Commentario abbreviato:

Marco 4

1 Capitolo 4

La parabola del seminatore Mc 4:1-20

Altre parabole Mc 4:21-34

Cristo placa la tempesta Mc 4:35-41

Versetti 1-20

Questa parabola conteneva istruzioni così importanti che tutti coloro che erano in grado di ascoltare erano tenuti a seguirla. Ci sono molte cose che ci preme sapere; e se non comprendiamo le verità semplici del Vangelo, come potremo imparare quelle più difficili? Ci aiuterà a valutare i privilegi di cui godiamo come discepoli di Cristo, se consideriamo seriamente la condizione deplorevole di tutti coloro che non hanno tali privilegi. Nel grande campo della Chiesa, la parola di Dio viene distribuita a tutti. Dei molti che ascoltano la parola del Vangelo, pochi la ricevono in modo da portare frutto. Molti sono molto colpiti dalla parola per il momento, ma non ricevono alcun beneficio duraturo. La parola non lascia impressioni durature nelle menti degli uomini perché i loro cuori non sono debitamente disposti a riceverla. Il diavolo è molto impegnato con gli ascoltatori disattenti, come gli uccelli dell'aria con il seme che giace sopra la terra. Molti continuano a fare una professione sterile e falsa e vanno all'inferno. Le impressioni che non sono profonde non durano. Molti non si preoccupano del lavoro del cuore, senza il quale la religione non è nulla. Altri sono ostacolati nel trarre profitto dalla Parola di Dio dall'abbondanza del mondo. E chi ha poco del mondo, può ancora rovinarsi assecondando il corpo. Dio si aspetta e richiede dei frutti da coloro che godono del Vangelo, una tempra mentale e delle grazie cristiane esercitate quotidianamente, dei doveri cristiani debitamente compiuti. Guardiamo al Signore, affinché per la sua grazia creatrice i nostri cuori diventino un buon terreno e il buon seme della parola produca nella nostra vita quelle buone parole e opere che sono per Gesù Cristo, a lode e gloria di Dio Padre.

21 Versetti 21-34

Queste dichiarazioni avevano lo scopo di richiamare l'attenzione dei discepoli sulla parola di Cristo. Istruendoli in questo modo, essi erano in grado di istruire gli altri; come le candele vengono accese, non per essere coperte, ma per essere poste su un candeliere, in modo da dare luce a una stanza. Questa parabola del buon seme mostra il modo in cui il regno di Dio progredisce nel mondo. Lasciate che la parola di Cristo abbia il posto che deve avere in un'anima, e si manifesterà in una buona conversazione. Cresce gradualmente: prima il filo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando sarà spuntato, andrà avanti. L'opera della grazia nell'anima è, all'inizio, solo il giorno delle piccole cose; eppure ha prodotti potenti già ora, mentre cresce; ma quali saranno quando sarà perfezionata in cielo!

35 Versetti 35-41

Cristo si addormentò nella tempesta, per mettere alla prova la fede dei suoi discepoli e per incitarli a pregare. La loro fede sembrava debole e le loro preghiere forti. Quando i nostri cuori malvagi sono come il mare agitato che non può riposare, quando le nostre passioni sono indiavolate, pensiamo di sentire la legge di Cristo che dice: "Taci, taci". Quando all'esterno si combatte e all'interno si teme, e gli spiriti sono in tumulto, se si dice: "Pace, state tranquilli", subito c'è una grande calma. Perché siete così timorosi? Sebbene ci sia motivo di temere, non è il caso di temere così tanto. Chi può sospettare della propria fede, può avere un pensiero come quello che Gesù non si preoccupa che il suo popolo perisca. Come sono imperfetti i migliori tra i santi! La fede e la paura si alternano mentre siamo in questo mondo; ma tra non molto la paura sarà vinta e la fede sarà persa di vista.

Commentario del Nuovo Testamento:

Marco 4

1 CAPO 4 - ANALISI

1. Parabola del seminatore. Secondo Matteo, questa parabola nostro Signore la disse, con altre parecchie, nel giorno stesso in cui occorsero gli eventi ricordati alla fine dell'ultimo capitolo. Sopraffatto dalla folla, entrò nella barchetta che i discepoli tenevano sempre a sua disposizione, e di là parlò al popolo che stava sulle rive del lago. L'uso delle parabole segna una nuova epoca nel modo d'ammaestrare tenuto da nostro Signore, di cui è data più sotto la ragione. Secondo tutti i sinottici, la parabola che apre la serie fu quella "del Seminatore", o, come più accuratamente la descrivono i Tedeschi, "delle quattro specie di terreno", in cui Gesù spiega le diverse accoglienze che troverebbe la sua parola nei cuori di coloro che la udirebbero Marco 4:1-9.

2. Ragione per cui Gesù parlava ora in parabole. C'era stato ultimamente un notevolissimo cangiamento nelle disposizioni di molti dei suoi uditori. Gli Scribi e i Farisei l'avean poc'anzi accusato d'essere in lega con Satana, cosicché lo spiegare apertamente le dottrine del suo regno, come era uso fino allora, sarebbe dato come "gettar le perle ai porci". Perciò egli cuopre la sua dottrina sotto il velo di una similitudine o storia, il che avrebbe aiutato coloro che erano realmente desiderosi di scoprire la verità in essa contenuta, mentre l'avrebbe nascosta a quelli che non aveano alcun discernimento spirituale e venivano alla presenza di Cristo, cercando solo di tendergli insidie Marco 4:10-18.

3. Spiegazione della parabola del seminatore. "Lungo la via" significa il cuore dell'uomo nel suo stato naturale, duro come terreno non dissodato e incapace di ricevere la predicazione della parola di Dio o di ritrarne verun benefizio. "I luoghi pietrosi" rappresentano il cuore in cui la parola non ha prodotto che un'impressione parziale e passegiera, la quale svanisce tosto che avviene tribolazione. "Fra le spine" indica il cuore la cui la parola di Dio ha fatto qualche progresso, ma le sollecitudini del mondo, o gli affari o i piaceri l'affogano, sicché il cuore rimane infruttuoso. "La buona terra" rappresenta il cuore rinnovato dalla grazia, sollecito della gloria di Dio e vivente sotto le potenze del secolo avvenire. Questa spiegazione fu data da Gesù ai suoi discepoli in privato, dopo che si furono ritirati nella casa ov'erano alloggiati. Alla spiegazione aggiunse solenni ammonizioni intorno all'uso convenevole e diligente che doveano fare dei privilegi da essi goduti e intorno alla grande responsabilità che a questi privilegi andava congiunta e alla perdita irreparabile che ne verrebbe dall'averli trascurati Marco 4:14-25.

4. Parabola della semenza che cresce nella maniera che l'uomo non sa. Solo Marco registra questa parabola. I suoi insegnamenti corrispondono in qualche grado a quelli dalla Parabola del lievito ricordata da Matteo e Luca, ma omessa dal nostro Evangelista. Con essa, nostro Signore ci insegna, che come l'agricoltore, dopo che ha seminato la semenza nel terreno non può né contribuir più oltre al crescimento di essa, né conoscere il come, esso avvenga, così la semenza celeste, una volta che sia introdotta per la parola di un predicatore zelante, nel cuore di un peccatore, non dipende più da alcuno sforzo dell'intelletto o della volontà di questo per crescere e prosperare. Cresce per la benedizione di Dio nella maniera che non sappiamo. L'uomo non può né operare la conversione, né seguire le traccie dello Spirito vivificante nelle segrete profondità del cuore umano Marco 4:26-29.

5. Parabola del granel di senape. Delle 6 parabole che seguono immediatamente quella del seminatore in Matteo 13, è questa la sola che sia stata registrata da Marco. Suo oggetto si è il porre in evidenza il progresso che il regno del vangelo è destinato a fare nel mondo. In quella guisa che dal più piccolo dei semi che l'agricoltore ebreo si desse il disturbo di coltivare, sorgeva un albero così grande ed ombroso che gli uccelli dell'aria facevano il loro nido nei suoi rami, così appunto, da principii egualmente insignificanti all'occhio del mondo, il regno di grazia andrebbe crescendo e dilatandosi sinché al fine abbraccerà tutto le nazioni. Sebbene non entrasse nel piano di Marco il ricordare le altre parabole dette da Gesù in quella occasione, tuttavia si riferisce ad esse assai distintamente, e nota il cambiamento notevole che Gesù introdusse con ciò nel suo metodo d'insegnare in pubblico Marco 4:30-34.

4. La Tempesta acchetata sul lago di Tiberiade. La sera stessa, mentre Gesù coi suoi discepoli attraversava il lago su una piccola navicella, dirigendosi verso la riva orientale, levossi improvvisamente una furiosa tempesta che mise a repentaglio le vite di quanti erano a bordo. Stanco delle fatiche della giornata, Gesù dormiva profondamente, finché lo risvegliarono le grida d'angoscia dei discepoli, che gli chiedevano aiuto. Una sua parola bastò perché i venti e le onde riconoscessero in lui il loro Creatore e Signore, e tosto obbedissero! "Si fece gran bonaccia". Sempre tenero e pieno di compassione, il Signore prima scacciò il timore dal cuore dei suoi discepoli, e poi rimproverolli della loro mancanza di fede Marco 4:35-41.

Marco 4:1-9; 14-20. PARABOLA DEL SEMINATORE, ovvero DEI QUATTRO TERRENI DIVERSI Matteo 13:1-23; Luca. 8:10-17

Per l'esposizione dei motivi per cui Cristo si fece ad usare le parabole, vedi Matteo 13:10-17.

1. Poi prese di nuovo ad insegnare, presso al mare; ed una gran moltitudine si raunò presso a lui; talché egli, montato nella navicella, sedeva in essa sul mare; e tutta la moltitudine era in terra, presso al mare. 2. ad egli insegnava loro molte cose in parabole, e diceva loro nella sua dottrina: 3. Udite: Ecco, un seminatore uscì a seminare

Le circostanze descritte in questa parabola concordano fin nei più minuti particolari con quanto il viaggiatore osserva in Palestina al giorno d'oggi. Il coltivatore non abita generalmente sul suo podere, ma in un villaggio posto talvolta a qualche distanza, ove si raccolgono altri della sua classe, per star più sicuri gli uni appresso agli altri. Perciò è detto che "uscì a seminare". Non vi sono cinti di muricciuoli o siepi; non vi sono (nel senso europeo di questa parola) anche adesso in Palestina; ma dei viottoli pei muli solcano quelle parti di terreno che son coltivate, nelle quali, sebbene la terra generalmente sia fertile, è cosa affatto ordinaria l'incontrare dei luoghi ingombri di spini e rovi, ed altri ove le rocce son coperte a mala pena da un po' di terra. In Palestina piove periodicamente sul finir dell'autunno ed al principio della primavera. Queste stagioni delle pioggie son note agli studiosi delle sacre carte come "la pioggia della prima e dell'ultima stagione" Deuteronomio 11:14; Giobbe 29:23; Geremia 3:8; 5:4; Osea 6:3; Gioele 2:23; Amos 4:7; Zaccaria 10:1. "La pioggia della prima stagione" cade verso l'ottobre e il novembre, ammollendo e polverizzando la terra, che per l'arsura estiva è divenuta come "di ferro" Deuteronomio 28:23, e tosto il coltivatore comincia ad arare e a seminare. "La pioggia dell'ultima stagione" cade nel febbraio e nel marzo, e fa ingrossare e maturare il grano.

PASSI PARALLELI

Marco 2:13; Matteo 13:1,2-9; Luca 8:4-8

Luca 5:1-3; 11:34; 3:23; Salmi 49:4; 78:2; Matteo 13:3,10,34-35

Marco 12:38; Matteo 7:28; Giovanni 7:16-17; 18:19

Deuteronomio 4:1; Salmi 34:11; 45:10; Proverbi 7:24; 8:32; Isaia 46:3,12

Isaia 55:1-2; Atti 2:14; Ebrei 2:1-3; Giacomo 2:5; Apocalisse 2:7,11,29

Marco 4:14,26-29; Ecclesiaste 11:6; Isaia 28:23-26; Matteo 13:3,24,26; Luca 8:5-8

Giovanni 4:35-38; 1Corinzi 3:6-9

4 

Prima sorta di terreno. LUNGO LA VIA

4. Ed avvenne che, mentre egli seminava, una parte cadde lungo la via, e gli uccelli del cielo vennero, e la mangiarono.

La pubblica via calcata, spianata ed indurita dal costante traffico non offre alcun solco per accogliervi il seme, il quale è quindi calpestato dagli uomini e dagli animali, finché finalmente gli uccelli del cielo lo scorgono e calano a divorarlo.

PASSI PARALLELI

Marco 4:15; Genesi 15:11; Matteo 13:4,19; Luca 8:5,12

5 

Seconda sorta di terreno. LUOGHI PIETROSI

5. E ma, altra cadde la luoghi pietrosi (Luca: sopra la roccia), ove non avea molta terra; e subito nacque, perciocché non avea terremo profondo;

Osservisi la descrizione che è data quì. Non è un suolo la cui superficie sia seminata di pietre assai fitte, poiché un tal suolo potrebbe esser di sotto ubertoso e profondo, e dare un ricco ricolto, ma le pietre che lo ricuoprono; ma sì uno strato sottilissimo di terra, sovrapposto ad una piattaforma di roccia (cosa comunissima in Palestina), al quale i raggi del sole d'oriente in poche ore toglierebbero ogni particella d'umore, anche dopo la pioggia più abbondante.

PASSI PARALLELI

Marco 4:16-17; Ezechiele 11:19; 36:26; Osea 10:12; Amos 6:12; Matteo 13:5-6,20; Luca 8:6,13

6 6. Ma, quando il sole fu levato, fu riarsa; e, perciocché non avea radice, si seccò.

Per una figura alquanto somigliante, vedi Salmi 119:6-7. In circostanze come quelle descritte qui, il calore farebbe germogliare il seme con meravigliosa rapidità, ma in conseguenza della prossimità della roccia e della impossibilità di metter profonde radici, e di trovare l'umore necessario al nutrimento, seccherebbe appena nato.

PASSI PARALLELI

Cantici 1:6; Isaia 25:4; Giona 4:8; Giacomo 1:11; Apocalisse 7:16

Salmi 1:3-4; 92:13-15; Geremia 17:5-8; Efesini 3:17; Colossesi 2:7; 2Tessalonicesi 2:10; Giudici 1:12

7 

Terza sorta di terreno FRA LE SPINE

7. E un'altra cadde fra le spine, e le spine crebbero e l'affogarono, e non fece frutto.

le spine è usato qui genericamente per denotare i cardi e tutto quante le piante ad erbacce inutili che assorbono dal suolo l'umore nutritivo, al pari delle spine, quantunque il crescere straordinariamente rigoglioso di queste sul terreno più fertile, sia l'un dei tratti caratteristici della moderna Palestina che lanciano un'impressione indelebile nella memoria dei viaggiatori. Quando il suolo produce in abbondanza e con poca fatica del coltivatore, costui facilmente diventa infingardo: e da questa parabola sembra potersi dedurre che tale fosse il caso anche degli agricoltori ebrei sulle lor proprio terre. È probabile che le spine fossero semplicemente tagliate al suolo, prima della seminagione, lasciando le radici intatte, ed essendo piante indigene dovean crescere più presto e più rigoglioso che mai, dopo una tale operazione. Il seme che cadeva nel terreno così ingombro di spine, spuntava vigoroso dapprincipio, e dava promessa di abbondante raccolto; ma le spine crescevano ancor più di esso, sottraevano dalle sue radici, ed assorbivano il nutrimento gli toglievano la luce e l'aria colla loro ombra e con le loro esalazioni gazzose, cosicché, venuto il tempo della mietitura, altro non si trovava che un gambo di paglia lungo e sterile con la pannocchia piena di pula, ma senza un solo grano di frumento. Qui il male non consiste nel terreno duro o poco profondo, c'è abbastanza morbidezza e profondità; ma consiste nel fatto che esiste in esso ciò che attira a sé tutto l'umore e la fertilità del terreno, e fa morire la pianta per mancanza di nutrimento.

PASSI PARALLELI

Marco 4:18-19; Genesi 3:17-18; Geremia 4:3; Matteo 13:7,22; Luca 8:7,14; 12:15; 21:34

1Timoteo 6:9-10; 1Giovanni 2:15-16

8 

Quarta sorta di terreno. LA BUONA TERRA

8. E un'altra cadde su buona terra, e portò frutto, il quale montò, e crebbe; e portò, l'un trenta, l'altro sessanta, e l'altro cento.

Questo terreno combinava tutto quanto facea difetto nei tre già descritti, ora friabile e molle, e così il seme potè tosto entrarvi; era profondo, e così le radici poterono abbarbicarvisi profondamente e trovare abbondante nutrimento; era sgombro di spine e di rovi, sicché non v'era né perdita di umore nutritivo, né ombra nociva che ne impedisse il crescere rigoglioso. Le diverse proporzioni di prodotto qui menzionate dal nostro Signore sono esattamente quelle che dava il suolo della Palestina al suo tempo; trenta per uno era già un prodotto da starne contenti, sessanta era il prodotto più comune, il cento per uno era affatto eccezionale. In certe località della Palestina anche al giorno d'oggi si miete cento volte la semenza. Matteo espone il prodotto in ragione inversa incominciando dal prodotto di cento per uno, forse per insegnarci a considerare il frutto più grande non come l'eccezione ma come la regola che dovremmo sempre avere in mira.

PASSI PARALLELI

Marco 4:20; Isaia 58:1; Geremia 23:29; Matteo 13:8,23; Luca 8:8,15; Giovanni 1:12-13

Giovanni 3:19-21; 7:17; 15:5; Atti 17:11; Colossesi 1:6; Ebrei 4:1-2; Giacomo 1:19-22

1Pietro 2:1-3

Genesi 26:12; Filippesi 1:11

14 14. Il seminatore è colui che semina la parola.

Gesù fu, senza dubbio, il primo seminatore, durante il suo ministerio terrestre; ma qui non parla esclusivamente di sé, o di quelli che doveano, in appresso, esercitare gli uffizi di Apostoli, pastori, dottori o missionari nella sua Chiesa, ma vi comprende persino i genitori, i parenti, i vicini, tutti quelli insomma che, nelle loro sfere diverse si sforzano di propagare la conoscenza del vangelo. Questo "seminare" non è ristretto ad alcun sesso, o ceto, o nazione. Come ognuno può spargere nei solchi il seme del frumento, così chiunque spande il seme dell'evangelo, in altre parole, chiunque offre ai suoi simili la salute pel sangue di Gesù è veramente un seminatore. Luca dice: "La semenza è la parola di Dio"; cioè tutta intera la rivelazione del suo volere qual fu data per divina ispirazione ed è contenuta nelle Sante Scritture. Pietro descrive la parola di Dio con la figura nella sua prima epistola 1Pietro 1:23-28. Altre descrizioni della sua divina efficacia nel convertire le anime si posson trovare: Salmi 19:7-11; Ebrei 4:12. Ma "la Parola di Dio" o il Verbo è uno dei titoli particolari del Figliuolo di Dio, cosicché il "seminare la parola" può anche considerarsi equivalente al predicare Cristo qual Figliuolo eterno di Dio, "fatto di donna, sottoposto alla legge, affinché riscatta coloro ch'eran sotto la legge, acciocché noi ricevessimo l'adottazione" Galati 4:4-5. Paolo dichiara esser questo l'unica semente ch'egli volea seminare 1Corinzi 2:2; e in proporzione che i ministri del vangelo han sentita nei loro cuori la potenza dell'amore di Cristo, si sforzeranno di seguire l'esempio di Paolo, lasciando da parte sul pulpito la filosofia, la scienza e la politica. Siccome il seminatore e il seme sono gli stessi in tutti i casi che nostro Signore si fa a descrivere, mentre invece i risultati sono interamente diversi, ne segue che la diversità dev'essere nella qualità diversa dei terreni che rappresentano differenti stati del cuore umano. L'insegnamento generale di questa parabola si è che per quanto zelante possa essere il predicatore, e per quanto pura e penetrante la sua dottrina, l'effetto prodotto da essa, dipende dallo stato del cuore di chi ascolta.

PASSI PARALLELI

Marco 4:3; Isaia 32:20; Matteo 13:19,37; Luca 8:11

Marco 2:2; Colossesi 1:5-6; 1Pietro 1:23-25

15 15. Or questi son coloro che ricevono la semenza lungo la strada, cioè, coloro ne' quali la parola è seminata e, dopo che l'hanno udita, subito viene Satana, e toglie via la parola seminata ne' loro cuori.

Matteo: "Quando alcuno ode la parola del regno e non l'intende, il maligno viene e rapisce ciò che era stato seminato nel cuor di esso". Molto calzante è l'analogia tra la via dura, liscia, compatta ed il cuor carnale dell'uomo, reso insensibile e mondano dalla prosperità. Un tal cuore è come una pubblica via. Una congerie di affari mondani lo calca e lo indurisce sempre più di giorno in giorno e di anno in anno, e la parola della predicazione non trova modo di penetrare in esso. La parola non è intesa, né apprezzata, perché il cuor carnale non ha per anco scoperto in sé alcuno dei bisogni che quella parola è atta a soddisfare, e mentre ella giace di fuori negletta e disprezzata, Satana, che ben ne conosce la potenza sol che sia accolta dentro Ebrei 4:12, la toglie via, sostituendole una qualche lusinga o cura terrena, ovvero eccitando una qualche passione terrestre, che presto ne cancella perfino la ricordanza. In questo, Satana ben dà a divedere il carattere suo "di leone ruggente che va attorno cercando chi egli possa divorare" 1Pietro 5:8. Se si vuole un contrasto a questo cuore duro, mondano e pago di sé, che non vuol nemmeno lasciar entrare la parola di Dio, si notino i sentimenti di Davide: "Io ho riposta la tua parola nel mio cuore, acciocché io non pecchi contro a te" Salmi 119:11. La gran verità insegnata dal seme che cade "lungo la via" è questa, che i cuori duri e non contriti non sono terreno adatto per la verità salvatrice.

PASSI PARALLELI

Marco 4:4; Genesi 19:14; Isaia 53:1; Matteo 22:5; Luca 8:12; 14:18-19

Atti 17:18-20,32; 18:14-17; 25:19-20; 26:31-32; Ebrei 2:1; 12:16

Giobbe 1:6-12; Zaccaria 3:1; Matteo 13:19; Atti 5:3; 2Corinzi 2:11; 4:3-4

2Tessalonicesi 2:9; 1Pietro 5:8; Apocalisse 12:9; 20:2-3,7,10

16 16. E simigliantemente questi son coloro che ricevono la semenza in luoghi pietrosi, cioè, coloro i quali, quando hanno udita la parola prestamente la ricevono con allegrezza; 17. Ma non hanno in se radice, anzi son di corta durata; e poi, avvenendo tribolazione, e persecuzione, per la parola, subito sono scandalizzati.

C'è da fare una gran differenza tra i primi uditori e questi (sebbene entrambi possano, per avventura, perire nella stessa dannazione); imperocché laddove la parola di Dio non trovò giammai verun accesso nei cuori di quelli, fu ricevuta invece da questi uditori, paragonati ai luoghi pietrosi, in sul primo, per la sua novità e freschezza, con molto interessamento e avidità, e secondo tutte le apparenze diede belle speranze che vi farebbe costante dimora. In questo gruppo possono classificarsi quei giovani i cui teneri cuori ricevono generalmente con piacere ed avidità l'istruzione nello cose divine, data loro dai genitori, dai maestri e dai pastori. Per qualche tempo, quel buon seme produce in essi un'impressione seria e benefica, ma questo stato di cose, purtroppo non dura lungamente. Quando il cuore è caldo e sotto l'impero di eccitamenti recenti, il seme spirituale vi cresce rapidamente. Sotto l'influenza della educazione religiosa che si dà nei paesi protestanti e della pietà che ivi regna, in generale, nelle famiglie, molti giovani sembrano darsi a Cristo, ma è solamente per un tempo, poi lo abbandonano. Lo stesso si verificherà anche in Italia, quando l'Italia si troverà in circostanze analoghe. In tal caso non ci era stato vera conversione, come ce ne fa accorti il risultato, ma nemmeno conscia ipocrisia ed inganno. Essi si eran dati a Cristo sinceramente ma non per intero; un po' del ridicolo del mondo bastò, troppo spesso, a fare la loro "pietà simile ad una nuvola mattutina e alla rugiada, la quale viene la mattina e poi se ne va via" Osea 6:4. In questo gruppo s'hanno pure a classificare quelle persone di caldo sentire e d'indole impetuosa che agiscono prima di riflettere, che prima edificano la torre, e poi fanno il calcolo della spesa Luca 14:28. La buona novella del vangelo udita per la prima volta, fors'anche in circostanze particolari, produce in loro una così viva impressione che per qualche tempo ne son rapiti fuor di sé, né possono pur pensare ad altro o parlar d'altra, cosa. Ma dopo che è passata la novità, o che essi sono stati bersagliati dal ridicolo o dalle persecuzioni del mondo, "a motivo delle loro idee religiose strane ed intolleranti", il loro zelo si raffredda; la loro religione la stimano eccellente, ma non credono che vale la pena di soffrire per essa e si schierano dalla parte del mondo. In questi versetti la parola "radice" indica il rinnovamento del cuore, il "nascer di nuovo". La gran colpa di tutti quegli uditori che vengono paragonati e luoghi pietrosi è "che non hanno in sé radice" per conseguenza non sono in grado di resistere per amor di Cristo, all'ardore della prova, sia che ella venga sotto forma di ridicolo, di persecuzioni in famiglia, di perdita di beni o di morte ignominiosa. La gran verità insegnata in questa parte della parabola si è che i cuori impressionati superficialmente sono disposti a ricevere la verità con prontezza ed anche con gioia; ma, giunte le prove cui la novella lor professione non manca di sottoporli, bentosto è esausto il loro amore della verità, e avvizziscono tutte la premature speranze di buoni frutti che avean fatto concepire di sé. Dicano i fedeli ministri del vangelo, alla cui parola è stato accordato di produrre risvegli spirituali, quanto spesso vengono deluse tali speranze!

PASSI PARALLELI

Marco 6:20; 10:17-22; Ezechiele 33:31-32; Matteo 8:19-20; 13:20-21; Luca 8:13

Giovanni 5:35; Atti 8:13,18-21; 24:25-26; 26:28

Marco 4:5-6; Giobbe 19:28; 27:8-10; Matteo 12:31; Luca 12:10; Giovanni 8:31; 15:2-7

2Timoteo 1:15; 2:17-18; 4:10; 1Giovanni 2:19

Matteo 11:6; 13:21; 24:9-10; 1Corinzi 10:12-13; Galati 6:12; 1Tessalonicesi 3:3-5; 2Timoteo 4:16

Ebrei 10:29; Apocalisse 2:10,13

18 18. E questi son coloro che ricevono la semenza fra le spine, cioè, coloro che odono la parola; 19. Ma le sollecitudini di questo secolo, e l'inganno delle ricchezze, e le cupidità dell'altro cose (Luca: "e dei piaceri di questa vita"), entrate, affogano la parola onde diviene infruttuosa.

La terza classe di uditori descritta in questi versetti è la classe di coloro che sono affatto mondani. Confrontata colle due antecedenti c'è in questa un progresso che rende tanto più notevole e doloroso il mal, esito finale. La parola del vangelo non solamente trova accesso nel cuore, ma per qualche tempo vi è tenuta in grande amore ed onoranza, nel mentre produce un effetto così evidente sulla vita, che, a giudicare e soltanto dalle apparenze esteriori, si direbbe che la nuova, nascita avesse veramente avuto luogo. Ma a poco a poco gl'interessi terrestri, non essendo trattenuti nei loro limiti legittimi, invadono senza ostacolo il cuore e lo riempiono al punto di soffocarvi la vita spirituale, quantunque le abitudini religiose continuino ad essere ritenute come scheletri senza vita. Nostro Signore ci mostra, nella sua interpretazione, che il pericolo indicato dal terreno spinoso è quello a cui sono esposti sì i ricchi che i poveri, poiché le influenze mondane ch'egli specifica sono quelle che operano più segnatamente su entrambe quelle classi del genere umano. "Le sollecitudini di questo secolo" divengono insidie per coloro che hanno poco, e "l'inganno delle ricchezze" per quelli che hanno molto. Le parole le sollecitudini richiederebbero un vocabolo più forte nella traduzione. Tale infatti è quella data in Matteo 6:34, al verbo solleciti con ansietà, poiché una certa sollecitudine intorno alle cose della vita presente è lecita insieme e conveniente; proibita è soltanto l'ansietà eccessiva, peccaminosa che distrae i nostri pensieri da Dio, e che rende la povertà ancor più amara che per sé non sia. Tali cure edaci, tali ansietà peccaminose si presentano ai poveri sotto sembiante di provvedere per la famiglia, pel vestito, per la pigione, per la malattia e per soddisfare all'inesorabile creditore che minaccia di sequestrare quante essi posseggono e gettarli sul lastrico; e vi è gran pericolo che quest'ansietà, crescendo del continuo e del continuo tribolando lo spirito, soffochino alfine il seme della grazia nel cuore. D'altra parte le spine che minacciano d'affogare i ricchi, e contro le quali questi hanno bisogno di stare in guardia e di pregare, nascono dalle loro ricchezze medesime. Possono essere i piaceri ed il lusso che l'opulenza conduce con sé, ovvero l'indolenza che ne proviene, la quale seduce l'anima; o può esser ancora l'amore stesso delle ricchezze la brama fatale di accumularne, che estingue tutti gli affetti del cuore, quell'avarizia che è idolatria!" Colossesi. 3:5, e che per conseguenza usurpa perfino il luogo di Dio nell'anima. Sono qui indicate le due grandi forme dello spirito mondano, cioè le cure e le cupidità il timore del bisogno, e la libidine dell'acquistare e del possedere. Questa ultima libidine può estendersi a molte altre cose o oltre le ricchezze; quali sarebbero la smodata sete di rinomanza militare e politica, di riputazione in dottrina, in filosofia, nelle arti e nelle scienze, le quali cose tutte ci son poste dinanzi nelle parole "le cupidità delle altre cose". Queste cose son tutte eccellenti in sé stesse, e meritano che vi si attenda con diligenza; ma, se non ci badiamo, c'è il pericolo, che allettino l'anima e l'assorbano al punto da affogare, a guisa di spine, ogni vita spirituale. Corron rischio di essere fatte in tal modo schiavo del mondo, non solo le nature callose e sterili, ma bene spesso anche quelle che son ricche, profonde e forti. Questo affogamento consiste nell'essere l'attenzione, gli affetti, il tempo di un uomo talmente assorbiti dalle cose del mondo, che più non ne restano per le cose spirituali se non alcuni miseri avanzi; dimodoché la religione di quell'uomo si riduce finalmente tutta quanta ad un formalismo senza cuore. Luca dice (letteralmente): non portano a perfezione o maturanza, indicando con ciò quanto crescimento ci può essere nei primi stadii, e quanta speranza di frutti che poi non maturano.

PASSI PARALLELI

Marco 4:7; Geremia 4:3; Matteo 13:22; Luca 8:14

Luca 10:41; 12:17-21,29-30; 14:18-20; 21:34; Filippesi 4:6; 2Timoteo 4:10

Proverbi 23:5; Ecclesiaste 4:8; 5:10-16; 1Timoteo 6:9-10,17

1Pietro 4:2-3; 1Giovanni 2:15-17

Isaia 5:2,4; Matteo 3:10; Giovanni 15:2; Ebrei 6:7-8; 2Pietro 1:8; Giudici 1:12

20 20. ma questi son coloro che han ricevuta la semenza in buona terra, cioè, coloro i quali odono la parola, e la ricevono, e portan frutto, I'un trenta, e l'altra sessanta e l'altro cento.

Luca: "i quali, avendo udito la parola, la ritengono in un cuore buono ed onesto, e fruttano con sofferenza". Non entra nello scopo di questa parabola lo spiegare come il terreno da ammollito e mantenuto sgombro dalle spine, dobbiamo cercare in altri passi della Scrittura da dove derivi la sua bontà. Certamente, il cuor buono ed onesto tale non era per natura. "L'uomo animale", dice Paolo, "non comprende le cose dello Spirito di Dio, percciocché gli sono pazzia, e non le può conoscere" 1Corinzi 2:14. La disposizione a riceverlo viene da Dio. La classe qui rappresentata non è dunque di persone che fossero naturalmente buone, amabili o pure; ma che furono rese tali dalla potenza della grazia divina che sola vivifica, purifica e rende il cuore capace di far buoni frutti. È istruttivo il notare le varie espressioni usate dagli Evangelisti per denotare l'accoglimento e il progresso della parola divina in questa classe di persone. Secondo Matteo gli è l'udire e intendere, che costituiscono il vero ricevimento della parola. Secondo Marco è il riceverla, nelle profondità della nostra vita. Secondo Luca gli è il ritenerla, il che implica che la volontà attiva in difesa di questo divino principio di vita, e per l'espulsione di tutte le influenze estranee. Egli aggiunge anche con pazienza, cioè continuamente e con perseveranza durante il corso di una vita tutta spesa nell'adempire il dovere, ed anche quando arrivano gli scoraggiamenti e prove. Tutti i veri Cristiani non producono frutto egualmente, come tutti i buoni semi non rendono eguale prodotto. Parte per le differenze nei doni naturali e nella prima educazione; parte pei diversi gradi di chiarezza con cui scorgono la verità; più di tutto poi, pei diversi gradi di energia con cui gli uomini cercano ed ottengono quel "dimorare in Cristo" Giovanni 15:4-8, che è la grande, l'indispensabile condizione per portare buoni frutti, i diversi Cristiani rendono frutti ben diversi in quantità sotto la medesima coltura. Non è tuttavia la quantità, ma la qualità dei frutti che determina se abbiano ad essere raccolti nel granaio del coltivatore, ovvero gettati nel forno.

PASSI PARALLELI

Marco 4:8; Matteo 13:23; Luca 8:15; Giovanni 15:4-5; Romani 7:4; Galati 5:22-23; Filippesi 1:11

Colossesi 1:10; 1Tessalonicesi 4:1; 2Pietro 1:8

Genesi 26:12

RIFLESSIONI

1. Felice, il governatore romano Atti 23, è un esempio della prima classe di uditori descritti. In questa parabola, il suo cuore, oppresso dalle cure degli affari e dai piaceri peccaminosi, che lo calcavano a vicenda, non presentava adito alcuno al vangelo; per cui Paolo, avendo a far con lui, applicò alla sua coscienza cauterizzata, "lo spavento del Signore" 2Corinzi 5:11, nella speranza di svegliarla e così preparar la via al ricevimento della verità. Ma l'impressione non fu che momentanea. Il terreno del suo cuore era come di ferro e non cedette nemmeno ai colpi di un Apostolo. Il giovane e ricco reggitore Luca 18:18 ci offre un esempio degli uditori assomigliati ai luoghi pietrosi. Egli se ne venne a Gesù pieno di entusiasmo religioso professandosi pronto a far tutto quello che Cristo gli avrebbe comandato; ma prima gli furon chiesti sacrifizi per amore del Signore, ci si ritrasse indietro. Tali eran pure alcuni di coloro che seguirono Cristo per qualche tempo e l'udivano con ammirazione ed allegrezza, ed anzi si professavano apertamente suoi, discepoli, finché la severità delle sue dottrine, che non ammettono transazione alcuna col peccato, o le privazioni o il biasimo che ebbero a sostenere, furon per loro come pietre d'inciampo, e "si trassero indietro e non andavan più attorno con lui" Giovanni 6:66. Dema è un triste esempio degli uditori assomigliati al terreno ingombro di spine. La parola pareva aver messe radici nel suo cuore; per qualche tempo egli fu perfino un missionario zelante, uno della eletta schiera dei collaboratori di Paolo, ma al fine si lasciò cattivare il cuore dal mondo, e fece naufragio della sua fede. Nell'ultima epistola scritta da Paolo, egli dice a Timoteo: "Dema mi ha lasciato, avendo amato il presente secolo" 2Timoteo 4:10. In Giuda il traditore abbiamo un esempio ancor più terribile di terreno spinoso. Di uditori rappresentati dal buon terreno ci sono molti begli esempi individuali nel Nuovo Testamento, come sarebbero Lidia e il carceriere a Filippi Atti 16: l4-15,30-34; Oniseforo 2Timoteo 1:16; Gaio Romani 16:28; ed altri, per non dir nulla di quelli che furono collaboratori degli Apostoli nel ministerio evangelico.

2. Ci sono nella storia della Chiesa di Cristo dei periodi segnati dallo sviluppo dell'una o dell'altra di queste classi di caratteri. Vi hanno dei periodi di tal morte spirituale nella Chiesa che, eccetto pochi tratti verdi, il terreno sembra corrispondere dovunque alla descrizione della via battuta e dura. Vi hanno periodi d'intenso eccitamento religioso, in cui il cuore del seminatore è rallegrato alla vista di moltitudini che si convertono dal mondo a Cristo, con apparente sincerità; ma nel più dei casi, come nei luoghi pietrosi, non ci sono risultati permanenti. Vi sono periodi d'ortodossia rigorosa in cui si fa gran professione di religione e di morale, ma in cui l'attività, incessantemente rivolta ai mondani interessi, ed alle agiatezze carnali, procurate dalle ricchezze, lascian languire l'anima senza cibo e dànno alla Chiesa l'aspetto di un terreno coperto di spine. I periodi corrispondenti al buon terreno furon finora ben pochi e parziali assai ma quando "i tempi del refrigerio saran venuti dalla presenza del Signore" Atti 3:19, e sarà incominciato il millennio, la Chiesa universale di Cristo presenterà il lieto spettacolo del buon terreno, i suoi membri, portando frutto alla gloria del loro Maestro, qual trenta, qual sessanta e qual cento.

3. Tra le molte applicazioni, collaterali di cui è suscettibile questa parabola, una delle più interessanti ed istruttive è questa, che ogni uomo ha dentro di se gli elementi di tutto e quattro le sorte di terreno in essa descritte. La parola di Dio trova dapprincipio tutti gli uomini inetti a riceverla; noi ce ne andiamo dopo averla udita, senza sperimentarne la potenza, i nostri cuori rimangono duri e non convertiti. Poscia la parola comincia a produrre il suo effetto sopra di noi, ci risvegliamo e in quei giorni di primo amore, la parola del Signore accende di Santo zelo i nostri cuori. Ma tosto incominciano i combattimenti all'interno e al di fuori, e la fiamma si spegne. La vita della fede s'indeboliva noi ci facciamo languidi nel vegliare e nel pregare; di nuovo si sveglia in noi l'amore del mondo e de' suoi piaceri seduttori, e prima ancora di avvedercene, già ci sforziamo di servire, ad un tempo, Iddio e il mondo. Allora scoppia la guerra tra la carne e lo Spirito, né più abbiamo riposo finché non rinunciamo al mondo e dedichiamo interamente a Dio solo il nostro cuore e la nostra vita.

26 Marco 4:26-29. PARABOLA DELLA SEMENZA CHE CRESCE NELLA MANIERA CHE L'UOMO NON SA

26. Oltre a ciò disse: Il regno di Dio è come se un uomo avesse gittata la semenza in terra;

Questa è l'unica parabola ricordata esclusivamente da Marco. Nella parabola precedente, la parola "seminatore" indica Gesù non meno che i suoi Apostoli, i pastori e dottori in ogni età; ma non è questo il caso nella presente parabola, poiché la descrizione dell'uomo di cui ci è parlato al versetto 27 non è, per verun modo, applicabile a Cristo. Le cose che a noi son nascoste nell'accrescimento, al naturale che spirituale, sono aperte a lui. Di lui è detto espressamente che "egli Stesso conosceva quello che era nell'uomo" Giovanni 2:25. La germinazione e il crescimento della vegetazione senza l'intervento, anzi all'insaputa, del seminatore, rappresentano un'impotenza ed un'ignoranza così definita e completa che noi non possiamo, senza trasgredire ogni regola di giusta interpretazione, applicarle all'onnisciente ed onnipotente Redentore. Il seminatore adunque deve necessariamente rappresentare, in questa parabola, "i vasi di terra" a cui fu confidato il ministero dell'evangelo, gli agenti umani di cui si serve Cristo per pubblicarlo.

PASSI PARALLELI

Matteo 3:2; 4:17; 13:11,31,33; Luca 13:18

Marco 4:3-4,14-20; Proverbi 11:18; Ecclesiaste 11:4,6; Isaia 28:24-26; 32:20; Matteo 13:3,24

Luca 8:5,11; Giovanni 4:36-38; 12:24; 1Corinzi 3:6-9; Giacomo 3:18; 1Pietro 1:23-25

27 27. E dormisse, e si levasse di giorno, e di notte;

Il dormire qui non indica infingardaggine o negligenza, ma semplicemente, come nella parabola delle zizzanie Matteo 13:25, l'attendere alle ordinarie faccende della vita, nella quale si alternano il sonno ed il lavoro.

e intanto la semenza germogliasse e crescesse nella maniera ch'egli non sa.

Questa parabola, come quella del lievito, c'insegna che la grazia divina cresce tacita ed inosservata ma efficace nel cuore, finché ne apparisce il frutto nella conversione.

PASSI PARALLELI

Ecclesiaste 8:17; 11:5 Giovanni 3:7-8; 1Corinzi 15:37-38; 2Tessalonicesi 1:3; 2Pietro 3:18

28 28. Conciossiaché la terra da se stessa produca prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga.

L'agricoltore dopo che ha preparato il terreno e vi ha gettata la semente, non può far altro; il farla germogliare non è punto in suo potere. Molto può fare ancora, innaffiando o prosciugando la terra, estirpandone le male erbe e ammucchiando, fuori del campo, i sassi, onde togliere ostacoli al suo crescere ma l'immischiarsi nel processo di vivificazione e germinazione per cui passa "Il granello ignudo" 1Corinzi 15:37, prima che spunti lo stelo, è tal cosa che oltrepassa del tutto il suo potere. Tale processo segreto nostro Signore ce lo descrive in parte in Giovanni 12:24; e Paolo, nella 1Corinzi 15:36-37. Che cosa sia la condizione fecondatrice prodotta dall'umore assorbito, dal calorico e dai varii altri ingredienti chimici del suolo, e come ella operi sulla semente per farla crescere, son cose che l'agricoltore ignora interamente. Ben va ripensando al seme sparso e forma liete speranze per la stagione della mietitura, e se è un vero cristiano, non cessa di pregare il Signore del cielo e della terra che solo può "farla crescere" 1Corinzi 3:6. Quando ha fatto questo, deve attendere ad altre occupazioni, e mentre queste reclamano le sue cure e le sue fatiche, la terra benefica dà accrescimento alla messe nell'ordine da Dio stabilito, "prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga". Vi è un'esatta e notevole somiglianza tra il crescere del seme spirituale nel cuore e quello del granello di frumento nella terra. Il cuor dell'uomo è il suolo, e con tale similitudine nostro Signore rappresenta l'estensione e i limiti dell'opera istrumentale dell'uomo nel progresso del suo regno. I genitori fanno conoscere il vangelo nelle loro famiglie, i ministri nelle loro congregazioni, e gl'insegnanti nelle loro scuole; ma questi seminatori perdono di vista la semenza appena è caduta nel terreno: essi dormono di notte e attendono di giorno ad altre faccende. Simili agli agricoltori che hanno affidata la lor semenza alla terra, essi non possono scorgere l'impressione che il vangelo fa sul cuore dei loro simili, e quand'anche ne conoscessero la vera condizione nel cuore, non ne possono accelerare la crescenza. Giovanni 1:13 descrive la nuova nascita come affatto indipendente dalla volontà dell'uomo o dai calcoli umani. "Figliuoli di Dio, i quali, non di sangue, né di volontà di carne, né di volontà d'uomo, ma son nati di Dio". E Gesù stesso descrive a Nicodemo l'opera invisibile dello Spirito nel cuore dell'uomo, paragonandola al vento. "Il vento soffia ove egli vuole, e tu odi il suo suono, ma non sai onde egli viene, né ove egli va; così è chiunque è nato dello Spirito" Giovanni 3:8.

PASSI PARALLELI

Genesi 1:11-12; 2:4-5,9; 4:11-12; Isaia 61:11

Marco 4:31-32; Salmi 1:3; 92:13-14; Proverbi 4:18; Ecclesiaste 3:1,11; Osea 6:3; Filippesi 1:6,9-11

Colossesi 1:10; 1Tessalonicesi 3:12-13

Matteo 13:26

29 29. E, quando il frutto è maturo (si esibisce o si offre), colui subito vi mette la falce, perciocché la mietitura è venuta.

Un linguaggio somigliante intorno alla "falce" e alla "mietitura" è adoperato altrove, come per esempio nella parabola delle zizzanie Matteo 13:39, per denotare il giudizio finale; e partendo dalla supposizione che abbia anche qui lo stesso significato, alcuni commentatori, nell'impossibilità d'identificare il seminatore umano e il mietitore dell'ultimo giudizio, hanno identificato il seminatore e Cristo, ma erroneamente, come fu dimostrato più sopra. C'è una mietitura spirituale di cui è dato rallegrarsi ai seminatori anche in questo mondo; e è una raccolta di frutti preziosi, alla gloria del Redentore e a benefizio dei nostri simili, nella Chiesa di Cristo, ogni anno nella conversione delle anime, e nell'influenza e nello zelo dei convertiti per la causa di Cristo, e questa è la mietitura a cui Cristo fa quì allusione. Sonvi molti passi biblici in cui è usata l'immagine della mietitura, per rappresentare quel buon successo nel guadagnare anime all'obbedienza di Cristo, di cui è dato ai ministri della parola di rallegrarsi (vedi l'immagine della mietitura usata in quel senso in Salmi 126:6; Matteo 9:37-38; Giovanni 4:35-36). La gran lezione insegnataci dalla parabola è questa, che la sfera dell'uomo nella conversione, non oltrepassa il seminare la parola di Dio nel cuore dei suoi simili, e che il vivificarvela appartiene a Dio; ma che appena si fa manifesta la vera conversione pei frutti di santità nella vita, i seminatori, ovvero coloro che succedettero ad essi, si fanno avanti di nuovo, a raccogliere il frutto delle loro fatiche, nella fede, nell'amore e nello zelo di quelli che, per la loro istrumentalità, sono nati da Dio.

PASSI PARALLELI

Giobbe 5:26; 2Timoteo 4:7-8

Isaia 57:1-2; Gioele 3:13; Matteo 13:30,40-43; Apocalisse 14:13-17

RIFLESSIONI

1. Quantunque i genitori, i pastori o gl'insegnanti non possano far crescere la semenza divina nel cuore in cui l'hanno deposta, pesa tuttavia su di essi una grave responsabilità, se dopo avervela così deposta con ogni debita premura e solennità, la lasciano poscia inondare da un diluvio di follia, da cui avrebbero potuto facilmente preservarla. La buona semente si sommerge in quel diluvio, ma il seminatore ne ha la colpa, poiché potrebbe spendere ancora molta fatica e innalzare molte preghiere a pro della semente divina che egli semina, sebbene non può accertarne direttamente la cresciuta. Quando cresce, cresce indipendentemente da esso: ma ove venisse a morire, ciò potrebbe esser dovuto in parte alla sua trascuranza.

2. La cosa umiliante senza dubbio pei ministri e per coloro che insegnano ad altri, che i più grandi talenti, la predicazione più potente, e l'opera più assidua e meglio diretta non valgano ad assicurare il successo ed a costringer gli uomini a venire a Dio. Ma è nel tempo stesso una verità che somministra un ammirabile antidoto contro l'ansietà eccessiva e lo scoraggiamento. La nostra principale incombenza è di spargere il seme; ciò fatto, possiamo aspettar con fede e pazienza il risultato. Possiam dormire e levarci di notte e di giorno, e lasciare al Signore il successo dell'opera nostra. Egli solo può darlo e lo darà se così gli piace.

3. La spiga matura di grano non apparisce tosto che la semenza si schiude alla vita. La pianta passa per molti stadii prima di arrivare alla sua perfezione: "prima erba, poi spiga, poi grano compiuto nella spiga". Ma in tutti questi stadii una cosa è vera anche della pianta più debole, che cioè è viva. In simil guisa l'opera della grazia progredisce nel cuore gradatamente. I figliuoli di Dio non nascono perfetti nella fede, nella speranza, nella scienza, o nella esperienza. Il loro principio è generalmente un "giorno di piccolo cose". Essi veggono soltanto "in parte" la loro condizione di peccatori, e la pienezza, bellezza e santità di Cristo. Pur nondimeno, il più debole fanciullo nella famiglia di Cristo è un vero figliuolo di Dio, e ad onta le sue debolezze ed infermità, egli vive. La semenza della grazia ha germogliato realmente nel suo cuore, quantunque non sia ancora che un filo d'erba, ed egli è risorto dai morti!

4. Non disprezziamo la grazia perché è debole, né pensiamo che altri non sia convertito perché non è ancor forte nella fede al pari di un Paolo. Ricordiamoci che la fede, come ogni altra cosa, deve avere un principio. La quercia più robusta cominciò coll'essere una ghianda; l'uomo più forte fu già un bambinello. Meglio mille volte aver la grazia nel filo d'erba, che non averla del tutto.

30 Marco 4:30-34. PARABOLA DEL GRANEL DI SENAPE Matteo 13:31-32; Luca 13:18-19

Per l'esposizione vedi Matteo 13:31-32.

35 Marco 4:35-41. GESÙ TRAVERSANDO IL LAGO DI GALILEA ACCHETA MIRACOLOSAMENTE UNA TEMPESTA Matteo 8:23-27; Luca 8:22-25

35. Or in quell'istesso giorno, fattesi sera,

Il tempo in cui avvenne il miracolo è precisato con ogni accuratezza dal nostro Evangelista. Fu nella sera di quello stesso giorno in cui nostro Signore rivolse alla moltitudine, sul lido, la serie di parabole che incomincia con quella del seminatore.

disse loro: Passiamo all'altra riva.

Quest'era era, probabilmente l'unica maniera efficace di licenziare la moltitudine, ma anche sull'altra riva l'aspettava l'opera in cui prendea compiacimento l'anima sua.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:23; Luca 8:22

Marco 5:21; 6:45; 8:13; Matteo 8:18; 14:22; Giovanni 6:1,17,25

36 36. E i discepoli, licenziata la moltitudine,

Sebbene nel testo greco non s'incontrino le parole i discepoli, il participio presente plurale (avendo licenziata) si riferisce chiaramente ad essi.

le raccolsero,

piuttosto qui menare, condurre,

così come egli era, nella navicella. Or vi erano dell'altre navicelle con lui.

(Vedi nota Marco 3:9, perché molto giova a delucidare questo versetto). È importante aver presente la differenza tra ploion, navicella e ploiarion, barchetta. Lunghesso la riva occidentale e settentrionale del lago di Tiberiade, l'acqua è così bassa che una barca della grandezza di una paranzella (com'erano probabilmente quelle dei figliuoli di Zebedeo e dei figliuoli di Giona) non poteva, nella maggior parte dei luoghi, accostarsi alla riva entro lo spazio di un centinaio di metri. La comunicazione con queste navicelle dal lido, facevasi a guado o a nuoto o per mezzo di battelli più piccoli. Si esamini attentamente l'ultima pescagione che sia ricordata degli Apostoli Giovanni 21:3,6,8, e si avrà una piena conferma di questo fatto. La pesca si fece nel ploion; ma quando i discepoli vollero trarre alla riva la rete piena colma di pesci, dovettero passare sopra un ploiarion dal quale la rimorchiare. Basta un'occhiata al primo vers. di questo capitolo per vedere che nostro Signore, onde sottrarsi alla ressa della moltitudine sul lido, entrò in un ploiarion, onde ammaestrare le turbe da esso, e il senso di questo, versetto è semplicemente che dopo finito il suo discorso Gesù non approdò al lido, ma fu trasportato dai discepoli nella barchetta sino alla navicella, nella quale traversò il lago. L'ultima clausola del versetto fa intendere che molti eran venuti da altre parti del lido, per assistere a quella riunione, in simili barchette, alcune delle quali pericolavano, per la tempesta, assai più della navicella in cui si trovavano Cristo ed i suoi discepoli.

PASSI PARALLELI

Marco 4:1; 3:9

37 37. E un gran turbo di vento si levò,

Il lago di Galilea, sebbene fosse tranquillo e calmo come un mare di cristallo quando chi scrive rizzò la sua tenda sulle sue rive, va soggetto a turbini di vento o bufere improvvise che si precipitano dai burroni delle montagne all'oriente di esso e talvolta imperversano in fieri uragani per intere giornate. "Per intender le cagioni", dice Thomson, "di queste improvvise e fiere tempeste, dobbiam ricordarci che quel lago è 600 piedi più basso del livello del mare; che i vasti e nudi altipiani del Giordano s'ergono a grande altezza, stendendosi all'indietro fino ai deserti dell'Hauran e all'insù fino alle nevose vette dell'Hermon; che i corsi d'acqua vi hanno scavati profondi burroni ed ampie gole convergenti verso la testa di questo lago, e che queste, a guisa di giganteschi imbuti, attirano già i venti freddi dalle montagne". Arroge che questi venti non sono soltanto impetuosi, ma vengon giù all'improvviso, spesse volte quando il cielo è perfettamente sereno.

e cacciava l'onde dentro alla navicella, talché quella già si empieva.

Prova questa che anche quelle navicelle eran senza ponte. Le ondate erano così alte che, secondo Matteo, "la navicella era coperta", a misura che ciascuna successiva ondata irrompeva su di essa, sicché l'acqua che lasciava a bordo, doveva presto cominciare ad empirla.

PASSI PARALLELI

Matteo 8:23,24; Luca 8:22-23

Giobbe 1:12,19; Salmi 107:23-31; Giona 1:4; Atti 27:14-20,41; 2Corinzi 11:25

38 38. Or egli era nella poppa, dormendo sopra un guanciale

Alford cita delle autorità classiche per provare che la parola era usata per denotare i cuscini su cui sedevano i rematori e il pilota, e la spiega qui come il sedile a poppa, usato da nostro Signore qual cuscino. Una tale posizione sarebbe eccessivamente incomoda e niente naturale, sicché è più probabile che il guanciale consistesse in un cuscino, in un cerchio di fune o in una vela ripiegata, in fondo alla barca. Stanco dal continuo parlare che avea fatto nella giornata, Gesù dormiva così profondamente, che non lo destò la burrasca. La sua natura umana si stava rinfrancando col sonno, come quella degli altri uomini, mentre la sua divinità (come dice Calvino) vegliava. Quest'incidente pone in evidenza quanto veramente Cristo partecipasse alla nostra natura umana, anche nelle sue infermità, escluso sempre il peccato, e come perciò sia capace di simpatizzare con noi in tutto le nostre debolezze e prove. Isaia 53:4 dice di lui: "Egli ha portati i nostri languori". Paolo dice Ebrei 2:14: "Poi dunque che i fanciulli parteciparon la carne ed il sangue, egli simigliantemente ha partecipato le medesime cose". Egli è veramente il Salvatore di cui hanno bisogno uomini e donne stanchi, travagliati, oppressi dalle cure; "un Salvatore che sa prender parte al loro dolore". "Non abbiamo un sommo Sacerdote che non possa compatire alle nostre infermità; anzi, che è stato tentato in ogni cosa simigliantemente, senza peccato" Ebrei 4:15.

Ed essi lo destarono, e gli dissero: Maestro, non ti curi che noi periamo?

Quando uomini avvezzi fin da fanciulli a navigare ed a lottar colle onde su quel lago, parlavano in tal guisa, il pericolo dovea esser grande davvero. È evidente che il ricorso a Cristo perché s'interponesse e li salvasse, fu fatto da parecchi fra i dodici, nello stesso momento, ciascuno esprimendolo nel proprio linguaggio il che spiega perfettamente la diversità di forma che incontriamo nei sinottici. La forma interrogativa del ricorso, in questo versetto, sembra denotare indignazione e rimprovero per la mancanza di cuore del loro Maestro, e per la indifferenza colla quale dormiva mentre essi erano esposti a imminente rovina. Si crede generalmente che Marco dovesse a Pietro la notizia dei fatti relativi al ministero pubblico di Gesù, i quali fatti egli ha esposti nel suo Vangelo sotto la guida dell'ispirazione divina. Può darsi adunque che in questo versetto ci sia riferita la domanda fatta dallo stesso Pietro; ma infatti ben corrispondo a quell'impeto irriflessivo che era il tratto più saliente del suo carattere. Il ricorso secondo Matteo è: "Signore salvaci, noi periamo"; secondo Luca: "Maestro, Maestro noi periamo". Temono essi che il Maestro sia esposto egli pure al pericolo che loro sovrasta di naufragare? Parrebbe di no. Se eran dunque convinti ch'ei non teme perire, potevan credere che volesse lasciarli andar sommersi? No, certamente! ma è probabile, che il timor della morte prevale siffattamente sulla loro fede e sulla loro riflessione, che più non sapessero quel che si dicessero.

PASSI PARALLELI

Giovanni 4:6; Ebrei 2:17; 4:15

1Re 18:27-29; Giobbe 8:5-6; Salmi 44:23-24; Isaia 51:9-10; Matteo 8:25; Luca 8:24

Salmi 10:1-2; 22:1-2; 77:7-10; Isaia 40:27-28; 49:14-16; 54:6-8; 63:15

Isaia 64:12; Lamentazione 3:8; 1Pietro 5:7

39 39. Ed egli, destatosi, sgridò il vento, e disse al mare: Taci, e sta cheto.

sii infrenato, come s'infrenano gli animali pericolosi. Bengel ed altri scrittori argomentano, dal linguaggio usato qui, che la tempesta fosse sollevata da Satana o dai suoi demoni, ai quali questo rimbrotto sarebbe in realtà diretto. Sia questa o non sia la vera interpretazione di questa parola, non c'è alcun dubbio che come "l'iddio di questo secolo" 2Corinzi 4:4; "il principe di questo mondo" Giovanni 14:30 e "il principe della podestà dell'aria" Efesini 2:2, Satana ha una limitata podestà sugli elementi, e l'esercita nell'intendimento di recar danno, se gli venga fatto, ai servitori di Dio, e trarli in perdizione, Vedi la prima parte della storia di Giobbe Giobbe 1:16-19. Buon per noi che Dio lo doma come "con morso e con freno" Salmi 32:9, e gli dice: "Fin quì andrai e non più in lì". Quando erano operati dei miracoli dai Profeti o dagli Apostoli, essi li attribuivano alla potenza di Dio, ma Gesù profferisce il suo comando di sua propria autorità, e i venti e le onde riconoscono in lui il loro glorioso Creatore e immediatamente obbediscono. Questa potenza divina gli sarebbe stato agevole esercitarla senza profferire una parola; ma Gesù parlò al vento e alle onde, affinché i suoi discepoli potessero udire, e perché era questo il modo più naturale, più semplice e più maestoso di dimostrare il suo dominio sulle forze della natura. Si confronti Genesi 1:8; Matteo 21:19.

E il vento si acquetò

Parola amai espressiva per denotare stanchezza o riposo da fatica.

e si fece gran bonaccia.

In circostanze ordinarie, l'infuriar delle onde non si sarebbe calmato per qualche tempo ancora dopo cessato il vento, ma qui l'effetto su d'entrambi fu istantaneo, non lasciando alcun dubbio intorno al miracolo.

PASSI PARALLELI

Esodo 14:16,22,28-29; Giobbe 38:11; Salmi 29:10; 93:3-4; 104:7-9; 107:29

Salmi 148:8; Proverbi 8:29; Geremia 5:22

Marco 9:25; Nahum 1:4; Luca 4:39

Salmi 89:9; Lamentazione 3:31

40 40. Poi disse loro: Perché siete voi così timidi? come non avete voi fede?

Matteo: "Perché avete voi paura, voi di poca fede?" C'è un'apprensione naturale in tempo di pericolo, ma oltracciò c'era mancanza di fede nel loro timore. Fede l'avevano, poiché ricorsero a Cristo per esser soccorsi, ma era in grado piccolissimo, poiché avevano gran paura, sebbene Cristo fosse con loro nella navicella. Una piena fede in Cristo avrebbe indotto i discepoli a confidare interamente in lui, per quanto fosse grande il pericolo, laddove invece, nel loro allarme, dubitare della sua potenza. La fede scaccia il timore, nella proporzione appunto della sua forza. "Nel giorno ch'io temerò io mi confiderò in te" Salmi 51:4. Secondo Matteo e Marco, nostro Signore si rivolge ai discepoli prima di sgridare la tempesta, mentre, secondo loro si rivolge solamente a dopo. Paragonando tra loro i tre racconti, si è condotti a concludere (il che del resto è la supposizione più verosimile in tal caso), che nostro Signore chetasse gli animi dei suoi discepoli con quel breve rimprovero, prima di chetar la tempesta, e poscia facesse loro delle rimostranze sulla loro mancanza di, fede in lui.

PASSI PARALLELI

Salmi 46:1-3; Isaia 42:3; 43:2; Matteo 8:26; 14:31; Luca 8:25; Giovanni 6:19-20

Matteo 6:30; 16:8

41 41. Ed essi temettero di gran timore, e dicevamo gli uni agli altri: Chi è pur costui, cui il vento e il mare ubbidiscono?

Matteo: "E la gente maravigliò dicendo: Qual uomo è costui, che eziandio il mare ed i venti gli ubbidiscono?" Il timore risvegliatosi ora nei discepoli era di genere assai diverso da quello cagionato dalla tempesta; era quella impressione solenne e profonda della presenza di Dio, che sempre è risvegliata dall'esercizio manifesto di una potenza soprannaturale, perfino nei cuori dei più empi. Nel caso dei discepoli, era un timore simile a quello che provarono Manoa e sua moglie, quando il Signore Gesù apparve loro sotto la forma dell'"Angelo del patto" Giudici 13:20-25, ed anche a quella di Isaia quando Jehova Gesù gli si rivelò in visione, empiendo il tempio della sua gloria Isaia 6:5; Giovanni 12:41. Alcuni intendono l'esclamazione in questo versetto come se venisse dall'equipaggio (sebbene sia molto improbabile che questo constasse di altri che dei 12), ovvero dalla gente a bordo delle barchette più piccole che vogavano di conserva con loro Marco 4:36. Quest'ultima supposizione non è niente affatto inverosimile ma, secondo Marco, è certo che questo fu pure il linguaggio degli Apostoli, e deve intendersi non già come se esprimesse alcuna ignoranza o alcun dubbio sul chi si fosse il loro Maestro, ma si come esprimente un vero stupore a questa nuova prova della sua potenza, che comandava ai venti e alle onde, come già l'avean visto comandare ai demoni e alle malattie. "Qual uomo è costui?" Come se dicessero: "Nel celebrar le lodi di Dio nel tempio e nella sinagoga la nostra nazione ha sempre cantato intorno a Jehova". "Tu signoreggi sopra l'altezza del mare, quando le sue onde s'innalzano, tu l'acqueti"; "Il Signore che è di sopra è più potente che il suono delle grandi acque, che le possenti onde del mare" Salmi 89:10; 93:4; ma ecco quì, in questa nostra barca c'è uno che, con il solo suo comando, ha fatto altrettanto. Questi dev'essere veramente Iddio nella nostra natura, quell'Emanuele predetto da Isaia 7:14. "L'applicazione simbolica di questo fatto", dice Alford, "è troppo evidente, perché ad alcuno passi inosservata. Il Salvatore coi suoi discepoli nella barca agitata dalle onde, è una riproduzione tipica dell'Arca che portava l'uman genere al tempo del diluvio, ed una prefigurazione della Chiesa agitata dalle tempeste di questo mondo, ma che ha sempre Gesù Cristo con sé. È l'applicazione personale è consolante e fortificante per la fede nel mezzo dei pericoli e dei dubbi. "

PASSI PARALLELI

Marco 5:33; 1Samuele 12:18-20,24; Salmi 89:7; Giona 1:9-10,15-16; Malachia 2:5

Ebrei 12:28; Apocalisse 15:4

Marco 7:37; Giobbe 38:11; Matteo 8:27; 14:32; Luca 4:36; 8:25

RIFLESSIONI

1. Questo miracolo mette fuor d'ogni dubbio la divinità di nostro Signore Gesù Cristo. Sta bene che si cerchino dei significati simbolici in passi come questo, purché però i predicatori o i commentatori vadano guardinghi nello esporli e non ne facciano l'insegnamento esclusivo od anche principale. La barca in mezzo ad un mare procelloso, piena dei discepoli, con Cristo in mezzo ad essi è una bella illustrazione dello stato della vera Chiesa di Cristo e d'ogni uomo pio nel presente mondo malvagio; ma dobbiamo guardarci di perder di vista la gran lezione insegnata da questo passo che quel Salvatore, che Dio ha graziosamente mandato "a portare egli stesso i nostri peccati nel suo corpo da sul legno", non è puramente e semplicemente un uomo, come pretondono i Sociniani, ovvero la più nobile di tutte le creature come vorrebbero gli Ariani: ma bensì il gran Creatore e Reggitore dell'universo, "Il quale è sopra tutti, Iddio benedetto in eterno" Romani 9:6.

2. Nondimeno è non solamente lecito, ma in sommo grado conveniente di fare a noi stessi l'applicazione delle lezioni contenute in questo passo e in altri somiglianti. Se la preghiera dei discepoli, per quanto fosse debole la loro fede, potè muovere il Salvatore ad esercitare in loro favore la sua potenza, quanto maggiormente esaudirà egli le preghiere offertegli in piena sicurezza di fede? Dappoiché ei tiene in sua mano gli elementi, non potranno i suoi, in mezzo alle tempeste, e ai terremoti e alle commozioni della natura, e dei popoli posseder nella pazienza le anime loro? "Nessun male li può incogliere che egli non lo permetta", ed cui hanno il privilegio di deporre i timori e le cure nel seno di "colui che esaudisce la preghiera". Se nonostante la loro mancanza di fede, Gesù era pietoso e misericordioso inverso i suoi discepoli, i quali avean già veduti tanti miracoli, qual coraggio, non ci deve ciò inspirare a rifugiarci in ogni tempo nelle sue compassioni? Egli, è pieno di misericordia e di tenerezza. Egli conosce tutto ciò che manca alla fede, alla speranza, all'amore ed al coraggio dei suoi, e tuttavia non li respingerà da sé.

3. Siamo avvertiti, da questo passo, di quali indegne ansietà e timori possano talvolta venir assaliti i cuori dei veri discepoli. Gli Apostoli, nel loro timore, dimenticarono l'amorosa sollecitudine del loro Maestro, che non avea mai lor fatto difetto pel passato, dimenticarono in breve ogni cosa fuorché il pericolo presente, e sotto l'impressione di esso non poterono aspettare che Gesù ci svegliasse. Fatti come questi sono molto umilianti; cui dovrebbero abbassare il nostro vano e superbo concetto di noi stessi e convincerci che anche il migliore fra gli uomini è al postutto una povera creatura. Ma ci insegnano pure quali siano nel nei cuori le cose contro le quali dobbiamo tenerci la guardia e pregare, nonché ad esser moderati nelle nostre aspettazioni intorno ai nostri fratelli cristiani. Noi non dobbiamo già supporre che gli uomini non possano esser credenti se anche talora danno a divedere una gran debolezza, o che non abbiano alcuna grazia divina nel cuore perché talvolta sono oppressi da timori. Perfino Pietro, Giacomo e Giovanni poterono esclamare: "Maestro, Maestro, noi periamo!"

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