:23-38.

Luca 3:1-3. IL PRINCIPIO DEL MINISTERO DEL BATTISTA FISSATO CRONOLOGICAMENTE Matteo 3:1; Marco 1:4-6

1. Or nell'anno quintodecimo dell'impero di Tiberio Cesare,

Nel fornire queste date, Luca conferma l'asserzione della sua prefazione, che egli aveva «dal capo rinvenuta ogni cosa compiutamento». Il vero nome dell'Imperatore qui menzionato è Tiberio Claudio Nerone. Egli non era in alcun modo consanguineo d'Augusto, ma divenne suo figliastro mediante il matrimonio di sua madre Livia Drusilla coll'Imperatore dopo che questi ebbe costretto il di lei marito Claudio Tiberio Nerone a ripudiarla. La loro affinità divenne anche più stretta quando Augusto costrinse il figliastro a ripudiare la moglie Agrippina, per isposare invece la propria figlia Giulia. Tre dei parenti consanguinei d'Augusto, ai quali egli avea successivamente destinato la porpora, essendo morti prima di lui, egli fece finalmente scelta di Tiberio e se lo associò come coadjutore e successore nel governo (764 U. C.). Augusto morì tre anni dopo, il 19 agosto 767. È ovvio da queste date che vi sono due punti di partenza dai quali si può calcolare quest'anno 15esimo del regno di Tiberio, vale a dire l'anno in cui egli divenne co-imperatore e quello in cui, per la morte di Augusto, il potere imperiale rimase devoluto a lui solo. Scrittori eminenti sono schierati da ambo i lati, quantunque l'opinione più generalmente ricevuta, e più corretta a parer nostro, sia che Luca contava dall'anno 764 quando Tiberio fu associato ad Augusto per volontà di quest'ultimo, e per decreto del Senato. I sostenitori della data posteriore (767), fissano il principio del ministero di Giovanni al 782, ma siccome a quella data Gesù doveva avere 33 anni, essi sentono la necessità di dare un significato alquanto elastico alle parole che riguardo al Signore, troviamo al vers. 23: «Gesù cominciava ad essere come, di trent'anni», come se indicassero qualsiasi momento fra i 30 e i 35 anni. Ma adottando l'anno 764 come il punto di partenza di questo calcolo, l'età che Luca, in questo versetto, attribuisce a Gesù coincide perfettamente coll'epoca della sua nascita, Vedi note Luca 2:7. Così 764+15 (15esimo anno di Tiberio) = 779; - 30 (nascita di Cristo) = 749. V'è un'altra prova che conferma l'accuratezza della cronologia di Luca, cioè che Erode morì in sui primi dell'anno 750; e Gesù essendo nato l'anno precedente, 749 + 30 = 779, ossia l'anno 15esimo del regno di Tiberio.

essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea;

A detta di Flavio, Archelao, al quale Erode il Grande lasciò come sua parte di regno la Giudea, la Samaria e l'Idumea, dopo aver regnato dieci anni, fu dall'Imperatore romano esiliato a Vienna nelle Gallie, l'anno 761 U. C. per il suo mal governo e la sua crudeltà. In seguito a questo, la Giudea fu unita alla Siria e amministrata da Governatori, col rango di Procuratori, la cui residenza era Cesarea, quantunque allo scopo di mantenere l'ordine si trasferissero in Gerusalemme durante le feste giudaiche. In questo fatto vediamo un notevole adempimento della profezia pronunziata da Giacobbe sul suo letto di morte Genesi 49:10. Pilato era il 6esto procuratore romano mandato a governare la Giudea. I suoi predecessori, in ordine cronologico, furono Sabinus (che prese il posto di Archelao durante una breve assenza di costui), Coponius, Marus Ambivius, Annius Rufus, e Valerius Gratus, i quali governarono quella provincia dal 761 U. C. (anno della deposizione di Archelao), finché vi giunse Pilato, l'anno 779, il quale coincide col 15esimo di Tiberio, e col principio del ministerio del Battista. Egli rimase in uffizio circa 10 anni, poi dietro alle lagnanze dei Giudei, fu destituito da Vitellio, proconsolo di Siria, e mandato a Roma per rispondere dinanzi a Cesare dei suoi delitti. Giunse in Roma verso il tempo della morte di Tiberio. La tradizione dice che egli fu esiliato a Vienna nelle Gallie e quivi commise il suicidio.

ed Erode tetrarca della Galilea;

Erode Antipa era un figlio di Erode il grande e di Maltace donna Samaritana. Alla morte di suo padre, successe alla quarta parte del regno, cioè alla Galilea ed alla Perea, sulle quali regnò per più di 40 anni, dal 750 al 791 U. C. Da questa circostanza trasse il suo titolo ufficiale di Tetrarca, che significa monarca della quarta parte di un regno o di un paese. Il fatto che egli regnò per sì lunghi anni in tempi così burrascosi è prova che egli possedeva almeno un certo tatto politico e seppe abilmente mantenersi amici dall'una parte i suoi sudditi e dall'altra i Romani. (Per il suo carattere privato e la sua parentela, vedi note Matteo 14:3; Marco 6:14; Marco 6:17; Marco 6:28.) Spinto dall'ambiziosa Erodiade, andò a Roma per sollecitarvi da Caligola il titolo di re, che era stato conferito a suo nipote Erode Agrippa; ma cadde in disgrazia e fu condannato al bando perpetuo, che subì prima nelle, Gallie, poi nella Spagna, mentre la sua tetrarchia veniva aggiunta al regno di suo nipote.

e Filippo, suo fratello,

Era questi un figlio di Erode il Grande e di Cleopatra donna di Gerusalemme. Egli è conosciuto sotto il nome di, Erode Filippo II e deve venire accuratamente distinto da suo fratello Filippo Erode I, figlio di Marianna, il quale fa diseredato da suo padre a motivo del tradimento della madre, ed a cui il fratello, Erode Antipa, tolse sua moglie Erodiada, Vedi nota Marco 6:14. Questo Tetrarca d'Iturea sposò la propria nipote, Salome, figlia di Filippo I e di Erodiada, alla domanda della quale Giovanni Battista ebbe mozzo il capo. A detta di Flavio, egli era un principe di carattere mansueto che si occupava molto del benessere dei suoi sudditi.

tetrarca dell'Iturea, e della contrada Traconitida;

La regione sulla quale egli imperava è identica coll'antico regno di Basan, situato al N. del fiume Hieromax, che Mosè assegnò alla mezza tribù di Manasse insieme ai possessi di Jetur, l'Ismaelita o l'Azarita (oggidì Jedur), che giacciono attorno alla base S. O. del monte Hermon e che quella tribù conquisto più tardi, Confr. Genesi 25:15-16; 1Cronache 5:19-23. Una piccola porzione di paese montuoso attorno a Panias era pure inclusa nella tetrarchia di Filippo, e quivi egli edificò, in onore dell'Imperatore, la città di Cesarea, che fu poi detta «di Filippo», per distinguerla dalla città dello stesso nome, sulle sponde del Mediterraneo Matteo 16:13; Marco 8:27. Sotto l'appellazione generale di «Contrada Traconitide», Luca racchiude le quattro provincie della Gaulonite (di cui Golon, città di rifugio era la capitale); dell'Auronite (o Auran Ezechiele 47:16,18); della Traconitide, l'antica Argob Deuteronomio 3:4; 1Re 4:13, chiamata ora Legia, rozzo e roccioso distretto, come è indicato dai due nomi e della Batanea chiamata ora Ard el Batanìa. Le cinque provincie che costituivano il territorio di Filippo giacevano all'E. del Giordano, nell'ordine sopra indicato, fra la pianura di Damasco al Nord e il fiume Hieromax o Yarmuk a mezzogiorno. La più grande confusione ha esistito dal tempo di Eusebio in poi fra gli scrittori ed i geografi circa la vera posizione e i limiti di queste provincie, e lo studioso della Bibbia va debitore al prof. Porter di Belfast, per aver sciolto in modo soddisfacente questa difficoltà, mediante le accurate sue investigazioni personali di quella regione (Vedi Cinque anni in Damasco. VOL. II).

e Lisania tetrarca di Abilene;

La quarta tetrarchia formata dal regno di Erode il Grande non fu, alla sua morte conferita a nessuno dei suoi figli, ma ad un estraneo, e, ciò probabilmente per motuproprio dell'Imperatore romano. Sembra che questa corrispondesse coll'antico regno di Calcis o Coelo Syria, e come quello, abbracciasse tutta la porzione meridionale dell'Atilibano (inclusive dell'Hermon), coll'eccezione di Iturea che già era stata annessa alla tetrarchia di Filippo. Fin dove si stendesse verso il Nord, frammezzo ai gioghi dell'Antilibano, è cosa incerta: ma la sua capitale Abila era deliziosamente situata in una delle più pittoresche vallate del fiume Abana (ora Barada, 20 miglia all'incirca all'O. di Damasco. Essa e ora chiamata per tradizione popolare, Súk Wady Barada (la fiera di Wady Barada); ma non c'è dubbio che il misero villaggio moderno segna vero sito della capitale di Lisania, non solo a motivo delle rovine romane che si possono vedere lungo la sponda sinistra del fiume, e delle iscrizioni latine che portano il nome della città, ma pure perché corrisponde perfettamente al posto nel quale Ptolomeo (Geografia: Lib. V) pone Abila di Lisania, e perché l'antico nome tuttora rimane al monte che si erge precipitoso al disopra di esso, in vetta al quale trovasi una tomba gigantesca, detta Kabe Abil (la tomba di Abele), che la tradizione designa come il luogo di riposo del figlio di Adamo! Flavio, Ant. 15:4,1 mentova un certo Lisania re di Calcis, il quale trasferì la capitale del suo regno ad Abila, e fu messo a morte da Mare-Antonio, ad istigazione di Cleopatra. Si suppone che il Tetrarca, Lisania, mentovato da Luca, sia il figlio o il nipote del precedente, ma ne mancano le prove storiche. Più tardi l'Abilene fu, da Caligola, aggiunta al regno di Erode Agrippa I. Luca scrisse quando Abilene era stata nuovamente unita alla monarchia giudaica e la sua allusione ad una precedente e ben nota divisione politica, che allora più non esisteva, era pei suoi lettori una data così distinta come la sua menzione delle tetrarchie di Antipa e di Filippo. Essa è al tempo stesso un'altra prova della maravigliosa accuratezza dell'Evangelista, riguardo alla storia politica dei suoi tempi, e dovrebbe insegnarci a metter piena fiducia nelle sue asserzioni, anche quando non sono conformate dalla storia contemporanea (Flavio Ant. 13:6,10; 15,4, l; 15,10,3; Guer. Giud. 11,6; 11,12,8).

PASSI PARALLELI

Luca 2:1

Luca 23:1-4,24; Genesi 49:10; Atti 4:27; 23:26; 24:27; 26:30

Luca 3:19; 9:7; 23:6-11

Matteo 14:3; Marco 6:17

2 2. Sotto Anna, e Caiafa, sommi sacerdoti;

Il sommo sacerdozio più non era un uffizio ereditario appartenente al primogenito della casa di Aaron. L'influenza che esso conferiva a chi n'era investito, rese necessario, sin dal momento che la Giudea passò sotto un dominio straniero, che quell'uffizio fosse tenuto da qualcuno di cui il potere dominante potesse servirsi come di suo strumento, epperciò esso era spesso passato da una mano nell'altra, dacché procuratori romani o re tributarii tenevano «lo scettro di Giuda». Anna occupò quell'uffizio per soli 7 anni (U.C. 760-767), essendo stato nominato e deposto da Procuratori romani. Negli 11 anni che intervennero prima che Giuseppe Caiafa vi fosse assunto, tre sommi sacerdoti erano stati successivamente eletti e deposti: un certo Ismaele, poi un figlio di Anna stesso, detto Eleazar, quindi Simone ben Camit. Qualunque fosse stata la causa della deposizione di Anna, egli continuò a godere grandissima influenza, e ben sapeva valersene per il profitto della propria, famiglia; poiché, oltre ad Eleazar ed a Caiafa, gli riuscì di fare eleggere altri quattro suoi figli alla somma dignità sacerdotale. Flavio (Ant. 18:2,2), mentova Giuseppe Caiafa, qual successore di Simone, e l'Evangelista Giovanni 18:13, c'informa che egli era genero di Anna, oltre ai quali non abbiamo altri particolari sulla sua vita privata, quantunque conosciamo molto cose della sua vita uffiziale. Ma come mai Luca associa egli uffizialmente Anna con Caiafa? e qual dritto aveva il primo di prendere una parte sì autorevole e sì attiva come, quella che evidentemente assunse al momento dell'arresto e della morte di Nostro Signore? La confusione che regna nella storia di quei tempi non ci permette di determinare in modo molto preciso i rapporti che passavano fra Anna e Caiafa. La soluzione più probabile della difficoltà è quella che viene adottata da Alford, Alexander, ed altri, cioè che mentre Caiafa era sommo sacerdote de fatto, Anna, come rappresentante legale ereditario di Aaron, a norma della legge di Mosè, era dai più stretti Giudei considerato come sommo sacerdote de jure, e come legittimo occupante di tale uffizio, e che in virtù dell'uffizio di Sagan, vice Presidente del Sinedrio), che egli possedeva tuttora, poteva mantenere la sua influenza senza venire in collisione colle Romane autorità, Vedi Nota Marco 14:53.

la parola di Dio fu dirizzata a Giovanni, figliuol di Zaccaria, nel deserto.

(Vedi Note Luca 1:8-17 ecc.). Lo Spirito del Signore scese sopra lui come sopra i profeti dei tempi antichi, rivelandogli la precisa sua missione ed il soggetto della sua predicazione mentre egli soggiornava nel deserto di Giuda, Vedi nota Matteo 3:1. Lo stile formale con cui l'evangelista comincia questo capitolo ci fa credere che i due precedenti contengano materie, preliminari e che abbiamo quì il principio della narrazione propriamente detta. Secondo Weisler l'anno 780 U. C. durante la prima parte del quale Giovanni continuò il suo ministero, era un anno sabatico, Esodo 23:11, e se quella istituzione era tuttora osservata in mezzo a tutti i mutamenti introdotti dall'invasione straniera, la mano di Dio si manifestò in modo evidente nell'ordinare l'opera del Battista in un tempo in cui il popolo non fosse occupato ai pesanti lavori campestri e potesse con maggior libertà dare ascolto alle sue istruzioni. Il gran concorso, che vien ricordato più sotto, di tutte le classi per udirlo, sembra dar peso a quella probabilità.

PASSI PARALLELI

Giovanni 11:49-51; 18:13-14,24; Atti 4:6

Luca 1:59-63; Geremia 1:2; 2:1; Ezechiele 1:3; Osea 1:1-2; Giona 1:1; Michea 1:1; Sofonia 1:1

Luca 1:80; Isaia 40:3; Matteo 3:1; 11:7; Marco 1:3; Giovanni 1:23

3 3. Ed egli venne per tutta la contrada d'intorno al Giordano,

Per aver acqua bastante a battezzare le moltitudini che accorrevano alle Sue predicazioni (quand'anche fosse solo per aspersione ed a fortiori per immersione), Giovanni restrinse il campo dell'opera sua ai dintorni del Giordano. Due sono i luoghi specialmente mentovati dall'Evangelista Giovanni come da lui frequentati, cioè Betabara, che sappiamo essere stato situato all'E. del fiume, Cfr. Giovanni 1:28; 10:40, ed Enon, presso di Salim, di cui generalmente si ritiene che fosse all'O. del Giordano. Né l'uno né l'altro di questi due luoghi sono stati sino ad ora identificati in modo soddisfacente. Betabara significa la casa del guado, o passo, ed a questo riguardo è identico nel senso e quasi nell'ortografia con Betbara Giudici 7:24, che era, il guado del Giordano più prossimo al territorio della, tribù di Efraim e dove Gedeone arrestò ed uccise i fuggenti Madianiti. Stanley vorrebbe identificare questo ultimo luogo col passo di Succot, 30 miglia all'incirca al N. di Gerico. Ma, secondo Origene, tutti i MSS. sino a tempo suo, leggevano Betania (casa di navi, o casa di traghetto), invece di Betabara, e questa lezione sembra ora generalmente ammessa come la vera. In ogni caso non è la Betania di Lazaro, Marta e Maria, vicino a Gerusalemme, ma un altro paese del medesimo nome, sulla sponda orientale del Giordano Giovanni 1:28. Enon è la traduzione greca dell'Ebraico fonti di acqua; ma niente ci permette di determinare se fosse il nome dato ad un altro villaggio o se fosse unicamente una dipendenza di Salim. Paragonando Giovanni 3:22-23 con Giovanni 3:26, par quasi certo che questo Enon si trovava ad Occidente del Giordano, e che Giovanni vi si era recato a motivo dell'abbondanza d'acqua, quando Gesù e i suoi discepoli cominciarono a battezzare sulle sponde del Giordano. Il viaggiatore americano Robinson scoprì alquanto all'E. di Nablusa, un Salim dove sono due copiosissime sorgenti; ma questo Salim era anticamente nel territorio di Samaria, ed è affatto incredibile che il Battista, il rigoroso rappresentante dell'economia levitica ed il precursore del Messia giudaico, avesse scelto un tal luogo, per compiervi l'opera sua. Il Dott. Barclay, altro americano, che dimorò lungamente in Gerusalemme, crede avere scoperto Enon nelle abbondanti ma intermittenti pollo di Wadi Fara, 6 miglia al N.E. di Gerusalemme nelle quali ha la sorgente il Nahr Kelt (probabilmente il Cherit 1Re 17:5). Barclay dice che l'acqua scaturisce da una di queste pollo con forza ed abbondanza tali da far girare un mulino nel vicinato immediato, e che la sua guida gli additò in un Wadi vicino le rovine di una, grande città, alla quale diede il nome di Salim. Quelle Sorgenti, essendo nei limiti del deserto di Giudea, corrispondono almeno alla regione dell'attività del Battista.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:5; Marco 1:4-5; Giovanni 1:28; 3:26

Matteo 3:6,11; Marco 1:4; Giovanni 1:31-33; Atti 13:24; 19:4; 22:16

Luca 1:77

4 Luca 3:4-18. LA SOSTANZA DEL MINISTERO DEL BATTISTA Matteo 3:1-12; Marco 1:4-8; Giovanni 1:23,28

Per l'esposizione Vedi Matteo 3:1-12.

Essa era una esortazione alla vera penitenza ed al mutamento del cuore, manifestati coll'abbandonare il peccato e con una vita consecrata al servizio di Dio. Tale esortazione era appoggiata sulla imminente apparizione del Messia, e sui castighi che egli doveva infliggere agli empi. Egli amministrava il battesimo come un suggello a tutti quelli che accettavano la sua dottrina.

8 8. Fate adunque frutti degni di pentimento; e non prendete a dir tra voi stessi: Noi abbiamo Abrahamo per padre; perciocché io vi dico che Iddio può eziandio da queste pietre far surgere dei figliuoli ad Abrahamo.

Gli Israeliti menavan vanto della loro discendenza da Abrahamo, quasiché fosse un talismano che assicurasse loro ogni specie di benedizioni, e li proteggesse contro tutti i castighi e tutti i pericoli. Giovanni li ammonisce che un tal vanto è vano, imperocché nel giudizio del vegnente Messia i meriti di Abrahamo non coprirebbero i demeriti della sua posterità. È degna di attenzione una nota che fa il commentatore spagnuolo Stella su questo versetto: «Vi sono molti monaci», dice egli, «i quali imitano i Giudei dicendo: abbiamo Benedetto, Agostino, Girolamo, Francesco, o Domenico per nostro padre, precisamente come i Giudei dicevano: "Abbiamo Abrahamo per padre". Narrano agli altri le gesta maravigliose dei fondatori dei loro ordini, e ne decantano le lodi in modo maraviglioso. Dicono: il tal ordine ha dato tanti santi iscritti ora nel Calendario, tanti Papi, tanti Cardinali, tanti Vescovi, tanti Dottori. In queste cose essi si rallegrano e si vantano nella loro vanagloria, mentreché essi stessi sono degenerati dalla vera eccellenza dei loro fondatori, per la loro cattiveria ed i loro costumi rilassati. A tutti questi potremo giustamente ripetere quello che Cristo disse ai Giudei: "Se voi foste figliuoli di Abrahamo, fareste le opere di Abrahamo"».

PASSI PARALLELI

Isaia 1:16-18; Ezechiele 18:27-31; Atti 26:20; 2Corinzi 7:10-11; Galati 5:22-24

Filippesi 1:11; Ebrei 6:7-8

Luca 13:28-29; 16:23-31; Isaia 48:1-2; Geremia 7:4-10; Giovanni 8:33; Romani 4:16; 9:7

Luca 19:40; Giosuè 4:3-8; Matteo 8:11-12; 21:43; Galati 3:28-29

10 10. E le turbe lo domandarono, dicendo: Che faremo noi dunque?

La parola turbe, che l'evangelista applicava al vers. 7 agli Scribi, ai Farisei ed a quelli che venivano a lui, mossi dalla curiosità o dal disprezzo, ed ai quali il Battista si rivolge come a «progenie di vipere», è quivi applicata ad un'altra porzione della sua udienza, ossia alle classi media ed inferiore della popolazione, che erano sinceramente desiose di ricevere istruzione dal profeta, ed ai quali egli si rivolge come a persone ben disposte. La distinzione fatta in questo luogo sembra pienamente giustificata dalla dichiarazione di Luca 7:29-30.

PASSI PARALLELI

Luca 3:8; Atti 2:37; 9:6; 16:30

11 11. Ed egli, rispondendo, disse loro a chi ha due veste ne faccia parte a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia il simigliante.

È un orrore il supporre che Giovanni insegnasse che la remissione dei peccati provenga da una mera riforma esterna della vita e della condotta. Attraverso tutta la dispensazione Levitica, alla quale il suo ministero indubbiamente apparteneva, l'offerta del sacrifizio giornaliero e più ancora quella del solenne giorno dell'espiazione insegnava in modo molto significativo che «senza spargimento di sangue non si fa remissione» Ebrei 9:22. Ma il perdono del peccato deve essere preceduto dalla penitenza, la quale si dimostra vera e sincera dai frutti che produce nella vita, dal cambiamento che opera nelle abitudini e nelle azioni dell'uomo e non soltanto da belle professioni. Questa verità Giovanni l'avea inculcata nel ver. 8, ed è per rispondere al desiderio delle turbe di venire insegnato in qual modo manifestare la sincerità della loro penitenza che egli dà il precetto in questo versetto. La somma ne è: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Invece dell'egoismo e della cupidigia che caratterizza in modo così evidente la natura decaduta dell'uomo, e di cui la vita dei Farisei presenta esempi così marcanti, coltivate l'abnegazione, la benevolenza, la generosità, una liberalità scevra di ostentazione inverso i poveri e i bisognosi, e dimostrate in questo modo la realtà della vostra pietà e della vostra penitenza. Opere di giustizia e di carità sono i primi frutti del pentimento Daniele 4:27.

PASSI PARALLELI

Luca 11:41; 18:22; 19:8; Isaia 58:7-11; Daniele 4:27; Matteo 25:40; Marco 14:5-8

Giovanni 13:29; Atti 10:2,4,31; 2Corinzi 8:3-14; 1Timoteo 6:18; Ebrei 6:10; Giacomo 1:27

Giacomo 2:15-26; 1Giovanni 3:17; 4:20

12 12. Or vennero ancora dei pubblicani, per essere battezzati; e gli dissero: Maestro, che dobbiam noi fare? 13. Ed egli disse loro: Non riscuotete nulla più di ciò che vi è, stato ordinato.

Vedi la descrizione dei Pubblicani, Nota Matteo 9:10. I pubblicani o esattori delle imposte, essendo investiti dell'autorità del governo romano, dimostravansi generalmente oppressivi e duri nei loro rapporti col popolo, e aveano grandi facilità per estorcere più che non fosse richiesto da ogni individuo, come la sua quota di tasse, e per fare di quel sopra più il proprio profitto. Zaccheo ne è un esempio Luca 19:8. Quantunque impopolare e spesso gravemente pervertito, l'uffizio di pubblicano nulla avea di disonorevole in sé stesso. Dove c'è un governo, è mestiere che venga sostenuto, e vi devono essere, di necessità, degli uomini il cui uffizio è di raccogliere le tasse necessarie a questo scopo; è dunque dovere dei sudditi pagare volontariamente e coscienziosamente quello che vien loro giustamente imposto dai loro rettori, e di mostrarsi rispettosi inverso quelli che hanno l'incarico di riceverlo. Giovanni non condannò la professione dei pubblicani, ma la disonestà di quelli che l'esercitavano, e le sue esortazioni andarono diritto alle loro tentazioni ed al peccato loro favorito: «Non riscuotete» ecc. Tutti quelli che sono chiamati ad esercitare incarichi governativi e uffizii pubblici faccian tesoro in cuor loro di questa esortazione.

PASSI PARALLELI

Luca 7:29; 15:1-2; 18:13; Matteo 21:31-32

Luca 19:8; Salmi 18:23; Proverbi 28:13; Isaia 1:16-17; 55:6-7; Ezechiele 18:21,22,27-28

Michea 6:8; Matteo 7:12; 1Corinzi 6:10; Efesini 4:28; Tito 2:11-12; Ebrei 12:1

14 14. I soldati ancora lo domandarono, dicendo E noi, che dobbiam fare? Ed egli disse loro: Non fate storsione ad alcuno, e non oppressate alcuno per calunnia; e contentatevi del vostro soldo.

È molto improbabile che questi fossero soldati romani, la maggior parte dei quali dovea trovarsi di guarnigione in Cesarea, ed il resto in Gerusalemme. Erode Antipa aveva un esercito suo proprio, composto probabilmente in maggior parte di Israeliti. Giovanni stava battezzando a Betabara, nella Perea, che formava parte della tetrarchia di Erode, e siccome questi era allora in guerra col suo suocero Areta e teneva il suo quartier generale a Macherus, a breve distanza del luogo ove trovavasi Giovanni, non v'ha quasi dubbio che i soldati sui quali la predicazione di Giovanni Battista produsse sì profonda impressione appartenessero all'esercito di Erode e professassero la fede giudaica. Soldati che andavano da un luogo all'altro, mal nutriti e senza che il loro capo si prendesse gran che cura di loro, potevano esser facilmente tentati di servirsi delle armi che tenevano in mano per impadronirsi di tutto ciò che poteva eccitare la loro cupidigia, e di usare violenza in caso di opposizione per parte di quelli che essi derubavano. Potevan quindi facilmente sfuggire a qualsiasi castigo, portando false accuse contro quelli che si lagnavano, e così rovinandoli completamente. Al Battista erano giunti senza dubbio rumori di tal condotta per parte di quei soldati, e della miseria che ne risultava, epperciò i precetti che egli dà loro portano precisamente su quelle pratiche abbominevoli. "Se volete far frutti degni della penitenza, cessate dalle vostre oppressioni e ruberie, non fate storsione ad alcuno, non oppressato per calunnia, non cercate di arricchire a spese altrui, ma contentatevi delle vostre razioni e della vostra paga (razioni)" indica tutto quello che si portava come ossia companatico. La paga del soldato consisteva in grano, carne, frutta, non meno che in denaro, ed era chiamata da Demostene. Possiamo considerar pure queste parole come un ammonimento contro le ribellioni che gli uffiziali spesso cercavano di sopprimere, per mezzo di elargizioni e di doni ai soldati (Webster e Wilkinson, Test. Greco).

PASSI PARALLELI

Matteo 8:5; Atti 10:7

Romani 13:9-10; Filippesi 2:15

Luca 19:8; Esodo 20:16; 23:1; Levitico 19:11; Tito 2:3; Apocalisse 12:10

Filippesi 4:11; 1Timoteo 6:8-10; Ebrei 13:5-6

15 15. Or, stando il popolo in aspettazione e ragionando tutti nei lor cuori, intorno a Giovanni, se egli sarebbe punto il Cristo; 16. Giovanni rispose,

ecc. Tanto elevato era, il carattere di Giovanni, tanto profonda e generale l'impressione prodotta dalla sua predicazione, tanto potente l'aspettativa della pronta apparizione del Messia, che il popolo aspettava con ansietà qualche altro annunzio che gli rendesse più chiara la posizione ed il carattere di Giovanni; ed intanto domandavano a sé stessi se egli non potesse essere il Messia in persona. Sia che Giovanni intravedesse la, corrente dei loro pensieri, sia che qualcuno della folla gli rivolgesse una precisa domanda a questo riguardo, sia ancora che rispondesse alle domande dell'ambasciata speciale mandata da Gerusalemme per investigare la sua profetica autorità Giovanni 1:19-20, egli dichiarò subito e con linguaggio chiaro e senza equivoci di esser solo il Precursore, annunziando l'apparizione immediata del sospirato Messia, per esercitare al tempo stesso la misericordia ed il giudizio.

PASSI PARALLELI

Giovanni 10:24

Giovanni 1:19-28; 3:28-29

Matteo 3:11; Marco 1:7-8; Giovanni 1:26,33; Atti 1:5; 11:16; 13:24-25; 19:4-5

Proverbi 1:23; Isaia 32:15; 44:3-4; Ezechiele 36:25; Gioele 2:28-29; Giovanni 7:38

Atti 2:33; 10:44; 11:15; 1Corinzi 12:13

Isaia 4:4; Zaccaria 13:9; Malachia 3:2-3; Atti 2:3,4,17-18

RIFLESSIONI

1. Ci vien detto: «La parola di Dio fu indirizzata a Giovanni», per farci osservare che egli ebbe, per cominciare il suo ministero, una vocazione speciale da Dio. Questa dichiarazione getta una gran luce sull'uffizio di tutti i ministri del vangelo. È questo tale un uffizio che nessun uomo ha il diritto di entrarvi se non si sente internamente, chiamato da Dio, non meno che esternamente dall'uomo. Noi abbiamo il diritto di pretendere rivelazioni dal cielo, o doni miracolosi dello Spirito; ma chiunque domanda di essere ammesso al Sacro ministero deve almeno poter dichiarare in buona coscienza che lo Spirito Santo è quello che lo spinge ad entrarvi, per la gloria di Dio, e la salvezza delle anime, e non già qualche cupidità di «guadagno disonesto». Molti entrano nel ministero con precipitazione, senza una tal vocazione, mossi unicamente da eccessiva vanità e privi ugualmente del benefizio di studii preparatori e di esperienza spirituale. Un grave scandalo accade quando uomini senza educazione e spesso non convertiti si arrogano l'uffizio di maestri, mentre hanno bisogno essi stessi d'imparare «quali sieno gli elementi del principio degli oracoli di Dio» Ebrei 5:12. Nell'opera del Signore non isperi mai successi chi «corre senza esser stato mandato». Preghiamo ogni giorno acciocché le nostre congregazioni non abbiano mai altri ministri che quelli che sono stati chiamati da Dio. Un uomo che non è, convertito è per una congregazione un peso e un danno, imperocché come mai potrà egli annunziare, delle verità salutari delle quali non ha sperienza alcuna, o render testimonianza all'amore ed alla fedeltà di un Salvatore di cui egli non ha quella conoscenza che salva, col quale egli non è in comunione per fede?

2. Il pentimento non giova a nulla se non è accompagnato dai frutti nella vita. Non possiamo mai imprimerci troppo fortemente nella mente che è cosa vana il dire colle labbra che ci pentiamo, se non ne diamo la prova con un cambiamento deciso nella nostra condotta, nella nostra conversazione, nei motivi che regolano la nostra vita. Il far simile vuota professione di penitenza è cosa peggio ancora che vana, imperocché il continuare in essa incallirà la nostra coscienza e indurerà il nostro cuore.

3. Il fidare in privilegi esterni, come nel caso dei Giudei, per trascurar la fede e la pietà, è un ingannar noi stessi. Il Signore insegnò questa verità prima della cattività di Babilonia, e nel modo il più solenne, agli empi Israeliti, per bocca di Ezechiele 14:14: «Quando questi tre uomini, Noè, Daniele, e Giobbe, fossero in mezzo di quello (un paese peccante contro a Dio, ver. 13), essi libererebbero sol le lor persone per la loro giustizia, dice il Signore Iddio.» Non dite adunque in voi stessi che siete nati Cristiani, o che il battesimo vi ha fatti necessariamente tali, o che siete salvi perché i vostri genitori godevano gran favore appo Iddio, o perché siete in comunione con qualche ramo della Chiesa di Cristo, e che perciò tutto andrà ben per voi alla fine. Ponderate con cura le parole di Cristo, e quelle di Paolo Matteo 8:11; Romani 2:28-29.

4. Giovanni comandava a chiunque faceva professione di pentimento, di cominciar coll'abbandonare quei peccati nei quali egli era più esposto a cadere. Egli non voleva già dire che facendo questo cose essi espierebbero i loro peccati, e farebbero la loro pace con Dio, ma proverebbero la sincerità della loro penitenza. Impariamo da questo il modo di governare i nostri cuori. Non dobbiamo contentarci di condannare quei peccati che il nostro temperamento non ci spinge a commettere, mentre ci mostriamo indulgenti per quelli di altro genere. Investighiamo le proprie nostre corruzioni, i peccati che ci seducono più facilmente, e non ci stanchiamo di far guerra contro ad essi. Abbandoni il ricco i peccati del ricco, il povero quelli del povero. Rinunzino i giovani alle concupiscenze della gioventù, e i vecchi alle tentazioni della vecchiaia. Questo è il primo passo da noi richiesto per mostrare che desideriamo sul serio la salvezza dell'anima nostra.

19 Luca 3:19-20. GIOVANNI INCARCERATO DA ERODE AD ISTIGAZIONE DI ERODIADE Matteo 14:3-11; Marco 6:17-29

Per l'esposizione Vedi Marco 6:17-29.

21 Luca 3:21-22. CRISTO BATTEZZATO DA GIOVANNI NEL GIORDANO. LO SPIRITO SANTO SCENDE SOPRA LUI Matteo 3:13-17; Marco 1:9-12; Giovanni 1:32-34

Per l'esposizione Vedi Matteo 3:13-17.

23 Luca 3:23-38. LA GENEALOGIA DI GESÙ Matteo 1:1-16

23. E Gesù cominciava ad esser come di trent'anni;

La costruzione della frase è inusitata, ma il significato non si può sbagliare. Gesù avea circa trent'anni, senza che l'evangelista si curi di Specificare se ne avesse un poco più o un poco meno. Gesù cominciò il pubblico suo ministero subito dopo essere stato messo a parte per esso, per mezzo del battesimo.

figliuolo come si stimava, di Giuseppe, figliuol di Eli,

ecc. Nelle note (scritte nell'anno 1863) sulla genealogia di Gesù tramandataci da Matteo, viene espressa l'opinione che, mentre quell'evangelista ci fornisce la discendenza Davidica di Giuseppe, Luca ci ha conservato invece quella di Maria madre di Gesù. Sappiamo che quel soggetto è stato per molto tempo ed è tuttora discusso assai vivamente, e che la conclusione più sopra ricordata è contestata da molti scrittori di peso, così nella Chiesa primitiva come nei tempi posteriori alla riforma; ciononostante, il tempo e i nostri studii posteriori non hanno fatto che confermare il convincimento che già avevamo espresso. La teoria opposta a questa consiste nel dire che la genealogia delle donne non essendo mai necessaria (e qui convien porre in obblio i casi delle figlie di Selofad Numeri 27:1-7, e di altre nella stessa posizione, le cui genealogie erano assolutamente indispensabili), quella che troviamo in Luca deve pure riferirsi a Giuseppe, e siccome è un caso piuttosto raro che lo stesso uomo abbia due genealogie assolutamente diverse (ammenoché una sia quella della madre), si spiega la differenza col dire che Matteo ci presenta la linea strettaniente legale della successione al trono di Davide, del quale Giuseppe era il legittimo erede, mentre Luca ci dà la sua genealogia diretta, nominandoci le persone per mezzo delle quali il sangue di Davide trapassò nelle sue vene. Affin di dare un po' di sostanza a questa teoria, è stato necessario di supporre fra le linee di Salomone e di Natan dei punti di contatto, pei quali la successione regia sarebbe stata trasferita a quest'ultimo, quindi di spiegare tutte le altre mancanze e discordanze coll'aggiunta di un sistema complesso ed ipotetico di matrimoni contratti conformemente alla legge del Levirato, con questo risultato definitivo che Maria ci vien presentata come la figlia di Giacobbe e Giuseppe come il figlio di Eli. La più breve narrazione di questa teoria è data da Andrews nella sua Vita di Cristo «La linea di Salomone ebbe termine con Jechonia Geremia 22:30, e il diritto di successione passò alla linea di Natan nella persona di Salatiel. Da Giuseppe, figlio minore di Giuda o di Abiad, ed appartenente a quella linea, discendeva Giuseppe, marito di Maria. La famiglia del figlio primogenito rimanendo estinta, Mattan nonno di Giuseppe divenne l'erede del trono. Questo Mattan ebbe due figli, Giacobbe ed Eli. Il più vecchio, Giacobbe, non ebbe figli, ma ebbe probabilmente una figlia e questa fu la Vergine Maria. Il più giovane Eli ebbe un figlio, Giuseppe, il quale divenne in quel modo l'erede di suo zio e del trono; Giuseppe e Maria erano dunque cugini in primo grado, e le tavole genealogiche si riferiscono ad entrambi». Alcuni dei sostenitori di questa teoria, che cioè ambedue le genealogie si riferiscano a Giuseppe, vanno fino ad affermare che Maria apparteneva alla tribù di Levi, non avea la minima parentela di sangue colla casa di Davide, e che né l'uno né l'altro dei due evangelisti si occupa di lei. La testimonianza della Chiesa sin dai primi tempi è sempre stata che Maria apparteneva alla famiglia di Davide; ma lasciando questa per il presente da parte, vi son passi nella Scrittura nei quali la discendenza di Gesù da Davide ci vien presentata come naturale e non semplicemente legale, ed a quei passi non si potrà mai dare il pieno loro significato con una mera adozione legale di Gesù per parte di Giuseppe, se Gesù stesso non avea una gocciola del sangue di Davide nelle vene. Quei passi decidono in modo definitivo la discendenza di Maria da Davide. Si paragoni accuratamente 2Samuele 8:12, dove Dio dichiara a Davide, riguardo al Cristo: «Io susciterò uno della tua progenie dopo te, il quale sarà uscito dalle tue interiora ecc. Atti 2:30; dove Pietro, facendo allusione a Davide parla di Cristo come essendo «il frutto dei suoi lombi secondo la carne» Isaia 11:l; Atti 13:23; Romani 1:13; 2Timoteo 2:8; Ebrei 7:14; Apocalisse 22:16; come pure Luca 1:32, dove l'angelo annunzia che, come figlio di Maria, Gesù sarebbe altresì figlio di Davide ed erede del suo trono. Stabilito questo, vi è ragione valida e sufficiente per darci un ricordo della discendenza di Gesù dal lato della madre e, cosa strana davvero, gli scrittori ebrei essi stessi ci forniscono una convincente conferma che la genealogia conservata da Luca è quella di Maria, imperocché il Targum di Gerusalemme vomitando contro di essa insulti pieni di malizia, ci parla di uno che «vide (Maria figliuola di Eli), fra le ombre (hades), appesa dalle fibre delle mammelle, mentre la porta o la sbarra della porta dell'inferno era fissata al suo orecchio» (Gill, in loco). Oltre a ciò le parole parentetiche di questo versetto: «come si stimava, di Giuseppe», sembrano evidentemente inserite dall'evangelista, per ispiegare come, contrariamente a tutti gli usi, egli dava il lignaggio della madre e non quello del padre. Un'altra ipotesi per spiegare l'introduzione del nome di Giuseppe consiste nel dire che come genero di Eli e rappresentante di sua consorte, gli ora naturalmente assegnato un posto della genealogia di Luca. Però la prima spiegazione è preferibile. Le circostanze particolari della nascita di Cristo ci danno la spiegazione naturale ed ovvia delle d ue genealogie. Come figlio adottivo di Giuseppe, e per conseguenza erede legale del trono di Davide, la genealogia di suo padre deve venir data, e Matteo, che scriveva per i Giudei, ha cura di registrarlo; come figlio di Maria, senza padre umano alcuno, è necessario il lignaggio di sua madre per dimostrare la sua discendenza naturale da Davide, e Luca, che scriveva per i Gentili, l'ha rintracciata e conservata. Ricordandosi le idee preconcette di quelli per i quali egli scrive, Matteo risale nella sua genealogia solo fino ad Abrahamo, padre e fondatore della loro nazione; ma Luca rintraccia fino alla loro sorgente le due nature della persona del Messia e ce lo descrive al tempo stesso, come figlio di Adamo e come figlio di Dio. Fra gli scrittori prote stanti che considerano la tavola genealogica di Luca come essendo quella di Maria van citati Poole, Bengel, Newcome , Robinson, Greswell, Lange, Brown, Weisler, Riggenbach, Auberlen, Ebrard, Kraft, Bloomfield, Alexander, Oosterzee, Andrews, Conder, Godet e Ryle; fra i cattolici romani noteremo Giansenico, Barrodio, Stella ed altri. Fra quelli che credono che questa genealogia sia di Giuseppe sono Alford, Meyer, Winer, Bleek, Fairbairn, Da Costa, Friedlieb, Patritins, Mill, Ellicott e Westcott.

PASSI PARALLELI

Genesi 41:46; Numeri 4:3,35,39,43,47

Luca 4:22; Matteo 13:55; Marco 6:3; Giovanni 6:42

24 24. (Figliuol) di Mattat

ecc. I soli nomi che sono riferiti dalle due genealogie, fra Davide e Gesù, sono quelli di Salatiel e di Zorobabel. quantunque si sia tentato di identificare Abiad Matteo 1:13, con Giuda Luca 3:26. Nella maggior parte dei MSS. Greci (eccetto Beza, D), il nome di Cainan è inserito al ver. 26 fra quelli di Sala e di Arfacsad e questo dà origine ad una grave difficoltà, imperocché non si trova nome simile alcuno nelle genealogie ebraiche conservate da Mosè, nel libro della Genesi 10:24; 11:12, né in quella di 1Cronache 1:18. Lo si trova però nella 70, nei passi citati della Genesi, ma non in quello delle Cronache, omissione questa che è a scapito della autorità di quella versione quando la si cita contro l'originale ebraico, scritto dalla penna ispirata di Mosè, un paio di migliaia di anni prima che venissero al mondo i traduttori Alessandrini. La quistione però non è coi 70: bensì con Luca, secondo i MSS. Greci. Come possono conciliarsi Luca e Mosè? Bengel pensa che Luca, seguendo la LXX, inserisse il nome di Cainan in via di concessione ai Giudei ellenici; altri suppongono che quel nome fosse stato omesso dal testo ebraico, per trascuranza di qualche copista; mentre altri credono che l'inserzione di quel nome non sia originariamente dovuta a Luca, ma a qualche copista posteriore del suo Vangelo, il quale vi si sarebbe creduto autorizzato dalla LXX. Quest'ultima pare la soluzione più probabile della difficoltà. Fortunatamente l'omissione o l'inserzione di questo nome non ha importanza alcuna per la validità della catena da Adamo a Davide. Diodati omette il nome di Cainan nel ver. 36, e nelle sue note ne spiega la ragione così: «Nei testi comuni, fra Sala ed Arfacsad è posto Cainan; ma essendo ciò in contrasto all'istoria di Mosè, ed essendo anche rigettato dalla più sana antichità come un errore degli scrivani, tratto da alcuni testi della versione Greca, questo Cainan è stato qui rilasciato».

RIFLESSIONI

1. Parlando della discendenza del Signore da Davide per mezzo di Natan, Webster osserva: «È molto notevole che in una profezia di Zaccaria 12:10-14, la quale ha tratto in modo indubitato alla morte di Cristo, vengono introdotte molte famiglie della casa di Davide, come prendendo parte al gran cordoglio per colui che essi hanno trafitto, che vien paragonato al cordoglio fatto per Giosia, e che queste famiglie sono tutte mentovate nella genealogia data da Luca: la famiglia della casa di Natan e le lor mogli a parte; quella di Levi ecc., quella di Simi ecc. È da notarsi inoltre che i nomi di Levi e di Simi sono ripetuti due volte nella genealogia e ciò a grandi intervalli (ver. 24 e 29, 26 e 30), ed erano perciò i meglio scelti, se lo scopo della predizione di Zaccaria era di segnare la linea di discendenza del Messia».

2. Che vi sieno difficoltà in queste genealogie non è cosa che ci debba sorprendere se consideriamo

1. La mancanza di sufficienti materiali di paragono.

2. I nomi duplici e triplici dati alla medesima persona.

3. I nomi intermedii che sono omessi.

4. I nomi di figli dati a quelli che erano semplicemente nella linea diretta di discendenza e di fratelli a quelli che erano parenti collaterali.

5. E finalmente, la legge del Levirato, in virtù della quale uno vien chiamato figlio non già di suo padre secondo la carne, ma di suo padre conformemente a quella legge. Vedi Deuteronomio 25:5-6; Luca 20:28.

Da queste varie cause son nate molte perplessità, e discussioni senza fine, senza che sia sempre possibile sciogliere ogni difficoltà. La cosa è però abbastanza chiara, perché sia "notorio che il Signore nostro è nato dì Giuda" Ebrei 7:14, e che egli è la progenie della donna che triterebbe il capo del serpente Genesi 3:15. «È di più cosa soddisfacente il sapere che nei primi tempi della Chiesa nessun dubbio mai stato gettato, neppure dai più acerbi nemici del Cristianesimo sulla reale discendenza di nostro Signore da Davide» (Brown).

3. «Forse la diversità del metodo adottato dai due evangelisti nella loro genealogia rispettiva dipende dalla differenza che passava fra la posizione religiosa dei Greci e quella dei Giudei. Il Giudeo trovando la base del suo pensiero in una rivelazione divina, procede sinteticamente dalla causa all'effetto; il Greco, non possedendo altro che il fatto, lo analizza, affin di poter procedere dall'effetto alla causa. Ma la differenza proviene fors'anche più da un'altra circostanza. Ogni registro genealogico uffiziale deve presentare la forma discendente, imperocché gli individui vi sono registrati solamente a misura che nascono. La forma ascendente di genealogia può essere solamente quella di uno strumento privato, estratto dal documento pubblico, per mettere in vista un individuo speciale, il cui nome Serve di punto di partenza della lista. Segue da ciò, che in Matteo abbiamo una copia esatta del registro uffiziale, mentre Luca ci dà un documento estratto dagli archivi pubblici, e compilato in vista della persona colla quale la genealogia principia» (Godet).

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